storia & sport
SU LUDWIG GUTTMANN
STORIA DELL’UOMO CHE CREò LE
PARAOLIMPIADI
di Stefano Coletta
Un uomo guarda fuori dalla finestra
verso le colline, ha lo sguardo perso
nei suoi pensieri, quando
improvvisamente la voce di un’infermiera
affacciatesi alla porta lo riporta alla
realtà: «Dottor Guttmann, le
ambulanze sono ai cancelli!».
L’uomo si scuote e si dirige verso la
porta d’ingresso, da dove assiste alla
lenta processione di ambulanze lungo le
strade sterrate di Stoke Mandeville,
villaggio di sole mille anime, situato a
cinquanta miglia da Londra, nel
Buckinghamshire. L’ospedale è stato
istituito, nel 1940, a seguito della
Guerra dei cieli per accogliere, insieme
ad altre strutture decentrate i feriti
degli scontri. Il dottor Ludwig Guttmann
è giunto in qualità di Direttore della
struttura tre anni più tardi. Fino a
quel momento ha ricoperto la carica di
medico presso l’Infermeria Radcliffe e
l’Ospedale militare approntato presso il
St. Hugh’s College. In realtà non è un
medico qualunque ha un passato ricco di
esperienze e di studi riguardo le
ghiandole sudoripare e il sistema
neurologico.
Nel marzo del 1943 viene convocato dal
suo superiore, Hugh Cairns, convinto
sostenitore della rigenerazione nervosa,
e vi trova anche il Dottor Riddoch,
Generale di Brigata e capo del Servizio
neurologico dell’Esercito britannico,
che gli chiede: «Dobbiamo aprire una
nuova unità spinale. Vuoi occupartene?».
Il Dottor Guttmann sgrana gli occhi e
sprizza felicità da ogni poro e chiede:
«Quando si comincia, oggi o domani?».
Purtroppo dovrà attendere sino al 1
febbraio dell’anno successivo, quando
finalmente raggiunge il piccolo borgo e
si ritrova dinanzi un mucchio di giovani
feriti e con danni alla colonna
vertebrali. Per la maggioranza di loro è
stato annotato nella cartella clinica
“si trovano in una condizione che non
può essere trattata”. Ma Ludwig, non
accetta l’idea. Quel giorno è tornato
indietro con la memoria è ha ricordato
quando, volontario a Breslavia,
frequentava l’ospedale e gli si era
presentato un giovane minatore nelle
medesime condizioni, e l’infermiere di
turno gli aveva detto: «Gli rimangono al
massimo quattro settimane di vita”.
Non voleva crederci, ma osservando come
il corpo era stato assalito dalle piaghe
da decubito e dalle infezioni urinarie,
pur sapendo bene quanto scritto nelle
cartelle fosse vero, ma non vuole
accertarlo come medico e non vuole
essere colui che allieva il dolore con
delle dosi di morfina. Il suo compito,
secondo il Giuramento di Ippocrate, è
preservare la vita, non accompagnare
alla morte. Il Dottor Ludwig Guttman ha
imparato fin da piccolo a lottare e ha
appreso dalla vita che non si può e non
si deve mai accettare il destino in
maniera scontata e ineluttabile.
La sua storia inizia in una calda
giornata di luglio, per gli amanti delle
date il 3 luglio 1899, sotto l’influenza
del numero 1 che gli predestina di
essere un uomo che riuscirà a
trasformare i sogni e le proprie idee in
realtà. Suo padre, Bernhard Guttmann, è
titolare di una distilleria, mentre la
madre Dorothea Weissenburg, è casalinga.
Entrambi si augurano, come tutti i
genitori, che il figlio abbia un futuro
radioso, mentre accolgono la
“processione” dei parenti, nella loro
casa di Toszek, nel Voivodato della
Slesia, venuti a rallegrarsi per la
nascita del primogenito. Primogenito e
unico maschio, infatti, negli anni a
seguire la coppia sarà allietata da tre
femmine.
Nel 1902 la famiglia si trasferisce
nella città di Chorzów, un centro
minerario non lontano dalla città
natale, all’epoca porta la denominazione
tedesca Königshütte, cioè “la capanna
del re”, sede del primo ospedale al
mondo istituito per curare gli incidenti
sul lavoro, pochi anni dopo diverrà,
famosa, per essere sede di un sottocampo
del rinomato Auschwitz. Quasi che il
destino gli volesse preannunciare gli
eventi che caratterizzeranno la sua
vita.
Il piccolo Ludwig trascorre la sua
infanzia a sfamare la sua curiosità con
ogni tipo di conoscenza, ma al contempo
dimostra una seria devozione ai precetti
e agli insegnamenti ebraici. Terminate
le elementari, il padre lo iscrive alla
scuola umanistica, dove apprende i
rudimenti della lingua greca e latina,
ma il suo spirito critico e la monotonia
delle lezioni, dopo tre anni, prendono
il sopravvento per cui entra in
contrasto con alcuni docenti, finendo
nel loro libro nero. Eccelle in storia,
in canto e nello sport, ricorderà sempre
il suo docente di ginnastica “per avere
abbattuto le distanze docente-discente
senza perdere il nostro rispetto”.
