[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

193 / GENNAIO 2024 (CCXXIV)


attualità

LA LOTTA PER IL POTERE NELLA ROMA IMPERIALE
UNA STORIA ROSSO SANGUE

di Matteo Liberti

 

Se si volesse rappresentare la storia degli imperatori di Roma con un colore, questo sarebbe il rosso, declinato in due sfumature: il rosso porpora, nobile tinta associata al concetto di regalità (e presente sulle vesti di ogni sovrano), e il rosso sangue, che rigò i volti e i corpi di moltissimi imperatori. Fin dal principio, la successione imperiale fu infatti regolata da norme poco chiare ed estremamente variabili, e questo determinò una lotta per il potere in cui tutto dipendeva dall’autorità, dall’avidità, dalla scaltrezza e dalla disponibilità a uccidere – o a far uccidere – dei pretendenti al trono. Nei cinque secoli di vita dell’Impero romano (27 a.C.-476 d.C.), quasi la metà degli imperatori morì ammazzata nell’ambito di sordidi complotti, e nel frenetico alternarsi di colpi di Stato e congiure a ottenere sempre più credito furono i generali militari, signori della guerra che al pari di moderni caudillos guadagnarono a volte un potere assoluto.

 

Albori di sangue

 

«Se il primo imperatore della storia romana fu Augusto, sul trono dal 27 al 14 a.C., l’idea di Impero prese forma già con Caio Giulio Cesare, che fu dittatore di Roma dal 49 al 44 a.C. e che morì accoltellato in capo a una cospirazione del senato» racconta lo storico dell’antichità Antonio Montesanti dell’Università di Exeter. «Fin dagli albori, l’Impero fu dunque bagnato nel sangue, e la scia di violenza proseguì per tutta l’età d’oro, ovvero il lungo periodo di pace – quasi due secoli – passato alle cronache come Pax Romana». D’altronde, quando un imperatore scontentava altri soggetti politici o militari dotati di ampi poteri, tra le fila del senato o dei pretoriani (le guardie del corpo del sovrano) c’era sempre qualcuno pronto a tramare per sbarazzarsi di lui. E se Augusto morì di morte naturale, già sotto il suo successore, Tiberio, la corte prese ad assomigliare al set di un caotico film horror, a cui parteciparono spesso anche le donne. Qualche esempio? Il citato Tiberio, già sfuggito a un complotto del pretoriano Seiano, morì soffocato nel suo letto, il successore, Caligola, fu accoltellato lasciando il trono a Claudio, che finì i suoi giorni avvelenato dalla consorte Agrippina, madre di Nerone, il quale, diventato sovrano, dovrà fronteggiare, reprimendola nel sangue, una congiura ordita dal senatore Pisone. Per chiudere il cerchio, Agrippina sarà fatta uccidere dallo stesso Nerone. Dopodiché, sul finire del I secolo d.C., si registrarono gli omicidi degli imperatori Galba, Vitellio e Domiziano, con quest’ultimo che si distinse come uno dei sovrani più crudeli, dispotici e dissoluti prima di essere travolto (a suon di pugnalate) dall’ennesimo complotto del senato.

 

Dall’oro... alla ruggine

 

Nel 180, dopo la morte (naturale) di Marco Aurelio, si concluse l’età d’oro della storia imperiale e iniziò un periodo di decadenza che lo storico Cassio Dione Cocceiano (155-235) definì, con una celebre metafora, come il passaggio “da un regno d'oro a uno di ferro e ruggine...”. E la ruggine divenne particolarmente corrosiva con la salita al potere del depravato e prepotente Commodo, che su input di un manipolo di senatori finì peraltro i suoi giorni strangolato dal suo allenatore nell’arte gladiatoria. Solo nel 193 morirono quindi assassinati gli imperatori Pertinace, per mano dei pretoriani, e Didio Giulio, con il solito zampino del senato, e quando tra la fine del II e l’inizio del III secolo si affermò la dinastia dei Severi, fu stabilito un macabro record: a parte il fondatore, Settimio Severo, tutti gli imperatori severiani saranno vittime di congiure concluse con il loro omicidio. «L’ultimo, Alessandro Severo, fu ucciso dai suoi soldati durante un ammutinamento che portò al potere il generale Massimino Trace (235), evento che costituì uno spartiacque storico introducendo una novità: la possibilità per un barbaro di diventare imperatore grazie a meriti militari» riprende Montesanti. Proveniente dalla Tracia rurale, Massimino riuscì nella sua scalata sociale grazie alle qualità di combattente – era un colosso alto oltre due metri – messe in mostra nell’esercito romano, da tempo apertissimo agli stranieri. Da questo momento si consolidò un fenomeno già emerso con Settimio Severo, ossia la necessità, per ogni aspirante imperatore, di mirare al consenso delle milizie più che a quello dei senatori. «Al tempo dei cosiddetti imperatori soldati, se un sovrano non soddisfaceva le truppe, queste lo deponevano e, come in un moderno colpo di Stato, lo sostituivano con un generale ritenuto più affidabile» spiega l’esperto. «Ogni comandante poteva così aspirare alla carica di imperatore, rischiando però di ritrovarsi velocemente scalzato». Lo stesso potere imperiale affondava le radici nell’esercito: prima di assumere connotazioni geopolitiche, il concetto di Imperium si riferiva infatti al potere di taluni magistrati militari i cui ordini, indiscutibili, toccavano anche ambiti politici e religiosi.

