filosofia & religione
LUTERO E LE 95 TESI
AGLI ALBORI DELLA RIFORMA PROTESTANTE
di Francesco Biscardi
Praticamente in ogni manuale scolastico
viene scritto che l’atto che segna
l’inizio della Riforma protestante e,
conseguentemente, la fine dell’unità
cristiana latina fu l’affissione, da
parte del monaco agostiniano Martin
Lutero, delle sue 95 Tesi contro
le indulgenze alla porta della
cattedrale di Wittenberg la sera del 31
ottobre 1517.
Un gesto ribelle che ha contribuito a
innalzare il prelato ad alfiere della
lotta contro la corruzione, la lussuria
e i peccati della Chiesa rinascimentale.
In realtà tale evento quasi sicuramente
non ha mai avuto luogo, mentre il suo
mito è stato costruito a posteriori,
dopo la morte del suo protagonista.
In gioventù Lutero non era molto diverso
da altri chierici della sua epoca: un
ragazzo di modeste origini, intento a
intraprendere con cognizione e spirito
di abnegazione la vita monastica. La sua
formazione avvenne in un mondo, quello
Primo-cinquecentesco, in cui la Chiesa
occidentale vegetava forse nel peggior
stato di corruzione, lussuria e declino
morale della sua storia. Lo stesso
papato toccava allora uno dei punti di
più bassa credibilità con un pontefice
come Giulio II, al secolo Giuliano della
Rovere, noto come il “papa guerriero”
per essere sceso in campo fra le sue
milizie.
Secondo una passata tradizione
storiografica, che tendeva a retrodatare
la volontà ribelle e antipapale di
Lutero, sarebbero stati gli anni
giovanili quelli in cui maturò i
presupposti per una rottura con la
curia. Centrale, pertanto, sarebbe stato
il suo viaggio a Roma del 1510. Questo
punto di vista è stato sottoposto a
revisione critica negli ultimi decenni,
in quanto dagli scritti del monaco non
emerge nulla in tal senso: egli rimase
sì deluso dalla situazione che trovò,
lamentando di essere rimasto colpito
dall’ignoranza da parte di molti prelati
del latino e delle Scritture, come dal
modo sbrigativo in cui venivano
celebrate le messe, ma non arrivò mai a
pensare che un giorno avrebbe reciso i
legami con la Santa Sede. Fra l’altro,
nella circostanza, non ebbe neanche
occasione di entrare in contatto diretto
con la corte pontificia, in quanto essa
si trovava in Emilia, dove il
sopracitato Giulio II era intento a
riconquistare la ribelle città di
Bologna.
Di ritorno dal soggiorno romano, iniziò
a interessarsi alla mistica, leggendo
parecchi scritti di tale ascendenza
(molto probabilmente in cerca di una
soluzione per le crisi religiose e i
dubbi che spesso lo contrivano), dallo
Pseudo-Dionigi l’Areopagita, a Jean
Gerson, passando per Brigida di Svezia.
Si concentrò poi sulle opere dei Padri
della Chiesa e rinnovò i suoi studi
delle Scritture. Nel 1512 divenne
dottore in teologia e, circa un anno
dopo, cominciò a insegnare
all’Università di Wittenberg.
Questo fu un periodo molto importante
per la maturazione delle sue idee:
preparare ed esporre le lezioni ai suoi
discenti significava tornare di volta in
volta su singoli passi delle Scritture
per carpirne i significati più profondi
e reconditi. Angosciato, inoltre,
dall’ansia della salvezza e convinto
dell’inefficacia dei modi indicati dalla
Chiesa per risolvere la questione dei
peccati, Lutero rimase particolarmente
affascinato dalle Lettere di San
Paolo ai Galati e ai Romani, dove trovò
la risposta al suo dilemma interiore: il
destino dell’uomo dipendeva dalla sua
fede in Cristo, che lo giustificava
dinnanzi a Dio e lo rendeva oggetto
della sua grazia. Così maturò la sua
concezione della giustificazione per
“sola fede” e la dottrina della “sola
Scrittura”, secondo cui unico fondamento
della religione e unica via di verità
era la Bibbia (futuri pilastri del
protestantesimo).
Parallelamente divenne sempre più
convinto dell’inutilità di
quell’elefantiaco apparato di azioni
richieste dalla Chiesa per collaborare
alla propria salvezza: dai pellegrinaggi
alle processioni, dalle indulgenze alle
messe votive, che si professava
garantissero una “riduzione” della pena
che i peccatori avrebbero dovuto
scontare in purgatorio, fino alla
partecipazione alle crociate che, dietro
avallo papale, nell’ottica del tempo
cassavano del tutto il periodo da
trascorrere nell’aldilà prima di poter
ascendere in paradiso.
Sebbene contrario a tutto ciò, Lutero
inizialmente si limitò a esporre i suoi
pensieri ai suoi studenti, mentre non
prese alcuna posizione pubblica. Fu nel
1517 che mutò atteggiamento. Era
accaduto che Alberto di
Brandeburgo-Hohenzollern, già
principe-arcivescovo di Magdeburgo e
vescovo operativo di Halberstadt, mirò
ad accaparrarsi anche l’arcivescovato di
Magonza, potendo così entrare nella
ristretta cerchia dei sette elettori
dell’imperatore. Papa Leone X, al secolo
Giovanni de’ Medici, accondiscese alla
concessione della carica dietro il
pagamento di una cospicua somma di
denaro, per la quale il nobile si
indebitò con i potenti banchieri Fϋgger.
