N. 97 - Gennaio 2016
(CXXVIII)
LA
mEMORIA
DI
UN
PATRIMONIO
IN
FUMO
LA
MANIFATTURA
TABACCHI
DI
PALERMO
di
Silvia
Pennisi
L'uso
del
tabacco
ha
origini
molto
antiche
ed
esso
ha
avuto
nella
storia
utilizzi
differenti
da
quello
puramente
voluttuario
che
ha
assunto
negli
ultimi
due
secoli.
Per
le
popolazioni
delle
Americhe
costituiva
uno
strumento
di
avvicinamento
al
divino
ed
utile
per
sopportare
le
fatiche,
portato
in
Europa
divenne
discusso
medicamento
e
successivamente
il
fumo
iniziò
ad
essere
visto
quale
strumento
per
trascorrere
piacevolmente
il
tempo
e
possibile
fonte
di
ingenti
guadagni.
La
fama
della
pianta
di
tabacco
durante
tutto
il
XVI
secolo
fu
legata
soprattutto
all'uso
terapeutico,
veniva
infatti
indicata
quale
cura
per
alcune
forme
di
tumori
e
piaghe
con
applicazioni
locali
di
foglie
trattate
all'uopo
e
come
possibile
rimedio
ad
altri
mali.
Solo
dopo
decenni
divenne
l'emblema
dell'aristocrazia
passando
da
panacea
di
molti
mali
a
fenomeno
di
costume.
Durante
il
XVI
e
XVII
secolo
la
diffusione
dei
semi
di
tabacco
avvenne
soprattutto
per
mano
di
ecclesiastici
e la
coltivazione
si
svolgeva
per
lo
più
presso
i
conventi
ad
opera
dei
monaci,
che
pare
ne
fossero
anche
accaniti
consumatori.
Ma
l'atteggiamento
dei
governanti
e
soprattutto
della
chiesa
verso
il
fumo
di
tabacco
fu
spesso
contraddittorio,
alternando
periodi
di
divieti,
con
severe
punizioni
ai
fumatori
perseguiti
e
condannati
anche
dal
Tribunale
dell'Inquisizione,
a
periodi
di
liberalizzazione
e
vincoli,
determinati
dall'opportunità
di
trarre
vantaggi
economici
da
un
bene
giudicato
superfluo.
Infatti
l'uso
medico
in
forma
di
infusi
o
decotti
venne
a
ridursi
nel
corso
del
1600,
forse
anche
per
gli
studi
di
alcuni
medici
che
si
accorsero
delle
conseguenze
negative
del
fumo
su
polmoni
e
cuore.
L'aristocrazia
utilizzò
la
pipa
sino
a
quando,
alla
fine
del
1700,
iniziò
a
diffondersi
l'uso
del
sigaro,
che
non
tardò
a
diventare
una
piacevole
abitudine
presso
la
nobiltà,
facendo
ruotare
intorno
a sé
mode,
costumi
ed
interessi.
Intanto
le
coltivazioni
diventavano
in
tutta
la
penisola
sempre
più
numerose.
Le
informazioni
riguardanti
il
confezionamento
dei
sigari
prima
dell'Unità
d'Italia,
e
dunque
dell'istituzione
di
un
Monopolio
Statale
dei
Tabacchi,
non
sono
molte,
con
ogni
probabilità
la
manodopera
lavorava
a
casa
o
presso
fabbriche
di
privati
spesso
in
condizioni
gravose,
ed
il
confezionamento
avveniva
esclusivamente
a
mano;
per
questo,
essendo
più
semplice
una
lavorazione
eseguita
da
piccole
mani,
si
trattava
generalmente
di
donne
e
talvolta
di
bambini.
Il
sigaro
e la
pipa
rimasero
in
uso
diffusamente
sino
alla
fine
del
1800,
quando
fu
immessa
nel
mercato
la
sigaretta.
Le
sigarette
venivano
prodotte
con
l'ausilio
delle
macchine
confezionatrici,
con
il
contributo
di
operaie
ed
operai,
ma
sicuramente
non
richiedevano
lo
stesso
impegno
dei
sigari,
così
diventarono
un
bene
alla
portata
di
tutti.
