[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


storia & sport

SU LUDWIG GUTTMANN

STORIA DELL’UOMO CHE CREò LE PARAOLIMPIADI

di Stefano Coletta

 

Un uomo guarda fuori dalla finestra verso le colline, ha lo sguardo perso nei suoi pensieri, quando improvvisamente la voce di un’infermiera affacciatesi alla porta lo riporta alla realtà: «Dottor Guttmann, le ambulanze sono ai cancelli!».

 

L’uomo si scuote e si dirige verso la porta d’ingresso, da dove assiste alla lenta processione di ambulanze lungo le strade sterrate di Stoke Mandeville, villaggio di sole mille anime, situato a cinquanta miglia da Londra, nel Buckinghamshire. L’ospedale è stato istituito, nel 1940, a seguito della Guerra dei cieli per accogliere, insieme ad altre strutture decentrate i feriti degli scontri. Il dottor Ludwig Guttmann è giunto in qualità di Direttore della struttura tre anni più tardi. Fino a quel momento ha ricoperto la carica di medico presso l’Infermeria Radcliffe e l’Ospedale militare approntato presso il St. Hugh’s College. In realtà non è un medico qualunque ha un passato ricco di esperienze e di studi riguardo le ghiandole sudoripare e il sistema neurologico.

 

Nel marzo del 1943 viene convocato dal suo superiore, Hugh Cairns, convinto sostenitore della rigenerazione nervosa, e vi trova anche il Dottor Riddoch, Generale di Brigata e capo del Servizio neurologico dell’Esercito britannico, che gli chiede: «Dobbiamo aprire una nuova unità spinale. Vuoi occupartene?». Il Dottor Guttmann sgrana gli occhi e sprizza felicità da ogni poro e chiede: «Quando si comincia, oggi o domani?».

 

Purtroppo dovrà attendere sino al 1 febbraio dell’anno successivo, quando finalmente raggiunge il piccolo borgo e si ritrova dinanzi un mucchio di giovani feriti e con danni alla colonna vertebrali. Per la maggioranza di loro è stato annotato nella cartella clinica “si trovano in una condizione che non può essere trattata”. Ma Ludwig, non accetta l’idea. Quel giorno è tornato indietro con la memoria è ha ricordato quando, volontario a Breslavia, frequentava l’ospedale e gli si era presentato un giovane minatore nelle medesime condizioni, e l’infermiere di turno gli aveva detto: «Gli rimangono al massimo quattro settimane di vita”.

 

Non voleva crederci, ma osservando come il corpo era stato assalito dalle piaghe da decubito e dalle infezioni urinarie, pur sapendo bene quanto scritto nelle cartelle fosse vero, ma non vuole accertarlo come medico e non vuole essere colui che allieva il dolore con delle dosi di morfina. Il suo compito, secondo il Giuramento di Ippocrate, è preservare la vita, non accompagnare alla morte. Il Dottor Ludwig Guttman ha imparato fin da piccolo a lottare e ha appreso dalla vita che non si può e non si deve mai accettare il destino in maniera scontata e ineluttabile.  

 

La sua storia inizia in una calda giornata di luglio, per gli amanti delle date il 3 luglio 1899, sotto l’influenza del numero 1 che gli predestina di essere un uomo che riuscirà a trasformare i sogni e le proprie idee in realtà. Suo padre, Bernhard Guttmann, è titolare di una distilleria, mentre la madre Dorothea Weissenburg, è casalinga. Entrambi si augurano, come tutti i genitori, che il figlio abbia un futuro radioso, mentre accolgono la “processione” dei parenti, nella loro casa di Toszek, nel Voivodato della Slesia, venuti a rallegrarsi per la nascita del primogenito. Primogenito e unico maschio, infatti, negli anni a seguire la coppia sarà allietata da tre femmine.

 

Nel 1902 la famiglia si trasferisce nella città di Chorzów, un centro minerario non lontano dalla città natale, all’epoca porta la denominazione tedesca Königshütte, cioè “la capanna del re”, sede del primo ospedale al mondo istituito per curare gli incidenti sul lavoro, pochi anni dopo diverrà, famosa, per essere sede di un sottocampo del rinomato Auschwitz. Quasi che il destino gli volesse preannunciare gli eventi che caratterizzeranno la sua vita.

 

Il piccolo Ludwig trascorre la sua infanzia a sfamare la sua curiosità con ogni tipo di conoscenza, ma al contempo dimostra una seria devozione ai precetti e agli insegnamenti ebraici. Terminate le elementari, il padre lo iscrive alla scuola umanistica, dove apprende i rudimenti della lingua greca e latina, ma il suo spirito critico e la monotonia delle lezioni, dopo tre anni, prendono il sopravvento per cui entra in contrasto con alcuni docenti, finendo nel loro libro nero. Eccelle in storia, in canto e nello sport, ricorderà sempre il suo docente di ginnastica “per avere abbattuto le distanze docente-discente senza perdere il nostro rispetto”.

