antica
LE ELEZIONI NEL FORO DI POMPEI
LA PROPAGANDA ELETTORALE SUI MURI DEL
MONDO ANTICO
di Ilaria La Fauci
Nel mondo antico le elezioni
funzionavano per certi versi in modo del
tutto simile al nostro: a Pompei, la
propaganda elettorale, chiamata
ambitio, era ricca di manifesti
elettorali che coloravano le pareti di
edifici pubblici e privati lungo le
principali direttrici cittadine. Sono
stati ritrovati circa 2.600 testi,
ovvero iscrizioni tracciate con pennello
e vernice rossa o nera su sfondo bianco,
un meraviglioso documento della
propaganda politica pompeiana.
Per comprendere appieno il funzionamento
di questo meccanismo elettorale,
possiamo ripercorrere brevemente la
storia di Pompei: città alleata di Roma
sin dal III secolo a.C.; nel 91-88 a.C.
si ribella: nell’89 a.C. Silla assedia
Pompei e, dopo aver ottenuto la
cittadinanza da Roma, insedia i suoi
veterani come coloni. Pompei diventa
dunque una colonia, grado che mantiene
fino all’eruzione del Vesuvio del 79
d.C.
Il modello di governo era quello di Roma
composto da magistrati, senato cittadino
e assemblea popolare. La colonia di
Pompei era dunque amministrata dalle
magistrature ordinarie cittadine del
duovirato e dell’edilità, ovvero due
coppie di uomini il cui mandato durava
un anno: i duoviri iure dicundo,
magistrati giusdicenti di rango
superiore che detenevano il potere
esecutivo e il potere giudiziario, e i
duoviri aediles (o più
semplicemente aediles),
incaricati di supervisionare su
edilizia, sicurezza e funzionamento
della città (ordine pubblico,
manutenzione delle strade, dei templi e
degli edifici pubblici, vigilanza dei
mercati e approvvigionamento).
La magistratura di edile permetteva di
entrare a far parte del senato
cittadino, ovvero l’ordo decurionum,
carica propedeutica per candidarsi alla
carica suprema di duovirato, motivo per
cui i candidati più numerosi erano per
la carica di edile, soglia da varcare
per accedere ai pubblici uffici e alla
ribalta politica. Ogni cinque anni
venivano eletti i duoviri
quinquennales, magistrati speciali
incaricati del censimento e del rinnovo
del senato cittadino.
La città veniva amministrata all’interno
della curia, edificio municipale
del Foro; la vita istituzione era
scandita in tre momenti: le elezioni del
consiglio dei decurioni, la divisione
delle cariche pubbliche e
l’amministrazione della giustizia.
Gli aspiranti magistrati dovevano
possedere determinati requisiti: avere
venticinque anni, essere cittadini
romani di pieno diritto (nati liberi e
da giuste nozze), essere residenti nel
territorio municipale, avere una
condotta irreprensibile e un patrimonio
adeguato alla carica (gli incarichi
pubblici difatti non erano retribuiti,
al contrario i magistrati stessi
compivano atti di liberalità e
generosità verso la città).
Le elezioni si svolgevano
tendenzialmente a marzo e constavano di
tre fasi: la presentazione delle
candidature, la propaganda elettorale e
le votazioni nel comitium. Gli
aspiranti candidati (termine che deriva
dalla toga bianca, “candida” per
l’appunto, che indossavano quando
andavano alla ricerca dei voti)
presentavano una professio nominis,
una dichiarazione ufficiale che
consegnavano pochi giorni prima delle
votazioni: i candidati venivano così
selezionati da un consiglio creato
appositamente, si proseguiva con la
proscritio, ovvero la pubblicazione,
nel Foro, della lista dei concorrenti
alle cariche, per poter essere letta dai
cittadini. Un magistrato veniva scelto e
incaricato di presiedere lo scrutinio;
dopodiché prendevano avvio le accese
campagne elettorali per conquistare il
favore della cittadinanza.