A undici anni s’iscrive al Movimento
degli Esploratori, ispirato agli Scout,
ma con un “tocco militaresco”. Nel
frattempo scopre che la sua identità
ebraica non è ben vista e che esiste un
brutto termine per indicare tale
atteggiamento: razzismo. Ad aiutarlo in
questa scoperta è un suo compagno che un
giorno senza alcun motivo lo apostrofa:
«dannato ebreo».
Ludwig non accetta l’epiteto e viene
alle mani, per cui l’insegnante di
storia li separa; a lui tocca un duro
rimprovero, mentre al provocatore
antisemita un’ora di cella. Nel 1914,
tre giorni dopo lo scoppio della Prima
Guerra Mondiale, il padre, nonostante
abbia 45 anni, età limite per
l’arruolamento, corre al più vicino
Distretto Militare per “fare la sua
parte”. Altri parenti s’arruolano: il
cugino Felix Bohm, pediatra in tempo di
pace, diviene ufficiale e riceve la
Croce di ferro di prima classe, mentre
diversa sorte tocca ai suoi cugini Max
Schafer, sposato e padre di due bambini,
caduto nella battaglia della Somme, al
diciottenne Hans Bobrecker perito a
Passchendaele, in Belgio.
Nel 1916, anche il suo migliore amico,
Walter Mohr, maggiore di un anno, viene
chiamato alle armi e, un anno dopo,
rimane vittima del gas mostarda. In
questo periodo matura il desiderio di
dedicarsi alla medicina, quasi,
sicuramente, motivato dall’etica ebraica
che pone la compassione e l’amore,
insieme alla Tora alla base delle leggi
del mondo. In particolare si dimostra
interessato alla neurologia, la scienza
che studia la cabina di regia delle
nostre azioni e pensieri.
Per questo decide di entrare, in qualità
di volontario, dei Servizi Medici di
Emergenza Nazionale e assiste alla
condanna a cui sono sottoposti tutti i
pazienti affetti da paraplegia. Qualche
giorno dopo, mentre visita un soldato
greco ferito, affetto da febbre alta e
da un’infezione alla gola, viene
investito dalla sua tosse che lo
contagia, per cui contrae la febbre e la
parte destra del collo si gonfia. I
medici decidono di operarlo e gli
appongono, per favorire il drenaggio un
tubo di vetro che non asportano, con la
conseguenza che Ludwig deve nascondere
mediante un fazzoletto.
Un anno dopo, nonostante tale
menomazione, si presenta presso la sede
del 156° Reggimento Fanteria, a Beuthen,
e chiede di essere arruolato, ma
l’ufficiale di picchetto accortosi della
benda attorno al collo gli chiede
spiegazioni e, apprese le vicissitudini
sofferte, lo invita a tornarsene a casa
concludendo: «abbiamo già abbastanza
storpi da queste parti!».
Ludwig viene assalito dalla voglia di
dimostrare che non è tale e pertanto
s’iscrive alla Facoltà di Medicina e
Chirurgia di Breslavia, capoluogo della
Slesia. Qui segue le lezioni dei vari
docenti, ma, nel 1918, viene contagiato
dalla “febbre spagnola”, la pandemia del
secolo, e per ironia della sorte gli
viene rimosso il tubo. La sua degenza è
affidata alle cure amorevoli della
padrona di casa. Nel frattempo, nei
cuori e nelle menti del popolo tedesco
monta la rabbia per la sconfitta e si
cercano i traditori che hanno colpito
dall’interno la nazione, in breve
vengono ritenuti colpevoli gli Ebrei.
Tale situazione lo induce a dimostrare
che non è un vigliacco e un nemico della
Germania, per cui, nell’estate 1918,
approfittando delle vacanze estive
rientra a casa e s’iscrive nelle liste
dei coscritti.
Qualche mese dopo giunge la cartolina
precetto che lo invita a presentarsi il
9 novembre 1918 presso la sede del 6°
Reggimento di Artiglieria, di stanza a
Breslavia. Ludwig è contento e animato
da buoni proposito, ignora che due
giorni prima, su un vagone ferroviario,
nei pressi di Compiegne, una delegazione
prussiana ha accettato le dure
condizioni di pace dei francesi. La
guerra è finita e con questo la sua
esperienza militare, dal momento che il
Trattato impone un consistente
ridimensionamento dei soldati.
Ludwig, nel 1919, si trasferisce presso
l’Università di Friburgo, centro della
Foresta Nera, vicina alla Francia e alla
Svizzera, e vi rimane per due anni. Qui
rimane vittima, per la seconda volta,
del fastidioso morso del tarlo
dell’antisemitismo che sta distruggendo
le menti e le vite della popolazione
tedesca. In particolare lo ferisce
l’episodio riguardante la sfilata del
suo gruppo studentesco ebraico
denominato Ghibellina, in occasione
della sfilata per ricordare i Caduti
nella Grande Guerra.
Undici, dei cento, appartengono alla
religione ebraica, per cui sono
l’evidente testimonianza del ruolo che i
suoi confratelli hanno avuto nella
difesa della nazione tedesca. Di diverso
avviso è il gruppo dei Marcomannia
Abertia che non solo cerca di porre le
distanze, ma richiamato provoca dei
tafferugli, con conseguente intervento
del Rettore.
Il 24 febbraio 1920 nasce il Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei
Lavoratori a cui aderisce Adolf Hitler e
ben presto tale ideologia viene sposata
dai giovani per cui non è raro vedere
all’interno delle aule universitarie
degli studenti che indossano la
svastica, nonostante i richiami degli
insegnanti.
