moderna
Lope de Aguirre
Il conquistador che si credeva la furia
di Dio
di Enrico Targa
Tra le storie di milioni di spagnoli che
partirono per le Indie tra il XV e il
XVI secolo, quella di Lope de Aguirre è
forse la più affascinante e rivelatrice
dei recessi oscuri dell’anima umana
plasmati di coraggio, temerarietà ma
anche di crudeltà, follia e spietatezza.
Le avventure di questo “vecchio
cristiano, figlio di genitori medi, un
basco originario dei regni di Spagna, un
vicino della città di Oñate”, come
descritto nella sua già leggendaria
lettera a Filippo II, si trovano in quel
terreno paludoso in cui mito e i fatti
storici sono mescolati, spesso distorti
dalla raccolta di cronache di quel tempo
e dalle successive opere di narrativa
che vedono protagonista il personaggio
folle di Aguirre. I folli occhi di Klaus
Kinski che interpreta Aguirre nel film
Aguirre il furore di Dio sono da
non perdere.
Aguirre
nacque intorno al 1510 nella valle di
Araotz (una frazione appartenente a
Oñati), vicino ad Arantzazu nella
provincia di Gipuzkoa o ad Aramaio, nei
Paesi Baschi della Spagna
settentrionale, figlio di un nobile
membro della burocrazia reale. Quando
Hernando Pizarro tornò dal Perù e
riportò i tesori degli Incas, Aguirre,
allora ventenne, lavorava a Siviglia e
rimase affascinato dai resoconti del
viaggio che parlavano di un mondo
fantastico abitato da sirene, unicorni,
giganti e ricco di oro e spezie (si
vociferava dell’esistenza del “Paese
della cannella”, vero obiettivo della
spedizione di Francisco di Orellana il
primo ad attraversare il Rio delle
Amazzoni nel 1541).
Probabilmente Aguirre si arruolò in una
spedizione per servire sotto il comando
di Rodrigo Duran subito dopo essere
arrivato in Perù nel 1536 o nel 1537.
Per mantenersi Aguirre divenne un
addestratore di stalloni a Cuzco, la
capitale di Nueva Toledo e
successivamente fu nominato regidor
(consigliere) della città. Come
conquistatore, tuttavia, divenne presto
famoso per la sua violenza, crudeltà e
sedizione contro la Corona.
Nel 1544, Aguirre era al fianco del
primo viceré del Perù, Blasco Núñez
Vela, che era arrivato dalla Spagna con
l’ordine di attuare le Nuove Leggi volte
a reprimere le Encomiendas
(istituzione spagnola vigente fin dal
Medioevo nei territori iberici
riconquistati ai Mori e introdotta nelle
colonie d’America all’indomani della
conquista) e a liberare gli indigeni
dalla schiavitù.
Molti conquistatori temendo di perdere
gran parte dei privilegi che essi
ritenevano legittimi, in quanto
conquistati con il sangue e il sudore,
si rifiutarono di attuare queste leggi
che proibivano loro di sfruttare gli
indiani. Aguirre, tuttavia, prese parte
al complotto con Melchor Verdugo, un
ebreo converso, per liberare il viceré
(che era stato imprigionato dai ribelli
sull’isola di San Lorenzo), e quindi si
rivoltò contro Gonzalo Pizarro (il capo
dei ribelli e fratello del famoso
conquistatore del Perù Francisco).
Dopo aver fallito il tentativo di
liberare il viceré, Aguirre e Verdugo
fuggirono da Lima a Cajamarca e
iniziarono a radunare uomini al fine di
liberare il viceré. Nel frattempo,
grazie al comandante Alvarez, il viceré
era fuggito a Tumbes e raccolse una
piccola forza militare nella convinzione
che tutto il paese si sarebbe alzato per
difendere la Corona sotto la bandiera
reale. La resistenza del viceré a
Pizarro e al suo vice Francisco de
Carvajal, il famigerato “el demonio
de los Andes” (“demone delle Ande”)
durò due anni fino a quando non fu
sconfitto ad Añaquito il 18 gennaio 1546
e successivamente decapitato (la stessa
sorte toccò a Gonzalo Pizarro dopo la
sconfitta nella battaglia di
Jaquijahuana nel 1548).
Aguirre e
Verdugo una volta arrivati in Nicaragua
si imbarcarono verso Trujillo (Perù) con
33 uomini. Verdugo ottenne il grado di
capitano mentre Aguirre tornò nel Potosí
nel 1551 e li lo attese il giudice
Francisco de Esquivel il quale lo
arrestò con l’accusa di aver infranto le
leggi a protezione degli indiani. Il
ligio e ferreo giudice respinse le
richieste di immunità richieste da
Aguirre in quanto membro della nobiltà
spagnola e lo condannò alla pena della
fustigazione pubblica. Ferito nel suo
orgoglio, Aguirre attese la fine del
mandato del giudice per vendicare il suo
onore. Temendo la vendetta di Aguirre,
il giudice fuggì, cambiando
costantemente la propria residenza.
Pieno d’odio, Aguirre inseguì Esquivel a
Lima, Quito e poi a Cuzco, perdendolo in
tutti e tre i posti. L’inseguimento durò
circa tre anni fino a quando lo trovò a
Cuzco. Quel giorno Aguirre si avvicinò
all’Esquivel addormentato nella sua
biblioteca e lo pugnalò due volte alle
tempie e lo uccise. Protetto dagli amici
che lo avevano nascosto, Aguirre fuggì
da Cuzco e si rifugiò presso un parente
a Huamanga (ora chiamata Ayacucho).
