[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 155 / NOVEMBRE 2020 (CLXXXVI)


moderna

GENEALOGIA DI UN DESIDERIO

LE ORIGINI DEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE DELL'ITALIA
di Giulia Iacovelli

   

È passato mezzo millennio da quando Niccolò Machiavelli, costretto all’esilio, nel 1513 compone il Il Principe. Come sottolineato da Massimo Cacciari, egli vive il passaggio epocale dall’utopia, di cui l’Umanesimo fiorentino era impregnato, al realismo e fonda il concetto moderno di politica. D’altronde è lo spirito del tempo a chiedergli di indirizzare in tal senso la propria ricerca. L'autore de Il Principe conosce infatti l’intersecarsi di tre conflitti: i conflitti interni alla Repubblica fiorentina; le guerre continue tra i piccoli Stati italiani, che in questa stagione affrontano anche la crisi delle forme istituzionali dei Comuni e delle Signorie; i contrasti che contrappongono i singoli Stati della penisola alle potenze europee.

 

Da Segretario della Repubblica fiorentina (1498-1512), durante una legazione, Machiavelli legge negli occhi del più ammirato e temuto condottiero dell’epoca, Cesare Borgia, la ferma volontà di portare a compimento l’unificazione degli Stati italiani. È una storia provocatoriamente scandalosa quella dell’ambizione di questo giovane uomo romano di origini catalane, che Machiavelli stesso in un resoconto del loro primo incontro definisce “splendido et magnifico”, profondamente ispirato dalla storia del suo omonimo Giulio Cesare.

 

Cesare Borgia vive una vita breve. Suo padre, il Cardinale Rodrigo Borgia che a partire dal 1492 sarà Papa con il nome di Alessandro VI, riconoscerà solo una volta asceso al soglio pontificio i figli nati dalla relazione con Vannozza Cattanei: Cesare, Juan, Lucrezia e Goffredo. Cesare è il maggiore e inizialmente viene destinato alla carriera ecclesiastica, nella speranza di dare continuità alla presenza della famiglia nella Curia.

 

Dopo i primi anni dedicati agli studi umanistici, si reca prima a Perugia e poi a Pisa per approfondire il diritto canonico. Entra nel Sacro collegio da Cardinale di Valencia, titolo del quale si spoglia nel 1498, convinto che il suo destino sia legato all’impegno per la costruzione di uno Stato italiano unificato sotto le insegne dei Borgia.

 

L’avanguardia della famiglia catalana sta nell’essere i primi a comprendere che per unificare l’Italia sono necessari tre elementi, che si riproporranno puntualmente nell’Ottocento nell’ultima fase del processo di unificazione nazionale. Innanzitutto, l’iniziativa di uno degli Stati più potenti della penisola: nel Cinquecento lo Stato pontificio, nell’Ottocento il Regno di Sardegna. In secondo luogo, la collaborazione tra un garante politico dell’operazione e un condottiero carismatico: nel Cinquecento rispettivamente Papa Alessandro VI e suo figlio Cesare, nell’Ottocento il Conte di Cavour e Giuseppe Garibaldi. Infine, il supporto di una potenza straniera: Cesare, al contrario del padre, ancora legatissimo alla terra natìa, è convinto che la Francia, e non la Spagna, sia la potenza che più può legittimare l’unificazione nazionale. La storia darà ragione al Duca Valentino: più di tre secoli e mezzo dopo, l’Italia diventerà uno Stato nazionale anche grazie al supporto militare della Francia.

 

Nel 1498 Cesare parte quindi alla volta dell’esagono. Il suo iniziale desiderio è quello di ratificare l’alleanza con un matrimonio con Carlotta d’Aragona, nobildonna della corte francese. Lei lo respinge, ma nei mesi in cui Cesare si trattiene oltralpe per corteggiarla, la sua vicinanza con il Re Luigi XII aumenta: grazie al giovane Borgia, Luigi ottiene l’annullamento del suo matrimonio con Giovanna di Valois, che egli desiderava per poter sposare Anna di Bretagna, vedova del suo predecessore Carlo VIII, e consolidare così il legame con il Ducato bretone. Inoltre, gli viene riconosciuto il titolo di Maestà cristianissima, che lo pone appena un gradino sotto ai Re cattolicissimi di Spagna. In cambio, Luigi formalizza l’alleanza con i Borgia combinando le nozze di Cesare con Charlotte d’Albret, sorella del Re di Navarra, e concedendogli il prestigioso titolo di Duca di Valentinois (oggi attribuito al Principe di Monaco).