Ludwig si dedica allo studio e nel tempo
libero pratica scherma, inoltre conosce
una collega di corso: Elsa Samuel che
diventerà la sua compagna. Conseguita la
laurea, con una tesi sul cancro alla
trachea, rientra a Breslavia e trova
lavoro presso l’ospedale cittadina in
qualità di medico del reparto di
medicina generale.
Il padre, come la maggioranza della
popolazione, si ritrova a vivere una
situazione economica difficile, tanto
che è costretto a svendere la casa e
l’attività. Ludwig non si scoraggia e
cerca un incarico che possa offrirgli
maggiori garanzie, per cui quando viene
a conoscenza di un posto al reparto di
neurologia e neurochirugia si precipita
a chiedere un colloquio con il Primario,
Otfried Foerster, famoso per aver curato
Lenin quando ha avuto una paresi in
seguito a un ictus. Il Primario lo
ascolta e dopo aver valutato i titoli
gli apre, dal 1 ottobre 1923, le porte
del reparto.
Ludwig inizia a studiare, dietro
suggerimento di Foerster, le ghiandole
sudoripare e ne fa argomento della sua
tesi di specializzazione e strumento per
ottenere la cattedra presso la facoltà
di Medicina. Non contento si specializza
nell’elettrodiagnosi, metodo ritenuto
idoneo per curare le patologie nervose e
la poliomelite.
Il 1927 lo vede aver raggiunto una
solida stabilità economica che lo spinge
a convolare a nozze con Elsa. Pochi mesi
dopo gli viene offerta la direzione di
un’unità chirurgica specializzata presso
l’ospedale psichiatrico di
Friedrichsberg, nei pressi di Amburgo.
Il nuovo incarico lo costringe a
confrontarsi con ogni patologia, in
particolare con l’epilessia, anche se il
trattamento standard basato su dosi
massicce di farmaci anticonvulsioni non
lo convince e dopo attenta valutazione
si rende conto che l’unica cosa che
favoriscono è l’umore, per cui ricorre
alla chirurgia conseguendo dei buoni
risultati.
Nel frattempo viene raggiunto dalla
notizia che il suo caro amico d’Infanzia
Otto Schwab s’è suicidato dopo aver
ucciso il figlio a seguito della
disperazione sopravvenuta per la perdita
della moglie a causa da febbre da parto.
Ludwig ed Elsa sono in attesa del
primogenito Dennis e il timore s’insinua
nelle loro menti, inoltre al giovane
direttore si offre la possibilità di
recarsi a studiare presso l’Università
di Boston per apprendere le tecniche
utilizzate dal Neurochirurgo Harvey
Cushing.
Ma il destino sta lavorando in senso
avverso. Infatti una lettera del suo
mentore ed ex primario, Foerster, giunge
pochi giorni della partenza allo scopo
di chiedergli rientrare a Breslavia per
aiutarlo nel reparto in qualità di vice
primario. Ludwig, dopo una lunga
riflessione, decide di assecondare il
cuore e di accettare la proposta.
Nel frattempo il Partito
Nazionalsocialista ha vinto le elezioni
e ottenuto un alto numero di seggi al
Reichstag. Il 30 gennaio 1933 Adolf
Hitler diviene il nuovo Cancelliere e
proclama “agli ebrei non sarà torto un
solo capello”, ma mente, infatti, due
mesi dopo, il 30 marzo, rimuove gli
appartenenti alla “razza ebraica” da
ogni carica pubblica o professione,
anticipando le leggi di Norimberga. Tra
le vittime incredule v’è anche Ludwig
che riceve, tramite lettera, la notizia
che il suo contratto scadrà il 30 giugno
di quell’anno.
Come tanti suoi colleghi si appella al
Ministero, ma non ottiene risposta.
Allora il Primario si reca a perorare la
sua causa e ottiene la sospensione del
licenziamento sino a quando non si
troverà un idoneo sostituto. Ludwig
ringrazia, ma rifiuta tale soluzione
considerandola umiliante e inutile, per
cui cerca altrove e trova impiego presso
l’Ospedale Israelitico della città,
mentre non prende in considerazione le
proposte di abbandonare la nazione
giunte da colleghi residenti in
Portogallo e negli USA.
Il rullo compressore nazista avanza e,
nel 1938, espelle gli ebrei polacchi,
tra costoro v’è l’amico e collaboratore,
Hans Hauptmann. Ludwig continua il suo
lavoro e, addirittura, istituisce e
presiede un’associazione medica ebraica
che, a dispetto delle pressioni naziste,
si ostina a pubblicare una rivista
scientifica.
Il 1 gennaio 1936 entrano in vigore le
leggi di Norimberga, per cui Ludwig, la
sua famiglia e l’intera comunità ebraica
divengono “dei fuorilegge e dei
reietti”, a tutti i maschi viene imposto
in aggiunta del proprio nome Israel e
alle femmine Sara: sui documenti appare
in rosso una grande J. Ludwig nonostante
viva nell’angoscia, come tutti i suoi
confratelli, per paura che “se ti
bussano alla porta alle sei di mattina o
è il lattaio o è la Gestapo”, si ostina
nella sua attività. La comunità ebraica
lo nomina Direttore Sanitario
dell’Ospedale Israelitico.
