contemporanea
NELLA LIVORNO DEL 1841
SUL CENSIMENTO E SUI MOTI
RISORGIMENTALI LIVORNESI / PARTE
II
di Maria Grazia Fontani |
Pochi anni dopo, dal 1848 al 1849,
Livorno sarà teatro di sommosse
popolari, che porteranno all’assedio
prima e alla difesa e all’eroica resa
poi, quando la città fu invasa
dall’esercito austriaco condotto da
Costantino d’Aspre, che portò alla
restaurazione del Granduca Leopoldo II
di Lorena.
Non mi addentro nelle problematiche
politiche e sociali relative a questi
avvenimenti, esaminate in modo
approfondito e documentato da molti
studiosi, come Nicola Badaloni e Fabio
Bertini per citare solo i più
significativi, ma mi attengo
all’impostazione della mia ricerca. È
interessante cercare riscontri dei
protagonisti di questa rivolta nei
registri del censimento.
Gli accadimenti ben noti dell’assedio e
della difesa di Livorno del 1849,
descritti da molti studiosi con dovizia
di documentazione relativa a fatti e
personaggi protagonisti, mi hanno
indotto a ricercare alcune tracce degli
stessi nei registri del censimento del
1841.
Il
professor Damiano Leonetti in La
difesa di Livorno del 10-11 Maggio 1849:
Una lezione mazziniana dice: «Ridurre
a semplice patriottismo l’azione di
difesa di Livorno unica tra le città
toscane a difendere le proprie mura e ad
opporsi con le armi alla restaurazione
Leopoldina, non sarebbe del tutto
corretto. Erano presenti anche
motivazioni legate alle sfavorevoli
condizioni di vita del popolo e dei
lavoratori portuali e industriali
aggravate ulteriormente dal blocco di
alcune importanti opere pubbliche.
Gli austriaci da sempre avevano
osteggiato, ad esempio, l’allargamento
della Darsena e la costruzione del
bacino di carenaggio poiché in conflitto
con gli interessi delle aree portuali di
Venezia e Trieste. I democratici
livornesi, lasciati soli da benpensanti,
ceti abbienti e vecchia classe dirigente
moderata, non vollero arrendersi
all’ondata reazionaria che aveva preso
il sopravvento in Toscana a partire
dalla metà di aprile del ‘49. La loro
decisione si pose a difesa delle
conquiste costituzionali ottenute
secondo lo spirito più autentico dei
principi mazziniani di libertà,
indipendenza e dedizione alla causa
italiana».
L’ammiraglio Luigi Donolo nel suo
scritto Livorno democratica si
difende dagli austriaci ricorda:
«Dopo avere goduto di un lungo e felice
periodo di tranquillità, a partire dalla
seconda metà degli anni 1840, la Toscana
si era avviata verso una nuova
condizione di malessere e di turbolenza,
alimentata dal desiderio di cambiamento
e dalla aspirazione a godere di nuovi
diritti e di più estese libertà ed
autonomie.(…)
Alla fine
di aprile, consenziente il Granduca
Leopoldo II, il generale austriaco
Costantino d’Aspre ricevette l’ordine di
ridurre alla ragione la città di
Livorno, mentre a Pisa erano entrate
truppe “granduchiste” che avevano
circondato e disarmato alcune bande
livornesi che si erano spinte fino a
Caprona. Il generale d’Aspre, partito il
26 aprile dai confini estensi,
attraversata la Garfagnana, dirigeva
verso Livorno. Il 3 maggio era a Massa,
il 5 a Lucca il 6 a Pisa. Con il suo
secondo corpo d’armata, articolato su
due divisioni e quattro brigate, doveva
attaccare Livorno, aveva l’ordine di
liberala dai ribelli. La marcia dei suoi
soldati fu spedita. Egli contava di
portare a buon fine in breve tempo il
compito assegnatogli. Disponeva infatti
di truppe efficienti e ben addestrate al
combattimento dopo le battaglie
sostenute in Lombardia. Era un esercito
multietnico di veterani del quale
facevano parte austriaci, croati,
tirolesi, ungheresi».
Il 10 e 11 maggio 1849 sono le giornate
in cui un esercito di parecchie migliaia
di soldati fu affrontato da poco più di
un migliaio di popolani che combattevano
contro chi voleva restaurare il Granduca
di Lorena in Toscana.
Il primo censito nella Cattedrale è Gavi
Monsignor Girolamo, Proposto e dirigente
Capitolare di 68 anni nel ‘41, che
viveva con la sorella Angiolina vedova,
più anziana di un anno. Va riconosciuto
al Gavi un certo atteggiamento di
apertura sia alle problematiche sociali
che ai diversi culti praticati in una
città dall’anima internazionalista, dove
convivevano molte religioni diverse.
