N. 78 - Giugno 2014
(CIX)
Lorenzo il Magnifico
nascita di un mito
di Claudio Tassini
Lorenzo
de’
Medici
nasce
il
1°
gennaio
1449
a
Firenze.
Nonostante
osservi
la
tipica
istruzione
umanistica
destinata
ai
figli
delle
ricche
famiglie
fiorentine,
al
greco
e
alle
lettere
classiche
preferisce
lo
studio
della
letteratura
volgare,
diventando
un
profondo
conoscitore
dell’importante
tradizione
letteraria
toscana.
Durante
la
giovinezza
imparò
a
suonare
diversi
strumenti,
con
particolare
predilezione
per
il
liuto,
e,
nonostante
avesse
una
voce
roca,
amava
dilettarsi
nel
canto,
in
cui
si
dice
fosse
un
eccellente
improvvisatore.
A
quindici
anni
Lorenzo
compone
la
sua
prima
operetta
in
terzine
Corinto
e,
sempre
nello
stesso
periodo,
inizia
a
scrivere
sonetti
e
canzoni
ispirate
allo
stile
del
Petrarca,
che
andranno
a
costituire
la
prima
parte
del
Canzoniere.
Queste
poesie
sono
tutte
ispirate
dal
sentimento
che
il
giovane
Lorenzo
provava
per
la
bellissima
Lucrezia
Donati,
in
onore
della
quale
organizzò
feste
e
balli,
nonostante
fosse
sposata.
Il
Medici
non
disdegnava
neppure
l’amore
a
pagamento,
tanto
da
essere
criticato
da
molti,
soprattutto
dal
suo
precettore
Gentile
Becchi.
La
morte
di
suo
nonno
Cosimo
(1464)
e la
salute
precaria
del
padre
Piero
il
Gottoso
(1469)
gli
fecero
prendere
coscienza
che
le
sue
giovani
spalle
avrebbero
dovuto
sostenere
da
lì a
poco
l’eredità
dello
“stato”
mediceo.
Lorenzo
si
unisce
così
in
matrimonio
nel
1469
con
Clarice
Orsini;
la
scelta
oculata
di
una
nobile
romana
andava
a
costituire
un
solido
appoggio
con
Roma,
anche
se
una
moglie
“forestiera”
per
il
signore
di
Firenze
sollevò
non
poco
malcontento.
Il
passaggio
dalla
giovinezza
alla
vita
adulta
venne
celebrato
nella
giostra
del
7
gennaio
dello
stesso
anno,
che
si
svolse
prima
del
matrimonio
in
piazza
Santa
Croce.
Per
l’avvenimento
Lorenzo
si
vestì
con
i
colori
del
casato
di
Lucrezia
Donati,
nominata
regina
del
torneo.
Lorenzo
vinse,
anche
se
nei
suoi
Ricordi
rammenta
piuttosto
le
spese
eccessive
e
giudica
la
sua
prestazione
non
all’altezza.
Durante
il
torneo,
il
giovane
Medici
fa
valere
la
sua
forte
personalità,
che
compensava
le
caratteristiche
fisiche:
era
infatti
molto
basso,
con
una
carnagione
olivastra,
e un
naso
asimmetrico,
che
andava
a
deformarne
il
profilo.
Quando
il 2
dicembre
muore
il
padre
Piero,
Lorenzo
ha
solo
venti
anni
e il
fratello
Giuliano
sedici.
Subito
dopo
la
morte
del
genitore,
700
partigiani
dei
Medici
e lo
zio
Tommaso
Soderini
affidano
a
Lorenzo
e a
Giuliano
la
sua
l’eredità
politica.
Quello
di
Lorenzo,
comunque,
sarebbe
stato
un
potere
velato,
come
quello
dei
suoi
predecessori,
in
quanto
Firenze
era
pur
sempre
formalmente
una
repubblica.
Questo
passaggio
avvenne
con
la
convinzione
che
la
giovane
età
rendesse
i
due
fratelli
facilmente
manovrabili.
Lorenzo
stesso
scrive
nei
suoi
Ricordi
di
non
aver
accettato
in
modo
entusiastico
questo
incarico
“per
essere
contro
alla
mia
età
e di
grande
carico
e
pericolo”,
ma
di
aver
acconsentito
“solo
per
conservazione
delli
amici
e
sustanzie
nostre,
perché
a
Firenze
si
può
mal
vivere
senza
lo
stato”.
A
Firenze
si
concentravano
moltissimi
banchieri
e
mercanti,
e
Lorenzo,
istruito
sapientemente
dal
nonno
e
dal
padre,
sapeva
bene
che
il
potere
politico
stava
alla
base
della
ricchezza.