Allo scopo di sanare il debito, questi
chiese e ottenne dal pontefice
l’autorizzazione a organizzare una
consistente vendita delle indulgenze nei
suoi domini, la cui predicazione venne
affidata al domenicano Johan Tetzel.
È probabile che Lutero inizialmente
fosse all’oscuro di questa intricata
faccenda (anche perché in terra sassone,
dove è ubicata Wittenberg, il principe
elettore Federico, rivale di Alberto,
aveva vietato la predicazione del suo
inviato).
A indurlo a prendere posizione non fu
tanto la vendita delle indulgenze in sé,
quanto i sermoni tenuti dal Teztel, il
quale, a
Jϋterborg,
ai confini con la Sassonia, si sarebbe
espresso con concetti rasentanti il
ridicolo e rispecchianti il mercimonio
allora imperante: «Pensate che tutti
quelli che sono contriti, si sono
confessati e hanno fatto il pagamento,
riceveranno completa remissione dei
peccati. Ascoltate la voce dei vostri
cari defunti che vi scongiurano. […]
Ricordate che voi potete liberarli,
perché: appena il soldo in cassa
ribalta, l’anima via dal purgatorio
salta».
Allora, riporta la tradizione, Lutero,
alla vigilia del giorno di Ognissanti
del 1517, reagì inchiodando alla porta
della cattedrale di Wittenberg un
manifesto contenente le sue Tesi
contro la vendita delle indulgenze.
Tuttavia, come anticipato, l’evento è
quasi sicuramente un’invenzione: il
prelato si sarebbe in realtà limitato a
inviare i suoi scritti ad Alberto di
Brandeburgo, per esortarlo a ragionare
sull’illiceità della vendita delle
indulgenze e a sospenderle.
Il suo gesto non conteneva in sé nulla
di rivoluzionario: era pratica comune
nel mondo universitario dell’epoca farsi
portavoce di proprie “tesi” fra dotti e
accademici al fine di confrontarsi su
questioni di particolare interesse.
Anche la reazione del principe rientrò
nell’ordine normale delle cose: le
inoltrò all’Università di Magonza
affinché fossero esaminate, per poi
farle pervenire a Roma.
Varie ragioni spingono a ritenere
l’episodio dell’affissione un mito, ma
due in particolar modo. Innanzitutto
Lutero, nel 1517, non voleva affatto
dare il via a un movimento di protesta,
né di secessione con la Chiesa romana.
In secondo luogo, il monaco stese le sue
Tesi in latino accademico,
incomprensibile al di fuori del
ristretto mondo colto dell’epoca: è
ovvio che, qualora avesse voluto
realmente che i suoi pensieri fossero
letti da quanti non analfabeti, non
avrebbe avuto remore a redigerli in
volgare (fra l’altro la prima traduzione
dell’opera in tedesco avvenne
all’insaputa e senza l’autorizzazione
dello stesso Lutero).
A originare la storia dell’affissione
furono soprattutto due “contributi”
successivi alla vita del monaco. Il
primo porta la firma di Filippo
Melantone, il quale, in occasione del
funerale del proprio mentore, forse per
primo, decantò questa vicenda nel suo
discorso commemorativo. Il secondo è la
seguente raffigurazione, dal forte
impatto emotivo, che iniziò a circolare
a partire dalla seconda metà del XVI
secolo.
Nell’immagine in questione si può
notare, sulla sinistra, Lutero intento a
scrivere sulla porta della chiesa con
una lunghissima penna, la quale, alle
sue spalle, trapassa il cranio di un
leone (chiara allegoria di Leone X),
sdraiato su Roma, e fa cadere la tiara
dalla testa del pontefice.
Un’opera simile, in un’epoca in cui le
immagini avevano un forte ascendente
verso le plebi, concorse non poco a
enfatizzare lo spirito guerriero e il
ruolo salvifico-millenaristico di Lutero
nella sua lotta contro quella Santa Sede
che era spesso vista spregiativamente
come la “Nuova Babilonia”.
Il fatto poi che un seguace di Lutero
come Melantone si sarebbe inventato di
sana pianta la vicenda non deve
sorprendere: era suo intento esaltare il
volto eroico del maestro che, in modo
ribelle, avrebbe voluto indurre i
pellegrini, destinati a passare il primo
di novembre per Wittenberg, a riflettere
su quanto la vendita delle indulgenze
fosse solo un lucroso istituto
cristianamente inaccettabile.
Effettivamente questo mito ha
contribuito non poco a fare del monaco
sassone l’“eroe” a cui si deve il merito
di aver dato il via a quella Riforma
sentita nel cuore della Cristianità sin
dal Medioevo. Un uomo che fu
indubbiamente antesignano della
“modernità” e una delle personalità più
carismatiche e importanti della storia.
Riferimenti bibliografici:
Bainton R., Martin Lutero,
Einaudi, Torino 2013.
Dall’Olio G., Martin Lutero,
Carocci, Roma 2013.
Greengrass M., La cristianità in
frantumi. Europa 1517-1648, Laterza,
Roma-Bari 2020.
Prosperi A., Lutero. Gli anni della
fede e della libertà, Mondadori,
Milano 2017. |