 

Anarchia militare

 

Nel III secolo all’instabilità dei confini dovuta alla crescente minaccia dei popoli barbari si sommarono i pericoli derivanti dalle guerre interne, fomentate dai leader militari decisi a salire sul trono. Tutto ciò portò l’Impero all’anarchia. «Se nei primi due secoli il rapporto tra ambito politico e ambito militare era in equilibrio, l’esercito aveva adesso attirato ogni potere, dettando i tempi e i modi della politica» sottolinea Montesanti. «La percentuale di sovrani uccisi rimase a ogni modo elevata, ma se un tempo la lotta per il potere era spesso legata alle manie – e alle follie – dei singoli imperatori, ora a determinare gli eventi erano le esigenze belliche». Inoltre, sulla scia di quanto avvenuto con Massimino Trace (che tra l’altro non mise mai piede a Roma), aumentarono i casi di sovrani “esotici”, come avvenne con Marco Giulio Filippo detto l’Arabo. Nato in terra siriana, questi aveva fatto strada nell’esercito fino a diventare prefetto del pretorio e poi imperatore (nel 244), non senza aver prima tradito il precedente sovrano Gordiano III, ucciso dai propri soldati su stimolo dello stesso Filippo. Una curiosità: sarà proprio quest’ultimo a celebrare i primi mille anni di Roma (fondata nel 753 a.C.). Poi, dopo il susseguirsi di un’altra ventina di imperatori – molti dei quali, da prassi, morti ammazzati – la crisi del III secolo cominciò a diradarsi con l’avvento al potere di un comandante proveniente dalla Dalmazia: Diocleziano. Il nuovo sovrano, valutando il tradizionale sistema di governo inadatto a garantire il dominio del vasto territorio imperiale (che ormai aveva più fronti caldi, incontrollabili da un uomo solo), istituì nel 293 la cosiddetta tetrarchia, o governo dei quattro.

 

Tardo Impero, antica violenza

 

In sostanza, l’Impero venne frazionato in quattro aree e a Diocleziano si affiancarono altri tre sovrani (Massimiano, Costanzo Cloro e Galerio), scelta che garantì una rinnovata stabilità. In tale frangente tardo-imperiale il sangue continuò in ogni caso a scorrere copioso a causa di una recrudescenza delle persecuzioni dei cristiani, iniziate già da qualche decennio. L’esperimento tetrarchico, durante il quale si avvicendarono più quaterne di imperatori, finì nel 324, allorché, dopo una sfiancante guerra civile, Costantino (sovrano in coabitazione dal 306) rimase l’unico signore dell’Impero. Abbracciato il cristianesimo, questi si attivò per diffondere la religione prima perseguitata, legando inoltre il proprio nome alla fondazione di Costantinopoli, dal 395 capitale del neonato Impero romano d’Oriente. «A partire da tale data gli imperatori d’Occidente furono prevalentemente dei sovrani fantoccio, dacché il potere tornò a concentrarsi nelle mani dei massimi comandanti militari, incarico che nel Tardo Impero corrispondeva a quello di magister militum, “maestro dei soldati”» spiega l’esperto. «Uno dei più celebri fu Stilicone (359-408), di origini germaniche, che resse de facto l’Impero dopo la morte dell’imperatore Teodosio». Anni dopo, un potere simile fu raggiunto dal magister Flavio Ezio (390-454), generale del sovrano Valentiniano III che, dopo aver a lungo frenato la pressione dei barbari, fu ucciso in un complotto con la partecipazione dello stesso imperatore. Un film già visto, con un finale scontato: nel 455 anche Valentiniano fu assassinato, per volere del prefetto Petronio Massimo, salito poi sul trono ma destinato pure lui a morte violenta, trucidato dal suo popolo. Il rosso porpora e il rosso sangue delinearono dunque le sorti dei sovrani romani fino alla fine, su un’immaginaria tela dipinta, specialmente nel Tardo Impero, dalle spade dei soldati... E sarà proprio un soldato, il germanico Odoacre che tanta carriera aveva fatto nell’esercito romano, a deporre nel 476 Romolo Augusto, segnando la fine dell’Impero romano d’Occidente.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]