[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


moderna

Sul Principe di Machiavelli
Alle radici del contrasto fra etica e politica

di Francesco Biscardi

 

Guerre, crisi, contrasti diplomatici, tensioni fra gli stati, sono soliti porre al centro dell’attenzione una tematica: il rapporto fra etica e politica. Sull’argomento si sono espressi illustri pensatori di varie epoche, ma un autore merita forse più di ogni altro un’attenta analisi: Niccolò Macchiavelli. La sua opera principale, Il principe, è infatti ancora un pilastro per chi si occupa di storia del pensiero politico e la sua lettura non finirà mai di giovare nella comprensione delle intricate questioni geopolitiche di ieri come di oggi.

 

Il trattato, diviso in ventisei capitoli, fu scritto nel pieno delle Guerre d’Italia, in un’epoca dove la penisola italiana aveva visto confrontarsi, oltre ai suoi vari stati e staterelli, almeno tre potenze: l’Impero tedesco, la Spagna e la Francia. Venne dedicato a Lorenzo di Piero de’Medici, signore di fatto a Firenze attorno al 1513, dopo che la stessa signoria era stata cacciata dalla città (a seguito della discesa di Carlo VIII nel 1494), quando Machiavelli era stato allontanato per i suoi trascorsi nella repubblica fiorentina.

 

Gli argomenti discussi spaziano dalla distinzione dei vari tipi di principato, materia che occupa i primi undici capitoli, a una seconda, nei capitoli dal XII al XIV, dedicati al problema del potere militare signorile, a una terza, fino al XXIII capitolo, che vede una rassegna delle virtù e dei vizi per i quali i principi sono lodati o biasimati, fino a una finale che racchiude una riflessione sulla realtà politica italiana.

 

L’intero trattato è un capolavoro sia dal punto di vista linguistico, che stilistico, che storico-argomentativo, ma il lascito probabilmente più significativo e duraturo del Principe è racchiuso nella terza parte dell’opera, dove il fiorentino ragguagliò sul rapporto fra politica e delitto per poi passare a una più generale meditazione sul nesso esistente con il campo dell’etica.

 

Machiavelli ragionò lucidamente su come un principe, in casi particolari, non possa fare a meno di compiere atti delittuosi, e gli esempi, tratti dalla storia presente e passata, sono vari (non da ultimo quello di Cesare Borgia, verso cui lo scrittore non disdegnò ammirazione). Tuttavia, ammonì, la forza va usata solo in determinate circostanze e “tutta in una sola volta”, perché violenze sporadiche e non decisive offrono segno di debolezza che potrebbero dare adito a rivolte e congiure. A questa osservazione ne fece seguire un’altra sui vizi e la natura umana: gli uomini dimenticano più facilmente la morte, anche per assassinio, di un genitore che la confisca del patrimonio.

 

Passò così alla riflessione sulle due macro entità, l’etica e la politica, che reputò distanti e non necessariamente coincidenti, dal momento che un principe propenso a tenere sempre un comportamento eticamente inappuntabile in politica, a lungo andare finirebbe con il rovinare se stesso e lo Stato. La sfera della politica fu così ritenuta distante e distanziata da quella della morale: compito precipuo del principe è quello di mantenere lo Stato, sacrificando tutto per esso. Celebre la riflessione contenuta nel XVIII capitolo: «quanto sia laudabile in uno principe il mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende; nondimanco si vede per esperienzia ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto», come celebre la precisazione di come il primo dovere di un principe sia quello «di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati». Da quest’ultima massima è stato estrapolato il detto “il fine giustifica i mezzi”, erroneamente e troppo semplicisticamente attribuito a Machiavelli.

 

L’autore completò il suo arguto ragionamento con due estensioni di pensiero. Da un lato, alla domanda se sia meglio per un principe essere temuto per la sua crudeltà o amato per la sua pietà, sottolineò come sia meglio esser temuti che amati, giacché gli uomini sono all’uopo pronti più a volgersi contro chi ispira amore che verso chi incute paura. Dall’altro lato, puntualizzò su come due sono i modi con cui si combatte: con la legge e con la forza, il primo proprio dell’uomo, il secondo degli animali. Tuttavia il principe, in casi estremi, può essere costretto all’uso della forza e della ferocia; pertanto questi deve essere come un “centauro”, per metà uomo (rispettoso dei patti e legislatore) e per metà bestia (pronto all’uso della forza). Solo un signore che abbia le qualità del “lione” e della “golpe” potrà avere pieno successo: la forza propria del leone gli servirà contro la minaccia di eventuali “lupi”, l’astuzia propria della volpe contro le trappole dei più deboli.

 

Il pensiero machiavellico viene generalmente considerato come il nucleo originario della dottrina “della ragion di stato”, ovvero di quella branca di pensiero che reputa come la sfera della politica abbia delle ragioni e delle giustificazioni diverse e a sé stanti rispetto a quelle del singolo individuo che agisce in ragione dei propri interessi. Di contro si può ravvisare l’altra faccia del principe machiavellico in Erasmo da Rotterdam: nell’Educazione del principe cristiano scrisse «se vuoi mostrarti ottimo principe, stai attento a non lasciarti superare da alcun altro in quei beni che veramente saranno tuoi propri, la magnanimità, la temperanza e l’onestà»; la soddisfazione del buon principe, in altre parole, risiederebbe, nell’ottica erasmiana, sempre nell’esser giusto, non nel fare “grandi cose”.

