N. 46 - Ottobre 2011
(LXXVII)
Una piccola, grande storia di mare
sull'oceano a bordo della Mac Diarmid
di Roberto Polleri
La “Mac Diarmid” era un brigantino a palo, dotato di tre alberi con scafo in acciaio, per ben 1.622 tonnellate di stazza. Viene varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton in Scozia il quale dopo tre anni di navigazione la rivende all'Armatore Michele Amoroso, italiano, che ne affidava il comando al Capitano Cremonini.
Tra
i
suoi
viaggi,
nel
1886
la
nave
veniva
registrata
a
San
Francisco
(USA)
con
carico
di
grano
per
Queenstown,
in
Australia.
Alla
morte
dell'armatore
Amoroso,
gli
eredi
vendettero
il
bastimento
a
George
Karran
di
Castletown
(Isola
di
Man).
Nel
1907,
il
bastimento
era
partito
da
Newcastle
(Australia)
per
il
Cile,
dove
incappava
in
una
violenta
tempesta
che
lo
disalberava.
La
nave
raggiungeva
fortunosamente
Auckland
in
Nuova
Zelanda,
dove
rimaneva
abbandonata
per
due
anni
finché
l'Armatore
Capitano
Giuseppe
Mortola
di
Camogli,
detto
"Sanrocchin",
probabilmente
per
la
sua
origine
dalla
frazione
di
San
Rocco
della
cittadina
ligure,
il
quale
intuiva
che
l’acquisto
della
nave
poteva
essere
un
buon
affare
e
diveniva
quindi
proprietario
della
“Mac
Diarmid”
per
la
cifra
di
circa
2.400
sterline
inglesi,
pari
a
circa
56.000
lire,
al
cambio
del
1909
che
indicativamente
potrebbero
essere
attuali
200.000
euro.
Il Capitano Giuseppe
Mortola
era
il
maggior
armatore
italiano
di
navi
a
vela
di
tutti
i
tempi:
era
proprietario
di
venticinque
grandi
navi
e di
una
trentina
di
vascelli
minori
oltre
alle
quote
in
altre
società
di
navigazione
ed
alle
numerose
carature
possedute
nei
vascelli
di
diverse
famiglie
di
armatori
di
Camogli.
Acquistato
il
Mac
Diarmid,
il "Sanrocchin"
lo
faceva
riarmare
e
dal
1910
il
bastimento
riprendeva
a
navigare
ancora
proficuamente.
Nel
1914
partiva
da
Marsiglia
per
Rio
de
Janeiro
in
Brasile,
con
carico
generale.
Da
li,
proseguiva
in
zavorra,
ovvero
riempiendo
le
stive
di
acqua
di
mare
per
stabilizzare
la
navigazione,
in
direzione
Newcastle
(Australia)
dove
caricava
per
il
Cile
da
dove
proseguiva
poi
per
le
Isole
del
Guano,
quali
Lobos
de
Afuera
dove
caricava
il
guano,
ovvero
escrementi
di
uccelli
marini,
utilizzato
in
Europa
sia
come
potente
fertilizzante
sia
come
base
da
cui
estrarre
il
salnitro,
elemento
necessario
alla
creazione
di
polvere
da
sparo.
La
Mac
Diarmid
sopravvive
alla
Grande
Guerra,
al
termine
della
quale
fu
venduto
alla
famiglia
Dufour
di
Genova
i
quali
lo
utilizzeranno
esclusivamente
per
trasportare
sale
di
Cadice
ai
saladeros
argentini
ritornando
a
Genova
con
estratto
di “quebracho”,
una
sostanza
ricca
di
tannino
utile
per
la
concia
delle
pelli.
La
carriera
della
nave
si
conclude
nel
1926
a
Genova,
dove
viene
disarmato
e
rimane
al
molo
Duca
degli
Abruzzi
sino
al 5
dicembre
1928
quando
viene
rimorchiato
a
Savona
per
essere
demolito.
E'
uno
dei
rari
casi
in
cui
una
nave,
nonostante
il
passaggio
a
diversi
proprietari,
non
ha
mai
cambiato
il
suo
nome
nei
45
anni
di
vita
e di
navigazione.
Il
viaggio
La
nave
lascia
il
porto
di
Genova
diretta
verso
l’Uruguay
il
23
luglio,
già
in
assenza
di
vento,
con
rotta
verso
ovest
per
lo
stretto
di
Gibilterra.