Due anni dopo, nel mese di agosto, viene
pubblicato un ulteriore divieto
finalizzato a impedire che i medici
ebrei possano curare ariani.Tale veto
pero viene rimosso, allorquando,
l’Ambasciatore del Guatemala, Dottor
Urutia, in visita presso l’Ambasciata di
Spagna, si sente male a seguito di una
paraplegia dovuta a un tumore al midollo
della spinale dorsale. Il Reich non può
rischiare di fare una brutta figura
all’estero e dal momento che l’unico
dottore, altamente, specializzato è
proprio Ludwig lo autorizza a curare la
personalità.
A seguito di un intervento urgente e di
un lungo periodo di degenza presso
l’Ospedale Israelita, il Dottor Urutia
si salva. Costui gli chiede come può
pagarlo, ma Guttmann si schernisce
dicendo che ha fatto solo il suo dovere,
ma il diplomatico venuto a conoscenza
della triste situazione degli ebrei, gli
fa pervenire dei visti per lui e la sua
famiglia, ma il medico decide di non
approfittare dell’occasione, sperando di
aver cambiato l’atteggiamento delle
autorità naziste. Alcune settimane dopo
si rende conto che si sbaglia, infatti,
viene convocato dal Segretario Generale
Nazista della Sanità per comunicargli
che il personale dell’Ospedale dovrà
ridursi a quattordici unità.
Ludwig fa ricorso a tutto il proprio
coraggio per opporsi, non è possibile,
dal momento che l’Ospedale serve
l’intera Comunità ebraica, pari a circa
ventunomila persone oltre a dei malati
psichiatrici trasferiti d’imperio dalle
autorità tedesche nella struttura.
Inizia un lungo duello verbale tra i due
uomini che si prolunga per otto ore,
durante le quali il Dottor Guttmann
riesce ad assegnare alcune stoccate e a
parare gli attacchi consecutivi del suo
avversario. Al termine il funzionario
tedesco deve ammettere la sconfitta e
ottiene alla fine la vittoria di poter
contare su ottantaquattro posti e la
garanzia di poter sostituire qualora si
crei un vuoto.
Un'altra prova lo attende a seguito
della “Notte dei Cristalli”, durante la
quale accoglie ben sessantaquattro
feriti, con la conseguenza che
l’indomani un gruppo d’azione delle SS e
alcuni ufficiali della Gestapo si
presentano nel suo ufficio. L’economo
gli telefona a casa dicendogli: «I
gentiluomini sono arrivati!». Un modo
ironico per indicare l’invasione dei
barbari degli uffici e il bivaccare
delle SS negli ambienti dell’Ospedale.
Guttmann si precipita a lavoro
preparandosi al peggio.
Non appena entra un ufficiale lo
riconosce e lo saluta, con tono
aggressivo, «Heil Hitler!« e gli chiede
«mi hanno riferito che lei ha ordinato
di ammettere i feriti di stanotte e che
ascendono a sessantaquattro. Come spiega
tutto questo?». Ludwig dichiara di aver,
semplicemente, attuato il principio
d’Ippocrate, ma l’ufficiale non lo
ascolta e pretende che il Direttore
giustifichi le singole ammissioni, per
farlo controbatte il Direttore, deve
confrontarsi con il personale medico di
turno all’atto del ricovero.
L’ufficiale lo autorizza e, subito dopo,
viene istituita una commissione composta
dal Direttore e dai tedeschi,
quest’ultimi privi di conoscenze mediche
e di buon senso, ascoltano le
dichiarazioni dei ricoverati. Nonostante
le minacce e anche la schedatura, in
vista della futura deportazione, Guttman
riesce a conseguire una seconda
vittoria: sessanta ricoverati rimangono,
mentre quattro vengono cacciati come
millantatori.
L’irritazione della Gestapo è alle
stelle, per cui pochi giorni dopo
tornano e arrestano alcuni elementi del
personale e minacciano di arrestare
anche Guttmann. Costui non si perde
d’animo e decide di giocare secondo le
loro regole e denuncia, anche se
scettico, il comportamento della Polizia
segreta tedesca al Presidente
dell’Autorità Sanitaria. Contrariamente
alle aspettative, alcuni giorno dopo,
l’autorità preposta lo convoca e gli
mostra una lettera, firmata Heinrich
Himmler, comandante di tutte le forze
dell’ordine del Reich, comprese la
polizia politica e quella segreta,
affermante che i medici arrestati e
trattenuti a Buchenwald saranno
liberati.
La terza vittoria consecutiva. Anche se
passerà un mese abbondante perché
riescano a rientrare a casa. Non è
frutto di bontà o ravvedimento, ma solo
opportunità, dal momento che il
Dittatore portoghese, Antonio de
Oliveira Salazar, e alleato del Terzo
Reich chiede alle autorità di reperire
il migliore neurologo per assistere il
suo amico e medico, Almedia Dias.
Nessuno sa che Ludwig conosce il
paziente, essendo un neuropatologo.
Quando gli giunge l’ordine di partire
per il Portogallo, Ludwig comprende che
è un occasione da non perdere, per cui
accetta e giunge, insieme alla sua
famiglia, a Lisbona. Quando scende dalla
nave, ad attenderlo vi sono molti medici
che lo conoscono e stimano la sua
bravura. Uno di questi nello stringergli
la mano gli dice: «Grazie a Dio lei non
è stato deportato in un campo di
concentramento!». Ludwig solleva il
cappello e mostra la capigliatura e con
l’autoironia ebraica risponde: «Come
vede non mi hanno ancora tosato».
