MADAME DE POMPADOUR
LA "REGINA" DELLE CORTIGIANE CHE
AMMALIò LUIGI XV
di Matteo
Liberti
Il re francese Luigi XV, celeberrimo
donnaiolo, si imbatté un giorno,
mentre andava a caccia, in
un’affascinante fanciulla che,
vestita di rosa, guidava uno
sgargiante calesse blu. Il sovrano
fu subito colpito dalla visione di
quella giovinetta dal viso dolce e
dagli occhi lucenti, e rimase del
tutto folgorato quando la rincontrò
pochi giorni più tardi (si narra che
stavolta vestisse di blu e guidasse
un calesse rosa). È con tali
fuggevoli incontri che cominciò la
storica liaison tra il re di
Francia e Jeanne Antoinette Poisson,
alias Madame de Pompadour,
fanciulla volitiva che presto
sarebbe divenuta la donna più
potente d’Europa... nonché una delle
più “chiacchierate”, per via del suo
ruolo di “maîtresse du roi”
(l’amante del re) e per le origini
“borghesi”, intollerabili nel mondo
che la circondava: popolato da soli
nobili e racchiuso nella reggia di
Versailles.
Predestinata
La fascinosa Jeanne era figlia della
spregiudicata Luise Madeleine de La
Motte, donna di facili costumi
proveniente da un’agiata famiglia di
commercianti. Quanto al padre, è
difficile dire chi fosse, poiché
Luise tradì il marito François
Poisson (un ricco finanziere) con
uno stuolo di amanti. Quel che si sa
è che Reinette (“reginetta”: così la
chiamava la madre) nacque nel
dicembre 1721 e che dal 1727
frequentò un convento delle Orsoline
dove rimase per circa tre anni.
«Poi, sotto la supervisione di
Charles Le Normant de Tournehem,
facoltoso intendente delle finanze
da molti additato come suo padre
naturale, le fu impartita
un’educazione di tutto rispetto»
racconta Benedetta Craveri, storica
del ‘700 francese e autrice di
Amanti e regine. Il potere delle
donne (Adelphi). «Venne infatti
affidata a insegnanti di canto,
danza, equitazione, musica e
recitazione, per la gioia di mamma
Luise che sognava per lei un roseo
futuro e che da sempre era convinta
che fosse un “boccone da re”». Il
destino le riservò intanto un
matrimonio di convenienza utile alla
sua scalata sociale: nel 1741 Le
Normant le organizzò infatti le
nozze con il nipote
Charles-Guillaume D’Etiolles, in
seguito alle quali Jeanne iniziò a
frequentare i più autorevoli salotti
parigini, incontrando esponenti
dell’alta finanza francese, politici
e intellettuali illuministi del
calibro di Diderot, Montesquieu e
Voltaire (il quale la ribattezzò
“Divine Etiolles”). Oltre a ciò, la
talentuosa fanciulla cominciò a
dedicarsi al teatro, calcando i
palcoscenici delle dimore
aristocratiche e allargando così il
suo giro di conoscenze. «Dopodiché
decise di puntare a un palcoscenico
più illustre, conquistando il cuore
del sovrano francese» spiega la
Craveri. «Il sogno di entrare nelle
grazie del re era d’altronde
frequente anche tra le dame
aristocratiche, per molte delle
quali si trattava anzi della massima
aspirazione».
Approcci vincenti
Del debole per Luigi XV Jeanne parlò
anche a Voltaire, cui svelò di avere
il “presentimento che sarebbe stata
amata dal re” e che sentiva
“crescere dentro una violenta
passione per lui”. Tale passione
cominciò a travolgere anche Luigi XV
in occasione dei fuggevoli incontri
nei boschi di Choisy, dove aveva una
residenza di caccia poco distante
dalla dimora di Reinette. Le
apparizioni di questa in calesse,
databili all’autunno-inverno 1744,
furono peraltro studiate ad hoc per
destare in lui curiosità, e a
incoraggiare la giovane in ciò
furono tra gli altri la madre e Le
Normant, consapevoli che una
relazione con il re le avrebbe
dischiuso le porte dell’alta società
e portato nelle loro tasche
potenziali ricchezze» dice
l’esperta. Da parte sua, Luigi XV
era legato a Maria Leszczyńska
(figlia del re polacco Stanislao
Leszczyński), ma era da tempo
avvezzo a tradirla con varie amanti.