 

A undici anni s’iscrive al Movimento degli Esploratori, ispirato agli Scout, ma con un “tocco militaresco”. Nel frattempo scopre che la sua identità ebraica non è ben vista e che esiste un brutto termine per indicare tale atteggiamento: razzismo. Ad aiutarlo in questa scoperta è un suo compagno che un giorno senza alcun motivo lo apostrofa: «dannato ebreo».

 

Ludwig non accetta l’epiteto e viene alle mani, per cui l’insegnante di storia li separa; a lui tocca un duro rimprovero, mentre al provocatore antisemita un’ora di cella. Nel 1914, tre giorni dopo lo scoppio della Prima  Guerra Mondiale, il padre, nonostante abbia 45 anni, età limite per l’arruolamento, corre al più vicino Distretto Militare per “fare la sua parte”. Altri parenti s’arruolano: il cugino Felix Bohm, pediatra in tempo di pace, diviene ufficiale e riceve la Croce di ferro di prima classe, mentre diversa sorte tocca ai suoi cugini Max Schafer, sposato e padre di due bambini, caduto nella battaglia della Somme, al diciottenne Hans Bobrecker perito a Passchendaele, in Belgio.

 

Nel 1916, anche il suo migliore amico, Walter Mohr, maggiore di un anno, viene chiamato alle armi e, un anno dopo, rimane vittima del gas mostarda. In questo periodo matura il desiderio di dedicarsi alla medicina, quasi, sicuramente, motivato dall’etica ebraica che pone la compassione e l’amore, insieme alla Tora alla base delle leggi del mondo. In particolare si dimostra interessato alla neurologia, la scienza che studia la cabina di regia delle nostre azioni e pensieri.

 

Per questo decide di entrare, in qualità di volontario, dei Servizi Medici di Emergenza Nazionale e assiste alla condanna a cui sono sottoposti tutti i pazienti affetti da paraplegia. Qualche giorno dopo, mentre visita un soldato greco ferito, affetto da febbre alta e da un’infezione alla gola, viene investito dalla sua tosse che lo contagia, per cui contrae la febbre e la parte destra del collo si gonfia. I medici decidono di operarlo e gli appongono, per favorire il drenaggio un tubo di vetro che non asportano, con la conseguenza che Ludwig deve nascondere mediante un fazzoletto.

 

Un anno dopo, nonostante tale menomazione, si presenta presso la sede del 156° Reggimento Fanteria, a Beuthen, e chiede di essere arruolato, ma l’ufficiale di picchetto accortosi della benda attorno al collo gli chiede spiegazioni e, apprese le vicissitudini sofferte, lo invita a tornarsene a casa concludendo: «abbiamo già abbastanza storpi da queste parti!».

 

Ludwig viene assalito dalla voglia di dimostrare che non è tale e pertanto s’iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Breslavia, capoluogo della Slesia. Qui segue le lezioni dei vari docenti, ma, nel 1918, viene contagiato dalla “febbre spagnola”, la pandemia del secolo, e per ironia della sorte gli viene rimosso il tubo. La sua degenza è affidata alle cure amorevoli della padrona di casa. Nel frattempo, nei cuori e nelle menti del popolo tedesco monta la rabbia per la sconfitta e si cercano i traditori che hanno colpito dall’interno la nazione, in breve vengono ritenuti colpevoli gli Ebrei. Tale situazione lo induce a dimostrare che non è un vigliacco e un nemico della Germania, per cui, nell’estate 1918, approfittando delle vacanze estive rientra a casa e s’iscrive nelle liste dei coscritti.

 

Qualche mese dopo giunge la cartolina precetto che lo invita a presentarsi il 9 novembre 1918 presso la sede del 6° Reggimento di Artiglieria, di stanza a Breslavia. Ludwig è contento e animato da buoni proposito, ignora che due giorni prima, su un vagone ferroviario, nei pressi di Compiegne, una delegazione prussiana ha accettato le dure condizioni di pace dei francesi. La guerra è finita e con questo la sua esperienza militare, dal momento che il Trattato impone un consistente ridimensionamento dei soldati.

 

Ludwig, nel 1919, si trasferisce presso l’Università di Friburgo, centro della Foresta Nera, vicina alla Francia e alla Svizzera, e vi rimane per due anni. Qui rimane vittima, per la seconda volta, del fastidioso morso del tarlo dell’antisemitismo che sta distruggendo le menti e le vite della popolazione tedesca. In particolare lo ferisce l’episodio riguardante la sfilata del suo gruppo studentesco ebraico denominato Ghibellina, in occasione della sfilata per ricordare i Caduti nella Grande Guerra.

 

Undici, dei cento, appartengono alla religione ebraica, per cui sono l’evidente testimonianza del ruolo che i suoi confratelli hanno avuto nella difesa della nazione tedesca. Di diverso avviso è il gruppo dei Marcomannia Abertia che non solo cerca di porre le distanze, ma richiamato provoca dei tafferugli, con conseguente intervento del Rettore.

 

Il 24 febbraio 1920 nasce il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori a cui aderisce Adolf Hitler e ben presto tale ideologia viene sposata dai giovani per cui non è raro vedere all’interno delle aule universitarie degli studenti che indossano la svastica, nonostante i richiami degli insegnanti.