Dall’elettorato erano escluse alcune
categorie di persone: le donne, gli
schiavi, i liberti, i gestori di
bordelli e di circhi, gli attori e
coloro i quali possedevano attività poco
decorose. Si immagina quindi che il
cittadino maschio si recava nel Foro,
precisamente nel comitium, e
votava nella sezione a cui apparteneva:
esprimeva il suffragium (ovvero
il voto) per iscritto e in segreto
(tutt’oggi agli ingressi del Foro sono
visibili i dispositivi di sbarramento
creati, secondo una recente teoria, per
escludere chi non aveva diritto al
voto), incidendo il nome del candidato
su una tavola cerata, poneva poi la
scheda in un’arca (urna) o
in una cista (canestro); essendo
idoneo per votare, riceveva una
tesserula, cioè un gettone, che
consegnava poco prima di ritirava la
tavoletta. Si procedeva poi allo spoglio
e infine alla proclamatio,
eleggendo chi era stato designato nel
maggior numero di sezioni.
Nonostante il numero ristretto di
elettori, la popolazione partecipava
attivamente alla campagna elettorale,
vista come una competizione politica
gestita dal candidato e dai suoi
sostenitori: era un complesso sistema di
alleanze politiche, giocato dalle
persone che aspiravano al potere e che
si accordavano per spostare il favore
del proprio elettorato da un candidato a
un altro, alternandosi in un vivace
ricambio politico.
I mezzi di comunicazione erano la
propaganda orale, le raccomandazioni e
le scritte murali: il candidato stesso
si recava dai cittadini chiedendo di
essere votato, frequentava quindi
quotidianamente il Foro insieme ad
amici, clienti e sostenitori. Il
macellum, a est della piazza, era il
maggior polo d’attrazione: era il
mercato della carne e del pesce,
circondato da botteghe di generi
alimentari; altri luoghi frequentati
erano le terme, il tempio di Iside,
l’anfiteatro e le strade principali (via
dell’Abbondanza, via Stabiana, via di
Nola).
Con il tempo la propaganda orale fu
rinforzata da quella scritta con il
manifesto elettorale, chiamato
programma (programmata al
plurale), classificabile nella categoria
di tituli picti, iscrizioni
parietali dipinte per una maggiore
visibilità sui muri di abitazioni dei
cittadini più ricchi e influenti (anche
all’interno delle proprietà private) e
di edifici pubblici dislocati lungo le
strade principali, a volte anche sulle
superfici di tombe, sulle basi delle
statue delle divinità e sulle pareti di
fattorie agricole e ville signorili.
I programmata ritrovati risalgono
soprattutto al periodo del 62-79 d.C.,
dal forte terremoto che si abbatté sulla
città all’eruzione del Vesuvio; quelli
più antichi invece si riferiscono
all’80-30 a.C. I manifesti elettorali
rinvenuti erano sovrapposti: gli annunci
nuovi infatti generalmente erano dipinti
su quelli precedenti; altri erano
nascosti da decorazioni apportate a
seguito dei danni del terremoto.
Queste iscrizioni restituiscono i nomi
dei candidati, cariche e sostenitori,
nonché definiscono i suddetti requisiti
ritenuti indispensabili per amministrare
una comunità. È stato possibile
identificare uno schema ricorrente:
l’uso di sigle e abbreviazioni
consolidate e ampiamente conosciute
(come IIvir sigla epigrafica che
sta per duoviro), il nome del candidato
scritto per esteso in caso accusativo e
di dimensioni maggiori, l’esaltazione
delle sue virtù morali, la menzione
della carica cui aspirava; a volte
compaiono i nomi dei rogatores,
ovvero i sostenitori, singoli o in
gruppo (solitamente erano persone comuni
che non potevano essere elette o
addirittura neanche votare, ma
partecipavano ugualmente alla
propaganda) e il nome dello scriptor
o pictor, il professionista
artefice dell’iscrizione.
Chiunque poteva scriverle, ma
solitamente gli aspiranti si rivolgevano
per l’appunto agli scriptores:
questi possedevano delle squadre
composte da un dealbator,
l’imbianchino che regolarizzava il muro
raschiandolo e preparando il fondo
bianco, uno scalarius, colui che
portava la scala, un lanternarius,
colui che faceva luce, e un adstans
generico che leggeva il testo delle
iscrizioni e vigilava. Svolgevano il
loro lavoro di notte, forse perché non
era permesso o per non essere
disturbati, ipotesi più plausibile dal
momento che in alcuni casi apponevano la
loro firma; poteva capitare che gli
affidassero intere porzioni di muro per
il loro operato.
Con la tecnica dell’affresco creavano
quindi iscrizioni di natura quasi
vignettistica, che sono oggi importanti
testimoni del vivere quotidiano: il
testo era breve, chiaro e leggibile, la
lunghezza variava da alcune decine di
centimetri ad alcuni metri, l’altezza
massima raggiunta è di quaranta
centimetri.
