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N. 123 - Marzo 2018 (CLIV)

Lucio Flavio Arriano

STORIA DI un COMANDANTE del II secolo - PARTE II

di Mauro Difrancesco

 

All’interno del manoscritto di epoca bizantina “Laurentianus LV – 4”, contenente numerosi trattati di tattica antica, ci imbattiamo nel lavoro sull’arte militare scritto dal nostro protagonista, Arriano, ovvero “Techne taktike”, alla cui appendice si trova per l’appunto l’opera sullo schieramento militare da adottarsi nell’affrontare il popolo degli Alani.

 

Nel 135 d.C. circa, un nutrito contingente facente capo a questa tribù nomade si stava spostando, dopo aver depredato e saccheggiato i territori dell’Albania e della Media Artropatene, attraverso l’Armenia (in quel periodo stato vassallo di Roma) per tornare nei propri territori a nord. Il tentativo degli Alani di penetrare nel territorio della Cappadocia romana mise in allarme i comandi militari della regione, facendo giungere l’eco di una possibile invasione fino all’allora governatore della provincia.

 

Arriano dovette quindi prepararsi a un confronto con gli intrusi, approntando quell’apparato militare posto sotto il suo comando e, come detto in precedenza, composto da due legioni più un nutrito contingente di truppe ausiliarie.

 

In questo frangente, Arriano poté quindi, sebbene solo in parte, sperimentare il dispositivo di avvicinamento e di battaglia da lui studiato proprio per contrastare una simile minaccia e in misura particolare, l’urto preponderante di forti contingenti di cavalleria corazzata (cataphracta) in uso presso quei popoli orientali quali Sarmati, Parti, Alani.

 

La ricostruzione, sebbene non del tutto completa, degli eventi ci viene fornita dallo storico Cassio Dione nella sua monumentale opera “Storia Romana” in ottanta libri, giunta a noi in maniera incompleta. Arriano viene chiamato più a una dimostrazione di forza che ad uno scontro vero e proprio ma di ciò non sappiamo la conclusione, tant’è che le ultime righe in cui Dione parla dei fatti sono andate perdute.

 

Non si hanno, quindi, ricostruzioni di grandi scontri campali avvenuti nell’anno 135 d.C. tra le legioni orientali ed il popolo degli Alani. Più probabilmente i saccheggiatori decisero di girare alla larga dal dispositivo difensivo messo in pratica da Arriano, aggirandolo e riparando al nord. Fondamentale è invece l’analisi tattica fornita dal generale, in cui vengono descritte le fasi di avvicinamento, schieramento e successiva battaglia.

 

L’avvicinamento, ovvero la marcia dell’esercito verso lo scontro imminente, viene preceduto dagli esploratori a cavallo, accompagnati possibilmente da una guida locale. Gli arcieri a cavallo (specialità utilizzata dai romani con buon successo sullo scacchiere orientale e proseguita dai bizantini) seguono subito dopo, disposti in file doppie.

 

Successivamente vengono, in ordine di marcia, le cavallerie ausiliarie dei Reti, Itirei, Cirenei e le due coorti indicate come “Coloni” e “Auriana”. Dopo di questi è la volta della cavalleria celtica, anch'essa in doppia fila. (Arriano menziona i vari nomi dei comandanti che in questo contesto, per motivi di spazio, non indicherò).

 

Le fanterie seguono lo schieramento della cavalleria, utilizzata in avanguardia con funzioni di esplorazione ed eventuale inseguimento di sentinelle nemiche. Nel caso in cui il nemico vicino, essa avrebbe dovuto fornire uno schermo protettivo alle manovre di schieramento della fanteria. Interessante come la formazione di marcia sia della larghezza di quattro fanti, con gli arcieri a precedere la fanteria pesante.

 

A protezione dei lati della formazione viene poi collocata ancora una linea di cavalieri. Di seguito e in ordine di rango vengono poi l'insegna della legio XV Apollinaris con lo stato maggiore dell’unità. Ancora davanti allo stendardo sono posizionati i fanti leggeri, armati di giavellotto.