 

Ludwig si dedica allo studio e nel tempo libero pratica scherma, inoltre conosce una collega di corso: Elsa Samuel che diventerà la sua compagna. Conseguita la laurea, con una tesi sul cancro alla trachea, rientra a Breslavia e trova lavoro presso l’ospedale cittadina in qualità di medico del reparto di medicina generale.

 

Il padre, come la maggioranza della popolazione, si ritrova a vivere una situazione economica difficile, tanto che è costretto a svendere la casa e l’attività. Ludwig non si scoraggia e cerca un incarico che possa offrirgli maggiori garanzie, per cui quando viene a conoscenza di un posto al reparto di neurologia e neurochirugia si precipita a chiedere un colloquio con il Primario, Otfried Foerster, famoso per aver curato Lenin quando ha avuto una paresi in seguito a un ictus. Il Primario lo ascolta e dopo aver valutato i titoli gli apre, dal 1 ottobre 1923, le porte del reparto.

 

Ludwig inizia a studiare, dietro suggerimento di Foerster, le ghiandole sudoripare e ne fa argomento della sua tesi di specializzazione e strumento per ottenere la cattedra presso la facoltà di Medicina. Non contento si specializza nell’elettrodiagnosi, metodo ritenuto idoneo per curare le patologie nervose e la poliomelite.

 

Il 1927 lo vede aver raggiunto una solida stabilità economica che lo spinge a convolare a nozze con Elsa. Pochi mesi dopo gli viene offerta la direzione di un’unità chirurgica specializzata presso l’ospedale psichiatrico di Friedrichsberg, nei pressi di Amburgo. Il nuovo incarico lo costringe a confrontarsi con ogni patologia, in particolare con l’epilessia, anche se il trattamento standard basato su dosi massicce di farmaci anticonvulsioni non lo convince e dopo attenta valutazione si rende conto che l’unica cosa che favoriscono è l’umore, per cui ricorre alla chirurgia conseguendo dei buoni risultati.

 

Nel frattempo viene raggiunto dalla notizia che il suo caro amico d’Infanzia Otto Schwab s’è suicidato dopo aver ucciso il figlio a seguito della disperazione sopravvenuta per la perdita della moglie a causa da febbre da parto. Ludwig ed Elsa sono in attesa del primogenito Dennis e il timore s’insinua nelle loro menti, inoltre al giovane direttore si offre la possibilità di recarsi a studiare presso l’Università di Boston per apprendere le tecniche utilizzate dal Neurochirurgo Harvey Cushing.

 

Ma il destino sta lavorando in senso avverso. Infatti una lettera del suo mentore ed ex primario, Foerster, giunge pochi giorni della partenza allo scopo di chiedergli rientrare a Breslavia per aiutarlo nel reparto in qualità di vice primario. Ludwig, dopo una lunga riflessione, decide di assecondare il cuore e di accettare la proposta.

 

Nel frattempo il Partito Nazionalsocialista ha vinto le elezioni e ottenuto un alto numero di seggi al Reichstag. Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler diviene il nuovo Cancelliere e proclama “agli ebrei non sarà torto un solo capello”, ma mente, infatti, due mesi dopo, il 30 marzo, rimuove gli appartenenti alla “razza ebraica” da ogni carica pubblica o professione, anticipando le leggi di Norimberga. Tra le vittime incredule v’è anche Ludwig che riceve, tramite lettera, la notizia che il suo contratto scadrà il 30 giugno di quell’anno.

 

Come tanti suoi colleghi si appella al Ministero, ma non ottiene risposta. Allora il Primario si reca a perorare la sua causa e ottiene la sospensione del licenziamento sino a quando non si troverà un idoneo sostituto. Ludwig ringrazia, ma rifiuta tale soluzione considerandola umiliante e inutile, per cui cerca altrove e trova impiego presso l’Ospedale Israelitico della città, mentre non prende in considerazione le proposte di abbandonare la nazione giunte da colleghi residenti in Portogallo e negli USA.

 

Il rullo compressore nazista avanza e, nel 1938, espelle gli ebrei polacchi, tra costoro v’è l’amico e collaboratore, Hans Hauptmann. Ludwig continua il suo lavoro e, addirittura, istituisce e presiede un’associazione medica ebraica che, a dispetto delle pressioni naziste, si ostina a pubblicare una rivista scientifica.

 

Il 1 gennaio 1936 entrano in vigore le leggi di Norimberga, per cui Ludwig, la sua famiglia e l’intera comunità ebraica divengono “dei fuorilegge e dei reietti”, a tutti i maschi viene imposto in aggiunta del proprio nome Israel e alle femmine Sara: sui documenti appare in rosso una grande J. Ludwig nonostante viva nell’angoscia, come tutti i suoi confratelli, per paura che “se ti bussano alla porta alle sei di mattina o è il lattaio o è la Gestapo”, si ostina nella sua attività. La comunità ebraica lo nomina Direttore Sanitario dell’Ospedale Israelitico.

