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N. 77 - Maggio 2014 (CVIII)

I Mamurrae
UNA Villa sul promontorio di Gianola

di Daniele De Meo

 

Il poeta di età augustea Orazio nella sosta a Formia, durante il viaggio verso Brindisi con Mecenate, per nominare la città adotta la perifrasi “città dei Mamurrae” (urbs Mamurrarum) (Satire, 1,5,37).

 

Questa denominazione ci viene riferita anche da Porfirione (III sec. d.C.) e dall’autore che va sotto il nome di Pseudo-Acrone, riferendosi al fatto che i Mamurrae erano originari di Formia e possedevano la maggior parte delle proprietà nella città. Molte iscrizioni attestano la presenza di questa famiglia menzionando il cognome Mamurra mentre non è noto quale sia il gentilizio.

 

Ipotesi recenti tendono a fare un collegamento con la gens Vitruvia, di cui possediamo una cospicua documentazione epigrafica (per il numero di epigrafi Formia è seconda solo a Roma). L’iscrizione che ha indotto a questa ipotesi menziona appunto M. Vitruvius Mamurra costruttore dell’arco di Announa (C.I.L., VIII Suppl.2,18913) (I.L.S..5566).

 

Quest’epigrafe è importante perché ha indotto Thielscher (1961) a identificare questo personaggio con Vitruvio autore del De architectura. Ma tale ipotesi non è fondata su dati certi e tuttora non possiamo identificare nessun membro di questa gens che conosciamo tramite le iscrizioni con l’autore del trattato. L’esponente dei Mamurrae maggiormente noto, grazie alle fonti letterarie, è vissuto nella prima metà del I sec a.C. Cornelio Nepote, suo contemporaneo, ci ha lasciato molte notizie biografiche.

 

Anche se la sua opera è andata perduta noi abbiamo citazioni di altri autori come Plinio il Vecchio. Mamurra viene menzionato come il primo che fece ricoprire di marmo tutte le pareti della sua domus sul colle Celio a Roma; è il prefetto dei genieri (praefectus fabrum) di Cesare durante la campagna militare in Gallia, dove aveva accumulato grandi ricchezze (Plinio il Vecchio, Storia naturale, 36,48).

 

Tuttavia Cesare non lo menzionò mai nel De bello gallico. Catullo scrisse un’invettiva contro questo prefetto accusato di avidità e accumulazione illecita di ricchezze destinate ad essere rapidamente dilapidate (Liber, 29).

 

Cicerone in una lettera ad Attico lo menziona tra i membri della cerchia dei più stretti collaboratori di Cesare che si sono arricchiti facilmente (Lettere ad Attico, 7,7,6). La sua domus è localizzata sul promontorio di Gianola, all’interno del Parco regionale di Gianola e del Monte di Scauri.

 

Il complesso, che è stato sottoposto a opere di conservazione solo negli ultimi decenni, è inserito in un sistema di ville marittime collocate nella zona costiera laziale e campana, ed è dotato come tutte le altre di piscinae, una nell’insenatura soprannominata “Porticciolo”, l’altra nella zona detta “Pescinola”, alla foce del fiume Rio Santa Croce.

 

La prima peschiera, utilizzata nel Medioevo come approdo di Gianola, nel 1930 fu adattata a porticciolo privato (da qui deriva il nome) dal marchese Carlo Afan De Rivera, proprietario di una grande tenuta e del castello in parte ancora visibile sul promontorio. Dell’altra piscina sulla foce del fiume sono visibili dei resti in prossimità della spiaggia.

 

Nel 1977 una grossa mareggiata ha reso visibili altri resti di quest’ultima rimasti insabbiati. È difficile stabilire la corretta fisionomia della villa a causa del cattivo stato di conservazione, del cedimento del terreno nel corso dei secoli e dei danni causati dall’occupazione tedesca nella II Guerra Mondiale (ricordiamo che non molto distante da Formia si trova Montecassino dove era disposta la linea difensiva tedesca chiamata Gustav.

