[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


moderna  

Lope de Aguirre

Il conquistador che si credeva la furia di Dio

di Enrico Targa

 

Tra le storie di milioni di spagnoli che partirono per le Indie tra il XV e il XVI secolo, quella di Lope de Aguirre è forse la più affascinante e rivelatrice dei recessi oscuri dell’anima umana plasmati di coraggio, temerarietà ma anche di crudeltà, follia e spietatezza.

 

Le avventure di questo “vecchio cristiano, figlio di genitori medi, un basco originario dei regni di Spagna, un vicino della città di Oñate”, come descritto nella sua già leggendaria lettera a Filippo II, si trovano in quel terreno paludoso in cui mito e i fatti storici sono mescolati, spesso distorti dalla raccolta di cronache di quel tempo e dalle successive opere di narrativa che vedono protagonista il personaggio folle di Aguirre. I folli occhi di Klaus Kinski che interpreta Aguirre nel film Aguirre il furore di Dio sono da non perdere.

 

Aguirre nacque intorno al 1510 nella valle di Araotz (una frazione appartenente a Oñati), vicino ad Arantzazu nella provincia di Gipuzkoa o ad Aramaio, nei Paesi Baschi della Spagna settentrionale, figlio di un nobile membro della burocrazia reale. Quando Hernando Pizarro tornò dal Perù e riportò i tesori degli Incas, Aguirre, allora ventenne, lavorava a Siviglia e rimase affascinato dai resoconti del viaggio che parlavano di un mondo fantastico abitato da sirene, unicorni, giganti e ricco di oro e spezie (si vociferava dell’esistenza del “Paese della cannella”, vero obiettivo della spedizione di Francisco di Orellana il primo ad attraversare il Rio delle Amazzoni nel 1541).

 

Probabilmente Aguirre si arruolò in una spedizione per servire sotto il comando di Rodrigo Duran subito dopo essere arrivato in Perù nel 1536 o nel 1537. Per mantenersi Aguirre divenne un addestratore di stalloni a Cuzco, la capitale di Nueva Toledo e successivamente fu nominato regidor (consigliere) della città. Come conquistatore, tuttavia, divenne presto famoso per la sua violenza, crudeltà e sedizione contro la Corona.

 

Nel 1544, Aguirre era al fianco del primo viceré del Perù, Blasco Núñez Vela, che era arrivato dalla Spagna con l’ordine di attuare le Nuove Leggi volte a reprimere le Encomiendas (istituzione spagnola vigente fin dal Medioevo nei territori iberici riconquistati ai Mori e introdotta nelle colonie d’America all’indomani della conquista) e a liberare gli indigeni dalla schiavitù.

 

Molti conquistatori temendo di perdere gran parte dei privilegi che essi ritenevano legittimi, in quanto conquistati con il sangue e il sudore, si rifiutarono di attuare queste leggi che proibivano loro di sfruttare gli indiani. Aguirre, tuttavia, prese parte al complotto con Melchor Verdugo, un ebreo converso, per liberare il viceré (che era stato imprigionato dai ribelli sull’isola di San Lorenzo), e quindi si rivoltò contro Gonzalo Pizarro (il capo dei ribelli e fratello del famoso conquistatore del Perù Francisco).

 

Dopo aver fallito il tentativo di liberare il viceré, Aguirre e Verdugo fuggirono da Lima a Cajamarca e iniziarono a radunare uomini al fine di liberare il viceré. Nel frattempo, grazie al comandante Alvarez, il viceré era fuggito a Tumbes e raccolse una piccola forza militare nella convinzione che tutto il paese si sarebbe alzato per difendere la Corona sotto la bandiera reale. La resistenza del viceré a Pizarro e al suo vice Francisco de Carvajal, il famigerato “el demonio de los Andes” (“demone delle Ande”) durò due anni fino a quando non fu sconfitto ad Añaquito il 18 gennaio 1546 e successivamente decapitato (la stessa sorte toccò a Gonzalo Pizarro dopo la sconfitta nella battaglia di Jaquijahuana nel 1548).

 

Aguirre e Verdugo una volta arrivati in Nicaragua si imbarcarono verso Trujillo (Perù) con 33 uomini. Verdugo ottenne il grado di capitano mentre Aguirre tornò nel Potosí nel 1551 e li lo attese il giudice Francisco de Esquivel il quale lo arrestò con l’accusa di aver infranto le leggi a protezione degli indiani. Il ligio e ferreo giudice respinse le richieste di immunità richieste da Aguirre in quanto membro della nobiltà spagnola e lo condannò alla pena della fustigazione pubblica. Ferito nel suo orgoglio, Aguirre attese la fine del mandato del giudice per vendicare il suo onore. Temendo la vendetta di Aguirre, il giudice fuggì, cambiando costantemente la propria residenza.

 

Pieno d’odio, Aguirre inseguì Esquivel a Lima, Quito e poi a Cuzco, perdendolo in tutti e tre i posti. L’inseguimento durò circa tre anni fino a quando lo trovò a Cuzco. Quel giorno Aguirre si avvicinò all’Esquivel addormentato nella sua biblioteca e lo pugnalò due volte alle tempie e lo uccise. Protetto dagli amici che lo avevano nascosto, Aguirre fuggì da Cuzco e si rifugiò presso un parente a Huamanga (ora chiamata Ayacucho).

