N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
La magia nel mondo antico
Teocrito
e le
sue
Incantatrici
di
Paola
Scollo
L’analisi
del
fenomeno
della
magia
pone
seri
problemi
di
interpretazione
e
valutazione.
Che
cosa
si
intende
propriamente
per magheίa?
Chi
è
il mágos?
È
possibile
ricostruire
la
storia
e le
vie
di
diffusione
della
magia?
Quali
riti
magici
vengono
praticati
nell’antichità?
Questi
sono
solamente
alcuni
dei
quesiti
fondamentali
che
si
pongono.
Quesiti
che
non
sempre
consentono
una
risposta
definitiva.
Almeno
nelle
sue
prime
manifestazioni,
il
fenomeno
della
magia
sembra
estraneo
al
mondo
greco
e
romano.
Secondo
la
testimonianza
di
Erodoto,
la magheίa è
l’arte
dei
sacerdoti
persiani
preposti
ai
riti
funebri,
alla
divinazione
e
all’interpretazione
dei
sogni
(VII
37 1
-
3).
Tra
le
numerose
stirpi
dei
Medi
Erodoto
pone
quella
dei
Magi, mágoi,
per
cui
l’antica
Persia
sarebbe
la
terra
d’origine
della
magia
(I
101.1).
Nel
mondo
greco
con
il
termine magheίa vengono
designati
sia
i
culti
misterici
privati
sia
la
magia
cosiddetta
nera.
Tali
fenomeni
non
rientrano
all’interno
della
religione
collettiva
della polis ma,
come
osserva
Luck,
la
magia
attinge
dal
patrimonio
religioso
formule
e
rituali:
è
come
se
sia
cresciuta
su
un
substrato
religioso.
Di
conseguenza,
riuscire
a
comprendere
in
che
cosa
effettivamente
la
magia
differisca
dalla
religione
è
complesso.
Se
la
maggior
parte
della
critica
ritiene
che
non
sia
possibile
individuare
una
sostanziale
divergenza,
Luck
sostiene
che
«in
magia
la
preghiera
o il
ringraziamento
per
qualcosa
sono
concepibili,
ma
non
lo
sono
la
consapevolezza
del
peccato
e la
preghiera
per
ottenere
perdono.
Il magus non
riconosce
il
peccato,
e si
trova,
in
un
certo
senso,
al
di
sopra
della
morale
e
della
legge:
egli
è
legge
per
sé».
Con
ogni
probabilità
questa alterità è
da
porre
all’origine
dei
provvedimenti,
emanati
nel
mondo
greco
e
romano,
finalizzati
a
impedire
la
diffusione
delle
pratiche
magiche.
Nell’Inno
a
Demetra (228
-
230)
è
già
contenuta
una
condanna
nei
confronti
della
stregoneria,
epelusíe. Nelle
Leggi
delle
XII
Tavole,
il
più
antico
testo
legislativo
del
mondo
romano,
sono
presenti
provvedimenti
che
colpiscono
varie
forme
di
stregoneria
tra
cui
la fruges
excantare,
finalizzata
a
danneggiare
il
raccolto
altrui,
e
il malum
carmen,
qualsiasi
formula
di
maledizione.
In
epoca
imperiale
la
magia
è
considerata
illegale:
sotto
Augusto
e
Diocleziano
vengono
arsi
numerosi
libri
di
magia.
Un
papiro
egiziano,
datato
198
-
199
d.C.
(Horsley
I n.
49),
documenta
un
editto,
emanato
durante
il
regno
di
Settimio
Severo,
con
cui
vengono
vietate
le
pratiche
magiche.
Si
tratta
di
una
notizia
sorprendente
perché,
come
è
ben
noto,
l’imperatore,
prima
di
salire
al
trono,
era
solito
consultare
gli
astrologi.
In
questa
ottica
il
termine mágos diviene
polemico
e
denigratorio.
Esperti
di
riti
misterici
e di
magia
nera,
i
maghi
sono
figure
ambigue
spesso
ai
margini
della
società.
E
filosofi
e
medici,
possessori
della
vera
sapienza, sophίa, sono
i
principali
avversari.
