[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

166 / OTTOBRE 2021 (CXCVII)


filosofia & religione

LUTERO E LE 95 TESI

AGLI ALBORI DELLA RIFORMA PROTESTANTE

di Francesco Biscardi

 

Praticamente in ogni manuale scolastico viene scritto che l’atto che segna l’inizio della Riforma protestante e, conseguentemente, la fine dell’unità cristiana latina fu l’affissione, da parte del monaco agostiniano Martin Lutero, delle sue 95 Tesi contro le indulgenze alla porta della cattedrale di Wittenberg la sera del 31 ottobre 1517.

 

Un gesto ribelle che ha contribuito a innalzare il prelato ad alfiere della lotta contro la corruzione, la lussuria e i peccati della Chiesa rinascimentale. In realtà tale evento quasi sicuramente non ha mai avuto luogo, mentre il suo mito è stato costruito a posteriori, dopo la morte del suo protagonista.

 

In gioventù Lutero non era molto diverso da altri chierici della sua epoca: un ragazzo di modeste origini, intento a intraprendere con cognizione e spirito di abnegazione la vita monastica. La sua formazione avvenne in un mondo, quello Primo-cinquecentesco, in cui la Chiesa occidentale vegetava forse nel peggior stato di corruzione, lussuria e declino morale della sua storia. Lo stesso papato toccava allora uno dei punti di più bassa credibilità con un pontefice come Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, noto come il “papa guerriero” per essere sceso in campo fra le sue milizie.

 

Secondo una passata tradizione storiografica, che tendeva a retrodatare la volontà ribelle e antipapale di Lutero, sarebbero stati gli anni giovanili quelli in cui maturò i presupposti per una rottura con la curia. Centrale, pertanto, sarebbe stato il suo viaggio a Roma del 1510. Questo punto di vista è stato sottoposto a revisione critica negli ultimi decenni, in quanto dagli scritti del monaco non emerge nulla in tal senso: egli rimase sì deluso dalla situazione che trovò, lamentando di essere rimasto colpito dall’ignoranza da parte di molti prelati del latino e delle Scritture, come dal modo sbrigativo in cui venivano celebrate le messe, ma non arrivò mai a pensare che un giorno avrebbe reciso i legami con la Santa Sede. Fra l’altro, nella circostanza, non ebbe neanche occasione di entrare in contatto diretto con la corte pontificia, in quanto essa si trovava in Emilia, dove il sopracitato Giulio II era intento a riconquistare la ribelle città di Bologna.

 

Di ritorno dal soggiorno romano, iniziò a interessarsi alla mistica, leggendo parecchi scritti di tale ascendenza (molto probabilmente in cerca di una soluzione per le crisi religiose e i dubbi che spesso lo contrivano), dallo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, a Jean Gerson, passando per Brigida di Svezia. Si concentrò poi sulle opere dei Padri della Chiesa e rinnovò i suoi studi delle Scritture. Nel 1512 divenne dottore in teologia e, circa un anno dopo, cominciò a insegnare all’Università di Wittenberg.

 

Questo fu un periodo molto importante per la maturazione delle sue idee: preparare ed esporre le lezioni ai suoi discenti significava tornare di volta in volta su singoli passi delle Scritture per carpirne i significati più profondi e reconditi. Angosciato, inoltre, dall’ansia della salvezza e convinto dell’inefficacia dei modi indicati dalla Chiesa per risolvere la questione dei peccati, Lutero rimase particolarmente affascinato dalle Lettere di San Paolo ai Galati e ai Romani, dove trovò la risposta al suo dilemma interiore: il destino dell’uomo dipendeva dalla sua fede in Cristo, che lo giustificava dinnanzi a Dio e lo rendeva oggetto della sua grazia. Così maturò la sua concezione della giustificazione per “sola fede” e la dottrina della “sola Scrittura”, secondo cui unico fondamento della religione e unica via di verità era la Bibbia (futuri pilastri del protestantesimo).

 

Parallelamente divenne sempre più convinto dell’inutilità di quell’elefantiaco apparato di azioni richieste dalla Chiesa per collaborare alla propria salvezza: dai pellegrinaggi alle processioni, dalle indulgenze alle messe votive, che si professava garantissero una “riduzione” della pena che i peccatori avrebbero dovuto scontare in purgatorio, fino alla partecipazione alle crociate che, dietro avallo papale, nell’ottica del tempo cassavano del tutto il periodo da trascorrere nell’aldilà prima di poter ascendere in paradiso.

 

Sebbene contrario a tutto ciò, Lutero inizialmente si limitò a esporre i suoi pensieri ai suoi studenti, mentre non prese alcuna posizione pubblica. Fu nel 1517 che mutò atteggiamento. Era accaduto che Alberto di Brandeburgo-Hohenzollern, già principe-arcivescovo di Magdeburgo e vescovo operativo di Halberstadt, mirò ad accaparrarsi anche l’arcivescovato di Magonza, potendo così entrare nella ristretta cerchia dei sette elettori dell’imperatore. Papa Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, accondiscese alla concessione della carica dietro il pagamento di una cospicua somma di denaro, per la quale il nobile si indebitò con i potenti banchieri Fϋgger. Allo scopo di sanare il debito, questi chiese e ottenne dal pontefice l’autorizzazione a organizzare una consistente vendita delle indulgenze nei suoi domini, la cui predicazione venne affidata al domenicano Johan Tetzel.