La
prima
guerra
mondiale
consacrò
definitivamente
la
sigaretta:
«Cosa
serve
per
vincere
la
guerra?
tanto
tabacco
quanti
proiettili»,
pare
abbia
commentato
il
Generale
americano
John
Pershing
mentre
ordinava
tonnellate
di
sigarette
per
i
soldati,
che
sembrava
avessero
una
funzione
consolatoria
per
i
giovani
soldati
lontani
dai
cari
e li
aiutasse
a
sostenere
i
ritmi
faticosi
imposti
da
spostamenti
e
combattimenti.
L'incredibile
aumento
nel
consumo
delle
sigarette
durante
la
guerra
continuò
anche
dopo,
con
una
propaganda
che
esortava
al
consumo
al
fine
del
dimagrimento
o
altri
benefici
per
la
salute,
e
mostrava
per
la
prima
volta
anche
donne
fumatrici,
come
icone
di
sensualità
e
successo,
come
Marlene
Dietrich.
Il
gesto
di
fumare
diventava
parte
del
costume
dell'epoca
e si
estendeva
anche
alle
donne,
che
potevano
farlo
in
pubblico,
acquisiva
inoltre
valenze
differenti,
talvolta
vizio
e
motivo
di
riflessione
psicanalitica
come
per
Zeno
di
Italo
Svevo,
talvolta
icona
di
sicurezza
e
fascino,
come
gli
attori
americani
la
cui
immagine
da
duro
era
sempre
con
la
sigaretta
in
bocca.
Era
ormai
ben
chiaro
che
il
fumo
creava
dipendenza:
«Sto
meglio
quando
riesco
a
smettere
di
fumare,
ma
sono
meno
felice.
Sento
un’oppressione
dello
stato
d’animo...»
scrisse
Sigmund
Freud,
e
diventava
sempre
più
chiara,
ma
non
ufficialmente
diffusa,
l'opinione
di
molti
medici
sulle
conseguenze
del
fumo
sul
corpo
umano.
Le
manifatture
Tabacchi
in
Italia
I
prodotti
legati
al
tabacco
furono
per
secoli
realizzati
in
piccole
fabbriche
private
o in
strutture,
soprattutto
conventi
e
aziende
agricole,
nate
per
altri
scopi,
ma
che
presentavano
caratteristiche
contestuali
e
strutturali
adatte
alle
lavorazioni.
In
particolare
i
conventi
erano
in
genere
situati
vicino
corsi
d'acqua,
utili
per
ricavare
l'energia
per
le
lavorazioni,
ed
avevano
spazi
ampi
per
le
varie
fasi
della
produzione,
dall'essiccazione
alla
fermentazione,
alla
conservazione.
Spesso
le
operaie
prendevano
presso
i
depositi
il
materiale
e
lavoravano
in
casa
per
poi
riportare
il
prodotto
finito.
Naturalmente
questo
metodo
non
forniva
sufficienti
garanzie
contro
il
contrabbando.
Dopo
la
formazione
del
Regno
d'Italia
dalle
Privative
si
passò
all'unificazione
delle
regole
sul
tabacco,
con
la
legge
710
del
13
luglio
1862,
proposta
da
Quintino
Sella,
che
riservava
allo
Stato
il
privilegio
di
fabbricazione,
importazione
e
vendita
dei
tabacchi
su
tutto
il
territorio,
con
eccezione
di
Capraia
e
della
Sicilia,
quest'ultima
si
allineò
solo
nel
1876.
Alla
data
dell'Unità
d'Italia
lo
Stato
ereditò
un
insieme
di
privative,
gestite
stato
per
stato
in
maniera
differente
e al
fine
di
tentare
un’unificazione
dell'organizzazione
fu
instaurata
la
Direzione
Nazionale
delle
Gabelle.
Le
15
manifatture
attive
in
quell'anno
erano:
quattro
nel
Regno
di
Sardegna,
due
nei
Ducati
di
Modena
e
Parma,
tre
nel
Regno
di
Toscana,
tre
nello
Stato
Pontificio
e
due
nel
Regno
di
Napoli
e
presentavano
profonde
differenze
nella
produzione,
seppure
con
l'aspetto
diffuso
di
essere
tecnologicamente
arretrate
e di
sorgere
in
strutture
costruite
con
altre
finalità.