I candidati venivano presentati come
campioni di onestà, saggezza e capacità
usando spesso un’aggettivazione a
sostegno dei loro nomi: vir bonus et
egregium (galantuomo),
verecundissimus (assai modesto),
dignissimus (molto virtuoso),
benemerens (meritevole d’ogni bene),
frugis (parco), integrus
(integerrimo), innocens (incapace
di fare del male); a volte si menzionava
il padre, sia come specificazione
onomastica sia come garanzia insieme ad
altri personaggi influenti e conosciuti.
Per sollecitare al voto, il pregio
massimo era essere dignus, ovvero
meritevole e degno della stima pubblica
e dell’onore; raramente però venivano
indicate le azioni a sostegno e
giustificazione di tali pregi, ma
comparivano scritte che elogiavano i
candidati ad esempio perché un buon
edile e un grande promotore di giochi o
perché faceva buono il pane o perché non
sperperava denaro. In ogni caso la
scelta del candidato era molto
influenzata da legami di famiglia,
amicizia e rapporti di fedeltà
personale. Il ruolo dei manifesti
elettorali era quindi più che altro
declamatorio, utile per dimostrare
l’appoggio.
Esortazione al voto
Vettium Firmum aed(ilem) / o(ro) v(os)
f(aciatis) / d(ignum) r(ei) p(ublicae)
(CIL 04, 03610)
“Vi prego di eleggere come edile Vettius
Firmus degno della pubblica
amministrazione”: questo personaggio
compare in numerose scritte elettorali,
riceveva il sostegno di singoli e di
gruppi, come dei pilicrepi
(giocatori di palla), quactiliarii
(feltrai), pomarii (venditori
di frutta).
L’iscrizione “o v f” è ricorrente in
manifesti simili ed è un’esortazione al
voto: oro vos faciatis.
Un altro esempio:
[Cuspi]um Pansam / aed(ilem) o(ro) v(os)
f(aciatis)
(CIL 04, 01153)
“Vi prego di eleggere edile Cuspius
Pansa”.
Le virtù dei candidati
Trebium aed(ilem) v(irum) / b(onum)
o(ro) v(os) f(aciatis)
(CIL 04, 00123)
“Vi prego di eleggere edile Trebio, uomo
probo”: questo è un esempio di
aggettivazione a sostegno del candidato.
[Cn(aeum) H]elvium Sabinum aedilem / d(ignum)
r(ei) p(ublicae) v(irum) b(onum) o(ro)
v(os) f(aciatis)
(CIL 04, 09914)
“Vi prego di eleggere Elvio Sabino come
edile, degno di amministrare la cosa
pubblica, una persona per bene”.
M(arcum) C(errinium) V(atiam) aed(ilem)
or(o) v(os) f(aciatis) / d(ignum) r(ei)
p(ublicae)
(CIL 04, 00151)
“Vi prego di eleggere edile Marco
Cerrinio Vatia, degno della pubblica
amministrazione”: anche in questi due
ultimi casi non ci sono motivazioni, ma
il candidato viene comunque definito
degno di amministrare la cosa pubblica.
Le capacità dei candidati
C(aium) Iulium Polybium / aed(ilem)
o(ro) v(os) f(aciatis) panem bonum fert
(CIL 04, 00429)
“Vi prego di eleggere Giulio Polibio
edile, fa buono il pane”: come
motivazione a sostegno di questo
candidato, si adduce alle sue capacità
professionali, trattandosi probabilmente
di un proprietario di una panetteria.
In un altro manifesto, relativo a un
altro candidato, si legge “Votalo perché
durante il suo precedente mandato non è
morto neppure un asino”: si tratta di
esempi di come le qualità personali
fossero ritenute indispensabili per
poter concorrere per una carica.
Le cariche ambite
A(ulum) Suettium Verum aed(ilem) / v(iis)
a(edibus) s(acris) p(ublicis) p(rocurandis)
d(ignum) r(ei) p(ublicae) probum o(ro)
v(os) f(aciatis)
(CIL 04, 01137)
“Vi prego di eleggere edile addetto alla
cura di strade, edifici sacri e
pubblici, Aulus Suettius Verus, uomo
probo, degno della pubblica
amministrazione”: ricorre l’aggettivo
probo e stavolta compare anche la
descrizione della carica cui aspira il
candidato.