 

Nel 1560, poco prima di essere rimosso dall’incarico, il nuovo viceré Andrés Hurtado de Mendoza organizzò una spedizione per conquistare il mitico El Dorado nel territorio degli indigeni Omaguas. La spedizione aveva lo scopo di allontanare numerosi soldati e mercenari, poveri pieni di risentimento dopo le guerre civili appena concluse quindi le aspettative di nuove ricchezze avrebbero incoraggiato molti di loro a partire.

 

Sotto il comando del veterano Pedro de Ursúa, il 26 settembre 1560, i membri della spedizione salparono sul fiume Marañón (per questo motivo adottarono il soprannome di marañones). La spedizione era composta da poco più di 300 spagnoli, alcune decine di schiavi neri e circa 500 servitori indiani, imbarcati su due briganti, due chiatte piatte e alcune zattere e canoe: tra loro non poteva mancare Lope de Aguirre accompagnato dalla sua giovane figlia meticcia Elvira.

 

Dopo un anno di viaggio ormai la spedizione stava volgendo verso un clamoroso insuccesso: i trasportatori indigeni erano ormai quasi tutti morti e Aguirre insieme ad altri disertori decisero di eliminare Ursúa e poco dopo eliminarono anche il suo successore, Fernando de Guzmán, sostituito da Aguirre. I ribelli raggiunsero l’Oceano Atlantico (probabilmente lungo il fiume Orinoco) non prima di aver scatenato il terrore tra le popolazioni native lungo il loro cammino.

 

Il 23 marzo 1561, il conquistador basco esortò 186 tra soldati e capitani a firmare una dichiarazione di guerra contro l’impero spagnolo e si autoproclamò “il principe del Perù, Tierra Firme e Cile”, inoltre fece spedire una lettera a Filippo II spiegando i suoi piani per la libertà e l’autogoverno firmandosi con il soprannome di grande traditore e poco dopo si sbarazzò di Inés (l’amante di Ursúa) uccidendola.

 

Nel luglio del 1561 dopo aver preso possesso dell’isola di Margarita, illudendo gli abitanti compreso il governatore Don Juan Villadrando del fatto che stava trasportando un grande tesoro degli Incas, Aguirre imprigionò il governatore e i membri del Cabildo. Quindi occupò la città La Asunción e a poco a poco conquistò tutte le città vicine. Quando venne a sapere che le autorità della terraferma stavano organizzando una spedizione guidata da Francisco Fajardo per catturarlo, il conquistador lasciò l’isola di Margarita non prima di aver assassinato il governatore e 50 dei suoi abitanti. Scrisse quindi una nuova lettera minatoria al re spagnolo insultandolo e firmandosi con un nuovo titolo ancora più stravagante del primo: pellegrino e principe della libertà.

 

Il 29 agosto 1561 arrivò alla città di Borburata (Venezuela) sulla terraferma, dove la sua aperta ribellione contro la monarchia spagnola diventò ancora più radicale. Dopo aver saccheggiato Borburata, Aguirre e i suoi occuparono Nueva Valencia del Rey i cui abitanti in preda al panico si rifugiarono nelle isole del lago Tacarigua. Il conquistatore Juan Rodríguez Suárez cercò di porre fine alla ribellione, ma venne scoperto e ucciso insieme ai suoi compagni.

 

Dopo aver attraversato la catena montuosa del Nirgua, Aguirre occupò Barquisimeto ma Pedro Alonso Galeas, un altro disertore della spedizione ormai stanco di assecondare le manie di Aguirre, avvisò le truppe spagnole di stanza a Mérida, Trujillo ed El Tocuyo. Le truppe guidate da Diego García de Paredes e da Hernando Cerrada Marín occupano Barquisimeto mentre Aguirre ormai braccato e senza via di scampo pugnalò a morte sua figlia Elvira: “Perché qualcuno che amo così tanto non dovrebbe andare a letto con persone cattive”.

 

Il 27 ottobre 1561 un soldato armato di archibugio sparò ad Aguirre un colpo mortale uccidendolo sul posto. Quindi un altro soldato, di nome Custodio Hernández, gli saltò addosso e, per ordine di García de Paredes, gli tagliò la testa consegnandola poi al comandante del campo. Il corpo di Aguirre fu smembrato e i suoi resti furono mangiati dai cani a eccezione della sua testa, che fu messa in gabbia ed esposta come esempio a El Tocuyo, mentre le sue mani furono portate a Trujillo e Valencia.

 

In un processo post mortem tenuto a El Tocuyo, Aguirre fu dichiarato colpevole del crimine di lesa maestà mentre a Mérida e a El Tocuyo i suoi seguaci furono processati e tutti giudicati colpevoli per i crimini commessi e condannati a morte per smembramento.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

R. Southey, The Expedition of Orsua. And the Crimes of Aguirre, Londra 1821.

S. Minta, Aguirre: The Re-Creation of a Sixteenth-Century Journey Across South America, 1993.

F. Vásquez, Aguirre alla ricerca dell’Eldorado relazione sul viaggio del conquistador folle nella giungla Amazzonica 1560-1561, Savelli Editore, Roma 1981.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]