Dopo
circa
un
mese
di
navigazione,
il
bastimento
arriva
in
dirittura
delle
isole
di
Madera,
Comore
e
Capoverde,
al
largo
della
costa
africana
all’altezza
del
Segenal,
senza
problemi
di
sorta.
E’
il
14
agosto.
Da
quel
giorno
in
poi,
per
circa
un
mese
la
nave
si
trova
in
balia
del
vento
e
della
pioggia,
ci
vorrà
un
altro
mese
per
superare
la
linea
equatoriale,
quando
la
fatica
e le
avversità
iniziano
a
provare
l’intero
equipaggio.
Eppure
il
peggio
deve
ancora
arrivare:
a
fine
settembre,
il
27
per
l’esattezza
la
nave
si
trova
al
largo
del
golfo
della
Giunea,
zona
a
forte
rischio
per
la
presenza
di
pirati,
dove
il
bastimento
deve
navigare
a
sufficiente
distanza
dalla
costa
per
scongiurare
attacchi.
L’evento più importante
di
tutto
il
viaggio
è il
temporale
del
30
settembre.
Mare
e
vento
spezzano
gli
alberi
principali
e
danneggiano
seriamente
la
“Mac
Diarmid”.
Due
mesi
di
mare
e
danni
all’apparenza
tali
da
far
presagire
un
imminente
naufragio.
Nonostante
i
danni,
gli
uomini
stremati
e la
scarsezza
di
cibo
ed
acqua,
la
nave
prosegue
la
sua
rotta
verso
il
Brasile,
che
in
data
8
ottobre
è a
circa
100
miglia
di
distanza.
Anche
qui,
però
una
nuova
tempesta
sembra
dare
il
colpo
di
grazia
al
brigantino.
Nuovi
danni
allo
scafo
ed
al
morale
degli
uomini
che
vedono
ormai
vicina
la
fine.
Ottanta
giorni
in
mezzo
al
mare
ed
il
porto
che
appare
lontano
ed
irraggiungibile.
Nonostante
tutto
si
procede
tra
i
flutti,
e si
arriva
così
al
23
ottobre,
all’alba
del
terzo
mese
trascorso
a
bordo,
quando
di
nuovo
la
violenza
del
mare
e
del
vento
segnano
profondamente
la
nave.
Una
parte
della
coperta
viene
sradicata
dalla
forza
della
natura.
Mancano
ormai
solo
700
miglia
da
Montevideo,
destinazione
dell’imbarcazione.
In tre giorni di vento
buono
e di
mare
calmo
si
potrebbe
giungere
in
porto,
ma
con
la
nave
così
provata
dalle
intemperie
anche
il
minimo
spostamento
diventa
una
fatica
enorme
per
lei
e
per
chi
la
conduce.
Adesso
si
sta
toccando
davvero
il
fondo.
A
bordo
manca
tutto,
cibo,
acqua
ma
soprattutto
la
speranza
di
vedere
ancora
terra.
Per
fortuna
il
vento
cambia,
i
danni
sono
rattoppati
alla
meglio
con
ciò
che
si
ha a
bordo
e la
nave
fa
rotta
verso
l’Uruguay.
è
l’alba
del
3
novembre
quando
l’urlo
liberatorio
“Terra!
Terra!”
risuona
sulla
tolda
e
riaccende
gli
animi
dei
marinai.
Alle
14.00
del
4
novembre
1924,
dopo
105
giorni
di
navigazione,
la
“Mac
Diarmid”
tocca
il
molo
di
Montevideo.
L’equipaggio
è
interamente
salvo
anche
se
decisamente
prostrato
dall’incredibile
viaggio.
Eppure,
la
forza
d’animo
dei
marinai
e la
forza
quasi
magica
sprigionata
dalla
“misteriosa
Mac
Diarmid”,
come
la
definirà
Rinaldo,
che
nonostante
le
avversità
riesce
comunque
a
raggiungere
la
propria
destinazione.
A
terra,
le
maestranze
si
stupiscono
dell’arrivo
del
bastimento
che
davano
per
naufragato
nell’oceano
per
il
così
lungo
tempo
trascorso
dalla
partenza.
L’autore
della
lettera
Rinaldo
Pistarino
era
nato
a
Voltri
il
23
agosto
1905.