Platone
ad
esempio
condanna
l’abuso
di pharmakeίa.Occorre
comunque
sottolineare
che
tale
opposizione
non
investe la
magia
nel
suo
complesso,
ma
soltanto la
magia
nera,
ovvero
misteri
bacchici,
culti
estatici
privati,
purificazioni,
stregonerie.
L’atteggiamento
della
collettività
nei
confronti
del
fenomeno
magico
oscilla
tra
il
netto
rifiuto,
da
una
parte,
e
l’entusiastica
adesione,
dall’altra.
Un
atteggiamento
ambiguo
che
trova
una
plausibile
motivazione
nella
difficoltà
di
accostarsi
a un
fenomeno
complesso
e
dalle
molteplici
manifestazioni:
la
magia
è
percepita
come
una
pratica
esotica
e di
difficile
comprensione.
Secondo
Luck,
«la
magia
è
sempre
stata
maestra
di
ambiguità
poiché,
operando
in
una
zona
di
penombra,
sfrutta
deliberatamente
le
tradizioni
religiose
con
la
pretesa
di
ottenere
risultati
migliori».
Di
qui
il
timore
che
la
magia,
opponendosi
alla
religione
tradizionale,
possa
minare
alle
basi
la
coesione
e
l’equilibrio
dello
Stato.
Un
prezioso
contributo
per
comprendere
e
isolare
gli
aspetti
più
significativi
dei
rituali
magici
giunge
da
testimonianze
dirette
quali
papiri
magici,
tavolette
di defixiones,
coppe
incantatorie
e
gemme
magiche,
e da
testimonianze
indirette,
ovvero
le
fonti
letterarie.
La
magia
ha
infatti
esercitato
grande
fascino
sugli
scrittori
greci
e
latini,
soprattutto
a
partire
dall’età
ellenistica.
Basti
pensare
al
secondo
idillio
di
Teocrito,
alla
descrizione
della
“maga”
Medea
nelle Argonautiche di
Apollonio
Rodio
o,
ancora,
al
romanzo Lucio
o
l’asino attribuito
a
Luciano
di
Samosata.
Per
quanto
riguarda
il
mondo
latino,
preziose
informazioni
giungono
da
Plinio
il
Vecchio,
Seneca,
Lucano,
Tacito,
Petronio
e
Apuleio.
In
particolare,
nelle Metamorfosi l’elemento
magico
è
premimente:
viene
qui
realizzato
l’itinerario
mistico
di
un
uomo
che,
attraverso
le
pratiche
magiche,
aspira
all’iniziazione
religiosa
e
alla
comunione
diretta
con
la
divinità.
Dall’analisi
delle
testimonianze
letterarie
nel
mondo
greco
e
latino
emerge
la
difficoltà
di
conciliare
due
culture
che
elaborano
risposte
non
sempre
concordanti
e/o
di
immediata
contiguità
nei
confronti
del
fenomeno
magico.
Anche
un
esame
sintetico
mostra
la
sottigliezza
e la
complessità,
oltre
che
la
differenza
di
prospettiva,
con
cui
gli
autori
hanno
affrontato
il
tema
della
magia.
Tra
le
testimonianze
letterarie
più
interessanti
va
collocato
il
secondo
idillio
di
Teocrito: Le
Incantatrici.
Come
risulta
evidente
dal
titolo Pharmakeutriai il
testo
propone
un
rituale
magico:
la pharmakeía.
L’azione
si
svolge
di
notte,
al
chiarore
della
luce
lunare.
Protagoniste
sono
Simeta
e la
sua
serva
Testili.
Il
rito
è
finalizzato
a
propiziare
il
ritorno
dell’amore
del
giovane
Delfi,
un
tempo
amante
di
Simeta.
Il
componimento
si
apre
con
la
descrizione
dei
preparativi
del
rito,
che
segue
fasi
ben
precise.
La
prima
parte
si
caratterizza
per
la
ripetizione
di
formule
della
magia
cosiddetta
“simpatica”.
Scopo
di
questa
sezione
è
quello
di
riaccendere
il
fuoco,
ovvero
l’amore,
nel
corpo
di
Delfi.