 

Due anni dopo, nel mese di agosto, viene pubblicato un ulteriore divieto finalizzato a impedire che i medici ebrei possano curare ariani.Tale veto pero viene rimosso, allorquando, l’Ambasciatore del Guatemala, Dottor Urutia, in visita presso l’Ambasciata di Spagna, si sente male a seguito di una paraplegia dovuta a un tumore al midollo della spinale dorsale. Il Reich non può rischiare di fare una brutta figura all’estero e dal momento che l’unico dottore, altamente, specializzato è proprio Ludwig lo autorizza a curare la personalità.

 

A seguito di un intervento urgente e di un lungo periodo di degenza presso l’Ospedale Israelita, il Dottor Urutia si salva. Costui gli chiede come può pagarlo, ma Guttmann si schernisce dicendo che ha fatto solo il suo dovere, ma il diplomatico venuto a conoscenza della triste situazione degli ebrei, gli fa pervenire dei visti per lui e la sua famiglia, ma il medico decide di non approfittare dell’occasione, sperando di aver cambiato l’atteggiamento delle autorità naziste. Alcune settimane dopo si rende conto che si sbaglia, infatti, viene convocato dal Segretario Generale Nazista della Sanità per comunicargli che il personale dell’Ospedale dovrà ridursi a quattordici unità.

 

Ludwig fa ricorso a tutto il proprio coraggio per opporsi, non è possibile, dal momento che l’Ospedale serve l’intera Comunità ebraica, pari a circa ventunomila persone oltre a dei malati psichiatrici trasferiti d’imperio dalle autorità tedesche nella struttura. Inizia un lungo duello verbale tra i due uomini che si prolunga per otto ore, durante le quali il Dottor Guttmann riesce ad assegnare alcune stoccate e a parare gli attacchi consecutivi del suo avversario. Al termine il funzionario tedesco deve ammettere la sconfitta e ottiene alla fine la vittoria di poter contare su ottantaquattro posti e la garanzia di poter sostituire qualora si crei un vuoto.

 

Un'altra prova lo attende a seguito della “Notte dei Cristalli”, durante la quale accoglie ben sessantaquattro feriti, con la conseguenza che l’indomani un gruppo d’azione delle SS e alcuni ufficiali della Gestapo si presentano nel suo ufficio. L’economo gli telefona a casa dicendogli: «I gentiluomini sono arrivati!». Un modo ironico per indicare l’invasione dei barbari degli uffici e il bivaccare delle SS negli ambienti dell’Ospedale. Guttmann si precipita a lavoro preparandosi al peggio.

 

Non appena entra un ufficiale lo riconosce e lo saluta, con tono aggressivo, «Heil Hitler!« e gli chiede «mi hanno riferito che lei ha ordinato di ammettere i feriti di stanotte e che ascendono a sessantaquattro. Come spiega tutto questo?». Ludwig dichiara di aver, semplicemente, attuato il principio d’Ippocrate, ma l’ufficiale non lo ascolta e pretende che il Direttore giustifichi le singole ammissioni, per farlo controbatte il Direttore, deve confrontarsi con il personale medico di turno all’atto del ricovero.

 

L’ufficiale lo autorizza e, subito dopo, viene istituita una commissione composta dal Direttore e dai tedeschi, quest’ultimi privi di conoscenze mediche e di buon senso, ascoltano le dichiarazioni dei ricoverati. Nonostante le minacce e anche la schedatura, in vista della futura deportazione, Guttman riesce a conseguire una seconda vittoria: sessanta ricoverati rimangono, mentre quattro vengono cacciati come millantatori.

 

L’irritazione della Gestapo è alle stelle, per cui pochi giorni dopo tornano e arrestano alcuni elementi del personale e minacciano di arrestare anche Guttmann. Costui non si perde d’animo e decide di giocare secondo le loro regole e denuncia, anche se scettico, il comportamento della Polizia segreta tedesca al Presidente dell’Autorità Sanitaria. Contrariamente alle aspettative, alcuni giorno dopo, l’autorità preposta lo convoca e gli mostra una lettera, firmata Heinrich Himmler, comandante di tutte le forze dell’ordine del Reich, comprese la polizia politica e quella segreta, affermante che i medici arrestati e trattenuti a Buchenwald saranno liberati.

 

La terza vittoria consecutiva. Anche se passerà un mese abbondante perché riescano a rientrare a casa. Non è frutto di bontà o ravvedimento, ma solo opportunità, dal momento che il Dittatore portoghese, Antonio de Oliveira Salazar, e alleato del Terzo Reich chiede alle autorità di reperire il migliore neurologo per assistere il suo amico e medico, Almedia Dias. Nessuno sa che Ludwig conosce il paziente, essendo un neuropatologo.

 

Quando gli giunge l’ordine di partire per il Portogallo, Ludwig comprende che è un occasione da non perdere, per cui accetta e giunge, insieme alla sua famiglia, a Lisbona. Quando scende dalla nave, ad attenderlo vi sono molti medici che lo conoscono e stimano la sua bravura. Uno di questi nello stringergli la mano gli dice: «Grazie a Dio lei non è stato deportato in un campo di concentramento!». Ludwig solleva il cappello e mostra la capigliatura e con l’autoironia ebraica risponde: «Come vede non mi hanno ancora tosato».