 

Dopo la XV legione è posto lo stendardo della legio XII Fulminata. Anche questa Legione procede allo stesso modo, posta su quattro file. Successivamente troviamo gli alleati: fanteria pesante dell’Armenia Minore, lanceri della Colchide e di Rizia e gli Aplani. In ultimo le salmerie, scortate da altra cavalleria Getica.

 

Il comandante della schiera, Arriano fa riferimento a sé stesso con il nome di Senofonte, si posiziona in testa all’armata. Notiamo quindi un contingente che presuppone di scontrarsi con il nemico nel volgere di breve tempo, avendo cura di schierare le salmerie già in fondo alla colonna, onde non ostacolare i movimenti delle truppe nella fase successiva dello schieramento a battaglia.

 

La cavalleria, come già detto, fornisce copertura sia sui lati che in testa alla colonna, oltre a proteggere i bagagli dell’esercito in marcia. Arcieri e fanti pesanti legionari sono schierati in formazione avanzata, per essere poi i primi a prendere posto in formazione. Gli alleati seguono poi di rincalzo alle legioni per schierarsi ai lati della formazione nel momento della battaglia.

 

Giunti in prossimità del nemico, ecco che Arriano spiega come la formazione debba abbandonare l’ordine di marcia per schierarsi in formazione da combattimento: gli esploratori occupano le posizioni elevate per poter tenere il nemico sotto costante osservazione, mentre la cavalleria avanzata prende posto ai lati di quella che da lì a poco diventerà la linea di battaglia.

 

Nell’avvicinarsi, la fanteria legionaria si schiera occupando il fianco destro (XV legione) con gli arcieri armeni a supporto, e il fianco sinistro (XII legione) con gli alleati schierati all’estremità esterna della formazione, schierando lancieri e fanti pesanti dinnanzi alle truppe leggere armate di giavellotto.

 

La fanteria legionaria viene fatta schierare in ordine chiuso e con una profondità di otto uomini. I primi quattro ranghi sono legionari armati di lancia, con il primo rango a tenerli protesi in avanti come difesa dalla cavalleria. Il terzo e quarto rango, invece, hanno il compito di scagliare una selva di pila laddove trovino un buon bersaglio da ingaggiare, così da far fruttare la conformazione del pilum romano: asta in legno con un manico in ferro alla cui sommità è collocata la punta dell’arma.

 

La peculiarità del pilum è il ferro con cui è costruito, ovvero morbido in grado di piegarsi senza rompersi. Quest’arma, una volta scagliata, si conficca nello scudo del nemico, piegandosi senza spezzarsi e rendendo lo scudo inutilizzabile o comunque troppo pesante per essere maneggiato con destrezza.

 

I ranghi successivi della formazione sono occupati da fanti leggeri equipaggiati con armi da tiro. Un nono rango dietro di essi è costituito da arcieri appiedati.

 

Le macchine da guerra sono schierate dietro l’intera linea di battaglia e sulle ali, in modo da tirare alla massima distanza possibile per colpire il nemico all’attacco.

 

Il resto della cavalleria, in effetti praticamente la sua totalità, viene schierata insieme dietro la linea di battaglia con gli arcieri a cavallo subito dietro le linee dei fanti, in modo da poter tirare anch’essi sul nemico in arrivo. Il comandante dello schieramento si pone dietro la linea di battaglia, al centro, protetto da fanti leggeri e pesanti per poter avere una visuale d’insieme dello svolgimento dello scontro.

 

In sostanza, Arriano presuppone di poter fermare il terribile urto delle cavallerie pesanti avversarie con una formazione di fanteria che ha un certo sapore ellenico ma con il massiccio impiego di armi da lancio per neutralizzare la maggior parte dei cavalieri corazzati prima ancora dell’impatto vero e proprio. La linea di fanteria pesante viene principalmente impiegata come incudine, come un istrice irto di aculei dal quale parte una gragnuola di colpi tirati da fanti e arcieri.