Poi accadde che, in occasione delle
nozze del figlio Luigi Ferdinando
(23 febbraio 1745), Luigi XV fece
invitare ai festeggiamenti anche
l’intrigante “fanciulla del
calesse”, e la sera del 25 febbraio,
un giovedì grasso, approfittò della
maschera che indossava (era vestito
da “albero”) per appartarsi in
maniera anonima con lei, con la
quale già due giorni dopo trascorse
l’intera notte. «Ad aprile, allorché
il marito di Jeanne tornò da un
viaggio d’affari (organizzato ad hoc
da Le Normant), scoprì così che la
moglie si era trasferita a
Versailles e che aveva richiesto la
separazione» riporta la Craveri. «A
Reinette il sovrano fece intanto
dono del castello d’Arnac-Pompadour,
nominandola Marchesa. Era il luglio
1745, e alla bella non restava ora
che imparare usi e costumi di corte,
dove vigeva una complicata e rigida
etichetta». Anche per ciò che
riguardava le amanti.
Amante e non solo
La “presentazione ufficiale” di
Reinette alla famiglia reale venne
messa a calendario per il 14
settembre, e quel giorno tutti gli
occhi si fissarono su di lei come
quelli di un branco di lupi sulla
preda. Era infatti inaccettabile che
una “borghesuccia” entrasse
d’ufficio nel santuario della
monarchia, dove ad aver diritto di
cittadinanza era solo la nobiltà più
pura. «La Pompadour stava per
scardinare il mondo aristocratico,
aprendo una breccia per l’ingresso
di alta borghesia e finanza nella
gestione degli affari di Stato»
sintetizza l’esperta. La cerimonia
andò comunque a meraviglia: bella,
elegantissima e sicura di sé, a
dispetto della folla malevola
Reinette eseguì perfettamente tutto
il “rituale”, e da quel giorno poté
partecipare a ogni evento della vita
a corte. Mezza Versailles iniziò
intanto a farne il bersaglio di
feroci derisioni per le sue origini
(a cominciare dal cognome, Poisson,
“pesce” in francese), ma Reinette
mostrò da subito una prontezza di
spirito e un acume invidiabili. «E
chi la credeva solo una di
passaggio, dovette presto cambiare
idea» continua la Craveri. «A
differenza delle altre favorite, la
Pompadour non si limitò peraltro a
soddisfare le sole esigenze erotiche
del sovrano: usava infatti dilettare
il re organizzando feste,
scampagnate e spettacoli teatrali
(venendo per ciò accusata di
distrarlo dalla conduzione del
regno), ma soprattutto iniziò a
metter bocca in questioni
amministrative e politiche». E tra
l’attività di consigliera,
l’organizzazione di eventi e il
patrocinio delle belle arti, in poco
tempo ottenne un potere eccezionale,
divenendo una sorta di arbitro delle
scelte reali. Tutto ciò la rese però
insopportabile agli occhi della
moglie e dei figli di lui, per i
quali era solo “notre maman
putain”: “nostra madre
sgualdrina”.
Odiata
A difendere la Pompadour da ogni
attacco c’era in ogni caso l’amato
Luigi XV, che non perdeva occasione
per elogiarla e farle doni, spesso
consistenti in dimore e castelli in
cui lei si dilettava a collezionare
dipinti, mobili e tappezzerie di
prestigio, contornandosi in
particolare di opere del pittore
François Boucher (in cui era spesso
raffigurata essa stessa) e tirandosi
così addosso nuove critiche per lo
sperpero di denaro. A partire dal
1749, su tutta Parigi si riversò un
diluvio di satire, versi osceni e
canzoni di scherno contro la
putain Pompadour. «Tali opere
furono dette Poissonades, con
riferimento sprezzante al cognome di
Reinette, e per fermarne la
diffusione il re sguinzagliò
eserciti di poliziotti senza però
scovare i colpevoli» interviene la
storica. «Anche perché spesso gli
autori erano interni alla corte».