 

Immediatamente si reca dal suo paziente e collega, accerta le condizioni di salute e decide di non operarlo, ma di ricorrere a cure meno invasive. Nel frattempo viene sommerso da varie offerte di lavoro da varie nazioni, ma Ludwig rifiuta, anche se la libertà lo spinge a pensare di fuggire. Per cui contatta la Society for the Protection of Science and Learning, un’organizzazione britannica sorta per aiutare gli accademici a sfuggire al regime nazista e a cui si rivolge e ottiene dei visti per recarsi in Gran Bretagna.

 

Prima di rientrare in Germania, passa per l’Inghilterra, e vi si ferma tre gironi, durante i quali prende contatti per evadere dal pericolo nazista. Infatti, alcune settimane dopo il suo rientro viene richiamato, ufficialmente, per partecipare a un convegno, in realtà per permettergli la fuga. Ludwig delega l’organizzazione del viaggio alla moglie, ma l’amministrazione tedesca subodora e impone un controllo doganale. Per cui, l’8 marzo 1939, bussa alla sua porta un funzionario doganale bonario e traspira simpatia, si presenta senza accennare al rituale saluto nazista e chiede il permesso di controllare il bagaglio.

 

Dopo pochi minuti gli confessa che non condivide la politica del Fuhrer e che fino a quando ha potuto ha avuto un medico ebreo. Quindi gli confida che soffre di dolori alla schiena a seguito di un incidente e gli chiede un consulto. Nonostante la situazione, Guttman teme una trappola e gli ricorda che non può, ma l’uomo gli dice che confida nelle sue competenze. Alla fine l’etica ha il sopravvento sulla paura dell’uomo e lo visita prescrivendogli una cura. In cambio l’uomo non controlla niente, anzi quando il capo ufficio sopraggiunge, nel pomeriggio per verificare, l’uomo gli dice che tutto è in ordine e che non c’è niente d’irregolare. La sera il funzionario va via e gli dice che tornerà domani con un collega, secondo la procedura, per controllare la cassa e i bagagli a mano, ma gli lascia intendere che non gli chiederà le chiavi della stanza dove sono posti i bagagli per cui se vuole nascondere nei pacchi sigillati effetti personali può farlo. Quindi con le lacrime agli occhi lo saluta.

 

A Parigi il dottor Guttman incontra l’Ambasciatore Urutia, il diplomatico assistito a Breslavia, e gli offre dei soldi, Ludwig non vorrebbe, ma l’insistenza e la poca chiarezza del futuro lo determinano ad accettare. Non appena giunto a Londra, chiede la conversione del suo permesso di soggiorno in permanente e ottiene grazie alla Society for the Protection of Science and Learning la somma di duecentocinquanta sterline, equivalente a diecimila odierne, che gli consentono di stabilirsi a Oxford, ospite del baronetto scozzese Sandie Lindsay, Master del Balliol College.

 

I suoi due figli Eva e Dennis nel giro di tre mesi apprendono la nuova lingua, mentre per i genitori diviene un incubo, ma anche questa prova lo aiuta a comprendere meglio i disturbi dell’apprendimento delle lingue.

 

Il 13 maggio 1940 Wiston Churchill parla alla nazione e annuncia: «Io vi prometto sangue, fatica, lacrime e sudore» è la guerra, nell’estate Hitler ordina di martellare la Gran Bretagna, unico baluardo alla sua avanzata, con la Luftwaffe, ne consegue la guerra dei cieli passata alla storia con il nome “guerra dei cieli”.

 

Guttmann trova lavoro presso l’Infermeria Radcliffe e l’Ospedale militare collocato al St. Hugh’s College, mentre la moglie si da fare nell’eseguire lavori di cucitura di vestiti e anche dirige un centro per ebrei rifugiati. Guttmann si trova bene nell’ambiente universitario perché refrattario alla propaganda nazista, a differenza ha fatto breccia. Nessuno all’Università è disposto a credere alle buone intenzioni del Führer.

 

Ed eccolo ora all’Ospedale di Stoke Mandeville. Il “Pope” come viene soprannominato per il suo atteggiamento di grande padre sia nei confronti dei malati che dei collaboratori, a poche settimane del suo arrivo opera per incrementare lo staff. Dopo lunghe richieste, riesce a operare per incrementare lo staff dell otto anziane infermiere, distaccate dall’Esercito, di sole due unità: Miss Merchant e Miss Buller. Inoltre ha assunto una segretaria: Miss Miss Joan Scruton. È deciso a vincere la sua battaglia e a non vedere morire dei suoi pazienti, i peggiori nemici contro cui dovrà lottare sono le piaghe da decubito e le infezioni urinarie. Per riuscire ordina di verificare, costantemente, che le bottiglie dell’urina siano svuotate, mentre ordina che i malati siano girati ogni due ore dalla posizione supina a quella prona o sul fianco.