 

Le macchine da guerra forniscono un buon supporto nel tiro a lunga distanza ma erano ben lungi dal poter concludere da sole una battaglia (sebbene nell’immaginario collettivo le catapulte, le ballistae e gli scorpioni romani fossero in grado di spazzare via da soli un intero esercito, nella realtà lo scontro era vinto con l’acciaio delle spade ed il sangue degli uomini nella lotta corpo a corpo).

 

Lo scontro vero e proprio, successivo alle schermaglie iniziali, vede la cavalleria romana porsi completamente dietro allo schieramento difensivo della fanteria pesante.

 

Questo può suggerire come Arriano conoscesse bene i limiti delle proprie forze montate nei confronti di un nemico prevalentemente a cavallo, che poteva contare su una capacità di sfondamento tale da annichilire qualsiasi formazione di cavalleria postagli dinnanzi. Difatti Arriano risparmia i propri cavalieri, lasciando che sia la truppa appiedata a confrontarsi, si spera il meno possibile, con gli Alani.

 

Arriano presuppone che non ci sia possibilità alcuna di essere aggirato (ricordiamoci che non si preoccupa di coprire i fianchi con eventuali riserve, neppure durante la marcia di avvicinamento, durante la quale schiera unicamente un velo di truppe a cavallo senza vedette): lo scontro avviene infatti con l’esercito romano incuneato fra due colline (pensiamo infatti alla conformazione geografica della Cappadocia, montuosa e con poche praterie), in modo da sfruttarle come difesa sui fianchi e concentrare gli sforzi al centro.

 

Fase uno: la carica della cavalleria Alana

 

Dobbiamo immaginare una massa di uomini corazzati, che imbracciano una lunga lancia, il contus, che in groppa a cavalli spesso anch’essi coperti di lamine di ferro si lancia al galoppo contro di noi: urla selvagge, tiri di frecce dai cavalleggeri armati d’arco che seguono i primi. Uno spettacolo terrificante per un legionario che, pilum al piede e scudo di fronte a sé, attende il possibile urto.

 

La cavalleria si avvicina, mentre dallo schieramento romano iniziano a piovere i proietti delle armi da lancio pesanti. Uomini e animali vengono schiacciati, colpiti dai dardi e fatti a pezzi nella carica. Questa però non si ferma, continua verso le prime linee romane. È il momento degli archi: salve su salve di frecce piovono sui cavalieri nemici, che cadono a decine, a centinaia, ma ancora l’assalto continua inesorabile.

 

I legionari delle prime file si preparano all’urto mentre i giavellotti delle file posteriori vengono lanciati a volontà. Proprio quando sembra che l’impatto stia per avvenire e i cavalieri corazzati possano travolgere le linee romane, la carica si arresta: gli Alani esitano, fermandosi e caracollando nel tentativo di riorganizzarsi sotto la pioggia di dardi.

 

Fase due: ritirata e inseguimento

 

Gli Alani fuggono. Inizia la rotta dell’esercito avversario mentre i legionari, sicuramente, tirano un sospiro di sollievo nel veder fuggire degli avversari tanto temibili. Senofonte/Arriano, a questo punto, sceglie di inseguire e trucidare il nemico, a monito per il futuro.

 

Si pensi che le battaglie del tempo finivano spesso con il crollo di uno dei due schieramenti con successivo, immancabile bagno di sangue. La maggior parte dei combattenti, infatti, non moriva durante lo scontro, ma più facilmente veniva massacrato durante la ritirata, e i romani non erano gente da concedere quartiere.

 

Il generale ordina alla fanteria di aprire dei varchi, facendo passare in tal modo una prima ondata di cavalleria per inseguire il nemico in rotta. Una seconda schiera viene fatta seguire dappresso, nell’eventualità di un inseguimento prolungato ci sarà bisogno di cavalli freschi e uomini più riposati. A questo punto Arriano chiude bruscamente la narrazione, fermandosi all’inizio dell’ipotetico inseguimento.

