[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 207 / MARZO 2025 (CCXXXVIII)


moderna

MADAME DE POMPADOUR
LA "REGINA" DELLE CORTIGIANE CHE AMMALIò LUIGI XV

di Matteo Liberti


Il re francese Luigi XV, celeberrimo donnaiolo, si imbatté un giorno, mentre andava a caccia, in un’affascinante fanciulla che, vestita di rosa, guidava uno sgargiante calesse blu. Il sovrano fu subito colpito dalla visione di quella giovinetta dal viso dolce e dagli occhi lucenti, e rimase del tutto folgorato quando la rincontrò pochi giorni più tardi (si narra che stavolta vestisse di blu e guidasse un calesse rosa). È con tali fuggevoli incontri che cominciò la storica liaison tra il re di Francia e Jeanne Antoinette Poisson, alias Madame de Pompadour, fanciulla volitiva che presto sarebbe divenuta la donna più potente d’Europa... nonché una delle più “chiacchierate”, per via del suo ruolo di “maîtresse du roi” (l’amante del re) e per le origini “borghesi”, intollerabili nel mondo che la circondava: popolato da soli nobili e racchiuso nella reggia di Versailles.
 
Predestinata
 
La fascinosa Jeanne era figlia della spregiudicata Luise Madeleine de La Motte, donna di facili costumi proveniente da un’agiata famiglia di commercianti. Quanto al padre, è difficile dire chi fosse, poiché Luise tradì il marito François Poisson (un ricco finanziere) con uno stuolo di amanti. Quel che si sa è che Reinette (“reginetta”: così la chiamava la madre) nacque nel dicembre 1721 e che dal 1727 frequentò un convento delle Orsoline dove rimase per circa tre anni. «Poi, sotto la supervisione di Charles Le Normant de Tournehem, facoltoso intendente delle finanze da molti additato come suo padre naturale, le fu impartita un’educazione di tutto rispetto» racconta Benedetta Craveri, storica del ‘700 francese e autrice di Amanti e regine. Il potere delle donne (Adelphi). «Venne infatti affidata a insegnanti di canto, danza, equitazione, musica e recitazione, per la gioia di mamma Luise che sognava per lei un roseo futuro e che da sempre era convinta che fosse un “boccone da re”». Il destino le riservò intanto un matrimonio di convenienza utile alla sua scalata sociale: nel 1741 Le Normant le organizzò infatti le nozze con il nipote Charles-Guillaume D’Etiolles, in seguito alle quali Jeanne iniziò a frequentare i più autorevoli salotti parigini, incontrando esponenti dell’alta finanza francese, politici e intellettuali illuministi del calibro di Diderot, Montesquieu e Voltaire (il quale la ribattezzò “Divine Etiolles”). Oltre a ciò, la talentuosa fanciulla cominciò a dedicarsi al teatro, calcando i palcoscenici delle dimore aristocratiche e allargando così il suo giro di conoscenze. «Dopodiché decise di puntare a un palcoscenico più illustre, conquistando il cuore del sovrano francese» spiega la Craveri. «Il sogno di entrare nelle grazie del re era d’altronde frequente anche tra le dame aristocratiche, per molte delle quali si trattava anzi della massima aspirazione».
 
Approcci vincenti
 
Del debole per Luigi XV Jeanne parlò anche a Voltaire, cui svelò di avere il “presentimento che sarebbe stata amata dal re” e che sentiva “crescere dentro una violenta passione per lui”. Tale passione cominciò a travolgere anche Luigi XV in occasione dei fuggevoli incontri nei boschi di Choisy, dove aveva una residenza di caccia poco distante dalla dimora di Reinette. Le apparizioni di questa in calesse, databili all’autunno-inverno 1744, furono peraltro studiate ad hoc per destare in lui curiosità, e a incoraggiare la giovane in ciò furono tra gli altri la madre e Le Normant, consapevoli che una relazione con il re le avrebbe dischiuso le porte dell’alta società e portato nelle loro tasche potenziali ricchezze» dice l’esperta. Da parte sua, Luigi XV era legato a Maria Leszczyńska (figlia del re polacco Stanislao Leszczyński), ma era da tempo avvezzo a tradirla con varie amanti. Poi accadde che, in occasione delle nozze del figlio Luigi Ferdinando (23 febbraio 1745), Luigi XV fece invitare ai festeggiamenti anche l’intrigante “fanciulla del calesse”, e la sera del 25 febbraio, un giovedì grasso, approfittò della maschera che indossava (era vestito da “albero”) per appartarsi in maniera anonima con lei, con la quale già due giorni dopo trascorse l’intera notte. «Ad aprile, allorché il marito di Jeanne tornò da un viaggio d’affari (organizzato ad hoc da Le Normant), scoprì così che la moglie si era trasferita a Versailles e che aveva richiesto la separazione» riporta la Craveri. «A Reinette il sovrano fece intanto dono del castello d’Arnac-Pompadour, nominandola Marchesa. Era il luglio 1745, e alla bella non restava ora che imparare usi e costumi di corte, dove vigeva una complicata e rigida etichetta». Anche per ciò che riguardava le amanti.
 