 

I risultati non tardano ad arrivare, ma s’accorge che i letti in gesso in letto provocano abrasioni ai pazienti, per cui ordina di gettarli nell’immondizia e di sostituirli con montagne di cuscini. Quindi si rivolge agli uffici militari e inizia a richiedere dosi, sempre maggiori, di penicillina.

 

Per non sottoporre i figli a un nuovo cambiamento, decide che rimangano a Oxford e si sottopone a lunghe ore in corriera, ogni fine settimana, per rivederli e riabbracciarli.

Durante il viaggio pensa ai suoi giovani pazienti e si chieda cosa può fare per sollevarli dalla loro sofferenza morale, dal momento che questo nemico è più subdolo e difficile da sconfiggere ed ecco che un giorno ascoltando uno di loro ha un illuminazione: “la loro rabbia dovrà aiutarli a riscattarsi e a ricostruirsi”.

 

Inizia a dimezzare i sedativi, perché accettino il dolore e apprendano il valore della sopportazione, e poi li costringe a star seduti sui letti. Ben presto si rende conto che tale posizione li deprime, poiché si rendono conto che non possono far niente, per cui inizia a occuparli a lanciare e prendere una palla. Vede i loro volti carichi di rabbia e di disperazione, ha rovesciato il percorso della fisioterapia non più il paziente passivo, ma attivo e protagonista della sua guarigione.

 

Ben presto a Stoke Mandeville risuona come un mantra la frase: «Non c’è un dannato momento per essere malati in questo dannato posto!». Il suo atteggiamento non viene condiviso dai colleghi e dalle infermiere convinti che Guttmann insegua sogni di gloria per sé e non per il bene dei malati, e un bel giorno uno sbotta e gli grida: «Quei pazienti sono degli storpi, dei moribondi. Te ne sei reso conto? Chi credi che siano?». Guttmann gli risponde con orgoglio e convinzione: «Loro sono il meglio degli uomini!».

 

I risultati arrivano e anche i piani alti della Sanità Militare Britannica decidono di dargli fiducia per cui il Centro diviene esempio a livello nazionale e internazionale del riscatto dei malati. Alla fine del 1944 Ludwig tenta una mossa ambiziosa, sei soldati paralizzati e riabilitati sono offerti a un’azienda come operai e, contro ogni previsione, divengono degli operai modello.

 

In breve l’ospedale subisce delle trasformazioni e un ampliamento per poter aumentare la sua ricettività e Guttmann tiene delle lezioni sul modus operandi a tutto il personale, ma ogni mese li riunisce al Bull’s Head, il pub più antico della zona, per smorzare tra un boccale di birra e un calice di vino le tensioni e le frizioni nate nell’ambiente di lavoro. Guttmann è convinto che il lato umano è fondamentale per curare ed essere curati. Ogni 1° febbraio viene istituito il genetliaco dell’anniversario della creazione del centro.

 

In quel giorno i pazienti e il personale medico trascorrono insieme una giornata, non come pazienti e operatori, ma come amici, come persone che insieme stanno lottando contro i limiti della malattia. Tutto questo non soddisfa il dottor Guttmann, per cui decide di ricorrere allo sport come strumento di redenzione dei suoi pazienti.

 

Ed ecco che i suoi giovani iniziano a potenziare gli arti superiori non lesionati, ma anche la mente, poiché non ci può essere riabilitazione senza una buona predisposizione mentale. I giochi praticati sono i seguenti: il palleggio, le freccette, i birilli, il tennis da tavolo, il tiro con l’arco, il biliardo e il basket in carrozzina.

 

Non contento ne inventa uno nuovo, praticabile sulla sedia a rotelle, e consistente nel contendersi un disco di legno usando un bastone, qualcosa di simile al polo. Ben presto i suoi pazienti diventano degli ottimi atleti, per cui decide di iniettare del coraggio e della forza d’animo tramite una gara con persone sane, quale il personale medico. A vincere sono i pazienti. La vittoria diventa una lezione anche per i dipendenti, dal momento che quest’ultimi hanno imparato e compreso tramite l’empatia le difficoltà che devono subire ogni giorno. Da quel giorno il consenso aumenta, il clima familiare si somma a una fiducia condivisa nei suoi metodi alternativi.

 

Nel 1947 Guttman riporta i suoi risultati sulla rivista “Il midollo” riportando le esperienze di due soldati: David Chard rimasto ferito sul fronte italiano, mentre Reg Townsend sul suo francese, subito dopo lo sbarco in Normandia. Townsend conclude la sua testimonianza: «Non raccomanderei a nessuno la paraplegia come carriera, ma se ti arriva addosso c’è un solo posto dove andare e lì troverai la squadra migliore del mondo, guidata fin dagli albori dalla stessa persona è Stoke Mandeville».

 

La guerra è terminata, si ritorna alla vita, per cui, nel 1948, vengono indette le Olimpiadi e assegnata la fiaccola alla città di Londra, l’idea piace a Ludwig che organizza una piccola gara di tiro con l’arco con i suoi atleti. Per cui, mentre , il 28 luglio 1948, nella capitale inglese si svolge la cerimonia di apertura della manifestazione dei giochi alla presenza del Re Giorgio VI e della futura Elisabetta II accompagnati dal vincitore morale della guerra, Winston Churchill, a sessanta chilometri il dottor Guttmann schiera nel cortile di un piccolo ospedale quattordici uomini e due donne.