 

La battaglia è ormai conclusa, si passa a raccogliere i morti e soccorrere i feriti. “Roma ha vinto!” urlava un famoso generale nel film “Il gladiatore” al termine della battaglia con i Marcomanni, nei pressi della città di Vindobona (Vienna). Possiamo ipotizzare qualcosa del genere, per il nostro Senofonte/Arriano.

 

Partiamo dall’uso della cavalleria: nella concezione romana della tattica militare, almeno fino a che non si giunge al tardo impero, dove tattiche e uso dei corpi militari muterà sensibilmente, la cavalleria giocava un ruolo di secondo piano, anche se non meno importante: accerchiava il nemico, lo schermagliava prima dello scontro vero e proprio, lo inseguiva ed esplorava il terreno per il passaggio delle legioni.

 

Diversamente, in altri popoli era la fanteria a giocare un ruolo da co-protagonista, supportando i cavalieri pesanti nelle cariche (un po’ come avverrà fra qualche secolo e fino all’avvento delle armi da fuoco con la rivoluzione militare, quando i cavalieri pesanti della nobiltà feudale, fino ad allora dominatori indiscussi del campo di battaglia, verranno disarcionati e ammazzati da contadini armati di archibugio ed addestrati in poche settimane – vedasi la battaglia di Pavia del 1525, quando il fiore della cavalleria del re di Francia Francesco I sarà letteralmente annientata dalle nuove fanterie di archibugieri spagnoli).

 

La fanteria: usata come muro di scudi e pila dietro a cui asserragliare la maggior quantità di truppe da lancio e macchine belliche possibile, per schermare questi ultimi e permettere loro di far piovere una tempesta di dardi sul nemico in avvicinamento. Le truppe di fanteria pesante legionaria sono disposte al centro, mentre gli ausiliari e gli alleati sui fianchi.

 

Arriano sa bene che queste ultime unità sono più fragili rispetto alle legioni, e le dispone sui fianchi ben sapendo che le ali dell’intero schieramento sono protette da avvallamenti collinari, non aggirabili. Quindi può permettersi di mantenere l’assetto laterale con le truppe più “spendibili”, mentre i legionari stanno al centro, come muro insormontabile.

 

La tattica di Arriano, frutto della conoscenza del proprio nemico, della capacità di sfruttarne le debolezze e annullarne i punti di forza (tutto questo almeno nella teoria) può essere considerato un buon esempio di quella peculiarità di cui abbiamo parlato all’inizio del saggio, cioè di come i romani seppero per secoli adattarsi alle strategie e tattiche dei numerosi nemici facendole proprie, copiandole spudoratamente ma, in definitiva, migliorandole e superando il proprio avversario.

 

Non molti popoli seppero fare uso di questa caratteristica, e ancor meno poterono adoperarla per un tempo tanto lungo. Arriano non dovette mai mettere in pratica il proprio scritto, ma possiamo immaginare, come descritto sopra, che avrebbe potuto chiudersi effettivamente così un’ipotetica battaglia. Oppure sarebbe potuta finire come per il povero imperatore Valente ad Adrianopoli contro Visigoti, Ostrogoti e Alani, quando le legioni orientali furono massacrate in seguito ad un attacco sul fianco compiuto proprio da quella cavalleria pesante iranica descritta da Arriano nel 135 d.C.

 

Teorie e pratica sono due cose da sempre ben distinte, ma la cosa interessante rimane comunque il compierne uno studio, cercando di dare una risposta al “cosa sarebbe potuto succedere se…?”

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Lucius Flavius Arrianus, Ektaxis kata ton Alanon (Schieramento contro gli Alani), traduzione e note di Stefano Belfiore, Aracne Editrice, Roma 2012.

Lucius Flavius Arrianus, Techne Taktike (Arte tattica, trattato di arte militare), traduzione di Antonio Sestili, Aracne Editrice, Roma 2011.



 

 

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