Immediatamente si reca dal suo paziente
e collega, accerta le condizioni di
salute e decide di non operarlo, ma di
ricorrere a cure meno invasive. Nel
frattempo viene sommerso da varie
offerte di lavoro da varie nazioni, ma
Ludwig rifiuta, anche se la libertà lo
spinge a pensare di fuggire. Per cui
contatta la Society for the
Protection of Science and Learning,
un’organizzazione britannica sorta per
aiutare gli accademici a sfuggire al
regime nazista e a cui si rivolge e
ottiene dei visti per recarsi in Gran
Bretagna.
Prima di rientrare in Germania, passa
per l’Inghilterra, e vi si ferma tre
gironi, durante i quali prende contatti
per evadere dal pericolo nazista.
Infatti, alcune settimane dopo il suo
rientro viene richiamato, ufficialmente,
per partecipare a un convegno, in realtà
per permettergli la fuga. Ludwig delega
l’organizzazione del viaggio alla
moglie, ma l’amministrazione tedesca
subodora e impone un controllo doganale.
Per cui, l’8 marzo 1939, bussa alla sua
porta un funzionario doganale bonario e
traspira simpatia, si presenta senza
accennare al rituale saluto nazista e
chiede il permesso di controllare il
bagaglio.
Dopo pochi minuti gli confessa che non
condivide la politica del Fuhrer e che
fino a quando ha potuto ha avuto un
medico ebreo. Quindi gli confida che
soffre di dolori alla schiena a seguito
di un incidente e gli chiede un
consulto. Nonostante la situazione,
Guttman teme una trappola e gli ricorda
che non può, ma l’uomo gli dice che
confida nelle sue competenze. Alla fine
l’etica ha il sopravvento sulla paura
dell’uomo e lo visita prescrivendogli
una cura. In cambio l’uomo non controlla
niente, anzi quando il capo ufficio
sopraggiunge, nel pomeriggio per
verificare, l’uomo gli dice che tutto è
in ordine e che non c’è niente
d’irregolare. La sera il funzionario va
via e gli dice che tornerà domani con un
collega, secondo la procedura, per
controllare la cassa e i bagagli a mano,
ma gli lascia intendere che non gli
chiederà le chiavi della stanza dove
sono posti i bagagli per cui se vuole
nascondere nei pacchi sigillati effetti
personali può farlo. Quindi con le
lacrime agli occhi lo saluta.
A Parigi il dottor Guttman incontra
l’Ambasciatore Urutia, il diplomatico
assistito a Breslavia, e gli offre dei
soldi, Ludwig non vorrebbe, ma
l’insistenza e la poca chiarezza del
futuro lo determinano ad accettare. Non
appena giunto a Londra, chiede la
conversione del suo permesso di
soggiorno in permanente e ottiene grazie
alla Society for the Protection of
Science and Learning la somma di
duecentocinquanta sterline, equivalente
a diecimila odierne, che gli consentono
di stabilirsi a Oxford, ospite del
baronetto scozzese Sandie Lindsay,
Master del Balliol College.
I suoi due figli Eva e Dennis nel giro
di tre mesi apprendono la nuova lingua,
mentre per i genitori diviene un incubo,
ma anche questa prova lo aiuta a
comprendere meglio i disturbi
dell’apprendimento delle lingue.
Il 13 maggio 1940 Wiston Churchill parla
alla nazione e annuncia: «Io vi prometto
sangue, fatica, lacrime e sudore» è la
guerra, nell’estate Hitler ordina di
martellare la Gran Bretagna, unico
baluardo alla sua avanzata, con la
Luftwaffe, ne consegue la guerra dei
cieli passata alla storia con il nome
“guerra dei cieli”.
Guttmann trova lavoro presso
l’Infermeria Radcliffe e l’Ospedale
militare collocato al St. Hugh’s
College, mentre la moglie si da fare
nell’eseguire lavori di cucitura di
vestiti e anche dirige un centro per
ebrei rifugiati. Guttmann si trova bene
nell’ambiente universitario perché
refrattario alla propaganda nazista, a
differenza ha fatto breccia. Nessuno
all’Università è disposto a credere alle
buone intenzioni del Führer.
Ed eccolo ora all’Ospedale di Stoke
Mandeville. Il “Pope” come viene
soprannominato per il suo atteggiamento
di grande padre sia nei confronti dei
malati che dei collaboratori, a poche
settimane del suo arrivo opera per
incrementare lo staff. Dopo lunghe
richieste, riesce a operare per
incrementare lo staff dell otto anziane
infermiere, distaccate dall’Esercito, di
sole due unità: Miss Merchant e Miss
Buller. Inoltre ha assunto una
segretaria: Miss Miss Joan Scruton. È
deciso a vincere la sua battaglia e a
non vedere morire dei suoi pazienti, i
peggiori nemici contro cui dovrà lottare
sono le piaghe da decubito e le
infezioni urinarie. Per riuscire ordina
di verificare, costantemente, che le
bottiglie dell’urina siano svuotate,
mentre ordina che i malati siano girati
ogni due ore dalla posizione supina a
quella prona o sul fianco.
I risultati non tardano ad arrivare, ma
s’accorge che i letti in gesso in letto
provocano abrasioni ai pazienti, per cui
ordina di gettarli nell’immondizia e di
sostituirli con montagne di cuscini.