 

Pochi mesi dopo, all’inizio del 1499, lo Stato pontificio e la Francia lanciano insieme un’offensiva guidata da Cesare nel nord Italia: dopo la conquista del Ducato di Milano, l’armata prende il controllo della Romagna, di cui il Valentino (così ribattezzato al suo ritorno dalla Francia) diventa Duca, stabilendo a Cesena il suo quartier generale. Qui porta avanti la creazione di un esercito, il progetto di istituire un’università e la costruzione di un nuovo palazzo di giustizia: tutte politiche tipicamente finalizzate alla costruzione di una identità nazionale.

 

L’alleanza con i Francesi non è però destinata a durare: Luigi XII è consapevole che qualunque accordo politico con lo Stato pontificio è per natura instabile e legato alla vita e alle posizioni politiche del singolo Pontefice. Il Re garantisce a Cesare una piccola porzione dell’esercito francese in supporto alla sua campagna militare per estendere il Principato di Romagna, ma ha su di lui un’importante leva di controllo: Luigi infatti nega a Charlotte e a Luisa, la figlia che intanto è nata dall’unione con Cesare, di raggiungere il Valentino in Italia. Le tiene di fatto in ostaggio: condizione che si protrarrà fino alla fine dei giorni del Borgia, che morirà senza aver rivisto sua moglie né mai conosciuto la bambina.

 

Sin dall’avvio del Pontificato, dal canto suo Rodrigo Borgia dimostra la volontà di riformare profondamente la Curia. Istituisce una Commissione per le riforme, finalizzata a diminuire i privilegi dei Cardinali e più in generale a contrastare la dilagante corruzione presente in Vaticano. Addirittura durante un periodo di ritiro a Sermoneta nell’estate del 1501, il Papa nomina sua figlia, la ventenne Lucrezia, Reggente dello Stato pontificio, seppur solamente nella sua dimensione politico-amministrativa: ancora oggi è l’unica donna ad aver svolto tali funzioni nella storia del Vaticano.

 

La non ereditarietà del soglio pontificio, tuttavia, gioca un ruolo cruciale nella storia di questo tentativo di unificazione, fatto di cui Alessandro VI è tanto consapevole che impiega l’intero arco del proprio regno a provare a consolidare le posizioni dei figli da lui dichiarati legittimi, dotandoli, mediante nomine o accordi matrimoniali, di titoli trasmissibili alla discendenza borgiana: Juan Duca di Gandìa, Lucrezia prima Duchessa di Bisceglie e poi Duchessa di Ferrara, Goffredo Principe di Squillace.

 

Paradossalmente è proprio Cesare a godere di meno tutele: ha conquistato il titolo ereditario di Duca di Romagna, ma in un contesto in cui la Romagna, in quanto ampliamento dello Stato pontificio, è sostanzialmente nella disponibilità del Papa di turno. È di fatto il figlio di un Re, ma non è un Principe per diritto di nascita e, per estensione, anche i suoi discendenti sono nella medesima situazione.

 

Machiavelli, nel VII capitolo de Il Principe, in cui rende omaggio un’ultima volta al suo grande eroe dall’animo grande e dall’intenzione alta, attribuisce alla “malignità di fortuna” la causa del fallimento del progetto borgiano di unificazione. Cesare infatti, spiazzato nell’agosto del 1503 dall’improvvisa scomparsa del padre, la cui notizia lo raggiunge nel momento in cui è anche lui “malato a morte”, riesce in prima battuta a far eleggere Papa un Cardinale che non gli era avverso: Francesco Piccolomini, originario della Repubblica di Siena, eletto Papa con il nome di Pio III. Tuttavia, questi muore meno di un mese dopo il Conclave.