Nel
1472,
durante
un
suo
viaggio
a
Roma,
visitò
le
antichità
sotto
la
guida
di
Leon
Battista
Alberti;
l’intento
era
quello
però
di
ottenere
da
papa
Sisto
IV
la
nomina
di
un
cardinale
fiorentino,
che
avrebbe
sostenuto
gli
interessi
di
Firenze
e
dei
Medici
in
Vaticano.
Lorenzo
propose
suo
fratello
Giuliano,
che
non
accettò
di
buon
grado
perché
non
era
nei
suoi
progetti
diventare
un
prelato
e
non
aveva
poi
nessuna
istruzione
in
materia.
Questo
però
non
interessava
a
Lorenzo,
poiché
gli
interessi
economici
familiari
occultavano
ogni
sogno
del
fratello.
Purtroppo
il
destino
di
Giuliano
sarebbe
stato
da
lì a
poco
tragico.
Papa
Sisto
IV
vuole
facilitare
le
mire
dei
suoi
tre
nipoti.
Uno
di
loro,
Girolamo
Riario,
lo
esorta
ad
avanzare
verso
Firenze,
in
modo
da
prenderne
il
comando.
Oltre
alle
mire
personali
di
Girolamo,
anche
Sisto
ha
un
proprio
interesse
verso
Repubblica
fiorentina,
volendo
ampliare
il
proprio
dominio
in
Romagna
facendo
occupare
dai
nipoti
la
parte
di
territorio
tra
Imola
e
Faenza.
Il
pontefice
sostiene
perciò
il
complotto
ideato
dal
nipote
Girolamo
che
per
impadronirsi
di
Firenze
ha
in
mente
di
uccidere
Lorenzo
e
Giuliano.
Per
far
questo
è
necessario
l’aiuto
di
chi
è
nemico
da
tempo
della
famiglia
Medici,
ovvero
di
una
delle
famiglie
più
influenti
e
ricche
di
Firenze:
i
Pazzi.
Il
casato
dei
Pazzi
è
molto
antico
e
vanta
illustri
avi,
Pazzino
fu
uno
dei
protagonisti
della
crociata
di
Goffredo
di
Buglione
che
si
concluse
nel
1099.
Questa
gloriosa
famiglia
vede
da
sempre
i
Medici
non
degni
del
loro
ruolo,
poiché
questi
non
hanno
nobili
origini
e si
sono
arricchiti
in
poco
tempo,
arrivando
a
detenere
anche
il
potere
cittadino,
se
pur
non
formalmente.
Gli
attriti
non
si
sono
attenuati
neanche
attraverso
la
parentela
che
si è
andata
a
formare
dando
in
sposa
Bianca,
sorella
di
Lorenzo
e
Giuliano,
a
Guglielmo
de’
Pazzi.
Il
complotto
viene
tramato
a
Roma
con
il
totale
appoggio
di
Sisto
IV.
Oltre
a
uccidere
i
due
fratelli,
dopo
l’agguato
si
renderà
necessario
costituire
un
esercito
che
occupi
i
punti
nodali
dei
confini
della
Repubblica
fiorentina.
Insieme
a
Girolamo
Riario
e ai
Pazzi,
tra
i
protagonisti
della
congiura
compare
l’arcivescovo
di
Pisa
Francesco
Salviati,
mosso
dalla
probabile
responsabilità
di
Lorenzo
nell’impedirne
la
nomina
ad
arcivescovo
di
Firenze
in
favore
del
cognato
Rinaldo
Orsini.
L’occasione
propizia
per
eliminare
i
due
fratelli
si
presenta
il
25
aprile
1476,
il
Sabato
santo,
in
cui
i
Medici
tennero
un
banchetto
dove
tra
tutti
gli
invitati
dell’aristocrazia
fiorentina
avrebbe
partecipato
anche
Jacopo
Pazzi.
Un’indisposizione
però
impedisce
la
presenza
di
Giuliano,
cosicché
il
piano
viene
rinviato
di
un
giorno.
I
cospiratori
decidono
che
i
due
giovani
sarebbero
caduti
sotto
i
colpi
di
un
pugnale
durante
la
messa
tenuta
in
Duomo.
Il
corteo
si
avvia
da
palazzo
Medici
verso
la
cattedrale
e si
sistema
nelle
prime
file;
Lorenzo
e
Giuliano
sono
seduti
in
due
banchi
separati
e al
momento
dell’inginocchiamento
vengono
attaccati:
Giuliano
colpito
violentemente
al
cranio
muore
all’istante
mentre
gli
vengono
inferte
altre
diciotto
coltellate.