Gavi cercò
di sedare la rivolta con appelli alla
popolazione e fu addirittura convinto
dal Comandante Guarducci ad andare dagli
austriaci l’11 maggio per effettuare una
sorta di mediazione, anche se (come si
legge nel diario del suo canonico che
poi introdurrò) i Briganti
rivoltosi glielo impedirono. In effetti
si fermò a Porta San Marco dicendo:
«Sia fatta la volontà di Dio».
Infine, si rifugiò dal Console d’America
in Via Goldoni per sfuggire al fuoco
austriaco.
Il
diciottesimo censito in Cattedrale è
Giovanni Scarpellini che vive con la
moglie Emilia, la suocera vedova Assunta
e la sorella nubile Luisa. Lo
Scarpellini risulta campanaro del Duomo
(sul censimento è indicato custode
della Cattedrale) ma l’importanza di
questa figura deriva dal fatto che
lasciò manoscritto un importante diario
dal 1847 al 1849 che contiene puntuali
riferimenti agli accadimenti livornesi
di quegli anni, diario ispirato a
opinioni ostili al movimento
risorgimentale.
L’impostazione ideologica a favore degli
austriaci di questo diario fa supporre
che in realtà l’ispirazione provenisse
da un canonico austriaco allora presente
a Livorno che sicuramente lo Scarpellini
conosceva, Pirro Tausch (figlio del Cav.
Giuseppe, Console Generale d’Austria,
censito nel ‘41 col nome Romè Pirro, di
34 anni abitante in Via Leopolda con la
famiglia, in particolare il fratello
Paolo anch’egli console) e Canonico
della Cattedrale.
Scarpellini non lesina epiteti offensivi
nei confronti dei rivoltosi e dei loro
capi (chiama famigerato Mazzini)
e così descrive alcuni dei più
importanti personaggi di questi eventi:
Marco Mastacchi venditore di pannine
abitualmente ubriaco, Antonio Petracchi
contrabbandiere, David Busnach ebreo
possidente, Enrico Bartelloni bottajo,
Giuseppe Frizzoni droghiere, tutti
furiosi demagoghi, cagnotti del
Guerrazzi.
David Ciuci Busnach (il
soprannome è indicato nel saggio di
Franceschini riportato in calce) è
presente in effetti nei registri
dell’Università Israelitica, che ce lo
danno abitante in Via Reale, ed
effettivamente è dichiarato
possidente come affermato da
Scarpellini (pare che nel ‘49 facesse il
sensale).
Dal Diario
di Scarpellini si apprende che,
all’arrivo in Toscana del Maresciallo
Costantino d’Aspre a capo di 16.000
uomini, pregato di intervenire soltanto
sulla ribelle Livorno, parte il 7 maggio
verso Pisa una “Deputazione di
cittadini (…) mossi da Patria Carità
per supplicare il Barone di usare
ogni possibile riguardo affinché il
materiale della Città, e le proprietà
della immensa maggioranza dei buoni
Cittadini non patiscano danni. Il
Maresciallo risponde che
Se non faranno resistenza io tratterò
Livorno da Amico e vi entrerò come in
una Chiesa, in caso diverso non posso
rispondere della indignazione dei miei
Soldati”.
La delegazione era guidata dal figlio
del Console Generale Austriaco (Paolo
Taush fratello di Pirro) formata da
cittadini benestanti fra cui molti
israeliti, proprio come Busnach (che
invece partecipava attivamente alla
difesa della città): Francesco Cartoni,
Niccola Manteri, Michele Angiolo Bastogi,
Sansone Uzielli e Agostino Notzien.
Ho riscontrato Michele Angiolo Bastogi,
già settantenne nel ‘41, anch’egli
negoziante, uno dei cittadini benestanti
andati in delegazione dal Maresciallo
d’Aspre insieme a Sansone Uzielli di
anni 43 nel ‘41 (secondo l’Università
Israelitica, ma di 39 nel registro della
parrocchia della SS. Trinità), di
professione banchiere, abitante nella
Villa Pavoli, in Via San Jacopo. Con
buona probabilità il negoziante
Francesco Cartoni era il padre di
Diomira Cartoni, una quindicenne
anch’essa autrice di un diario di quei
giorni, del tutto contrario agli
insorti, nel quale la ragazza definisce
i rivoltosi come stranieri e
rivoluzionari toscani, uniti a poca
feccia del popolo livornese.