Amante e non solo
 
La “presentazione ufficiale” di Reinette alla famiglia reale venne messa a calendario per il 14 settembre, e quel giorno tutti gli occhi si fissarono su di lei come quelli di un branco di lupi sulla preda. Era infatti inaccettabile che una “borghesuccia” entrasse d’ufficio nel santuario della monarchia, dove ad aver diritto di cittadinanza era solo la nobiltà più pura. «La Pompadour stava per scardinare il mondo aristocratico, aprendo una breccia per l’ingresso di alta borghesia e finanza nella gestione degli affari di Stato» sintetizza l’esperta. La cerimonia andò comunque a meraviglia: bella, elegantissima e sicura di sé, a dispetto della folla malevola Reinette eseguì perfettamente tutto il “rituale”, e da quel giorno poté partecipare a ogni evento della vita a corte. Mezza Versailles iniziò intanto a farne il bersaglio di feroci derisioni per le sue origini (a cominciare dal cognome, Poisson, “pesce” in francese), ma Reinette mostrò da subito una prontezza di spirito e un acume invidiabili. «E chi la credeva solo una di passaggio, dovette presto cambiare idea» continua la Craveri. «A differenza delle altre favorite, la Pompadour non si limitò peraltro a soddisfare le sole esigenze erotiche del sovrano: usava infatti dilettare il re organizzando feste, scampagnate e spettacoli teatrali (venendo per ciò accusata di distrarlo dalla conduzione del regno), ma soprattutto iniziò a metter bocca in questioni amministrative e politiche». E tra l’attività di consigliera, l’organizzazione di eventi e il patrocinio delle belle arti, in poco tempo ottenne un potere eccezionale, divenendo una sorta di arbitro delle scelte reali. Tutto ciò la rese però insopportabile agli occhi della moglie e dei figli di lui, per i quali era solo “notre maman putain”: “nostra madre sgualdrina”.
 
Odiata
 
A difendere la Pompadour da ogni attacco c’era in ogni caso l’amato Luigi XV, che non perdeva occasione per elogiarla e farle doni, spesso consistenti in dimore e castelli in cui lei si dilettava a collezionare dipinti, mobili e tappezzerie di prestigio, contornandosi in particolare di opere del pittore François Boucher (in cui era spesso raffigurata essa stessa) e tirandosi così addosso nuove critiche per lo sperpero di denaro. A partire dal 1749, su tutta Parigi si riversò un diluvio di satire, versi osceni e canzoni di scherno contro la putain Pompadour. «Tali opere furono dette Poissonades, con riferimento sprezzante al cognome di Reinette, e per fermarne la diffusione il re sguinzagliò eserciti di poliziotti senza però scovare i colpevoli» interviene la storica. «Anche perché spesso gli autori erano interni alla corte». Tra questi, fu individuato il maggior responsabile nel Segretario di Stato Jean Phélypeaux de Maurepas, che avendo saputo che la giovane soffriva di imbarazzanti perdite vaginali (dovute a un’infezione dell’utero), mise in circolo versi insolenti come “[...] incanti i nostri cuori; semini fiori sulla nostra via. Ma sono fiori bianchi”, alludendo alle perdite “intime” di Jeanne. E se il conte Maurepas fu subito messo alla porta, non per questo cessò l’astio contro di lei, che tornò anzi a manifestarsi con forza nel 1752, allorché morì Anne-Henriette, una delle figlie di Luigi XV. La famiglia reale, sfruttando lo sconforto del sovrano, fece pressioni per allontanare Reinette da corte, ma superato lo shock Luigi cercò consolazione proprio tra le sue braccia. Così come accadde nel 1757, allorché il re fu vittima di un tentativo di omicidio. «A partire dal 1750, i rapporti sessuali tra la Pompadour e Luigi si erano intanto fatti rari» spiega la Craveri». «Anche per via dei gravi disturbi intimi di lei, che la resero sempre più frigida».
 
Restiamo amici
 
Venuta meno la componente erotica, non per questo la bella Jeanne smise di esercitare il suo ascendente sul sovrano, che la tenne accanto a sé quale amica e confidente (era lei, per esempio, a scegliere con quali fanciulle il re dovesse giacere). In questo periodo Reinette allargò peraltro la sua influenza politica, tanto che per parlare con Luigi XV bisognava spesso passare da lei, pronta a dare udienza ad ambasciatori, principi e alti funzionari europei. Le sue scelte politiche furono però poco lucide, e la peggiore fu forse quella di voler trascinare il Paese nell’inutile e costosa Guerra dei sette anni (1756-1763). «In tale frangente Reinette si improvvisò persino esperta di strategia militare, sfiorando il grottesco quando iniziò a simulare le manovre delle truppe utilizzando dei nei finti» svela la storica. Le andò meglio nel campo artistico e culturale, e oltre agli sforzi compiuti per stimolare l’artigianato di lusso francese, suggerendo lei stessa i motivi decorativi e i colori da utilizzare (tra cui il “Rosa Pompadour”), è da sottolineare il sostegno offerto alla pubblicazione dell’Encyclopédie di Diderot. In ogni caso, verso i quarant’anni, pur conservando intatta la sua bellezza (si racconta che la celebre “coppa da champagne” sia stata modellata sulla forma perfetta del suo seno), Reinette iniziò a soffrire di problemi polmonari, e il 15 aprile 1764 la sua luce si spense per sempre. «Il suo corpo fu quindi trasportato a Parigi, e durante il corteo funebre Luigi XV si isolò osservando da lontano l’ultima partenza dell’amata» conclude la Craveri. «L’etichetta non gli permetteva molto altro, e con dolore il re si rivolse poi al suo domestico confessando in lacrime “ecco l’unico omaggio che ho potuto renderle”». Terminava così la storia di Madame de Pompadour, la cui brillante ascesa, dovuta all’intelligenza prima ancora che al fascino, fu simbolo della mobilità sociale di quel Terzo Stato (comprendente in primis la borghesia) che di lì a poco avrebbe portato l’intera Francia a una Rivoluzione ben più poderosa di quella da lei introdotta a Versailles.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]