N. 77 - Maggio 2014
(CVIII)
MaliVai Washington
Una meteora a Wimbledon
di Francesco Agostini
Il
tennis,
quello
vero,
non
è
solo
uno
sport
da
copertina.
Non
è
solo
grandi
tornei
e
luci
della
ribalta
ma è
anche
piccoli
campi,
magari
di
periferia,
con
spalti
semivuoti
e
pochi
spettatori
annoiati.
In
questi
luoghi
si
aggira
la
maggior
parte
dei
tennisti
del
circuito,
quelli
che,
non
potendo
competere
con
i
più
grandi,
si
accontentano
delle
briciole
e
calcano
i
campi
di medio-basso
livello
alla
ricerca
di
un
piccolo
momento
di
gloria.
L’esempio
tipico
di
un
tennista
di
questo
tipo
è
MaliVai
Washington.
Nato
a Glen
Clove
il
20
giugno
1969,
primo
di
una
generazione
fortunata
di
tennisti
statunitensi
che
segneranno
la
storia
degli
anni
novanta,
nel
bene
e
nel
male.
È
forse
stata
questa
la
più
grande
sfortuna
di
MaliVai:
l’essere
nato
in
mezzo
a
una
carrellata
di
tennisti
fenomenali,
talmente
bravi
da
oscurare
completamente
tutti
gli
altri
avversari,
compreso
appunto
il
nostro
Washington.
Tanto
per
essere
precisi
è
necessario
fare
qualche
nome,
alcuni
dei
quali
veramente
altisonanti:
Pete
Sampras,
Andrè
Agassi,
Jim
Courier
e
Michael
Chang,
tutti
nati
tra
la
fine
degli
anni
sessanta
e la
prima
metà
dei
settanta.
Sampras
è
stato
capace
di
vincere
per
ben
sette
volte
lo
slam
di
Wimbledon,
cinque
volte
quello
degli
Stati
Uniti
e
due
volte
l’Open
d’Australia,
mentre
Agassi
è
stato
uno
di
quei
pochissimi
tennisti
ad
aver
trionfato
in
tutti
e
quattro
gli
slam,
ossia
Australia,
Francia,
Inghilterra
e
Stati
Uniti.
Considerata
la
diversità
delle
superfici
(cemento,
terra
rossa
ed
erba)
è un
risultato
a
dir
poco
straordinario.
Meno
brillanti
e
spettacolari
degli
altri
due
ma
comunque
giocatori
di
altissimo
livello
Courier
e
Chang,
il
primo
trionfatore
nell’Open
d’Australia
e di
Francia,
il
secondo
“solamente”
quello
in
terra
d’oltralpe,
vinto
in
una
finale
al
cardiopalma
contro
Ivan
Lendl.
Washington
invece
è un
giocatore
di
medio
livello:
non
è
alto,
non
ha
un
servizio
potente
e ha
una
serie
di
colpi
buoni
ma
non
eccezionali.
Potremo
definirlo
un
giocatore
“ordinario”.
D’altronde
il
suo
curriculum
parla
chiaro:
solo
quattro
vittorie
in
carriera,
conquistate
in
tornei
di
basso
profilo
come
Memphis,
Charlotte,
Ostrava
e le
Bermuda.
Nelle
grandi
occasioni,
negli
slam,
ha
fatto
vedere
poco
o
nulla.
Il
massimo
che
ha
potuto
raggiungere
è
stato
un
quarto
turno
in
Australia;
per
il
resto
si è
sempre
fermato
prima.
Ma
nel
1996
anche
uno
come
Washington
ha
il
suo
momento
di
gloria.
A
Wimbledon
quell’anno
accade
l’incredibile:
il
re
dell’erba,
Pete
Sampras,
che
in
quegli
anni
ha
dominato
il
torneo,
viene
eliminato
e a
cercare
di
prendere
il
suo
posto
ci
sono
moltissimi
giocatori
che
finalmente
intravedono
uno
spiraglio
di
speranza.
In
finale
arriva
un
olandese,
Richard
Krajiceck,
dotato
di
un
servizio
potentissimo
ed
estremamente
veloce.
Dall’altra
parte
del
tabellone,
in
semifinale,
si
disputa
una
gara
apparentemente
senza
storia:
Todd
Martin,
esponente
di
spicco
di
un
tipo
di
gioco
prettamente
“erbivoro”,
il
serve
and
volley,
e
appunto
MaliVai
Washington,
l’illustre
sconosciuto
capitato
lì
quasi
per
caso.
La
partita
invece
è
combattutissima,
tant’è
vero
che
i
due
arrivano
al
quinto
set,
dove
Washington
riesce
a
vincere
e a
staccare
il
biglietto
per
la
finale
rimontando
un
5-1
per
Martin
che
lo
vedeva
praticamente
battuto.
La
sorpresa
è
enorme.
I
riflettori
si
accendono
per
la
prima
volta
su
questo
tennista
semisconosciuto,
e
per
di
più,
tutto
ciò
accade
nel
torneo
più
importante
del
pianeta:
Wimbledon.
È
l’apice
della
sua
carriera.
La
finale,
invece,
deluderà
quanti
già
sognavano
di
vederlo
con
il
trofeo
in
mano
a
coronare
la
bella
favola
dell’illustre
sconosciuto.
Richard
Krajiceck,
l’olandese,
lo
batterà
con
un
secco
6-3,
6-4,
6-3
ma
forse,
poco
importa.
L’importante
per
uno
come
lui
era
anche
solo
arrivare
a
vivere
un
giorno
del
genere:
quel
tipo
di
giorno
che
tutti
i
tennisti
sognano
di
vivere
una
volta
nella
vita.