 

A quel punto, Cesare non ha più la forza politica per contrastare l’ascesa al soglio pontificio di Giuliano della Rovere, storico nemico del padre. Divenuto Papa con il nome di Giulio II nel novembre del 1503, egli non dà più seguito all’impresa borgiana e fa sì che la Chiesa abbandoni la causa dell’unificazione degli Stati italiani. Rimuove in poco tempo Cesare da ogni incarico e lo allontana dalla vita pubblica dello Stato pontificio.

 

Machiavelli nel Decennale primo afferma con convinzione il rapporto di causalità diretta esistente tra la morte di Alessandro VI e la distruzione del suo grande progetto politico: “Poiché Alessandro fu dal Cielo ucciso, | lo stato del suo Duca di Valenza | in molte parti fu rotto, e diviso”. Tuttavia, Machiavelli va oltre. Giulio II inganna colpevolmente Cesare: “Giulio sol lo nutrì di speme assai, | e quel Duca in altrui trovar credettte | quella pietà che non conobbe mai”.

 

Dopo essere evaso dal carcere di Medina del Campo in Castiglia, dove è stato imprigionato per volere dello stesso della Rovere, ed essere diventato comandante dell’esercito del minuscolo Regno del cognato, la Navarra, il 12 marzo 1507 il Valentino trova la morte quasi alle idi di marzo (a pochi giorni dall’anniversario dell’omicidio del suo idolo omonimo Giulio Cesare) durante l’assedio della piccola città di Viana.

 

Purtroppo, la damnatio memoriae che investirà i Borgia e, per alcuni secoli, anche Niccolò Machiavelli, non si limiterà alla radicale contestazione del loro operato e alla condanna dei costumi della famiglia Borgia, ma investirà anche la narrazione delle circostanze in cui le rispettive scomparse avevano avuto luogo.

 

Presto, facendo leva sul motto del Duca Valentino, “aut Caesar aut nihil”, verrà diffusa la voce secondo la quale, data la rarità con la quale egli in vita aveva avuto la peggio nei combattimenti, il giovane Principe di Romagna avesse in realtà scelto di andare incontro alla morte, ingaggiando in solitudine una lotta di notte in condizioni meteorologiche avverse nella quale già sapeva che non avrebbe potuto prevalere.

 

Una decisione dettata dalla convinzione che non sarebbe più stato in grado di ricominciare la propria ascesa politica nella penisola né di compiere la missione che si era dato. Non dissimile è il tentativo di infangare la fine di Machiavelli, per due secoli raccontata come l’esito dell’assunzione di una dose eccessiva di farmaci.

 

Non sfugge che far terminare con un atto di suicidio le esistenze di due figure così criticate dalla Chiesa implica una condanna morale senza possibilità di assoluzione, in grado di giustificare persino l’assenza di esequie religiose e il diniego di una sepoltura in territorio consacrato. Nel pieno della stagione della Controriforma, l’Inquisizione stabilisce che i resti di Cesare Borgia siano traslati fuori dalla Chiesa di Santa Maria in Viana, dove erano stati inizialmente sepolti.

 

Nella medesima occasione viene perduto il lusinghiero epitaffio funebre che li accompagnava: “Qui giace in poca terra quel che tutta lo temeva, quel che la pace e la guerra nella sua mano teneva. O tu che intendi cercare cose degne di lode, se vuoi lodare il più degno, ferma qui il tuo cammino. Non ti curar d’andar oltre”.

 

Nel 2007, nel cinquecentenario della scomparsa, l’amministrazione comunale di Viana proverà a chiedere che la tomba sia riportata in suolo consacrato, ma l’Arcidiocesi di Pamplona, di cui Cesare stesso in gioventù era stato titolare, negherà il consenso.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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Chabod F., L’idea di nazione, Laterza, Bari 1961.

Gramsci A., Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, Editori Riuniti, Roma 1996.

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Tranfaglia A., Un uomo chiamato Cavour, in “L’Unità”, 17 giugno 2010.

Strathern P., The Artist, the Philosopher, and the Warrior: Da Vinci, Machiavelli, and Borgia and the World they Shaped, Bantam Dell Publishing Group, New York 2010.

Villari L., Machiavelli. Un italiano del Rinascimento, Mondadori, Milano 2013.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]