Con
azioni
di
tipo
“simpatetico”
vengono
bruciati
orzo
(18),
alloro
(24)
e
crusca
(33).
Questi
tre
elementi
rappresentano
simbolicamente
l’amato.
Il
nome
di
Delfi
evoca
il
nome
della
città
in
cui
sorgeva
il
santuario
di
Apollo.
E
l’alloro
è
l’elemento
vegetale
associato
ad
Apollo.
Nel
bruciare
l’alloro
Simeta
brucia
Delfi
in
persona.
I
momenti
del
rito
sono
scanditi
dall’invocazione
a un
elemento
intermediario:
la
Ruota
magica,
la Iynx.
Si
tratta
di
un
uccello,
denominato
«torcicollo»
(Iynx
torquilla),
perché
capace
di
compiere
rapidi
movimenti
circolari
con
il
collo.
Questo
uccello
veniva
impiegato
per
far
girare
una
ruota
magica,
denominata
a
sua
volta
Iynx.
Nelle
intenzioni
di
Simeta,
l’azione
del
girare
la
ruota
dovrebbe
contribuire
ad
attrarre
a sé
Delfi,
quindi
a
rinnovare
l’amore.
In
realtà,
come
è
stato
ampiamente
dimostrato,
la
ruota
simboleggia
l’amore
infedele
ed
effimero.
Oltre
alla
manipolazione
degli
oggetti,
il
rito
magico
è
caratterizzato
da
invocazioni
alle
divinità.
Dapprima
Simeta
invoca
Selene,
la
Luna,
divinità
che
sovrintende
ai
riti
magici
tipicamente
notturni.
La
donna
chiede
l’invio
di
un
messaggero-assistente.
Poi
invoca
Ecate,
altra
denominazione
di
Persefone,
dea
degli
Inferi,
identificata
talvolta
con
Artemide.
La
preghiera
è
interrotta
dall’abbaiare
dei
cani,
segno
dell’arrivo
della
dea.
Per
proteggersi
Simeta
fa
risuonare
un
gong
(31).
Il
cembalo
di
bronzo
è
uno
strumento
a
percussione
spesso
adoperato
nelle
pratiche
magiche
con
valore
apotropaico.
L’apparizione
di
Ecate
genera
una
pausa
all’interno
del
racconto.
La
dea
si
manifesta
a
distanza
e
Simeta
tenta
di
proteggersi.
Di
norma
l’apparizione
della
divinità
dovrebbe
essere
accolta
come
segnale
positivo:
la
risposta
immediata
alle
richieste
di
aiuto.
La
reazione
di
Simeta
risulta
pertanto
incomprensibile.
Segue
una
nuova
richiesta
alla
ruota
magica:
«E
tu,
ruota,
trascina
verso
casa
il
mio
uomo»
(36).
Adesso
avviene
un
progressivo
avvicinamento
all’amato.
Scopo
di
tale
momento
è
quello
di
spezzare
ogni
resistenza
di
Delfi.
Simeta
scioglie
la
cera,
dicendo:
«Così
si
sciolga
d’amore
Delfi
di
Mindo»
(39).
In
seguito
brucia
una
frangia
del
mantello
di
Delfi
(53)
e
tritura
personalmente
una
lucertola
per
farne
una
bevanda
(58).
La
lana
del
mantello
svolge
una
funzione
apotropaica:
serve
a
proteggere
la
protagonista
del
rito.
La
lucertola
è la
forma
animale
di
Apollo,
noto
quale
dio
sauroctono.
Dopo
aver
offerto
una
triplice
libagione
e
aver
ripetuto
un
triplice
scongiuro
(43),
Simeta
ordina
a
Testili
di
impastare
dei throna sulla
soglia
della
casa
di
Delfi,
esclamando:
«Impasto
le
ossa
di
Delfi»
(61).
Infine
si
rivolge
alla
Luna:
«Pensa
da
dove
è
nato
il
mio
amore,
Luna
divina»
(69).
Il
rito
magico
non
sfocia
quindi
in
un
incantesimo
mortale,
ma
si
perde
nel
ricordo
dell’esperienza
amorosa.
L’aggressività
e la
forza
distruttiva
del
sortilegio
lasciano
il
posto
alla
rievocazione.
