N. 147 - Marzo 2020
(CLXXVIII)
La
politica
machiavelliana
l'importanza
del
conflitto
di
Luigi
Pezzella
Niccolò
Machiavelli
è
uno
dei
pensatori
più
importanti
a
cavallo
tra
Medioevo
ed
Età
Moderna.
Hanno
riflettuto
sulle
sue
opere
i
maggiori
storici
e
filosofi
nei
momenti
di
crisi.
Machiavelli
ha
avuto
una
fortuna/sfortuna:
è
uno
dei
pochi
pensatori,
forse
l’unico,
intorno
al
quale
si è
creato
addirittura
una
corrente
contraria,
l’antimachiavellismo.
Quando
si
parla
di
Machiavelli
viene
in
mente
il
termine
“machiavellico”,
ma
questo
termine
non
ha
nulla
a
che
vedere
con
le
idee
politiche
del
Segretario.
Possiamo
dire
che
Machiavelli
fu
machiavelliano,
no
machiavellico.
Distinguiamo
bene
le
accezioni
dei
due
termini.
Oggi
si
intende
per
machiavellico
la
caricatura
di
Machiavelli,
s’intende
colui
che
con
astuzia,
con
atti
meschini,
pensa
al
proprio
particulare,
mentre
l’obiettivo
della
politica
machiavelliana
non
era
affatto
questo,
ma,
l’obiettivo
del
Segretario,
e
del
suo
pensiero
politico,
era
il
bene
comune.
Questo
elemento
è
stato
spesso
trascurato,
ma
nell’opera
Discorsi
sulla
prima
deca
di
Tito
Livio
ricorre
molto
spesso
il
concetto
di
“bene
comune”
rendendolo
però
come
frutto
di
“conflitto”.
Machiavelli
è
“un
uomo
del
suo
tempo”,
pienamente
immerso
nella
Firenze
di
fine
Quattrocento
inizio
Cinquecento.
Nella
sua
città
“il
conflitto”
non
è un
conflitto
virtuoso,
ma è
un
conflitto
fazioso.
A
Firenze
la
pacificazione
del
conflitto
si
otteneva
con
l’eliminazione,
spesso
fisica,
dell’avversario.
Dal
punto
di
vista
di
Machiavelli
il
conflitto
non
deve
essere
spento,
per
il
Segretario
l’esperienza
politica
ha
delle
cadenze
“eraclitee”.
Nel
mondo
della
politica
domina
il
polemòs.
Contrariamente
a
una
politica
che
pretenda
di
esorcizzare
le
antinomie,
Machiavelli
ritiene
necessario
una
politica
conflittuale
che
nel
suo
divenire
produca
“buoni
ordini”
ossia
leggi
e
istituzioni
che
abbiano
come
fine
il
“bene
comune”.
A
modello
di
conflitto
virtuoso
nei
Discorsi,
Machiavelli
prende
a
esempio
la
Roma
repubblicana
dove
dal
conflitto
tra
patrizi
e
plebei
nacque
la
magistratura
del
Tribuno
della
Plebe
e
Machiavelli,
scandalosamente,
dirà
che
proprio
grazie
a
questo
conflitto
Roma
sarà
libera
e
potente.
Per
il
Segretario,
quindi,
è
impossibile
una
riduzione
a
unità
dopo
la
soppressione
dell’opposizione
se
non
si
vuole
compromettere
la
libertà
e la
potenza
di
una
repubblica.
L’unità
politica
può
essere
conquistata
solo
con
l’in-contro
fra
le
parti,
da
una
loro
indispensabile
con-vivenza.
La
decisione
politica
non
è
lumeggiata
da
fondamenti
trascendenti
o da
modelli
matematici,
ma
essa
nasce
dal
perseguimento
del
“bene
comune”.
Non
affiora
mai
una
necessità
deterministica
in
Machiavelli,
il
clinamen
umanistico
del
suo
pensiero
è
espresso,
appunto,
dalla
sua
strenua
affermazione
della
libertà.
Non
una
libertà
che
si
libra
in
uno
spazio
incontrastato,
ma
una
libertà
che
è
tale
proprio
perché
si
deve
cimentare
con
una
realtà
ostile.
La
virtù
politica,
la
virtù
del
politico,
si
rivela
nell’intuizione
del
Kairòs
che
propizia
l’esito
favorevole.
L’azione
politica,
per
Machiavelli,
non
solo
deve
dare
unità,
conseguendo
il
bene
comune,
alle
disunioni
della
città,
ma
deve
affrontare,
con
virtù,
esperienze
imprevedibili
e
casuali
che
sfuggono
a
ogni
forma
predefinita
e
disgregano
ogni
pretesa
di
un
ordine
compatto.
Il
Segretario
guarda
all’antico
da
una
prospettiva
diversa.
Il
suo
exemplum,
la
Roma
repubblicana,
è
politicamente
il
paradigma
della
repubblica
tumultuaria,
vale
a
dire
di
un
ordine
politico
che
insiste
sul
conflitto
e
non
lo
sopprime
nichilisticamente.
Invece
per
Hobbes
e
per
il
modello
giusnaturalistico
moderno,
la
politica
inizia
laddove
finisce
il
contrasto
fra
le
parti
di
una
città
dove
la
sovranità
nasce
dall’annullamento
del
conflitto.
Dalla
specola
di
Machiavelli,
sarebbe
illusorio,
anzi
dannoso,
pensare
di
comporre
definitivamente
gli
antagonismi.
Non
è
tollerabile
un’azione
politica
che
metamorfosi
il
divenire
della
realtà
in
una
guerra
civile
perenne,
per
la
quale
l’obiettivo
è la
morte
o
l’esilio
del
nemico.
Machiavelli
non
esibisce
una
opposizione
schmittiana
fra
amico
e
nemico,
nella
quale
la
decisione
è
l’esito
di
un
taglio
netto
di
una
delle
parti.
Al
contrario,
per
Machiavelli
è
impossibile
una
riduzione
a
unità
dopo
la
soppressione
dell’opposizione,
se
non
si
vuole
compromettere
la
libertà
e la
potenza
di
una
repubblica.
In
definitiva
per
Machiavelli
la
politica
non
è
quello
che
poi
sarà
“sintesi”
hegeliana,
ma
per
la
politica
è
necessario
il
polemòs
eracliteo
per
andare
avanti.