Il
sicario
di
Lorenzo
però
è
troppo
precipitoso,
tanto
da
colpirlo
soltanto
di
striscio
al
collo.
Ferito,
si
arma
e
riesce
a
raggiungere
la
sacrestia
“delle
Messe”
insieme
ai
suoi
fidati.
Nonostante
la
morte
di
Giuliano,
il
complotto
è
fallito
e la
notizia
dell’accaduto
arriva
velocemente
in
tutta
Firenze.
Lo
sdegno
si
aggrava
dal
fatto
che
tutto
è
avvenuto
in
un
luogo
sacro:
l’effetto
è
quello
di
scatenare
il
popolo
in
una
caccia
agli
assassini.
Gli
attentatori
però,
approfittando
della
confusione,
riescono
a
uscire
dalla
cattedrale
e a
mescolarsi
con
il
corteo
dei
mandanti
dirigendosi
verso
Palazzo
della
Signoria.
Qui
l’arcivescovo
Salviati
entra
nel
cortile
con
il
suo
seguito,
ma
tutta
una
serie
di
gesti,
sguardi
ambigui
e
mormorii
insospettiscono
il
gonfaloniere
Petrucci,
il
quale
facendo
finta
di
non
sospettare
nulla,
cerca
di
intrattenere
il
Salviati
e i
suoi,
inviando
un
suo
uomo
in
Duomo
per
controllare
se è
accaduto
qualcosa.
Appena
apprende
l’accaduto
il
Petrucci
fa
uccidere
tutti
a
colpi
di
spada,
e
l’arcivescovo
viene
impiccato.
Intanto
Jacopo
de’
Pazzi
si
rifugia
a
Castagno
nel
Mugello,
dove
però
viene
riconosciuto
dagli
abitanti,
consegnato
alle
autorità
fiorentine
e
destinato
alla
forca
in
piazza
della
Signoria.
La
stessa
sorte
toccherà
anche
a
Francesco
de’
Pazzi,
uccisore
materiale
di
Giuliano;
quasi
tutta
la
famiglia
Pazzi
viene
uccisa
e
cadranno
molti
di
coloro
collegati
in
qualche
modo
alla
congiura.
Le
cronache
parlano
di
una
furia
popolare
collettiva
che
provocherà
circa
ottanta
vittime,
soprattutto
perché
Giuliano
era
molto
amato
dai
fiorentini.
A
Guglielmo,
marito
di
Bianca
fu
risparmiata
la
vita,
ma
condannato
all’esilio
fino
alla
morte.
Lorenzo
e
Firenze
vengono
però
scomunicati
per
aver
provocato
la
morte
dell’arcivescovo
Salviati,
ma
in
tutta
risposta
la
Chiesa
Toscana
scomunica
il
Papa
stesso.
Sisto
IV
non
rinuncia
alle
sue
mire
su
Firenze
e
sulla
Toscana,
trovando
nuovi
alleati
contro
Lorenzo
nel
re
di
Napoli
e in
Siena.
La
guerra
fu
quindi
inevitabile
e,
nonostante
le
ingenti
forze
messe
in
campo,
la
Repubblica
fiorentina
subirà
notevoli
sconfitte.
Lorenzo
capisce
perciò
che
per
vincere
è
necessario
adesso
armarsi
di
diplomazia
e di
furbizia.
Chiede
quindi
al
Poliziano
di
fare
una
narrazione
di
ciò
che
è
accaduto
quel
giorno
in
Duomo,
con
la
esplicita
richiesta
di
non
fare
mai
il
nome
dei
mandanti,
ma
solo
degli
esecutori,
perché
sa
che
deve
trattare
con
loro.
Dovranno
essere
menzionati
solo
i
Pazzi
e i
Salviati
e
quest’opera
viene
stampata
poi
in
latino
per
essere
letta
in
tutta
Europa.
Anche
i
Pazzi
e i
Salviati
fanno
redigere
un’opera
da
Alamanno
Rinuccini,
Dialogus
Libertade,
dove
si
celebrano
il
Papa
e il
Re
di
Napoli
Ferdinando
I,
specificando
che
il
“tiranno”
Lorenzo
voleva
far
sì
che
i
due
si
autoaccusassero,
ma
questa
opera
rimase
solo
manoscritta.
A
giudizio
di
Lorenzo
Ferdinando
I,
grande
sostenitore
e
devoto
alleato
di
Sisto
IV,
è
oramai
stanco
ed
egli
scorge
la
possibilità
di
un
compromesso.