Aveva
solo
quindici
anni
quando
scappa
da
casa
con
un
piccolo
fagottino
sulle
spalle
diretto
verso
il
porto
di
Genova
pronto
per
imbarcarsi
e
assecondare
la
sua
grande
passione
per
il
mare
e la
navigazione.
Giunto
su
uno
dei
moli,
viene
riconosciuto
da
un
amico
di
famiglia
che
ne
intuisce
la
fuga
e,
prendendolo
letteralmente
per
il
colletto
lo
carica
a
forza
su
una
delle
carrozze
dirette
verso
il
ponente
genovese,
affidandolo
al
cocchiere
e
pregando
quest’ultimo
di
tenerlo
d’occhio
fino
all’arrivo
nella
sua
abitazione
dove
poi
di
persona
si
sarebbe
sincerato
del
suo
rientro.
Il
primo
tentativo
di
diventare
marinaio
finiva
così
un
po’
miseramente...
Eppure, era solo questione
di
tempo.
La
sua
voglia
di
partire
lo
avrebbe
condotto
in
mare
aperto
a
vivere
tutto
ciò
che
abbiamo
letto
nelle
sue
parole.
La
sua
passione
per
il
mare
terminerà
solo
quando
l’incontro
con
la
sua
futura
moglie
lo
porterà
a
decidere
di
trovare
un
lavoro
sulla
terraferma.
Il
“buon
marinaio”
è
morto
a
Voltri
il
24
maggio
1989.
La
lettera
Montevideo,
18
dicembre
1924.
Carissimo
Fratello,
vuoi
tu
dunque
conoscere
le
avventure
mie
e di
questo
lungo
viaggio?
Ebbene,
il
tuo
desiderio
in
certo
qual
modo
sarà
esaudito,
ne
avrei
da
raccontarti
e
forse
più
che
sufficiente
sono
i
particolari,
per
poter
compilare
un
vero
romanzo
di
avventure
e a
te
farà
molto
piacere
leggere
questa
mia,
dato
che
sei
sempre
stato
un
po’
amante
delle
avventure
più
strane
e
più
soddisfazione
proverai
pensando
che
chi
scrive
è
tuo
fratello,
tuo
fratello
che
ha
intrapreso
un
viaggio
non
privo
di
emozioni,ma
che
ora
tutto
è
tornato
alla
tranquillità.
Immagina
si
parte
dal
cantiere
il
mattino
del
23
luglio
con
poco
vento,
alla
sera
siamo
già
in
bonaccia
completa
e di
questa
ne
abbiamo
per
tre
giorni,
siamo
sempre
in
vista
della
costa
spagnola,
ma
ecco
che
al
quarto
giorno
una
leggera
brezza
da
nord
ovest
ci
fa
filare
verso
questa
immensa
pianura
senza
fine
e
piena
di
misteri
e
dopo
qualche
giorno
di
questo
buon
vento
si
entra,
per
così
dire,
nella
zona
della
brezza
costante
(vento
che
scende
da
nord
est)
questo
vento
è
buonissimo
per
noi,
dato
che
è in
poppa
e
dovrebbe
accompagnarci
quasi
all’Equatore,
per
poi
prendere
l’altra
brezza
da
sud
est
e
quest’ultima
dovrebbe
accompagnarci
sino
all’altra
parte
per
poi
navigare
alla
ventura
e
con
venti
diversi
fino
alla
meta,
ma
ecco,
che
come
invece
sentirai,
tutto
il
previsto
è
andato
a
vuoto.
Entrati
che
siamo
nella
prima
brezza
cioè
quella
da
nord
est
che
ci
fa
filare
e
delizioso
è il
navigare
con
si
buon
vento
e
così
si
arriva
al
17
agosto,
durante
questo
frattempo
siamo
passati
al
largo
di
qualche
isola.
Il 6
agosto
l’isola
di
Madera,
l’11
agosto
le
Comore,
il
14
l’isola
di
Capoverde
che
si
trova
al
13°
di
latitudine
a
nord,
tutte
però
invisibili
ad
occhio
nudo.
Ed
eccoci
al
17
agosto,
dopo
aver
navigato
per
circa
un
mese
senza
incidenti
di
sorta,
si
comincia
e
potrei
paragonare
che
da
oggi
non
si
naviga
più
come
cristiani
ma
da
vere
bestie.