E
dell’eroe Enrico Bartelloni,
soprannominato “il Gatto”, il trascina
popolo della rivolta, patriota
coraggioso,
Pietro Martini, artigiano livornese ed
ex militare di fede mazziniana che
combatté in prima persona nella difesa
di Livorno, nel suo Diario
Livornese scritto molti anni dopo
dice: «Quest’uomo, entusiasta,
povero, rigido nel costume, sordo ad
ogni lusinga di chi volea comprarlo o
ammansirlo, fu l’uomo del popolo per
eccellenza, e fu potente nel popolo… Or
bene… quel provvido frenatore della
folla furibonda o bislacca fu, né più né
meno che Enrico Bartelloni, uomo
incorrotto e dabbene, soldato degno
d’un’idea nobilissima, serbato dal
destino a suggellare col sangue la fede,
accarezzata e custodita per tanti anni,
senza paura e senza macchia».
.
Il busto di Bartelloni, in ricordo della
rivolta livornese, sulle mura lorenesi
della città.
Lo
Scalpellini invece, oltre a definirlo
“moderno Robespierre Livornese”, dice
della sua morte: «A
dì 14 maggio. Ieri sera è stato
arrestato un insigne Brigante Livornese
Enrico Bartelloni Salumajo, e
successivamente fucilato, come da
Sentenza stampata in detto giorno, e
affissa per tutta la città».
La morte
di Bartelloni (provocata dal Bartelloni
stesso che, rimasto in città nei giorni
seguenti, passeggiando una notte nei
pressi dell’Ospedale di Sant’Antonio,
apostrofò un soldato toscano di
sentinella con l’appellativo brutta
marmotta e poi si dichiarò con il
suo nome di battaglia: “Io sono… il
Gatto… odio a morte i nemici della mia
patria!”) è così descritta dal
Martini: «Finita
di leggere la sentenza gli si
avvicinarono per bendarlo, ma non volle
che lo bendassero. E quando vide
appressarsi i sei soldati di ordinanza -
cioè il picchetto che voleva ucciderlo -
sbottonò la camicia, mostrando il nudo
petto ed esclamò: - “Via da bravi,
marmotte tirate qui!” In quell’estremo
punto spalancò i suoi occhi di vero
gatto e quegli occhi mandarono faville…
e guardando fisso le bocche degli
schioppi pronte a fulminarlo gridò
forte: viva l’Ita…».
Ho riscontrato nei registri che Enrico
Bartelloni che nel ‘41 aveva 33 anni ed
era bottajo, fu censito nella
parrocchia dei SS. Francesco e
Ferdinando in Via dei Carrai (attuale
Via della Campana), casa Vanni, n° 63
secondo piano. Viveva con il padre David
anche lui bottajo, la madre Maria
Corsani analfabeta, i fratelli Giuseppe,
Luigi, Pietro e Tito, tutti artigiani ma
che sapevano leggere e scrivere come il
padre.
Nell’avviso di cattura, condanna ed
esecuzione capitale di Enrico Bartelloni
riportato nel diario di Martini viene
dichiarato di professione salumajo,
come afferma anche lo Scarpellini.
Probabilmente l’equivoco, non
necessariamente a scopo dispregiativo,
deriva dal fatto che al tempo nelle
botti venivano stoccati molti alimenti,
spesso sotto sale.
Scorrendo i registri mi sono imbattuta
in un altro nome importante: Marino
Giurovich, che sembra avesse partecipato
come volontario nel 1848 alla battaglia
di Curtatone forse tenente del
Battaglione Bande Nere e che fu fra i
difensori di Piazza San Marco nel ‘49.
Si salvò scappando in Corsica. Nel 1857,
iscritto alla Giovine Italia, fu
fucilato nei moti mazziniani livornesi
in Via de’ Larderel, con altri sei
insorti.
Nella Parrocchia di San Giovanni
Battista lo si trova censito come
giovane tintore di 24 anni, sposato
con la ventiduenne Adelaide e con una
figlioletta di 3 anni.
Un altro personaggio da ricordare è
Giacomo Eminente che fu tenente dei
volontari e che, designato a comandare i
Bersaglieri della Cattedrale, fu
destituito dall’incarico perché malvisto
in quanto di religione ebraica.
Partecipò all’ultima carica in Piazza
Grande l’11 maggio; fu poi volontario
garibaldino, e rientrò a Livorno il 28
novembre 1860, tra i plausi della folla.
Credo che l’Eminente di cui parliamo sia
censito in Via Serristori di anni 21 nel
‘41, figlio di un commerciante, ed egli
stesso merciajo (anche se nella
stessa via è censito un omonimo più
giovane di circa dieci anni, figlio di
povera gente, il padre
impedito-paralitico indigente
necessario, orfano di madre con tre
fratelli e senza sostentamento).
