I Mamurrae
UNA Villa sul promontorio di Gianola di Daniele De Meo
Il
poeta
di
età
augustea
Orazio
nella
sosta
a
Formia,
durante
il
viaggio
verso
Brindisi
con
Mecenate,
per
nominare
la
città
adotta
la
perifrasi
“città
dei
Mamurrae”
(urbs
Mamurrarum)
(Satire,
1,5,37).
Questa
denominazione
ci
viene
riferita
anche
da
Porfirione
(III
sec.
d.C.)
e
dall’autore
che
va
sotto
il
nome
di
Pseudo-Acrone,
riferendosi
al
fatto
che
i
Mamurrae
erano
originari
di
Formia
e
possedevano
la
maggior
parte
delle
proprietà
nella
città.
Molte
iscrizioni
attestano
la
presenza
di
questa
famiglia
menzionando
il
cognome
Mamurra
mentre
non
è
noto
quale
sia
il
gentilizio.
Ipotesi
recenti
tendono
a
fare
un
collegamento
con
la
gens
Vitruvia,
di
cui
possediamo
una
cospicua
documentazione
epigrafica
(per
il
numero
di
epigrafi
Formia
è
seconda
solo
a
Roma).
L’iscrizione
che
ha
indotto
a
questa
ipotesi
menziona
appunto
M.
Vitruvius
Mamurra
costruttore
dell’arco
di
Announa
(C.I.L.,
VIII
Suppl.2,18913)
(I.L.S..5566).
Quest’epigrafe
è
importante
perché
ha
indotto
Thielscher
(1961)
a
identificare
questo
personaggio
con
Vitruvio
autore
del
De
architectura.
Ma
tale
ipotesi
non
è
fondata
su
dati
certi
e
tuttora
non
possiamo
identificare
nessun
membro
di
questa
gens
che
conosciamo
tramite
le
iscrizioni
con
l’autore
del
trattato.
L’esponente
dei
Mamurrae
maggiormente
noto,
grazie
alle
fonti
letterarie,
è
vissuto
nella
prima
metà
del
I
sec
a.C.
Cornelio
Nepote,
suo
contemporaneo,
ci
ha
lasciato
molte
notizie
biografiche.
Anche
se
la
sua
opera
è
andata
perduta
noi
abbiamo
citazioni
di
altri
autori
come
Plinio
il
Vecchio.
Mamurra
viene
menzionato
come
il
primo
che
fece
ricoprire
di
marmo
tutte
le
pareti
della
sua
domus
sul
colle
Celio
a
Roma;
è il
prefetto
dei
genieri
(praefectus
fabrum)
di
Cesare
durante
la
campagna
militare
in
Gallia,
dove
aveva
accumulato
grandi
ricchezze
(Plinio
il
Vecchio,
Storia
naturale,
36,48).
Tuttavia
Cesare
non
lo
menzionò
mai
nel
De
bello
gallico.
Catullo
scrisse
un’invettiva
contro
questo
prefetto
accusato
di
avidità
e
accumulazione
illecita
di
ricchezze
destinate
ad
essere
rapidamente
dilapidate
(Liber,
29).
Cicerone
in
una
lettera
ad
Attico
lo
menziona
tra
i
membri
della
cerchia
dei
più
stretti
collaboratori
di
Cesare
che
si
sono
arricchiti
facilmente
(Lettere
ad
Attico,
7,7,6).
La
sua
domus
è
localizzata
sul
promontorio
di
Gianola,
all’interno
del
Parco
regionale
di
Gianola
e
del
Monte
di
Scauri.
Il
complesso,
che
è
stato
sottoposto
a
opere
di
conservazione
solo
negli
ultimi
decenni,
è
inserito
in
un
sistema
di
ville
marittime
collocate
nella
zona
costiera
laziale
e
campana,
ed è
dotato
come
tutte
le
altre
di
piscinae,
una
nell’insenatura
soprannominata
“Porticciolo”,
l’altra
nella
zona
detta
“Pescinola”,
alla
foce
del
fiume
Rio
Santa
Croce.
La
prima
peschiera,
utilizzata
nel
Medioevo
come
approdo
di
Gianola,
nel
1930
fu
adattata
a
porticciolo
privato
(da
qui
deriva
il
nome)
dal
marchese
Carlo
Afan
De
Rivera,
proprietario
di
una
grande
tenuta
e
del
castello
in
parte
ancora
visibile
sul
promontorio.
Dell’altra
piscina
sulla
foce
del
fiume
sono
visibili
dei
resti
in
prossimità
della
spiaggia.
Nel
1977
una
grossa
mareggiata
ha
reso
visibili
altri
resti
di
quest’ultima
rimasti
insabbiati.
È
difficile
stabilire
la
corretta
fisionomia
della
villa
a
causa
del
cattivo
stato
di
conservazione,
del
cedimento
del
terreno
nel
corso
dei
secoli
e
dei
danni
causati
dall’occupazione
tedesca
nella
II
Guerra
Mondiale
(ricordiamo
che
non
molto
distante
da
Formia
si
trova
Montecassino
dove
era
disposta
la
linea
difensiva
tedesca
chiamata
Gustav.
Con
il
superamento
di
quest’ultima
da
parte
delle
forze
alleate
buona
parte
dei
soldati
dell’Asse
si
sono
ritirati
verso
Formia,
che
successivamente
fu
bombardata).