Quindi si rivolge agli uffici militari e
inizia a richiedere dosi, sempre
maggiori, di penicillina.
Per non sottoporre i figli a un nuovo
cambiamento, decide che rimangano a
Oxford e si sottopone a lunghe ore in
corriera, ogni fine settimana, per
rivederli e riabbracciarli.
Durante il viaggio pensa ai suoi giovani
pazienti e si chieda cosa può fare per
sollevarli dalla loro sofferenza morale,
dal momento che questo nemico è più
subdolo e difficile da sconfiggere ed
ecco che un giorno ascoltando uno di
loro ha un illuminazione: “la loro
rabbia dovrà aiutarli a riscattarsi e a
ricostruirsi”.
Inizia a dimezzare i sedativi, perché
accettino il dolore e apprendano il
valore della sopportazione, e poi li
costringe a star seduti sui letti. Ben
presto si rende conto che tale posizione
li deprime, poiché si rendono conto che
non possono far niente, per cui inizia a
occuparli a lanciare e prendere una
palla. Vede i loro volti carichi di
rabbia e di disperazione, ha rovesciato
il percorso della fisioterapia non più
il paziente passivo, ma attivo e
protagonista della sua guarigione.
Ben presto a Stoke Mandeville risuona
come un mantra la frase: «Non c’è un
dannato momento per essere malati in
questo dannato posto!». Il suo
atteggiamento non viene condiviso dai
colleghi e dalle infermiere convinti che
Guttmann insegua sogni di gloria per sé
e non per il bene dei malati, e un bel
giorno uno sbotta e gli grida: «Quei
pazienti sono degli storpi, dei
moribondi. Te ne sei reso conto? Chi
credi che siano?». Guttmann gli risponde
con orgoglio e convinzione: «Loro sono
il meglio degli uomini!».
I risultati arrivano e anche i piani
alti della Sanità Militare Britannica
decidono di dargli fiducia per cui il
Centro diviene esempio a livello
nazionale e internazionale del riscatto
dei malati. Alla fine del 1944 Ludwig
tenta una mossa ambiziosa, sei soldati
paralizzati e riabilitati sono offerti a
un’azienda come operai e, contro ogni
previsione, divengono degli operai
modello.
In breve l’ospedale subisce delle
trasformazioni e un ampliamento per
poter aumentare la sua ricettività e
Guttmann tiene delle lezioni sul modus
operandi a tutto il personale, ma ogni
mese li riunisce al Bull’s Head, il pub
più antico della zona, per smorzare tra
un boccale di birra e un calice di vino
le tensioni e le frizioni nate
nell’ambiente di lavoro. Guttmann è
convinto che il lato umano è
fondamentale per curare ed essere
curati. Ogni 1° febbraio viene istituito
il genetliaco dell’anniversario della
creazione del centro.
In quel giorno i pazienti e il personale
medico trascorrono insieme una giornata,
non come pazienti e operatori, ma come
amici, come persone che insieme stanno
lottando contro i limiti della malattia.
Tutto questo non soddisfa il dottor
Guttmann, per cui decide di ricorrere
allo sport come strumento di redenzione
dei suoi pazienti.
Ed ecco che i suoi giovani iniziano a
potenziare gli arti superiori non
lesionati, ma anche la mente, poiché non
ci può essere riabilitazione senza una
buona predisposizione mentale. I giochi
praticati sono i seguenti: il palleggio,
le freccette, i birilli, il tennis da
tavolo, il tiro con l’arco, il biliardo
e il basket in carrozzina.
Non contento ne inventa uno nuovo,
praticabile sulla sedia a rotelle, e
consistente nel contendersi un disco di
legno usando un bastone, qualcosa di
simile al polo. Ben presto i suoi
pazienti diventano degli ottimi atleti,
per cui decide di iniettare del coraggio
e della forza d’animo tramite una gara
con persone sane, quale il personale
medico. A vincere sono i pazienti. La
vittoria diventa una lezione anche per i
dipendenti, dal momento che quest’ultimi
hanno imparato e compreso tramite
l’empatia le difficoltà che devono
subire ogni giorno. Da quel giorno il
consenso aumenta, il clima familiare si
somma a una fiducia condivisa nei suoi
metodi alternativi.
Nel 1947 Guttman riporta i suoi
risultati sulla rivista “Il midollo”
riportando le esperienze di due soldati:
David Chard rimasto ferito sul fronte
italiano, mentre Reg Townsend sul suo
francese, subito dopo lo sbarco in
Normandia. Townsend conclude la sua
testimonianza: «Non raccomanderei a
nessuno la paraplegia come carriera, ma
se ti arriva addosso c’è un solo posto
dove andare e lì troverai la squadra
migliore del mondo, guidata fin dagli
albori dalla stessa persona è Stoke
Mandeville».
La guerra è terminata, si ritorna alla
vita, per cui, nel 1948, vengono indette
le Olimpiadi e assegnata la fiaccola
alla città di Londra, l’idea piace a
Ludwig che organizza una piccola gara di
tiro con l’arco con i suoi atleti. Per
cui, mentre , il 28 luglio 1948, nella
capitale inglese si svolge la cerimonia
di apertura della manifestazione dei
giochi alla presenza del Re Giorgio VI e
della futura Elisabetta II accompagnati
dal vincitore morale della guerra,
Winston Churchill, a sessanta chilometri
il dottor Guttmann schiera nel cortile
di un piccolo ospedale quattordici
uomini e due donne.