 

I bersagli si trovano a settanta metri, una distanza siderale se la guardi da una sedia a rotelle, non appena il giudice dà il via, gli archi si tendono all’unisono col respiro e i bersagli non sembrano più così lontani, se due occhi affettuosi ti guardano come per dirti: «Coraggio, ce la puoi fare, sono qui alle tue spalle e non ti abbandonerò mai».

 

Le mani sono ferme, la mira precisa. I dardi, non appena scagliati, fischiano nell’aria verso il bersaglio e, anche se non tutti vanno a segno, ogni atleta ha vinto la sua gara con la malattia e con la paura di non farcela. La notizia rimbalza nei pub e su tutte le bocche, per cui Ludwig decide di replicare l’esperimento ogni estate.

 

Nella seconda edizione il numero degli atleti ascende a sessanta, due anni, più tardi, conta centoventisei sportivi. Oltre ad aumentare il numero di disabili, aumenta, in maniera proporzionale, anche la fama di tale evento. Unico neo, mancano i finanziamenti, per cui la figlia di Ludwig, Elsa, si adatta a fare un po’ di tutto: estrarre le frecce dai bersagli dopo i tiri e servire la birra nel party che accompagna le gare.

 

Nel 1952 alla manifestazione si uniscono anche dei reduci di guerra provenienti dalla clinica di Aardenburg, nei Paesi Bassi. Nel discorso di apertura, pronunciato davanti a un centinaio di tetraplegici e paraplegici, Guttmann auspica che i giochi divengano un giorno popolari quanto le Olimpiadi.

 

Nasce l’International Stoke Mandeville Games Federation e l’iscrizione è aperta solo ai

disabili. Nel 1953 le nazioni partecipanti ascendono a sei: Regno Unito, Paesi Bassi, Canada, la Francia, la Finlandia e Israele, l’anno successive le bandiere nazionali ascendono a quattordici. Nel 1954, arriva una delegazione statunitense, grazie all’impegno economico assunto dalla Pan American Airlines.

 

L’incremento dei partecipanti determina il Dottor Guttmann a dar vita, insieme al Comitato dei giochi, al Regolamento, successivamente più volte ritoccato, con il graduale ingresso di nuovi sport, ma resta il documento di base dal quale partire e che definisce gli standard per ciascun tipo di gara. Inoltre viene individuato un nuovo campo da gioco, per cui si abbandona il prato di fronte all’ospedale si passa alle spalle della struttura ove sono realizzati appositi capannoni e viene costituito un Fondo di sostegno, nel quale confluiscono offerte di privati e associazioni benefiche.

 

Ludwig coltiva il sogno di far partecipare i suoi ragazzi alle Olimpiadi e, nel 1956, con il Comitato organizzatore assegna la prestigiosa Coppa Fearnley ai Giochi Internazionali di Stoke Mandeville, per «l’eccezionale risultato nella promozione degli ideali olimpici». È un riconoscimento straordinario che premia l’impegno di Guttmann, ma è solo l’inizio. Infatti il desiderio di far partecipare i paraplegici di Guttmann alle Olimpiadi viene raccolto dal medico italiano Antonio Maglio, nato al Cairo, laureato in medicina all’Università di Bari, è un medico dell’INAIL, e, nel 1956, decide di recarsi ad assistere ai Giochi di Stoke Mandeville e reitera la cosa ogni anno.

 

Ma desidera fare di più, per cui non appena diviene direttore del Centro paraplegici “Villa Marina” di Ostia introduce le attività sportive del suo collega riscontrando una diminuzione considerevole degli stati di mortalità e degli stati depressivi.

 

Nel 1958 scrive a Guttmann e gli comunica che nel 1960 le Olimpiadi si terranno a Roma e gli propone di far partecipare i “loro ragazzi”, grazie agli agganci e conoscenze del Comitato Sportivo. Per Guttmann è un sogno che si avvera e, lì per lì, non riesce a crederci e chiede al collega affinché perori la richiesta di far ospitare i loro atleti all’interno del villaggio olimpico. I due lavorano a stretto contatto e, il 25 agosto, data fissata per la cerimonia di apertura, quattrocento disabili, provenienti da ventitre paesi diversi sfilano in tuta ginnica davanti a cinquemila spettatori.

 

La delegazione più nutrita è quella italiana, che veste le maglie dell’INAIL, fornite da Antonio Maglio. Gli atleti gareggeranno oltre agli sport, in precedenza accennati, anche nel lancio del giavellotto, nella scherma, nella pallacanestro, nel biliardo e nel tennis da tavolo. Purtroppo gli alloggi mancano di scivoli per l’accesso, sul momento il problema sembra insormontabile, ma grazie a un gruppo di soldati, presenti a collaborare nei servizi d’ordine, le carrozzine vengono aiutate a superare le scale e da quel momento quei ragazzi diventano il servizio d’ordine di quegli atleti.

