LA LOTTA PER IL POTERE NELLA ROMA
IMPERIALE
UNA STORIA ROSSO SANGUE
di Matteo Liberti
Se si volesse rappresentare la
storia degli imperatori di Roma con
un colore, questo sarebbe il rosso,
declinato in due sfumature: il rosso
porpora, nobile tinta associata al
concetto di regalità (e presente
sulle vesti di ogni sovrano), e il
rosso sangue, che rigò i volti e i
corpi di moltissimi imperatori. Fin
dal principio, la successione
imperiale fu infatti regolata da
norme poco chiare ed estremamente
variabili, e questo determinò una
lotta per il potere in cui tutto
dipendeva dall’autorità,
dall’avidità, dalla scaltrezza e
dalla disponibilità a uccidere – o a
far uccidere – dei pretendenti al
trono. Nei cinque secoli di vita
dell’Impero romano (27 a.C.-476
d.C.), quasi la metà degli
imperatori morì ammazzata
nell’ambito di sordidi complotti, e
nel frenetico alternarsi di colpi di
Stato e congiure a ottenere sempre
più credito furono i generali
militari, signori della guerra che
al pari di moderni caudillos
guadagnarono a volte un potere
assoluto.
Albori di sangue
«Se il primo imperatore della storia
romana fu Augusto, sul trono dal 27
al 14 a.C., l’idea di Impero prese
forma già con Caio Giulio Cesare,
che fu dittatore di Roma dal 49 al
44 a.C. e che morì accoltellato in
capo a una cospirazione del senato»
racconta lo storico dell’antichità
Antonio Montesanti dell’Università
di Exeter. «Fin dagli albori,
l’Impero fu dunque bagnato nel
sangue, e la scia di violenza
proseguì per tutta l’età d’oro,
ovvero il lungo periodo di pace –
quasi due secoli – passato alle
cronache come Pax Romana».
D’altronde, quando un imperatore
scontentava altri
soggetti politici o militari dotati
di ampi poteri, tra le fila del
senato o dei pretoriani (le
guardie del corpo del sovrano)
c’era sempre qualcuno pronto a
tramare per sbarazzarsi di lui.
E se
Augusto morì di morte
naturale, già sotto il suo
successore, Tiberio, la corte prese
ad assomigliare al set di un caotico
film horror, a cui parteciparono
spesso anche le donne. Qualche
esempio? Il citato Tiberio, già
sfuggito a un complotto del
pretoriano Seiano, morì soffocato
nel suo letto, il successore,
Caligola, fu accoltellato lasciando
il trono a Claudio, che finì i suoi
giorni avvelenato dalla consorte
Agrippina, madre di Nerone, il
quale, diventato sovrano, dovrà
fronteggiare, reprimendola nel
sangue, una congiura ordita dal
senatore Pisone. Per chiudere il
cerchio, Agrippina sarà fatta
uccidere dallo stesso Nerone.
Dopodiché, sul finire del I secolo
d.C., si registrarono gli omicidi
degli imperatori Galba, Vitellio e
Domiziano, con quest’ultimo che si
distinse come uno dei sovrani più
crudeli, dispotici e dissoluti prima
di essere travolto (a suon di
pugnalate) dall’ennesimo complotto
del senato.
Dall’oro... alla ruggine
Nel 180, dopo la morte (naturale) di
Marco Aurelio, si concluse l’età
d’oro della storia imperiale e
iniziò un periodo di decadenza che
lo storico Cassio Dione Cocceiano
(155-235) definì, con una celebre
metafora, come il passaggio “da
un regno d'oro a uno di ferro e
ruggine...”.
E la ruggine divenne particolarmente
corrosiva con la salita al potere
del depravato e prepotente Commodo,
che su input di un manipolo
di senatori
finì peraltro i suoi giorni
strangolato dal suo
allenatore nell’arte gladiatoria.
Solo nel 193 morirono quindi
assassinati gli imperatori
Pertinace, per mano dei pretoriani,
e Didio Giulio, con il solito
zampino del senato, e quando
tra la fine del II e l’inizio del
III secolo si affermò la dinastia
dei Severi, fu stabilito un macabro
record: a parte il fondatore,
Settimio Severo, tutti gli
imperatori severiani saranno vittime
di congiure concluse con il loro
omicidio. «L’ultimo, Alessandro
Severo,
fu ucciso dai suoi soldati durante
un ammutinamento che portò al potere
il generale Massimino Trace (235),
evento che costituì uno spartiacque
storico introducendo una novità: la
possibilità per un barbaro di
diventare imperatore grazie a meriti
militari» riprende Montesanti.