Eccoci
al
primo
temporale,
vento
forte
da
prua,
pioggia
e
mare
grosso,
si
tenta
di
bordeggiare
ma
il
tempaccio
non
ci
permette,
ora
devo
spiegarti
in
gergo
marinaresco
certe
manovre,
non
potendo
altrimenti
ci
mettiamo
alla
trinca
dopo
che
la
furia
del
vento
ci
asportò
qualche
vela
dopo
vari
giorni
il
vento
si
rinforza
e
pare
che
dica
voglio
vincere
io,
infatti
qualche
altro
disastro
succede.
Questo
ventaccio
dopo
aver
soffiato
a
volontà
ci
regala
un
po’
di
calma,
ma
ci
rimane
ancora
i
colpi
di
mare
i
quali
non
ci
assicurano
di
stare
in
coperta,
sempre
piove,
siamo
al
14
settembre,
ossia
da
52
giorni
che
siamo
in
mare
e da
27
che
siamo
sotto
una
pioggia
continua
e
che
non
si
vede
il
sole.
La
notte
dal
14
al
15
settembre
altro
vento
forte
di
prua
e di
questo
ne
abbiamo
per
qualche
giorno
ancora
e ti
confesso
che
noi
tutti
siamo
quasi
esausti,
forse
già
troppo
siamo
stati
provati
da
questi
elementi,
eppure
non
è
ancora
finita.
Finalmente
eccoci
al
18
settembre
e
abbiamo
un
po’
di
calma.
Ora
ti
spiego
brevemente
che
cos’è
questo
ammassamento
di
vento
furioso
e
continuo.
Il
suo
nome
è
Munson
e
proviene
dall’Oceano
Indiano
attraversa
l’Africa
Equatoriale
e
con
impeto
di
forza
si
butta
nell’Atlantico
tra
il
13°
di
latitudine
nord
e
l’Equatore
e si
perde
poi
credo
nella
Cordigliera
delle
Ande,
la
sua
durata
in
generale
è di
sei
mesi
fra
i
quali
ha
53
giorni
e 16
ore
di
maggior
violenza,
e
questo
massimo
si
sente
in
detta
posizione
dal
10
di
agosto
al
20
ottobre
circa.
Ora
siamo
al
15
settembre,
si
sta
tirando
un
lungo
bordeggio
con
prua
verso
la
costa
africana,
oggi
stesso
si
taglia
l’Equatore,
ossia
si
lascia
l’emisfero
nord
per
inoltrarsi
all’emisfero
sud
onde
ci
attendono
altri
disastri.
Il
caldo
si
fa
sentire
ed è
insopportabile
da
45 a
50
gradi
ma
grazie
ai
continui
piovaschi,
che
sono
per
noi
un
vero
sollievo,
del
Munson
più
nessuna
traccia,
ormai
abbiamo
oltrepassato
la
sua
zona
devastatrice
e
siamo
nella
continua
bonaccia
equatoriale.
Al
27
settembre
siamo
vicini
al
Golfo
della
Guinea,
con
calma
di
vento
e
corrente
forte
che
ci
spinge
sempre
più
nel
golfo,
questo
è un
po’
pericoloso
dato
che
è
frequentato
da
piroghe
di
indigeni
della
Guinea
i
quali
assaltano
depredandoli
i
bastimenti
che
per
disgrazia
trovansi
in
questi
paraggi,
ma
grazie
a un
po’
di
brezza
la
quale
ci
da
modo
di
allargarci
alquanto
da
questo
brutto
posto.