All'interno
di
queste
fabbriche
il
lavoro
delle
operaie
era
gravoso
ma
considerato
sicuro
e
remunerato,
per
questo
molto
ambito.
Fu
proprio
all'interno
delle
manifatture
dei
tabacchi
che
sorsero
molti
movimenti
in
difesa
delle
condizioni
di
lavoro
delle
donne.
Tra
la
fine
dell'Ottocento
e i
primi
decenni
del
Novecento
vennero
costruite
le
prime
manifatture
progettate
all'uopo
e
molti
ampliamenti
vennero
realizzati
per
adeguare
gli
edifici
alle
tecnologie
in
uso,
in
particolare
alla
produzione
delle
sigarette.
Le
nuove
costruzioni
e le
aggiunte
alle
esistenti
realizzate
in
questi
anni
presentavano,
tranne
alcune
eccezioni,
uno
stile
moderno
e
razionale,
erano
progettate
e
realizzate
per
accogliere
le
attrezzature
necessarie
alle
lavorazioni
e
dunque
con
le
caratteristiche
costruttive
e
distributive
ideali.
Il
cemento
armato
permetteva
inoltre
la
realizzazione
di
corpi
di
notevoli
dimensioni,
luminosi
e
funzionali.
Nei
primi
anni
Trenta
sorsero
i
primi
magazzini
di
tabacchi
greggi
di
Lecce,
Bologna,
Venezia,
Milano
e
Napoli,
tutti
in
luoghi
strategici
rispetto
alle
reti
di
produzione
e di
comunicazione.
Nel
periodo
di
massima
produzione
le
manifatture
in
Italia
erano
21.
Naturalmente
la
seconda
guerra
mondiale
segnò
una
battuta
d'arresto
all'evoluzione
e
allo
sviluppo
dell'industria
dei
tabacchi:
al
termine
della
guerra,
delle
ventiquattro
manifatture
sul
territorio
nazionale
una
era
stata
completamente
distrutta
(Chiaravalle),
la
maggior
parte
gravemente
danneggiate
ed
inutilizzabili
(Milano,
Verona,
Torino,
Modena,
Bologna,
Napoli
S.
Pietro,
Scafati
) ed
altre
ancora
danneggiate
in
maniera
più
lieve
(Palermo,
Rovereto,
Cagliari,
Catania).
Alla
ripresa,
negli
anni
Cinquanta,
il
fumo
di
sigaretta
era
ancora
più
diffuso
di
prima,
ma
le
condizioni
organizzative
della
produzione
italiana
non
permisero
uno
sviluppo
ed
un
riscontro
economico
in
linea
con
i
consumi.
Nei
decenni
che
seguirono,
le
sigarette
estere
presero
sempre
più
piede
nei
consumi
e
negli
acquisti
degli
italiani
e le
fabbriche
furono
via
via
chiuse,
sino
al
definitivo
abbandono
del
monopolio
nel
1998
da
parte
del
Governo
italiano.
Attualmente
due
stabilimenti
producono
esclusivamente
sigari:
Cava
dei
Tirreni
e
Lucca,
ed
uno,
quello
di
Chiaravalle,
produce
sigarette
per
una
società
privata
denominata
Manifattura
Italiana
Tabacchi.
La
Manifattura
Tabacchi
di
Palermo
Per
due
secoli
le
imprese
che
si
occupavano
di
lavorare
il
tabacco
furono
tante
e
molto
piccole,
le
lavorazioni
avvenivano
spesso
in
case
private
o in
locali
non
idonei.
Poche
notizie
si
hanno
riguardo
un
complesso
edificato
nel
1700
nei
pressi
del
Palazzo
Chiaramonte
a
Piazza
Marina,
che
veniva
consuetamente
indicato
come
ex
Manifattura
Tabacchi
ma
che,
con
ogni
probabilità,
serviva
più
che
come
luogo
di
lavorazione,
come
magazzino
dei
tabacchi
che
arrivavano
dal
mare
e
venivano
da
lì
distribuiti
alle
sigaraie,
che
confezionavano
in
casa
i
sigari
e li
portavano
nuovamente
perché
venissero
venduti.