L’idea
è
quella
di
recarsi
a
Napoli,
ma i
suoi
fedeli
lo
esortano
a
tornare
in
sé:
il
rischio
che
venga
avvelenato
o
consegnato
al
Papa
è
altissimo.
Lorenzo,
nonostante
il
pericolo
sia
grande,
nel
1479
vi
si
reca
ugualmente.
Vuole
in
ogni
modo
far
prendere
coscienza
al
Re
che
la
presa
di
Firenze
da
parte
del
Papa
avrebbe
compromesso
anche
la
sua
posizione
politica,
in
quanto
la
crescita
delle
Stato
pontificio
avrebbe
creato
forti
squilibri
ai
già
precari
stati
italiani.
In
tre
mesi,
dopo
sfiancanti
trattative
e
grandi
esborsi
di
danaro,
egli
riesce
a
ristabilire
gli
equilibri
e a
ottenere
la
pace
e
dopo
poco
anche
gli
altri
alleati
del
papa
depongono
le
armi.
Nel
marzo
del
1480
Lorenzo
torna
in
Firenze
da
orgoglioso
vincitore,
accolto
dai
fiorentini
come
salvatore
della
patria
e da
questo
momento
il
suo
nome
sarà
seguito
dall’appellativo
“il
Magnifico”,
consolidando
ancora
di
più
il
suo
ruolo
di
capo
e
divenendo
di
fatto
il
vero
signore
di
Firenze.
Niccolò
Machiavelli
nella
sue
Storie
fiorentine
descrisse
il
ritorno
del
Magnifico:
“Tornò
pertanto
grandissimo,
se
n’era
partito
grande,
e fu
con
quella
allegrezza
della
città
ricevuto,
che
le
sue
grandi
qualità
e
freschi
meriti
meritavano,
avendo
esposto
la
propria
vita
per
rendere
alla
sua
patria
la
pace”.
Lorenzo
muore
nel
1492
a
soli
quarantatrè
anni
nella
villa
di
Careggi
a
causa
della
gotta;
negli
ultimi
momenti
di
vita
vorrà
accanto
Girolamo
Savonarola,
proprio
quel
frate
da
cui
tanti
ammonimenti
aveva
avuto
durante
gli
ultimi
anni
del
suo
governo.
Prima
di
morire
chiede
a
papa
Innocenzo
VIII
la
nomina
a
cardinale
del
figlio
quattordicenne
Giovanni,
che
viene
concessa,
anche
se
Lorenzo
non
potrà
gioirne
perché
morirà
poco
prima.
Lorenzo
lascia
una
grande
eredità
culturale.
Il
palazzo
di
via
Larga
(odierno
Palazzo
medici
Riccardi),
diventa
infatti
un
importante
epicentro
di
cultura,
oltre
che
per
Firenze
e
l’Italia
anche
per
l’Europa
intera.
Importanti
somme
di
danaro
sono
messe
a
disposizione
per
la
ricerca
di
antichi
manoscritti
che
i
suoi
emissari
vanno
a
cercare
fino
in
Oriente
e
che
andranno
poi
a
costituire
la
parte
iniziale
della
biblioteca
Laurenziana.
A
Lorenzo
si
deve
la
rinascita
dell’Università
di
Pisa,
da
lui
viene
fondata
anche
l’Università
fiorentina,
l’unica
a
quel
tempo
in
Europa
dove
è
possibile
imparare
il
greco,
e
nella
quale
chiama
a
insegnarvi
i
grandi
insegnanti
greci
che
hanno
trovato
asilo
in
Occidente
dopo
la
caduta
di
Costantinopoli
del
1453.
Proprio
questi
eruditi
realizzano
nel
1488
la
prima
edizione
a
stampa
delle
opere
di
Omero.
Fonda
anche
una
scuola
di
scultura
dove
sarà
allievo
anche
il
giovane
Michelangelo
Buonarroti,
la
cui
abilità
Lorenzo
nota
nel
cortile
del
palazzo,
accogliendolo
poi
come
un
figlio
presso
la
sua
corte.
Con
la
sua
straordinaria
personalità
di
statista
e
letterato,
Firenze
diventa
il
riconosciuto
epicentro
delle
arti
e
delle
lettere.
Gli
artisti
e
letterati
di
cui
si
circonda
danno
vita
e
convogliano
da
Firenze
in
tutta
Europa
l’Umanesimo
e il
Rinascimento,
gettando
le
basi
di
un
movimento
che
influenzerà
la
storia
europea
per
i
successivi
due
secoli.