Il
28
settembre,
un
po’
di
vento
buono
ci
fa
guadagnare
cammino,
ma
eccoci
al
30
altra
giornataccia,
alle
4
pare
si
navighi
con
il
vento
in
poppa,
questo
in
un
batter
d’occhio
cambia
e di
poppa
si
gira
e si
ferma
di
prua,
tutto
questo
succede
senza
che
nessuno
se
ne
avveda,
così
che
le
vele
invece
di
essere
gonfie
alla
buona,
ossia
come
si
vorrebbe
dire
in
gergo
marinaresco,
si
rigonfiano
al
rovescio,
in
modo
che
i
due
alberi
delle
vele
quadre,
trinchetto
e
maestra,
oscillano
e si
teme
da
un
momento
all’altro
abbiano
a
cascare
in
mare,intanto
si
sentono
scricchiolii
di
cavi
che
si
spezzano,
griglie
del
sartiame
che
come
la
grandine
cadono
in
coperta,
vele
che
si
strappano
completamente
e se
ne
vanno
con
il
vento,
ma
nemmeno
qui
ci
diamo
per
vinti,
non
è
ancora
trascorso
un
minuto
dall’ira
di
tutto
ciò,
che
si
sente
una
voce
gridare
con
tutta
la
forza,
coraggio
e
sangue
freddo,
è la
voce
del
comandante
che
grida
dando
gli
ordini
più
opportuni,
lascio
a te
immaginare
il
momento
che
si
sta
passando,
sembriamo
matti
furiosi,
ma
ognuno
ha
il
suo
compito,
il
suo
dovere
da
compiere
e
con
sangue
freddo
riusciamo
per
vero
miracolo
ad
evitare
una
vera
catastrofe,
bastavano
pochi
minuti
e
poi
addio
Mac
Diarmid
e i
suoi
uomini,
nota
che
tutto
questo
è
successo
in
pochi
minuti.
Questo
temporale
del
30
settembre
era
infortunale
e
come
abbiamo
appreso
al
nostro
arrivo
a
Montevideo
perì
con
il
suo
equipaggio
una
nave
tedesca
proveniente
dall’Europa
e
diretta
come
noi
a
Montevideo
e un
piroscafo
inglese,
tutti
e
due
naufragarono
proprio
il
30
settembre.
All’indomani
il
vento
cessa
e si
ritorna
alla
bonaccia,
dopo
nuovamente
vento
e si
rifà
cammino,
tanto
che
il 7
ottobre
siamo
già
vicini
alla
costa
del
Brasile,
il
giorno
8
siamo
a
100
miglia
e
qua
subito
di
gira
di
bordo
e
nuovamente
al
largo.
Eccoci
alla
notte
fra
8 e
9
ottobre
una
altro
disastro
che
merita
di
essere
spiegato
a
parte.
Il
suo
nome
è
Pampero,
la
sua
origine
credo
nasca
dal
Messico,
poi
con
velocità
e
forza
incalcolabile
scende
verso
l’America
Meridionale
seguendo
la
Cordigliera
delle
Ande,
fino
alla
Terra
del
Fuoco,
ossia
al
Capo
Diurno,
colà
le
montagne
fanno
specie
di
gomito
in
modo
che
questo
vento
è
obbligato
a
buttarsi
in
Atlantico
e
ritorna
indietro
per
via
mare,
con
una
forza
tale
che
ora
sentirai.
Dunque
siamo
alla
notte
tra
8 e
9
ottobre,
il
vento
soffia
tanto
forte
e
con
una
potenza
tale
che
buona
parte
delle
vele
viene
asportata,
i
colpi
di
mare
devastano
tutto
ciò
che
trovano
in
coperta,
dopo
qualche
giorno
vento
e
mare
prendono
forza
con
un
aspetto
tale
che
non
sappiamo
proprio
a
che
Santo
votarci
per
raccomandarci,
sono
circa
80
giorni
che
siamo
in
mare,
si
avrebbe
bisogno
di
un
po’
di
riposo,
il
giorno
dell’arrivo
è
ancora
lontano,
anzi
per
dirti
il
vero
e
per
dirti
tutto
ora
aspettiamo
con
rassegnazione
da
un
momento
all’altro
il
fatale
momento.
La
nave
sembra
non
abbia
più
la
forza
di
resistere,
è un
vero
disastro
perché
prima
il
velaccio
poi
trinchetto
e
parrocchetto,
dell’albero
di
trinchetto,
velaccio
gabbia
e
maestra
dell’albero
maestro
tutto
è
stato
asportato
dal
vento,
non
contento
di
questo,
la
forza
del
mare
e
del
vento
provocano
la
rottura
di
due
stralli,
cavi
d’acciaio
abbastanza
grossi
e un
paterazzo
della
grossezza
del
braccio
di
un
uomo,
per
questo
l’albero
maestro
minaccia
di
cascare,
ma
grazie
ad
un
tentativo
ancora
si
riesce
provvisoriamente
a
riparare.