Tra questi, fu individuato il
maggior responsabile nel Segretario
di Stato Jean Phélypeaux de Maurepas,
che avendo saputo che la giovane
soffriva di imbarazzanti perdite
vaginali (dovute a un’infezione
dell’utero), mise in circolo versi
insolenti come “[...] incanti i
nostri cuori; semini fiori sulla
nostra via. Ma sono fiori bianchi”,
alludendo alle perdite “intime” di
Jeanne. E se il conte Maurepas fu
subito messo alla porta, non per
questo cessò l’astio contro di lei,
che tornò anzi a manifestarsi con
forza nel 1752, allorché morì
Anne-Henriette, una delle figlie di
Luigi XV. La famiglia reale,
sfruttando lo sconforto del sovrano,
fece pressioni per allontanare
Reinette da corte, ma superato lo
shock Luigi cercò consolazione
proprio tra le sue braccia. Così
come accadde nel 1757, allorché il
re fu vittima di un tentativo di
omicidio. «A partire dal 1750, i
rapporti sessuali tra la Pompadour e
Luigi si erano intanto fatti rari»
spiega la Craveri». «Anche per via
dei gravi disturbi intimi di lei,
che la resero sempre più frigida».
Restiamo amici
Venuta meno la componente erotica,
non per questo la bella Jeanne smise
di esercitare il suo ascendente sul
sovrano, che la tenne accanto a sé
quale amica e confidente (era lei,
per esempio, a scegliere con quali
fanciulle il re dovesse giacere). In
questo periodo Reinette allargò
peraltro la sua influenza politica,
tanto che per parlare con Luigi XV
bisognava spesso passare da lei,
pronta a dare udienza ad
ambasciatori, principi e alti
funzionari europei. Le sue scelte
politiche furono però poco lucide, e
la peggiore fu forse quella di voler
trascinare il Paese nell’inutile e
costosa Guerra dei sette anni
(1756-1763). «In tale frangente
Reinette si improvvisò persino
esperta di strategia militare,
sfiorando il grottesco quando iniziò
a simulare le manovre delle truppe
utilizzando dei nei finti» svela la
storica. Le andò meglio nel campo
artistico e culturale, e oltre agli
sforzi compiuti per stimolare
l’artigianato di lusso francese,
suggerendo lei stessa i motivi
decorativi e i colori da utilizzare
(tra cui il “Rosa Pompadour”), è da
sottolineare il sostegno offerto
alla pubblicazione dell’Encyclopédie
di Diderot. In ogni caso, verso i
quarant’anni, pur conservando
intatta la sua bellezza (si racconta
che la celebre “coppa da champagne”
sia stata modellata sulla forma
perfetta del suo seno), Reinette
iniziò a soffrire di problemi
polmonari, e il 15 aprile 1764 la
sua luce si spense per sempre. «Il
suo corpo fu quindi trasportato a
Parigi, e durante il corteo funebre
Luigi XV si isolò osservando da
lontano l’ultima partenza
dell’amata» conclude la Craveri.
«L’etichetta non gli permetteva
molto altro, e con dolore il re si
rivolse poi al suo domestico
confessando in lacrime “ecco
l’unico omaggio che ho potuto
renderle”». Terminava così la
storia di Madame de Pompadour, la
cui brillante ascesa, dovuta
all’intelligenza prima ancora che al
fascino, fu simbolo della mobilità
sociale di quel Terzo Stato
(comprendente in primis la
borghesia) che di lì a poco avrebbe
portato l’intera Francia a una
Rivoluzione ben più poderosa di
quella da lei introdotta a
Versailles.