Proveniente dalla Tracia rurale,
Massimino riuscì nella sua scalata
sociale grazie alle qualità di
combattente – era un colosso alto
oltre due metri – messe in mostra
nell’esercito romano, da tempo
apertissimo agli stranieri. Da
questo momento si consolidò un
fenomeno già emerso con Settimio
Severo, ossia la necessità, per
ogni aspirante imperatore, di
mirare al consenso delle milizie più
che a quello dei senatori. «Al tempo
dei cosiddetti imperatori soldati,
se un sovrano non soddisfaceva le
truppe, queste lo deponevano e, come
in un moderno colpo di Stato, lo
sostituivano con un generale
ritenuto più affidabile» spiega
l’esperto. «Ogni comandante poteva
così aspirare alla carica di
imperatore, rischiando però di
ritrovarsi velocemente scalzato». Lo
stesso potere imperiale affondava le
radici nell’esercito: prima di
assumere connotazioni geopolitiche,
il concetto di Imperium si
riferiva infatti al potere di taluni
magistrati militari i cui
ordini, indiscutibili, toccavano
anche ambiti politici e
religiosi.
Anarchia militare
Nel III secolo all’instabilità dei
confini dovuta alla crescente
minaccia dei popoli barbari si
sommarono i pericoli derivanti dalle
guerre interne, fomentate dai leader
militari decisi a salire sul trono.
Tutto ciò portò l’Impero
all’anarchia. «Se nei primi due
secoli il rapporto tra ambito
politico e ambito militare era in
equilibrio, l’esercito aveva adesso
attirato ogni potere, dettando i
tempi e i modi della politica»
sottolinea Montesanti. «La
percentuale di sovrani uccisi rimase
a ogni modo elevata, ma se un tempo
la lotta per il potere era spesso
legata alle manie – e alle follie –
dei singoli imperatori, ora a
determinare gli eventi erano le
esigenze belliche». Inoltre, sulla
scia di quanto avvenuto con
Massimino Trace (che tra l’altro non
mise mai piede a Roma), aumentarono
i casi di sovrani “esotici”, come
avvenne con Marco Giulio Filippo
detto l’Arabo. Nato in terra
siriana, questi aveva fatto strada
nell’esercito fino a diventare
prefetto del pretorio e poi
imperatore (nel 244), non
senza aver prima tradito il
precedente sovrano Gordiano III,
ucciso dai propri soldati su stimolo
dello stesso Filippo. Una curiosità:
sarà proprio quest’ultimo a
celebrare i primi mille anni di Roma
(fondata nel 753 a.C.). Poi, dopo il
susseguirsi di un’altra ventina di
imperatori – molti dei quali, da
prassi, morti ammazzati – la crisi
del III secolo cominciò a diradarsi
con l’avvento al potere di un
comandante proveniente dalla
Dalmazia: Diocleziano. Il nuovo
sovrano, valutando il tradizionale
sistema di governo inadatto a
garantire il dominio del vasto
territorio imperiale (che ormai
aveva più fronti caldi,
incontrollabili da un uomo solo),
istituì nel 293 la cosiddetta
tetrarchia, o governo dei quattro.
Tardo Impero, antica violenza
In sostanza, l’Impero venne
frazionato in quattro aree e a
Diocleziano si affiancarono altri
tre sovrani (Massimiano, Costanzo
Cloro e Galerio), scelta che garantì
una rinnovata stabilità. In tale
frangente tardo-imperiale il sangue
continuò in ogni caso a scorrere
copioso a causa di una recrudescenza
delle persecuzioni dei cristiani,
iniziate già da qualche decennio.
L’esperimento tetrarchico, durante
il quale si avvicendarono più
quaterne di imperatori, finì nel
324, allorché, dopo
una
sfiancante guerra civile, Costantino
(sovrano in coabitazione dal 306) rimase
l’unico signore dell’Impero.
Abbracciato il cristianesimo, questi
si attivò per diffondere la
religione prima perseguitata,
legando inoltre il proprio nome alla
fondazione di Costantinopoli, dal
395 capitale del neonato Impero
romano d’Oriente. «A partire da tale
data gli imperatori d’Occidente
furono prevalentemente dei sovrani
fantoccio, dacché il potere tornò a
concentrarsi nelle mani dei massimi
comandanti militari, incarico che
nel Tardo Impero corrispondeva a
quello di magister militum,
“maestro dei soldati”» spiega
l’esperto.
«Uno
dei più celebri fu Stilicone
(359-408), di origini germaniche,
che resse de facto l’Impero
dopo la morte dell’imperatore
Teodosio». Anni dopo, un potere
simile fu raggiunto dal magister
Flavio Ezio (390-454), generale del
sovrano Valentiniano III che, dopo
aver a lungo frenato la pressione
dei barbari, fu ucciso in un
complotto con la partecipazione
dello stesso imperatore. Un film già
visto, con un finale scontato: nel
455 anche Valentiniano fu
assassinato, per volere del prefetto
Petronio Massimo,
salito poi sul trono ma
destinato pure lui a morte violenta,
trucidato dal suo popolo. Il rosso
porpora e il rosso sangue
delinearono dunque le sorti dei
sovrani romani fino alla fine, su
un’immaginaria tela dipinta,
specialmente nel Tardo Impero, dalle
spade dei soldati... E sarà proprio
un soldato, il germanico Odoacre che
tanta carriera aveva fatto
nell’esercito romano, a deporre nel
476
Romolo Augusto, segnando la fine
dell’Impero romano d’Occidente.