I singoli sostenitori
L(ucium) Ceium Secundum aed(ilem) o(ro)
v(os) f(aciatis) Proculus et Canthus
rog(ant)
(CIL 04, 01140)
“Vi prego di eleggere edile Lucius Seius
Secundum. Lo chiedono Proculus e Canthus”
[A(ulum) Ve]ttium Firmum aed(ilem) o(ro)
v(os) f(aciatis) / Fabius rog(at)
(CIL 04, 07205)
“Aulo Vezio Firmo vi prego di eleggere
edile. Lo chiede Fabius”: in questi
ultimi due casi i rogatores,
ovvero i sostenitori, si espongono e si
firmano a sostegno del loro candidato.
I gruppi di sostenitori
C(aium) Cuspium Pansam aed(ilem) /
aurifices universi / rog(ant)
(CIL 04, 00710) “Gaio Cuspio Pansa come
edile, tutti gli orefici vogliono”
M(arcum) Enium Sabinum / aed(ilem)
pomari rog(ant)
(CIL 04, 00180)
“Marco Enio Sabino vogliono come edile i
venditori di frutta”.
In queste ultime due iscrizioni i
sostenitori sono gruppi di uomini
accomunati dallo stesso lavoro. I
votanti erano uomini, ma poteva capitare
che sui manifesti comparissero nomi di
donne (ne sono stati scoperti circa
cinquanta): si trattava solitamente di
interesse politico o di sostegno
personale, come nel caso di Taedia
Secunda che sosteneva il nipote Lucius
Popidius Secundus:
L(ucium) Popi[dium] S[ecun]d[u]m aed(ilem)
o(ro) v(os) f(aciatis) / Taed[i]a
secunda cupiens avia rog(at) et fecit
(CIL 04, 07469)
Sulle pareti di una taverna di via
dell’Abbondanza compaiono i nomi di
Asellina, Aegle, Zmyrina e Maria, ad
esempio:
Cn(aeum) Helvium Sabinum / aed(ilem) d(ignum)
r(ei) p(ublicae) o(ro) v(os) f(aciatis)
Aegle rogat
(CIL 04, 07862)
Aegle era probabilmente una donna di
servizio della taverna quindi
probabilmente si trattava di uno
scherzo, una “propaganda negativa”,
mettendo a sostegno di un candidato il
nome di una schiava. Non ci sono infatti
manifesti in cui compaiono i difetti di
un candidato, ma gli avversari operavano
un lavoro più sottile nell’identificare
i sostenitori di un candidato a loro
contrario in bevitori, borseggiatori,
poltroni e schiave.
A volte invece il sostegno era reciproco
come emerge da queste iscrizioni:
Popidium L(uci) f(ilium) Ampliatum aed(ilem)
/ Valens fac(iatis) et ille te fecit
Infan[tio scripsit]
(AE 1915, 00057b)
“O Valens, porta Popidius Ampliatus,
figlio di Lucius, all’edilità. A suo
tempo egli ugualmente ti sostenne. Ha
scritto ciò Infantio”
[M(arcum) O]vidium ueientonem / Trebi(us)
Valens fac(iatis) aed(ilem) et ille te
faciet
(CIL 04, 07429)
“O Trebius Valens, vota all’edilità
Marco Ovidius Veiento ed egli poi a sua
volta ti darà il suo appoggio”.
Candidatura multipla e scriptores
PPP AVCF / MES QMR / SUILIMEA
In questa iscrizione ricca di sigle
troviamo una candidatura multipla: i
candidati al duovirato, ovvero Publius
Paquius Proculus e Aulus Vettius
Caprasius Felix; i candidati
all’edilità, cioè Marcus Elpidius
Sabinus e Quintus Marius Rufus; la firma
dello scriptor, che va letta da
destra verso sinistra e quindi Aemilius,
un professionista di nome Publius
Aemilius Celer, noto a Pompei e che
compare in parecchi testi simili.
In alcuni muri sono state ritrovate
firme come “Aemilius Celer vive qui” (Ae[mili]us
Celer hic habitat, CIL 04, 03794),
“Aemilius Celer, il suo vicino di casa
(riferito a Lucius Statius Receptus),
scrisse queste parole” (L(ucium)
Statium Receptum / IIvir(um) i(ure) d(icundo)
o(ro) v(os) f(aciatis) vicini dig(num) /
scr(ipsit) Aemilius Celer vic(ini),
CIL 04, 03775).