 

È probabile che Lutero inizialmente fosse all’oscuro di questa intricata faccenda (anche perché in terra sassone, dove è ubicata Wittenberg, il principe elettore Federico, rivale di Alberto, aveva vietato la predicazione del suo inviato). A indurlo a prendere posizione non fu tanto la vendita delle indulgenze in sé, quanto i sermoni tenuti dal Teztel, il quale, a Jϋterborg, ai confini con la Sassonia, si sarebbe espresso con concetti rasentanti il ridicolo e rispecchianti il mercimonio allora imperante: «Pensate che tutti quelli che sono contriti, si sono confessati e hanno fatto il pagamento, riceveranno completa remissione dei peccati. Ascoltate la voce dei vostri cari defunti che vi scongiurano. […] Ricordate che voi potete liberarli, perché: appena il soldo in cassa ribalta, l’anima via dal purgatorio salta».

 

Allora, riporta la tradizione, Lutero, alla vigilia del giorno di Ognissanti del 1517, reagì inchiodando alla porta della cattedrale di Wittenberg un manifesto contenente le sue Tesi contro la vendita delle indulgenze. Tuttavia, come anticipato, l’evento è quasi sicuramente un’invenzione: il prelato si sarebbe in realtà limitato a inviare i suoi scritti ad Alberto di Brandeburgo, per esortarlo a ragionare sull’illiceità della vendita delle indulgenze e a sospenderle.

 

Il suo gesto non conteneva in sé nulla di rivoluzionario: era pratica comune nel mondo universitario dell’epoca farsi portavoce di proprie “tesi” fra dotti e accademici al fine di confrontarsi su questioni di particolare interesse. Anche la reazione del principe rientrò nell’ordine normale delle cose: le inoltrò all’Università di Magonza affinché fossero esaminate, per poi farle pervenire a Roma.

 

Varie ragioni spingono a ritenere l’episodio dell’affissione un mito, ma due in particolar modo. Innanzitutto Lutero, nel 1517, non voleva affatto dare il via a un movimento di protesta, né di secessione con la Chiesa romana. In secondo luogo, il monaco stese le sue Tesi in latino accademico, incomprensibile al di fuori del ristretto mondo colto dell’epoca: è ovvio che, qualora avesse voluto realmente che i suoi pensieri fossero letti da quanti non analfabeti, non avrebbe avuto remore a redigerli in volgare (fra l’altro la prima traduzione dell’opera in tedesco avvenne all’insaputa e senza l’autorizzazione dello stesso Lutero).

 

A originare la storia dell’affissione furono soprattutto due “contributi” successivi alla vita del monaco. Il primo porta la firma di Filippo Melantone, il quale, in occasione del funerale del proprio mentore, forse per primo, decantò questa vicenda nel suo discorso commemorativo. Il secondo è la seguente raffigurazione, dal forte impatto emotivo, che iniziò a circolare a partire dalla seconda metà del XVI secolo.

 

  

Nell’immagine in questione si può notare, sulla sinistra, Lutero intento a scrivere sulla porta della chiesa con una lunghissima penna, la quale, alle sue spalle, trapassa il cranio di un leone (chiara allegoria di Leone X), sdraiato su Roma, e fa cadere la tiara dalla testa del pontefice.

 

Un’opera simile, in un’epoca in cui le immagini avevano un forte ascendente verso le plebi, concorse non poco a enfatizzare lo spirito guerriero e il ruolo salvifico-millenaristico di Lutero nella sua lotta contro quella Santa Sede che era spesso vista spregiativamente come la “Nuova Babilonia”.

 

Il fatto poi che un seguace di Lutero come Melantone si sarebbe inventato di sana pianta la vicenda non deve sorprendere: era suo intento esaltare il volto eroico del maestro che, in modo ribelle, avrebbe voluto indurre i pellegrini, destinati a passare il primo di novembre per Wittenberg, a riflettere su quanto la vendita delle indulgenze fosse solo un lucroso istituto cristianamente inaccettabile.

 

Effettivamente questo mito ha contribuito non poco a fare del monaco sassone l’“eroe” a cui si deve il merito di aver dato il via a quella Riforma sentita nel cuore della Cristianità sin dal Medioevo. Un uomo che fu indubbiamente antesignano della “modernità” e una delle personalità più carismatiche e importanti della storia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bainton R., Martin Lutero, Einaudi, Torino 2013.

Dall’Olio G., Martin Lutero, Carocci, Roma 2013.

Greengrass M., La cristianità in frantumi. Europa 1517-1648, Laterza, Roma-Bari 2020.

Prosperi A., Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Mondadori, Milano 2017.  

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]