Tale
edificio
fu
poi
quasi
interamente
distrutto
durante
la
seconda
guerra
mondiale,
rimasero
soltanto
degli
ambienti
voltati
perimetrali
e
tutta
la
zona
divenne
un
deposito
di
merci
varie,
sino
al
restauro
dell'intero
complesso
dello
Steri,
attualmente
sede
del
Rettorato
dell'Università
di
Palermo.
La
fabbricazione
dei
tabacchi
nella
provincia
di
Palermo
era
condotta
da
privati
sino
all'istituzione
del
Monopolio,
erano
più
di
300
le
fabbriche
di
sigari,
con
l'estensione
dei
Monopoli
nel
1876
queste
fabbriche
dovettero
chiudere
con
conseguenze
molto
gravi
sulle
famiglie,
infatti
la
Regia
diede
lavoro
a
circa
900
operai,
contro
i
4000
delle
fabbriche.
Il
complesso
di
via
Simone
Gulì
all'Acquasanta
sorse
negli
anni
Ottanta
del
XIX
secolo
sulle
preesistenze
del
Lazzaretto.
Infatti
nel
1600
quella
zona
che
costeggiava
il
mare
era
stata
ritenuta
perfetta
per
la
realizzazione
di
una
struttura
che
potesse
sia
ospitare
i
"contumaci"
in
un
ambiente
salubre,
che
accogliere
e
inviare
via
mare
le
merci
necessarie.
Tale
piccola
struttura,
costituita
da
pochi
edifici
in
parte
esistenti
con
l'originaria
destinazione
di
deposito
di
cereali
della
città,
venne
poi
ampliata
intorno
al
1830
con
l'aggiunta
di
un
corpo
semicircolare
sul
mare
ed
un
edificio
quadrangolare
destinato
alle
scuderie.
C'era
anche
una
piccola
cappella
ed
un
inceneritore
per
gli
oggetti
contaminati,
con
un
alto
camino
tuttora
esistente.
Quando
nel
1876
lo
Stato
assunse
il
monopolio
della
produzione
dei
tabacchi
si
rese
necessario
reperire
una
struttura
adatta,
e
l'ex
lazzaretto
sembrò
tale.
Così
le
scuderie
vennero
adattate
a
laboratori
per
il
confezionamento
di
sigari
ed
il
cortile
venne
utilizzato
per
l'essiccazione
e la
fermentazione
delle
foglie
di
tabacco,
mentre
l'edificio
semicircolare
fu
destinato
a
locale
per
la
produzione
di
energia,
le
cui
attrezzature
negli
anni
cambiarono
con
l'evolversi
della
tecnologia.
L'inceneritore
venne
utilizzato
per
i
prodotti
di
scarto
delle
lavorazioni
e la
ciminiera,
come
le
tante
altre
che
in
quell'epoca
sorsero
in
varie
zone
della
città,
divenne
uno
dei
simboli
della
produttività
locale,
di
un
breve
periodo
florido
che
vide
le
industrie
fiorire
a
Palermo.
All'epoca,
la
maggior
parte
della
forza
lavoro
era
costituita
dalle
donne,
infatti
da
una
lettera
conservata
presso
l'Archivio
di
Stato
di
Palermo
si
legge:
"Presso
la
Manifattura
dei
Tabacchi
attualmente
lavorano
688
donne
tutte
superiori
agli
anni
29
poche
nubili
e la
maggior
parte
maritate
o
vedove,
delle
quali
634
a
cottimo
e
con
un
guadagno
medio
giornaliero
di
lire
1,65
con
la
mercefe
media
giornaliera
di
lire
1,59.
L'orario
di
lavoro
è
quello
stabilito
dal
regolamento
e
non
eccede
le 8
ore
al
giorno."
L'attenzione
alle
condizioni
di
lavoro
delle
donne
e
dei
fanciulli
nelle
fabbriche
e
nelle
miniere
era
molto
sentita,
sebbene
dai
racconti
delle
anziane
sigaraie
si
apprende
che
i
luoghi,
i
tempi
e la
tipologia
di
lavoro
erano
tutt'altro
che
salubri
e
leggeri.