Consapevole che alcune persone si
dilettassero nella propaganda negativa,
Aemilius scrisse in un’iscrizione: “Se
macchiate sgarbatamente questo scritto,
spero che qualche sventura vi incolga” (Beard,
2008).
Gli scriptores sovente lavoravano
da soli come emerge da alcuni manifesti:
Scr(ipsit) / Aemilius / Celer sing(ulus)
/ ad luna(m)
(CIL 04, 03884)
Celere si vanta infatti di lavorare da
solo al lume di luna: in questo caso si
trattava di un manifesto annunciante la
lotta di trenta coppie di gladiatori
nell’arco di cinque giorni e firmò in
quel modo il suo lavoro.
Alcuni di questi dipinti sono anche
annunci di nascita (“è nato Cornelius
Sabinus”, CIL 04, 08149) e di morte (Gloevus
è morto il giorno seguente le none (Varone,
1990) o come i moderni graffiti con
saluti di innamorati, disegni, offese,
parolacce e poesie (Nihil durare
potest tempore perpetuo / cum bene Sol
nituit redditur Oceano / decrescit
Phoebe quae modo plena fuit / ventorum
feritas saepe fit aura levis (CIL
04, 09123) Niente può durare in eterno.
Dopo aver fulgidamente brillato, il sole
si rituffa nell’oceano; la luna che ora
era piena ecco decresce. La furia dei
venti sovente si muta in brezza
leggera).
Alcune epigrafi inoltre ricordavano
l’attività svolta dai magistrati durante
i loro incarichi.
Come Aemilius, anche Mustio ha scritto
da solo senza gli altri compagni:
[…] Mustius fullo facit / et dealbat
scr(ipsit) unicus / s[ine] reliq(uis)
so(alibus) non(is) (CIL 04, 03529)
A volte scrivono parole scherzose:
C(aium) Iulium Polybium / aed(ilem) v(iis)
a(edibus) s(acris) p(ublicis) p(rocurandis)
// lanternari tene / scalam
(CIL 04, 07621)
“Votate per Caius Iulius Polybius come
edile addetto alle vie e agli edifici
sacri e pubblici. E tu, o lanternaio,
tien ferma la scala”.
C’era poi chi si ribellava alla presenza
di queste scritte che decoravano la
città:
Admiror te
paries non cecidisse / qui tot
scriptorum taedia sustineas
(CIL 04, 02487)
“Mi meraviglio, o parete, che tu non sia
ancora crollata sotto il peso delle
scempiaggini di tanti scribacchini”: un
palese richiamo all’attività quasi
deteriorante degli edifici operata dagli
scriptores a sostegno del
politico di turno.
Queste epigrafi parietali rappresentano
la voce dell’antica città di Pompei:
forniscono uno spaccato della vita degli
abitanti e una pittoresca fotografia
delle campagne elettorali. Possono
inoltre essere uno strumento utile per
delineare la cronologia dei candidati e
dei possibili vincitori delle cariche;
si tratta di quasi 2.600 testi che ci
riportano a circa duemila anni fa,
narrando una storia sopravvissuta a
calamità naturali e cambi di potere,
fissata per sempre sulle pareti.
Riferimenti bibliografici:
Beard M.,
Prima del fuoco: Pompei, storie di
ogni giorno, Roma-Bari, 2008.
Cagnat, R.,
Besnier M., Périodiques, in L'Année
Épigraphique (AE), vol. 1914,
Parigi, 1915, pp. 1–46, in
Epigraphik-Datenbank, a cura di
Clauss M., Kolb A., Slaby W. A., Woitas
B.
Inscriptiones parietariae Pompeianae,
Herculanenses, Stabianae,
in Corpus Inscriptionum Latinarum
(CIL), vol.
IV, in
Epigraphik-Datenbank, a cura di
Clauss M., Kolb A., Slaby W.A., Woitas
B.
Marchi P.,
Italia Spray: storia dall’ultima
Italia scritta sui muri, Firenze
1977.
Mastrobattista E., Nuti M., Vota Caio
Cuspio. Propaganda elettorale a Pompei,
in Storie in Movimento. Zoom, n.
17, 2008, pp. 10-24.
Varone A.,
Le voci degli antichi: itinerario
pompeiano tra pubblico e privato, in
Rediscovering Pompeii, Roma 1990. |