Il
16
ottobre
abbiamo
un
po’
di
calma,
e
così
via
fino
al
22,
in
questo
giorno
ecco
un’altra
volta
il
Pampero
e
con
altra
violenza
che
ci
mette
in
serio
pericolo,
specie
per
certe
manovre
che
dobbiamo
fare
in
coperta
vere
montagne
d’acqua
si
rovesciano
in
coperta,
con
una
violenza
tale
che
si
vede
la
fine.
All’alba
del
23
un’ondata
più
potente
stacca
dalla
salda
imperniatura
circa
10
metri
di
bordo
al
lato
sinistro
della
prora,
non
ci
batte
pure
contro
il
boccaporto
di
maestra
arrecando
altri
danni,
siamo
a
circa
700
miglia
da
Montevideo
ci
basterebbero
tre
giorni
di
vento
buono
per
coprire
questa
distanza
ed
essere
a
salvamento
ma
invece
no,
l’infuriare
del
vento
e
del
mare
non
ci
permettono
nemmeno
di
stare
alla
trinca,
così
che
si è
obbligati
ad
appoggiare
e
perdere
il
cammino,
che
sudore
di
sangue
ci
costò
e
così
in
questa
corsa
vertiginosa,
pensa
con
una
vela
sola
si
passano
le
18
miglia
all’ora
e si
va
verso
il
Capo
di
Buona
Speranza,
la
punta
estrema
dell’Africa,
qua
abbiamo
un
altro
disastro,
il
pennone
gabbia
spezza
i
cavi
di
sostegno
e
pericola
di
cascarci
in
coperta
ma
anche
qui
si
riesce
a
riparare,
siamo
al
25
ottobre,
il
vento
sembra
concederci
un
po’
di
calma,
ma
Dio
mio
quale
disastro
si
presenta.
I
viveri
cominciano
a
scarseggiare,
quindi
mano
alla
cinghia,
ogni
giorno
stringo
sempre
di
più
e
l’indizio
di
buon
vento
e
dell’arrivo
non
si
presenta.
Gli
scarafaggi
diventano
il
nostro
cibo.
Ormai
ogni
speranza
è
per
noi
perduta,
da
100
giorni
siamo
tra
cielo
ed
acqua.
Eccoci
al
29
ottobre,
abbiamo
un
po’
di
vento
a
favore,
questo
si
rinfresca
sempre
più
se
continuasse
così
ora
si
fila
verso
quella
terra
che
porta
il
nome
di
America.
Ecco
il
buon
vento
salvatore
continua
anche
oggi.
Siamo
al 1
novembre
a
500
miglia
da
Montevideo,
all’alba
del
3
vediamo
in
lontananza
terra
e
tutti
a
una
voce
si
grida
Terra!
Terra!
Non
ci
speravamo
proprio
più,
seppur
sfiniti
e
malconci
la
speranza
si
riaccende
in
ognuno
di
noi.
Verso
sera
siamo
in
vista
dell’Isola
Flores,
all’alba
del
4
avvistiamo
l’Isola
dei
Lovi
e
alle
2
pomeridiane
si
giunge
nella
rada
di
Montevideo
finalmente!
La
nave,
dico
io,
misteriosa
Mac
Diarmid.
Appena
arrivati
è
venuto
un
rimorchiatore
portandoci
viveri
e
notizie,
infatti
ci
siamo
sentiti
dire
che
ormai
non
ci
aspettavano
più
e
che
una
S.
Messa
era
stata
celebrata
in
nostro
suffragio,
tanto
più
che
qualche
giorno
prima
una
nave
tedesca
completamente
disalberata
causa
una
forte
pamperada.
Sul
giornale
(La
Stampa)
venne
pubblicato
un
articolo
sul
temporale
che
infierì
da
queste
parti
e
venne
pure
segnalata
la
perdita
di
qualche
veliero.
Anche
i
nostri
cari
ormai
non
avevano
più
speranze
di
poterci
rivedere,
così
appena
giunti
a
Montevideo
il
nostro
capitano
ha
mandato
subito
un
telegramma
alla
compagnia
e
questa
tempestivamente
avvisò
le
nostre
famiglie
tranquillizzandole.
Potevamo
proprio
dire
di
essere
stati
fortunati.
E
qui
finisce
il
mio
racconto
che
ormai
non
è
che
un
ricordo.
(Mai
paura
buon
marinaio)
Rinaldo