Simeta
ripercorre
le
tappe
del
suo
amore:
dal
primo
incontro
con
Delfi
all’immediato
innamoramento
fino
alla
sparizione
dell’amato
e
alla
rottura:
«Prima
veniva
in
un
giorno
tre
o
quattro
volte
e
lasciava
spesso
a
casa
mia
la
dorica
ampolla.
Ora
sono
passati
dodici
giorni
e
non
l’ho
più
visto:
ha
un
altro
amore
e
del
mio
si è
scordato»
(155
-
158).
La
lunga
sequenza
narrativa
si
conclude
con
una apólusis contenente
la
tipica
invocazione
alla
divinità:
«Salute
a
te,
divina!
Dirigi
i
tuoi
cavalli
all’Oceano:
io
sopporterò
il
mio
amore
come
l’ho
sopportato.
Salute,
splendida
Luna,
e
voi
stelle
che
l’accompagnate
sul
carro
della
Notte
serena»
(162
-
166).
La
sopraggiunta
serenità
d’animo
di
Simeta
sancisce
il
netto
distacco
dall’esperienza
magica,
quindi
dalle
forze
del
male
invocate
in
precedenza.
Ma
questa
serenità
sembra,
piuttosto,
la
rassegnazione
di
chi
sperimenta
l’amara
e
infelice
condizione
di
un
amore
non
corrisposto.
Una
serenità
che,
perdendosi
nell’oscurità
e
nel
silenzio
della
notte,
annuncia
altro
dolore.
Nel
rituale
descritto
ne Le
Incantatrici è
possibile
riconoscere
numerosi
aspetti
tipici
delle
pratiche
magiche.
Alcune
azioni
si
caricano
di
violenza
e
distruzione:
spargendo
orzo,
Simeta
vuole
metaforicamente
spargere
al
vento
le
ossa
di
Delfi;
bruciando
il
ramo
d’alloro,
intende
bruciare
il
corpo
del
giovane.
Altre
azioni
mirano
piuttosto
alla
riconquista
dell’amato,
quindi
della
felicità
perduta:
sciogliendo
la
cera,
Simeta
desidera
che
Delfi
si
sciolga
d’amore;
girando
la
ruota,
si
augura
che
il
giovane
giri
attorno
alla
sua
porta.
Nel
complesso,
questo
rito
magico
è
destinato
a
legare
l’amante
(10,
158),
a
ricondurlo
a sé
(22).
Per
tre
volte,
all’inizio
e al
termine
del
rito
(3,
10,
159),
Simeta
utilizza
il
verbo legare, katadéomai.
Siamo
dunque
in
presenza
di
un katádesmos,
di
una defixio.
Il
filo
possiede
la
funzione
simbolica
di
creare
o
rafforzare
un
legame.
A
queste
azioni
simpatetiche
potremmo
aggiungere
la
preparazione
di
filtri,
le
invocazioni
alle
divinità,
Selene
ed
Ecate,
e
alla
ruota
magica
quale
elemento
intermediario
che
condensa
la
forza
del
rito
stesso.
Questa
cerimonia
magica
è
affine
alle
descrizioni
dei
riti
dei
papiri
e
delle
tavolette
di
maledizione.
È
possibile
quindi
immaginare
da
parte
di
Teocrito
un
grande
sforzo
di
documentazione.
Ma
tale
idillio
è
anzitutto
un
testo
letterario,
perciò
non
costituisce
una
fonte
primaria
di
informazione
sulla
magia.
La
descrizione
è
poetica,
non
realistica.
Teocrito
descrive
ciò
che
la
magia
rappresenta
per
la
società
ellenistica.
Una
società
che
osserva
questi
riti
con
divertimento,
secondo
una
prospettiva
squisitamente
intellettuale
e
distaccata.
Ciò
non
indica
di
necessità
che Le
Incantatrici non
rivestano
alcun
interesse
ai
fini
dello
studio
della
magia
nel
mondo
antico:
la
dimensione
letteraria
può
porre
le
basi
per
riflessioni
sempre
più
mature
su
un
fenomeno
che,
ancora
oggi,
continua
ad
affascinare.