I bersagli si trovano a settanta metri,
una distanza siderale se la guardi da
una sedia a rotelle, non appena il
giudice dà il via, gli archi si tendono
all’unisono col respiro e i bersagli non
sembrano più così lontani, se due occhi
affettuosi ti guardano come per dirti: «Coraggio,
ce la puoi fare, sono qui alle tue
spalle e non ti abbandonerò mai».
Le mani sono ferme, la mira precisa. I
dardi, non appena scagliati, fischiano
nell’aria verso il bersaglio e, anche se
non tutti vanno a segno, ogni atleta ha
vinto la sua gara con la malattia e con
la paura di non farcela. La notizia
rimbalza nei pub e su tutte le bocche,
per cui Ludwig decide di replicare
l’esperimento ogni estate.
Nella seconda edizione il numero degli
atleti ascende a sessanta, due anni, più
tardi, conta centoventisei sportivi.
Oltre ad aumentare il numero di
disabili, aumenta, in maniera
proporzionale, anche la fama di tale
evento. Unico neo, mancano i
finanziamenti, per cui la figlia di
Ludwig, Elsa, si adatta a fare un po’ di
tutto: estrarre le frecce dai bersagli
dopo i tiri e servire la birra nel party
che accompagna le gare.
Nel 1952 alla manifestazione si uniscono
anche dei reduci di guerra provenienti
dalla clinica di Aardenburg, nei Paesi
Bassi. Nel discorso di apertura,
pronunciato davanti a un centinaio di
tetraplegici e paraplegici, Guttmann
auspica che i giochi divengano un giorno
popolari quanto le Olimpiadi.
Nasce l’International Stoke
Mandeville Games Federation e
l’iscrizione è aperta solo ai
disabili. Nel 1953 le nazioni
partecipanti ascendono a sei: Regno
Unito, Paesi Bassi, Canada, la Francia,
la Finlandia e Israele, l’anno
successive le bandiere nazionali
ascendono a quattordici. Nel 1954,
arriva una delegazione statunitense,
grazie all’impegno economico assunto
dalla Pan American Airlines.
L’incremento dei partecipanti determina
il Dottor Guttmann a dar vita, insieme
al Comitato dei giochi, al Regolamento,
successivamente più volte ritoccato, con
il graduale ingresso di nuovi sport, ma
resta il documento di base dal quale
partire e che definisce gli standard per
ciascun tipo di gara. Inoltre viene
individuato un nuovo campo da gioco, per
cui si abbandona il prato di fronte
all’ospedale si passa alle spalle della
struttura ove sono realizzati appositi
capannoni e viene costituito un Fondo di
sostegno, nel quale confluiscono offerte
di privati e associazioni benefiche.
Ludwig coltiva il sogno di far
partecipare i suoi ragazzi alle
Olimpiadi e, nel 1956, con il Comitato
organizzatore assegna la prestigiosa
Coppa Fearnley ai Giochi Internazionali
di Stoke Mandeville, per «l’eccezionale
risultato nella promozione degli ideali
olimpici». È un riconoscimento
straordinario che premia l’impegno di
Guttmann, ma è solo l’inizio. Infatti il
desiderio di far partecipare i
paraplegici di Guttmann alle Olimpiadi
viene raccolto dal medico italiano
Antonio Maglio, nato al Cairo, laureato
in medicina all’Università di Bari, è un
medico dell’INAIL, e, nel 1956, decide
di recarsi ad assistere ai Giochi di
Stoke Mandeville e reitera la cosa ogni
anno.
Ma desidera fare di più, per cui non
appena diviene direttore del Centro
paraplegici “Villa Marina” di Ostia
introduce le attività sportive del suo
collega riscontrando una diminuzione
considerevole degli stati di mortalità e
degli stati depressivi.
Nel 1958 scrive a Guttmann e gli
comunica che nel 1960 le Olimpiadi si
terranno a Roma e gli propone di far
partecipare i “loro ragazzi”, grazie
agli agganci e conoscenze del Comitato
Sportivo. Per Guttmann è un sogno che si
avvera e, lì per lì, non riesce a
crederci e chiede al collega affinché
perori la richiesta di far ospitare i
loro atleti all’interno del villaggio
olimpico. I due lavorano a stretto
contatto e, il 25 agosto, data fissata
per la cerimonia di apertura,
quattrocento disabili, provenienti da
ventitre paesi diversi sfilano in tuta
ginnica davanti a cinquemila spettatori.
La delegazione più nutrita è quella
italiana, che veste le maglie
dell’INAIL, fornite da Antonio Maglio.
Gli atleti gareggeranno oltre agli
sport, in precedenza accennati, anche
nel lancio del giavellotto, nella
scherma, nella pallacanestro, nel
biliardo e nel tennis da tavolo.
Purtroppo gli alloggi mancano di scivoli
per l’accesso, sul momento il problema
sembra insormontabile, ma grazie a un
gruppo di soldati, presenti a
collaborare nei servizi d’ordine, le
carrozzine vengono aiutate a superare le
scale e da quel momento quei ragazzi
diventano il servizio d’ordine di quegli
atleti.