Nel 1560, poco prima di essere rimosso
dall’incarico, il nuovo viceré Andrés
Hurtado de Mendoza organizzò una
spedizione per conquistare il mitico
El Dorado nel territorio degli
indigeni Omaguas. La spedizione
aveva lo scopo di allontanare numerosi
soldati e mercenari, poveri pieni di
risentimento dopo le guerre civili
appena concluse quindi le aspettative di
nuove ricchezze avrebbero incoraggiato
molti di loro a partire.
Sotto il comando del veterano Pedro de
Ursúa, il 26 settembre 1560, i membri
della spedizione salparono sul fiume
Marañón (per questo motivo adottarono il
soprannome di marañones). La
spedizione era composta da poco più di
300 spagnoli, alcune decine di schiavi
neri e circa 500 servitori indiani,
imbarcati su due briganti, due chiatte
piatte e alcune zattere e canoe: tra
loro non poteva mancare Lope de Aguirre
accompagnato dalla sua giovane figlia
meticcia Elvira.
Dopo un anno di viaggio ormai la
spedizione stava volgendo verso un
clamoroso insuccesso: i trasportatori
indigeni erano ormai quasi tutti morti e
Aguirre insieme ad altri disertori
decisero di eliminare Ursúa e poco dopo
eliminarono anche il suo successore,
Fernando de Guzmán, sostituito da
Aguirre. I ribelli raggiunsero l’Oceano
Atlantico (probabilmente lungo il fiume
Orinoco) non prima di aver scatenato il
terrore tra le popolazioni native lungo
il loro cammino.
Il 23 marzo 1561, il conquistador basco
esortò 186 tra soldati e capitani a
firmare una dichiarazione di guerra
contro l’impero spagnolo e si
autoproclamò “il principe del Perù,
Tierra Firme e Cile”, inoltre fece
spedire una lettera a Filippo II
spiegando i suoi piani per la libertà e
l’autogoverno firmandosi con il
soprannome di grande traditore e
poco dopo si sbarazzò di Inés (l’amante
di Ursúa) uccidendola.
Nel luglio del 1561 dopo aver preso
possesso dell’isola di Margarita,
illudendo gli abitanti compreso il
governatore Don Juan Villadrando del
fatto che stava trasportando un grande
tesoro degli Incas, Aguirre imprigionò
il governatore e i membri del Cabildo.
Quindi occupò la città La Asunción e a
poco a poco conquistò tutte le città
vicine. Quando venne a sapere che le
autorità della terraferma stavano
organizzando una spedizione guidata da
Francisco Fajardo per catturarlo, il
conquistador lasciò l’isola di Margarita
non prima di aver assassinato il
governatore e 50 dei suoi abitanti.
Scrisse quindi una nuova lettera
minatoria al re spagnolo insultandolo e
firmandosi con un nuovo titolo ancora
più stravagante del primo: pellegrino
e principe della libertà.
Il 29 agosto 1561 arrivò alla città di
Borburata (Venezuela) sulla terraferma,
dove la sua aperta ribellione contro la
monarchia spagnola diventò ancora più
radicale. Dopo aver saccheggiato
Borburata, Aguirre e i suoi occuparono
Nueva Valencia del Rey i cui abitanti in
preda al panico si rifugiarono nelle
isole del lago Tacarigua. Il
conquistatore Juan Rodríguez Suárez
cercò di porre fine alla ribellione, ma
venne scoperto e ucciso insieme ai suoi
compagni.
Dopo aver attraversato la catena
montuosa del Nirgua, Aguirre occupò
Barquisimeto ma Pedro Alonso Galeas, un
altro disertore della spedizione ormai
stanco di assecondare le manie di
Aguirre, avvisò le truppe spagnole di
stanza a Mérida, Trujillo ed El Tocuyo.
Le truppe guidate da Diego García de
Paredes e da Hernando Cerrada Marín
occupano Barquisimeto mentre Aguirre
ormai braccato e senza via di scampo
pugnalò a morte sua figlia Elvira:
“Perché qualcuno che amo così tanto non
dovrebbe andare a letto con persone
cattive”.
Il 27 ottobre 1561 un soldato armato di
archibugio sparò ad Aguirre un colpo
mortale uccidendolo sul posto. Quindi un
altro soldato, di nome Custodio
Hernández, gli saltò addosso e, per
ordine di García de Paredes, gli tagliò
la testa consegnandola poi al comandante
del campo. Il corpo di Aguirre fu
smembrato e i suoi resti furono mangiati
dai cani a eccezione della sua testa,
che fu messa in gabbia ed esposta come
esempio a El Tocuyo, mentre le sue mani
furono portate a Trujillo e Valencia.
In un processo post mortem tenuto
a El Tocuyo, Aguirre fu dichiarato
colpevole del crimine di lesa maestà
mentre a Mérida e a El Tocuyo i suoi
seguaci furono processati e tutti
giudicati colpevoli per i crimini
commessi e condannati a morte per
smembramento.
Riferimenti bibliografici:
R. Southey, The Expedition of Orsua.
And the Crimes of Aguirre, Londra
1821.
S. Minta, Aguirre: The Re-Creation of
a Sixteenth-Century Journey Across South
America, 1993.
F. Vásquez, Aguirre alla ricerca
dell’Eldorado relazione sul viaggio del
conquistador folle nella giungla
Amazzonica 1560-1561, Savelli
Editore, Roma 1981. |