Oltre ai personaggi dei moti
risorgimentali livornesi, ho trovato
riscontri di altri personaggi livornesi
di una certa rilevanza, in particolare
di due garibaldini, che all’epoca del
censimento erano bambini.
Nella stessa pagina di registro della
Università Israelitica dove è censito
Eminente troviamo Gustavo Uzielli di
anni 2, uno dei cinque figli di Sansone
Uzielli che nel ‘49 andò in missione “di
pace” dal Maresciallo d’Aspre.
.
Pagina del registro della Università
Israelitica con Gustavo Uzielli e
Giacomo Eminente
S.C.T.
filza 12130, Censimento, Università
Israelitica.
Gustavo Uzielli fu una figura eclettica:
scienziato e letterato ma anche
patriota. Insegnò Mineralogia e Geologia
nelle Università di Modena, di Torino e
di Parma. Partì volontario nel 1859,
come soldato d’artiglieria. Ufficiale
garibaldino nella Campagna del 1860,
combatté con onore nella battaglia del
Volturno. Pubblico studi su Leonardo da
Vinci. Inoltre, fu amico e confidente
di Diego Martelli e di alcuni
pittori macchiaioli, come ad esempio di
Telemaco Signorini.
Un altro riscontro è quello relativo a
Cesare Gattai, che nel ‘41 è censito
nella parrocchia della SS. Trinità di
anni 10 (in realtà sappiamo che nacque
nel 1835 e quindi aveva solo 6 anni nel
1841), ed è l’eroe livornese di
Calatafimi, il portabandiera che difese
fino alla morte il vessillo tricolore
affidatogli da Andrea Sgarallino dopo i
campi di Lombardia. Ultimo di sei figli,
il padre Alessandro è marinaro.
Per concludere, dopo aver collocato
alcuni personaggi dei moti
risorgimentali di Livorno nel loro
contesto familiare e sociale, mi pare
interessante riportare anche il
riscontro e la testimonianza di un
grande artista livornese, Giovanni
Fattori (1825-1908), principale
esponente della corrente artistica dei
Macchiaioli, che nel 1841 era solo un
ragazzo e che nel 1849 si appassionò
alle vicende della sua città al punto
che forse fu ispirato proprio da quanto
vide in quei giorni nel dipingere nella
maturità le sue opere di carattere
storico-militare.
Egli fu un testimone oculare della
difesa di Livorno e nel 1841 si trova
censito di anni 17 in Via Marsiliana
1211 al 5° piano insieme alla sua
famiglia. Il padre è indicato
disimpiegato, il fratello Rinaldo
(di molti anni maggiore, colui che lo
indirizzò alla pittura) sensale.
Nessuno è analfabeta. Dai dati del
registro censorio sembrerebbe nato nel
1824, dato che è riportato di anni 17,
ma sull’atto di battesimo in Cattedrale
si indica il 1825: “Fattori Giovanni
Vincenzjo nato alle ore 6 del 6 7bre
1825 da Giuseppe e Nannetti Lucia, padre
commerciante, padrino Vannini Vincenzjo
battezzato il giorno 8 in
Cattedrale” (atto 353 del registro dei
nati del 1825).
Come nel caso di Gattai, abbiamo la
prova della non infallibilità dei dati
del censimento circa l’età dei censiti.
Ci
racconta il Landini che Fattori “manteneva
i contatti con il movimento cospirativo
livornese recandosi spesso a trovare ‘il
Gatto’
nella sede segreta di Via Sproni.
Durante i giorni dell’assedio del ‘49 si
trovava a Livorno e non se ne allontanò,
pur non partecipando ai combattimenti,
ed esaltò l’eroismo dei concittadini”.
Ma questa
affermazione si perfeziona con quanto
riportato di seguito dal Comitato
livornese per la promozione dei valori
risorgimentali: «Tra
i cittadini di Livorno che assistettero
ai fatti del 10-11 maggio 1849 c’era
Giovanni Fattori, il futuro capofila dei
“macchiaioli” toscani. Data la giovane
età, egli fu trattenuto dai familiari
nella casa di Via del Corso e non poté
partecipare alla difesa. Arrampicato sul
tetto dello stabile in cui abitava,
riuscì ad osservarne le fasi più
emozionanti e trasse anche da queste lo
spunto per suoi quadri risorgimentali
che lo resero celebre nell’età matura.
Conservò di quell’avvenimento un ricordo
vivissimo, vantandosi per tutta la vita,
malgrado la sua ben nota modestia, di
essere di Livorno, la città che aveva
osato prendere a cannonate gli
austriaci».
G. Scarpellini, Torbidi di Livorno,
trascrizione Osvaldo Priolo, Ed. Nuova
Fortezza, Livorno 1997.
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