 

Il presidente Giovanni Gronchi riceve gli atleti e anche il Papa “buono” gli concede udienza ricordando quand’era cappellano e sergente, durante la prima guerra mondiale, nella Sanità. Da questo momento, i disabili partecipano alle Olimpiadi.

 

Nel 1964 è la volta di Tokyo, Ludwig accompagna la sua squadra e sfila dinanzi al principe imperiale Akihito e alla principessa Mikiko. Un solo italiano è presente, il friulano Roberto Marson, futuro presidente del Comitato paraolimpico nazionale. I giapponesi rivedono il loro modo di vedere i paraplegici e sei mesi dopo i giochi, sull’isola di Honshu sorge una fabbrica che impiega solo operai con disabilità.

 

Quattro anni il numero degli atleti disabili che sfila a Gerusalemme ascende a settecentocinquanta unità appartenenti a ventinove paesi. Per la prima volta vengono ammessi il gioco delle bocce e del basket femminile. Guttman l’anno prima s’è dimesso da Direttore del Centro di Stoke Mandeville, ma non ha abbandonato i suoi atleti e ha raccolto dei fondi per realizzare nei pressi del centro riabilitativo uno stadio, allo scopo di accogliere le edizioni annuali dei giochi.

 

Nel 1972 le Olimpiadi si svolgono a Monaco di Baviera, in Germania, le Olimpiadi del riscatto per il popolo tedesco e per coloro che hanno subito delle offese dall’ex regime nazista, ma sono funestate dal sequestro della squadra israeliana da parte del gruppo terroristico “ Settembre Nero”. L’intervento delle forze di polizia tedesche si conclude con l’uccisione degli ostaggi, di un agente e di cinque terroristi. Gli altri adepti di Settembre Nero saranno braccati ovunque dal Mossad con l’operazione “Collera di Dio” ordinata da Golda Meir, come racconta il film Munich diretto da Steven Spielberg.

 

Guttmann rimane sconvolto dalla notizia, ma continua a occuparsi del Centro sportivo internazionale per i disabili. È l’impegno che gli terrà compagnia per il resto della vita. In quel ruolo continua a seguire le edizioni annuali dei Giochi e le quadriennali, legate a filo doppio alle Olimpiadi.

 

Nel 1976 è la volta di Toronto, nel Canada. Gli atleti disabili sono un migliaio e mezzo, le donne ammontano a un sesto dei componenti. Ci sono varie innovazioni. Si affermano le gare per i ciechi, è introdotto il tiro a segno. Quattro anni più tardi tocca ai Paesi Bassi, che realizzano l’evento nella città di Arnhem sul Reno. Nell’occasione si pongono le basi per il Comitato Internazionale Paralimpico, l’organo di governo dei Giochi tuttora in funzione.

 

Ad Arnhem gareggiano oltre duemila atleti con disabilità. La campionessa di nuoto californiana Trischa Zorn, cieca dalla nascita, è l’astro nascente. Con cinquantacinque medaglie in sette edizioni, di cui quarantuno d’oro, diverrà la più forte di sempre.

 

Ma a quell’appuntamento Ludwig risulta assente perché qualche mese prima il suo cuore da campione è stato attaccato da un infarto. È un ottantunenne pieno di entusiasmo e amore per la vita quello che il 18 marzo 1980 ritorna alla terra, nel suolo inglese che ha conosciuto il suo impegno incessante.

 

Non farà in tempo ad assistere all’inaugurazione del Villaggio Olimpico di Stoke Mandeville, che sarà completato l’anno successivo. Ludwig riceve una serie di cariche e riconoscimenti, tra cui il titolo di Sir e di Commendatore e Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Invece mantiene fino alla morte la carica di presidente dell’Associazione sportiva britannica per i disabili, ottenuta nel 1960. Tutti onori non cercati e non voluti, non ha cercato la gloria, non ha perseguito un profitto personale, ha condotto un’esistenza priva di ogni sfarzo. La sua parabola può essere racchiusa nella frase del profeta Michea: «Praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio».

 

Nel 1980, in occasione dei giochi di Stoke Mandeville, il figlio Dennis Guttmann pronuncia il seguente discorso di apertura: «Vedo di fronte a me i ranghi delle atlete e degli atleti schierati sul campo» – aggiunge – «Metto da parte il testo che avevo preparato e vi dico una cosa soltanto: siete voi il suo memoriale!».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Alexander Lori, A Sporting Chance. How Ludwig Guttmann Created the Paralympic Games, Clarion Books 2020.

Goodman Susan, Spirit of Stoke Mandeville: The Story of Sir Ludwig Guttmann, 1986 London.

Medawar Jean, Pyke David, Hitler’s Gift. The True Story of the Scientists Expelled by the Nazi Regime, Arcade Publishing, New York 2021.

Scruton Joan, Stoke Mandeville. Road to the Paralympics, The Peterhouse Press, Aylesbury 1988.

Ricciardi Roberto, Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi, La Giuntina, Firenze 2021.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]