Il presidente Giovanni Gronchi riceve
gli atleti e anche il Papa “buono” gli
concede udienza ricordando quand’era
cappellano e sergente, durante la prima
guerra mondiale, nella Sanità. Da questo
momento, i disabili partecipano alle
Olimpiadi.
Nel 1964 è la volta di Tokyo, Ludwig
accompagna la sua squadra e sfila
dinanzi al principe imperiale Akihito e
alla principessa Mikiko. Un solo
italiano è presente, il friulano Roberto
Marson, futuro presidente del Comitato
paraolimpico nazionale. I giapponesi
rivedono il loro modo di vedere i
paraplegici e sei mesi dopo i giochi,
sull’isola di Honshu sorge una fabbrica
che impiega solo operai con disabilità.
Quattro anni il numero degli atleti
disabili che sfila a Gerusalemme ascende
a settecentocinquanta unità appartenenti
a ventinove paesi. Per la prima volta
vengono ammessi il gioco delle bocce e
del basket femminile. Guttman l’anno
prima s’è dimesso da Direttore del
Centro di Stoke Mandeville, ma non ha
abbandonato i suoi atleti e ha raccolto
dei fondi per realizzare nei pressi del
centro riabilitativo uno stadio, allo
scopo di accogliere le edizioni annuali
dei giochi.
Nel 1972 le Olimpiadi si svolgono a
Monaco di Baviera, in Germania, le
Olimpiadi del riscatto per il popolo
tedesco e per coloro che hanno subito
delle offese dall’ex regime nazista, ma
sono funestate dal sequestro della
squadra israeliana da parte del gruppo
terroristico “ Settembre Nero”.
L’intervento delle forze di polizia
tedesche si conclude con l’uccisione
degli ostaggi, di un agente e di cinque
terroristi. Gli altri adepti di
Settembre Nero saranno braccati ovunque
dal Mossad con l’operazione “Collera di
Dio” ordinata da Golda Meir, come
racconta il film Munich diretto da
Steven Spielberg.
Guttmann rimane sconvolto dalla notizia,
ma continua a occuparsi del Centro
sportivo internazionale per i disabili.
È l’impegno che gli terrà compagnia per
il resto della vita. In quel ruolo
continua a seguire le edizioni annuali
dei Giochi e le quadriennali, legate a
filo doppio alle Olimpiadi.
Nel 1976 è la volta di Toronto, nel
Canada. Gli atleti disabili sono un
migliaio e mezzo, le donne ammontano a
un sesto dei componenti. Ci sono varie
innovazioni. Si affermano le gare per i
ciechi, è introdotto il tiro a segno.
Quattro anni più tardi tocca ai Paesi
Bassi, che realizzano l’evento nella
città di Arnhem sul Reno. Nell’occasione
si pongono le basi per il Comitato
Internazionale Paralimpico, l’organo di
governo dei Giochi tuttora in funzione.
Ad Arnhem gareggiano oltre duemila
atleti con disabilità. La campionessa di
nuoto californiana Trischa Zorn, cieca
dalla nascita, è l’astro nascente. Con
cinquantacinque medaglie in sette
edizioni, di cui quarantuno d’oro,
diverrà la più forte di sempre.
Ma a quell’appuntamento Ludwig risulta
assente perché qualche mese prima il suo
cuore da campione è stato attaccato da
un infarto. È un ottantunenne pieno di
entusiasmo e amore per la vita quello
che il 18 marzo 1980 ritorna alla terra,
nel suolo inglese che ha conosciuto il
suo impegno incessante.
Non farà in tempo ad assistere
all’inaugurazione del Villaggio Olimpico
di Stoke Mandeville, che sarà completato
l’anno successivo. Ludwig riceve una
serie di cariche e riconoscimenti, tra
cui il titolo di Sir e di Commendatore e
Ufficiale dell’Ordine dell’Impero
Britannico. Invece mantiene fino alla
morte la carica di presidente
dell’Associazione sportiva britannica
per i disabili, ottenuta nel 1960. Tutti
onori non cercati e non voluti, non ha
cercato la gloria, non ha perseguito un
profitto personale, ha condotto
un’esistenza priva di ogni sfarzo. La
sua parabola può essere racchiusa nella
frase del profeta Michea: «Praticare
la giustizia, amare la pietà, camminare
umilmente con il tuo Dio».
Nel 1980, in occasione dei giochi di
Stoke Mandeville, il figlio Dennis
Guttmann pronuncia il seguente discorso
di apertura: «Vedo di fronte a me i
ranghi delle atlete e degli atleti
schierati sul campo» – aggiunge – «Metto
da parte il testo che avevo preparato e
vi dico una cosa soltanto: siete voi il
suo memoriale!».
Riferimenti bibliografici:
Alexander Lori, A Sporting Chance.
How Ludwig Guttmann Created the
Paralympic Games,
Clarion Books 2020.
Goodman Susan, Spirit of Stoke
Mandeville: The Story of Sir Ludwig
Guttmann, 1986 London.
Medawar Jean, Pyke David, Hitler’s
Gift. The True Story of the Scientists
Expelled by the Nazi Regime, Arcade
Publishing, New York 2021.
Scruton Joan, Stoke Mandeville. Road
to the Paralympics, The Peterhouse
Press, Aylesbury 1988.
Ricciardi
Roberto, Un cuore da campione. Storia
di Ludwig Guttmann inventore delle
Paralimpiadi, La Giuntina, Firenze
2021.
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