Da
rapporti
del
1885
si
legge
una
descrizione
riguardo
il
lavoro
delle
sigaraie:
«Il
lavoro
delle
costruttrici
di
sigari
non
eccede
qui
(riferito
alla
provincia
di
Palermo)
i
200
giorni
perchè,
detratte
le
feste
ordinarie
e
straordinarie,
assorbono
gli
altri
giorni
dell'anno
le
dimani
delle
feste
che
questa
classe
come
le
altre
maestranze
riguarda,
e
poi
le
condizioni
igieniche
e
familiari
delle
lavoratrici,
essendo
per
lo
più
giovani
e
non
sempre
libere».
Solo
nei
primi
decenni
del
1900,
dopo
la
prima
guerra
mondiale,
vennero
costruiti
gli
edifici
destinati
a
direzione
e
laboratori,
con
uno
stile
che
ne
denuncia
il
periodo
storico
e
perfettamente
in
linea
con
le
coeve
costruzioni
nazionali.
La
costruzione
dei
nuovi
fabbricati
coincise
con
la
meccanizzazione
di
molte
lavorazioni,
infatti
il
lungo
fabbricato
dei
laboratori,
detto
appunto
"fabbricato
per
la
lavorazione
delle
spagnolette",
ospitava
macchine
destinate
alla
fabbricazione
di
sigarette.
Dalla
ripresa
dopo
la
seconda
guerra
mondiale
la
manifattura
ebbe
un
periodo
di
grande
lavoro
e
produzione,
vennero
aggiunti
corpi
necessari
per
accogliere
nuove
funzioni
o
attrezzature,
i
solai
del
corpo
laboratori
vennero
rinforzati
per
le
nuove
macchine
confezionatrici
di
sigarette.
Purtroppo
i
cambiamenti
non
risparmiarono
il
corpo
semicircolare
del
lazzaretto
che
venne
in
parte
demolito.
Per
decenni,
nonostante
la
crisi
che
aleggiava
in
tutto
il
paese
sull'organizzazione
delle
fabbriche
del
tabacco,
esse
costituirono
un
perno
fondamentale
per
le
economie
delle
città
che
le
ospitavano,
fonte
di
guadagno
per
lo
Stato
e di
lavoro
e
sostentamento
per
decine
di
migliaia
di
famiglie.
Molti
operai
ed
operaie
che
trascorsero
gran
parte
della
loro
vita
"in
manifattura",
ricordano
alcuni
momenti
del
loro
quotidiano
e
dei
rapporti
con
i
colleghi
con
commozione
e
rimpianto.
Il
lento
declino
delle
manifatture
tabacchi
non
risparmiò
quella
di
Palermo,
che
fu
definitivamente
chiusa
nel
2001,
e da
allora
versa
in
condizioni
di
totale
abbandono.
Se
in
alcune
città
d'Italia
la
riconversione
dei
complessi
edilizi
analoghi
ha
avuto
successo,
ciò
purtroppo
non
è
capitato
a
Palermo,
dove
né
il
pubblico,
né
il
privato
sembrano
prossimi
ad
una
riqualificazione
che,
vista
l'importanza
storica
del
complesso
e la
zona
in
cui
sorge,
potrebbe
costituire
un'ottima
risorsa
per
la
città.
Il
tema
dell'archeologia
industriale
è
oggi
attuale
e
discusso,
molte
problematiche
logistiche
ed
economiche,
anche
legate
alla
vastità
che
in
genere
caratterizza
tali
complessi
edificati,
ostacolano
il
riuso
di
molte
strutture,
che,
paragonate
al
valore
storico-architettonico
di
moltissimi
edifici
e
siti
del
nostro
fortunato
paese,
vengono
messe
in
secondo
piano
e
spesso
lasciate
al
loro
destino.
Riferimenti
bibliografici
Archivio
di
Stato
di
Palermo,
Archivio
Generale
Prefettura.
Morvillo
A.,
Rapporto
della
commissione
incaricata
di
studiare
dal
lato
industriale
la
quistione
dei
tabacchi
in
Sicilia,
Palermo,
Tip.
Virzì,
1865.
Giliberto
G.,
Memoria
sul
Lazzaretto
di
Palermo,
Lao,
Palermo,
1840.
G.
Diana,
Storia
del
Tabacco
I,
II,
III,
IV.
AA.VV.,
Le
fabbriche
del
tabacco
in
Italia,
Celid,
Torino,
2012.