 

Riguardo a questo contrasto fra morale e politica, una delle principali spiegazioni sorte, giustifica la divergenza sulla base della differenza fra regola ed eccezione: la buona morale vale per tutti indistintamente, ma in casi eccezionali possono essere ammesse delle deroghe. Questa è stata anche la riflessione di Machiavelli: le azioni dei politici visibilmente contrarie alle condotte morali sarebbero da spiegarsi come “deroghe” dovute a situazioni eccezionali. La pseudo massima machiavellica “il fine giustifica i mezzi” rappresenterebbe non tanto l’impossibilità di ridurre la politica entro l’ordine dell’etica, quanto la maggiore estensione dei vincoli che la condotta politica incontra sulla sua strada e la maggiore frequenza, in politica, di azioni che divergono dall’obbligo di osservanza delle regole morali.

 

Sulla questione si sono espressi illustri pensatori, alcuni dei quali collocandosi sulla scia di pensiero dello scrittore fiorentino, seppur con argomentazioni e sfumature di ragionamento differenti (possiamo collocare qui Bodin, Hobbes e Hegel), altri hanno invece negato tale teoria o piuttosto subordinato sempre e comunque la politica alla morale (fra questi il sopraccitato Erasmo e Kant).

Già Machiavelli si rendeva conto che la sua opera correva il rischio di essere generalizzata, e la cosa è avvenuta, visto che sin nelle decadi successive alla diffusione del Principe, il termine “machiavellico” divenne quasi sinonimo di “complottista”, “cinico”, “meschino”, acquisendo una valenza semantica che ha conservato in parte ancora oggi.

 

Comunemente si fanno risalire i pregiudizi verso gli italiani agli ultimi secoli (basti pensare all’accusa di essere un popolo di anarchici fra Otto e Novecento o di mafiosi nel pieno Ventesimo secolo), mentre in realtà una storia di dicerie e di rappresentazioni negative dei nostri connazionali cominciò nella prima Età moderna e ne fu chiamato in causa lo stesso Machiavelli.

 

Infatti, nel Cinque-Seicento, gli immigrati italiani spesso non furono i benvenuti in vari lembi d’Europa, come in Inghilterra. Giordano Bruno, ne La cena delle ceneri, testimoniò come le accuse rivolte agli italici spaziavano qui dall’essere “parassiti”, sempre al servizio di chi li remunerava meglio, a quelle di “furfanti” alla ricerca di qualcosa da rubare, pronti a vendersi persino al nemico di chi li ospitava o meditando di arricchirsi alle sue spalle e Machiavelli si prestò all’occasione per incarnare il prototipo, in negativo, dei nostri concittadini.

 

Sulla falsariga di questi pregiudizi, in Francia, un’importante giurista, Innocent Gentilet, sentenziò come il pensiero del fiorentino avesse suggerito ai toscani la strage di San Bartolomeo del 24 agosto 1572 nel pieno delle guerre di religione (reggina reggente era Caterina de’Medici) e di aver insegnato loro come allontanare i migliori francesi dalla corte: «questi italiani o italianizzati […] reputano vera la massima di Machiavelli che non ci si deve fidare degli stranieri […] non vogliono innalzare alle cariche che loro connazionali o qualche francese bastardo e degenerato […] i buoni francesi di nascita non li vogliono innalzare».

 

Shakespeare riprese questa cinica visione di Machiavelli nel Riccardo III, facendo vantare il protagonista di essere camaleontico e maestro di dissimulazione al pari dello scrittore fiorentino. Non meglio andò nella Francia secentesca, dove operò un uomo di stato italiano come il Mazzarino, che ai suoi detrattori apparve essere l’incarnazione delle dottrine e dei metodi di governo ragguagliati dall’autore.

 

Se da un lato Machiavelli fu inizialmente circondato in prevalenza da un’aura sinistra, successivamente fu enormemente rivalutato, sebbene ancora in molti critichino il suo pessimismo e le sue estreme posizioni sulla condotta di un principe/uomo di stato che all’occorrenza può “simulare e dissimulare”, non mantenere la parola data e compiere atti delittuosi. Tuttavia, è lecito domandarsi se non sia innegabile che concetti come l’ipocrisia, la menzogna, il cinismo, la manipolazione e l’inganno siano strettamente interrelati con la politica. È infatti difficile confutare come la storia dei cinque secoli successivi alla pubblicazione del Principe non abbia fatto che confermare le affermazioni in esso contenute, allargando a dismisura il repertorio degli esempi a cui attingere per rendersene conto, sia in tempo di pace che di guerra.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bobbio N., Elementi di politica. Antologia, a cura di Polito P., Einaudi, Torino 2010.

Machiavelli N., Il principe, a cura di Inglese G., Torino 1995.

Sanfilippo M., Faccia da italiano, Salerno Editrice, Roma 2011. 

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]