Le
strutture
che
ancora
permangono
sono
la
cisterna
“maggiore”
e
quella
delle
“36
colonne”.
La
maggior
parte
dei
fabbricati
si
mantiene
solo
a
livello
di
fondazione.
Si
ritiene
che
la
villa
terminasse
a
monte
con
l’edificio
ottagono,
mentre
verso
la
costa
con
un
articolato
balneum
impiantato
sulla
scogliera
e
alimentato
dalla
corrispondente
cisterna
della
“36
colonne”,
dove
probabilmente
si
effettuava
la
talassoterapia
oltre
alle
consuete
funzioni
termali.
Ancora
ignoti
invece
sono
i
limiti
della
villa
verso
Est
e
Ovest.
È
importante
considerare
i
cambiamenti
geologici
che
hanno
portato
a
una
modificazione
della
morfologia
del
promontorio.
Infatti
notando
l’azione
erosiva
compiuta
dal
mare
nei
confronti
della
terrazza
più
bassa,
ci
si è
resi
conto
che
in
età
tardo-repubblicana
(in
questo
periodo
si
data
la
costruzione
dell’intero
complesso)
doveva
esserci
una
spiaggia,
ora
sommersa,
che
distanziava
la
terrazza
dal
mare.
Con
l’istituzione
del
Parco
regionale
tutta
questa
zona
è
rimasta
protetta
da
scavi
illeciti
e
dall’utilizzo
agricolo
–
pastorale
dei
terreni,
anche
se
resta
il
problema
del
settore
archeologico.
A
causa
della
particolare
situazione
geomorfologica
e
dell’azione
degli
agenti
atmosferici,
è
stata
necessaria
un’opera
urgente
di
recupero
e
conservazione
delle
strutture
esistenti.
Importante
è
stato
l’intervento
nella
Grotta
della
Janara,
teso
ad
arginare
il
degrado
della
struttura
e a
impedire
altri
crolli
(parte
del
soffitto
costituito
da
volte
a
botte
era
già
crollato).
L’edificio
più
importante
del
complesso
è la
sala
ottagonale
che
dà
all’intera
struttura
uno
schema
coincidente
con
“la
rosa
dei
venti”,
ottenuta
con
l’opposizione
di
quattro
triangoli
equilateri
e
usata
dagli
antichi
astronomi
(Vitruvio,
De
architectura,1,1,16;
5,6,1-7,1).
L’edificio
infatti
è
orientato
con
i
lati
ai
punti
cardinali
e dà
all’intera
residenza
una
connotazione
astronomica.
La
posizione
dei
vari
edifici
della
villa
rivela
anche
un
sapiente
sfruttamento
delle
condizioni
climatico
–
ambientali:
i
venti
freddi
risultano
schermati
dal
crinale
della
collina
e si
individuano
due
zone
diverse
di
uso
stagionale,
una
invernale
a
Sud-
Sud-Est,
intensamente
soleggiata
con
venti
caldi,
e
l’altra
estiva
a
Ovest-Nord-Ovest,
di
media
esposizione
con
venti
freschi.
Si
nota
inoltre
il
settore
centrale
a
sud-ovest
con
irraggiamento
costante
e
minima
variazione
di
temperatura,
come
area
degli
impianti
termali.
L’edificio
ottagonale
a
causa
dell’ultimo
conflitto
è
ridotto
a un
cumulo
di
grossi
frammenti
(i
soldati
tedeschi
l’hanno
demolito
nel
momento
in
cui
si
ritiravano
verso
nord).
La
regione
Lazio
dovrebbe
stanziare
dei
fondi
previsti
nel
2012
per
finanziare
il
progetto
di
recupero
di
questi
frammenti
e
tentare
di
ridare,
laddove
è
possibile,
la
forma
originaria
alla
struttura.
La
funzione
dell’edificio
connessa
con
la
struttura
ad
antro
artificiale,
dove
la
luce
diminuisce
man
mano
verso
il
centro,
e
per
la
presenza
di
vasche
pavimentali
per
la
captazione
idrica,
permette
di
identificarlo
non
con
la
generica
definizione
di
nimphaeum,
ma
con
quella
di
musaeum.
La
conformazione
della
sala
ottagonale
appare
relazionata
a
quella
presente
nella
Domus
Aurea
a
Roma,
fatta
costruire
dall’imperatore
Nerone
dopo
l’incendio
del
64
d.C.
La
complessità
della
struttura
neroniana
fa
presumere
che
sia
una
rielaborazione
di
uno
schema
già
esistente
e
Ward
Perkins
ritiene
che
il
prototipo
sia
quello
nella
villa
di
Mamurra
(Architettura
romana,
p.103).
La
domus
nel
molteplice
contesto
paesaggistico,
contenente
componenti
marine,
campestri
e
montane
in
un
vasto
spazio
che
va
dai
monti
Aurunci
fino
al
litorale
del
golfo,
assumeva
un
carattere
di
città
in
un
piccolo
mondo,
mentre
il
musaeum
con
la
volta
celeste
affrescata
sul
soffitto,
rappresentava
il
perno
cardinale
astronomico,
incarnando
le
qualità
della
dea
triforme
della
natura
Diana-Selene-Ecate,
terrestre,
siderea
e
ctonia.