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N. 72 - Dicembre 2013 (CIII)

LA MAFIA UCCIDE SOLO D'ESTATE
TRA IRONIA E IMPEGNO CIVILE

di Massimo Manzo

 

Non è facile trattare un tema spinoso come quello della mafia facendo ridere e riflettere allo stesso tempo. Eppure l’esperimento di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, al suo esordio come regista, è riuscito perfettamente. “La mafia uccide solo d’estate”, nelle sale dal 28 novembre, è infatti un film che dietro lo schermo della commedia sentimentale ripercorre momenti tragici della storia recente siciliana senza mai apparire fuori luogo.

 

Già noto al pubblico televisivo prima come “iena” e poi come “testimone”, Pif continua ad esprimersi nel suo stile abituale, veloce e ironico, creando una commedia equilibrata e mai banale. Le reazioni positive del pubblico e della critica confermano d’altronde il successo della sua formula comunicativa, promuovendo il film a pieni voti.

 

La trama è semplice, a tratti surreale, ma risulta incredibilmente efficace, coinvolgendo lo spettatore fin dai primi minuti. Il protagonista si chiama Arturo ed è un simpatico ragazzino palermitano che cerca in tutti i modi di farsi notare da Flora, la compagna di classe di cui è follemente innamorato.

 

Figlio di un impiegato di Banca e di una casalinga, Arturo sogna di diventare giornalista. Ha inoltre un idolo abbastanza anomalo rispetto agli altri bambini: Giulio Andreotti. Aspetto, quest’ultimo, che suonerà per tutto il film come una forte critica ai rapporti tra mafia e politica.

 

La stranissima ammirazione del ragazzino per l’allora Presidente del Consiglio darà vita ad una serie di scene particolarmente comiche, ma verrà meno nel corso del racconto, di pari passo con la presa di coscienza del fenomeno mafioso, che avviene sulla scia di una serie di rocamboleschi incontri tra Arturo e alcuni dei protagonisti della lotta alla mafia.

 

Il giovane vi si imbatte per caso, ignorando quasi sempre la loro identità. Li incrocia al bar, sotto casa di Flora, o in altri casi li va proprio a cercare, come il generale Dalla Chiesa, al quale riesce addirittura a strappare un’intervista per il giornalino della scuola poco tempo prima della sua tragica fine, entrando di soppiatto in un palazzo della prefettura desolatamente vuoto (e non è un caso).

 

Inseriti nel contesto della commedia e visti nella loro dimensione quotidiana, inconsapevolmente siamo portati a “smitizzare” queste figure, che finalmente appaiono per quello che erano nella realtà: non nomi scolpiti su fredde targhe commemorative, ma uomini normali, che cercavano di svolgere ogni giorno al meglio il proprio lavoro. E forse proprio per questo ancora più eroici.

 

Anche i mafiosi fanno la loro apparizione, ma in vesti completamente diverse da quelle con cui siamo abituati a vederli negli altri film. Con una pensata geniale, Pif li rende protagonisti grotteschi di una serie di sketch esilaranti, dimostrando come anche di loro si possa ridere.

 

Lo sfondo dell’intera vicenda è ovviamente Palermo, che in quegli anni viveva sulla sua carne il dramma delle stragi e delle guerre di mafia. Da palermitano, il regista fa trapelare abilmente il clima che si respirava allora in città.

 

L’atteggiamento dei palermitani nei confronti di cosa nostra si evolve nel corso del film. All’inizio gli omicidi mafiosi vengono liquidati come “questioni di fimmine”, vicende cioè sulle quali è meglio non indagare troppo. Anzi, l’operato dei giudici viene visto con fastidio, soprattutto dalle generazioni più attempate.

 

Tuttavia quando la città viene travolta dalla violenza qualcosa cambia. E la maggior parte dei palermitani comincia ad aprire gli occhi.

 

In tutto ciò, mentre tra una risata e l’altra pensiamo di seguire le gaffe amorose di Arturo, Pif ci racconta qualcosa di molto più profondo, aiutandoci a non dimenticare un pezzo della nostra storia recente.



 

 

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