 

Con il superamento di quest’ultima da parte delle forze alleate buona parte dei soldati dell’Asse si sono ritirati verso Formia, che successivamente fu bombardata). Le strutture che ancora permangono sono la cisterna “maggiore” e quella delle “36 colonne”.

 

La maggior parte dei fabbricati si mantiene solo a livello di fondazione. Si ritiene che la villa terminasse a monte con l’edificio ottagono, mentre verso la costa con un articolato balneum impiantato sulla scogliera e alimentato dalla corrispondente cisterna della “36 colonne”, dove probabilmente si effettuava la talassoterapia oltre alle consuete funzioni termali. Ancora ignoti invece sono i limiti della villa verso Est e Ovest.

 

È importante considerare i cambiamenti geologici che hanno portato a una modificazione della morfologia del promontorio. Infatti notando l’azione erosiva compiuta dal mare nei confronti della terrazza più bassa, ci si è resi conto che in età tardo-repubblicana (in questo periodo si data la costruzione dell’intero complesso) doveva esserci una spiaggia, ora sommersa, che distanziava la terrazza dal mare.

 

Con l’istituzione del Parco regionale tutta questa zona è rimasta protetta da scavi illeciti e dall’utilizzo agricolo – pastorale dei terreni, anche se resta il problema del settore archeologico.

 

A causa della particolare situazione geomorfologica e dell’azione degli agenti atmosferici, è stata necessaria un’opera urgente di recupero e conservazione delle strutture esistenti. Importante è stato l’intervento nella Grotta della Janara, teso ad arginare il degrado della struttura e a impedire altri crolli (parte del soffitto costituito da volte a botte era già crollato).

 

L’edificio più importante del complesso è la sala ottagonale che dà all’intera struttura uno schema coincidente con “la rosa dei venti”, ottenuta con l’opposizione di quattro triangoli equilateri e usata dagli antichi astronomi (Vitruvio, De architectura,1,1,16; 5,6,1-7,1). L’edificio infatti è orientato con i lati ai punti cardinali e dà all’intera residenza una connotazione astronomica.

 

La posizione dei vari edifici della villa rivela anche un sapiente sfruttamento delle condizioni climatico – ambientali: i venti freddi risultano schermati dal crinale della collina e si individuano due zone diverse di uso stagionale, una invernale a Sud- Sud-Est, intensamente soleggiata con venti caldi, e l’altra estiva a Ovest-Nord-Ovest, di media esposizione con venti freschi.

 

Si nota inoltre il settore centrale a sud-ovest con irraggiamento costante e minima variazione di temperatura, come area degli impianti termali. L’edificio ottagonale a causa dell’ultimo conflitto è ridotto a un cumulo di grossi frammenti (i soldati tedeschi l’hanno demolito nel momento in cui si ritiravano verso nord).

 

La regione Lazio dovrebbe stanziare dei fondi previsti nel 2012 per finanziare il progetto di recupero di questi frammenti e tentare di ridare, laddove è possibile, la forma originaria alla struttura.

 

La funzione dell’edificio connessa con la struttura ad antro artificiale, dove la luce diminuisce man mano verso il centro, e per la presenza di vasche pavimentali per la captazione idrica, permette di identificarlo non con la generica definizione di nimphaeum, ma con quella di musaeum.

 

La conformazione della sala ottagonale appare relazionata a quella presente nella Domus Aurea a Roma, fatta costruire dall’imperatore Nerone dopo l’incendio del 64 d.C.

 

La complessità della struttura neroniana fa presumere che sia una rielaborazione di uno schema già esistente e Ward Perkins ritiene che il prototipo sia quello nella villa di Mamurra (Architettura romana, p.103).

 

La domus nel molteplice contesto paesaggistico, contenente componenti marine, campestri e montane in un vasto spazio che va dai monti Aurunci fino al litorale del golfo, assumeva un carattere di città in un piccolo mondo, mentre il musaeum con la volta celeste affrescata sul soffitto, rappresentava il perno cardinale astronomico, incarnando le qualità della dea triforme della natura Diana-Selene-Ecate, terrestre, siderea e ctonia.



 

 

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