[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


contemporanea

NELLA LIVORNO DEL 1841

SUL CENSIMENTO E SUI MOTI RISORGIMENTALI LIVORNESI / PARTE II

di Maria Grazia Fontani

 

Pochi anni dopo, dal 1848 al 1849, Livorno sarà teatro di sommosse popolari, che porteranno all’assedio prima e alla difesa e all’eroica resa poi, quando la città fu invasa dall’esercito austriaco condotto da Costantino d’Aspre, che portò alla restaurazione del Granduca Leopoldo II di Lorena.

 

Non mi addentro nelle problematiche politiche e sociali relative a questi avvenimenti, esaminate in modo approfondito e documentato da molti studiosi, come Nicola Badaloni e Fabio Bertini per citare solo i più significativi, ma mi attengo all’impostazione della mia ricerca. È interessante cercare riscontri dei protagonisti di questa rivolta nei registri del censimento.

 

Gli accadimenti ben noti dell’assedio e della difesa di Livorno del 1849, descritti da molti studiosi con dovizia di documentazione relativa a fatti e personaggi protagonisti, mi hanno indotto a ricercare alcune tracce degli stessi nei registri del censimento del 1841.

 

Il professor Damiano Leonetti in La difesa di Livorno del 10-11 Maggio 1849: Una lezione mazziniana dice: «Ridurre a semplice patriottismo l’azione di difesa di Livorno unica tra le città toscane a difendere le proprie mura e ad opporsi con le armi alla restaurazione Leopoldina, non sarebbe del tutto corretto. Erano presenti anche motivazioni legate alle sfavorevoli condizioni di vita del popolo e dei lavoratori portuali e industriali aggravate ulteriormente dal blocco di alcune importanti opere pubbliche.

Gli austriaci da sempre avevano osteggiato, ad esempio, l’allargamento della Darsena e la costruzione del bacino di carenaggio poiché in conflitto con gli interessi delle aree portuali di Venezia e Trieste. I democratici livornesi, lasciati soli da benpensanti, ceti abbienti e vecchia classe dirigente moderata, non vollero arrendersi all’ondata reazionaria che aveva preso il sopravvento in Toscana a partire dalla metà di aprile del ‘49. La loro decisione si pose a difesa delle conquiste costituzionali ottenute secondo lo spirito più autentico dei principi mazziniani di libertà, indipendenza e dedizione alla causa italiana».

 

L’ammiraglio Luigi Donolo nel suo scritto Livorno democratica si difende dagli austriaci ricorda: «Dopo avere goduto di un lungo e felice periodo di tranquillità, a partire dalla seconda metà degli anni 1840, la Toscana si era avviata verso una nuova condizione di malessere e di turbolenza, alimentata dal desiderio di cambiamento e dalla aspirazione a godere di nuovi diritti e di più estese libertà ed autonomie.(…) Alla fine di aprile, consenziente il Granduca Leopoldo II, il generale austriaco Costantino d’Aspre ricevette l’ordine di ridurre alla ragione la città di Livorno, mentre a Pisa erano entrate truppe “granduchiste” che avevano circondato e disarmato alcune bande livornesi che si erano spinte fino a Caprona. Il generale d’Aspre, partito il 26 aprile dai confini estensi, attraversata la Garfagnana, dirigeva verso Livorno. Il 3 maggio era a Massa, il 5 a Lucca il 6 a Pisa. Con il suo secondo corpo d’armata, articolato su due divisioni e quattro brigate, doveva attaccare Livorno, aveva l’ordine di liberala dai ribelli. La marcia dei suoi soldati fu spedita. Egli contava di portare a buon fine in breve tempo il compito assegnatogli. Disponeva infatti di truppe efficienti e ben addestrate al combattimento dopo le battaglie sostenute in Lombardia. Era un esercito multietnico di veterani del quale facevano parte austriaci, croati, tirolesi, ungheresi».

 

Il 10 e 11 maggio 1849 sono le giornate in cui un esercito di parecchie migliaia di soldati fu affrontato da poco più di un migliaio di popolani che combattevano contro chi voleva restaurare il Granduca di Lorena in Toscana.

Il primo censito nella Cattedrale è Gavi Monsignor Girolamo, Proposto e dirigente Capitolare di 68 anni nel ‘41, che viveva con la sorella Angiolina vedova, più anziana di un anno. Va riconosciuto al Gavi un certo atteggiamento di apertura sia alle problematiche sociali che ai diversi culti praticati in una città dall’anima internazionalista, dove convivevano molte religioni diverse.

 

Gavi cercò di sedare la rivolta con appelli alla popolazione e fu addirittura convinto dal Comandante Guarducci ad andare dagli austriaci l’11 maggio per effettuare una sorta di mediazione, anche se (come si legge nel diario del suo canonico che poi introdurrò) i Briganti rivoltosi glielo impedirono. In effetti si fermò a Porta San Marco dicendo: «Sia fatta la volontà di Dio». Infine, si rifugiò dal Console d’America in Via Goldoni per sfuggire al fuoco austriaco.

 

Il diciottesimo censito in Cattedrale è Giovanni Scarpellini che vive con la moglie Emilia, la suocera vedova Assunta e la sorella nubile Luisa. Lo Scarpellini risulta campanaro del Duomo (sul censimento è indicato custode della Cattedrale) ma l’importanza di questa figura deriva dal fatto che lasciò manoscritto un importante diario dal 1847 al 1849 che contiene puntuali riferimenti agli accadimenti livornesi di quegli anni, diario ispirato a opinioni ostili al movimento risorgimentale.

 

L’impostazione ideologica a favore degli austriaci di questo diario fa supporre che in realtà l’ispirazione provenisse da un canonico austriaco allora presente a Livorno che sicuramente lo Scarpellini conosceva, Pirro Tausch (figlio del Cav. Giuseppe, Console Generale d’Austria, censito nel ‘41 col nome Romè Pirro, di 34 anni abitante in Via Leopolda con la famiglia, in particolare il fratello Paolo anch’egli console) e Canonico della Cattedrale.

 

Scarpellini non lesina epiteti offensivi nei confronti dei rivoltosi e dei loro capi (chiama famigerato Mazzini) e così descrive alcuni dei più importanti personaggi di questi eventi: Marco Mastacchi venditore di pannine abitualmente ubriaco, Antonio Petracchi contrabbandiere, David Busnach ebreo possidente, Enrico Bartelloni bottajo, Giuseppe Frizzoni droghiere, tutti furiosi demagoghi, cagnotti del Guerrazzi.

 

David Ciuci Busnach (il soprannome è indicato nel saggio di Franceschini riportato in calce) è presente in effetti nei registri dell’Università Israelitica, che ce lo danno abitante in Via Reale, ed effettivamente è dichiarato possidente come affermato da Scarpellini (pare che nel ‘49 facesse il sensale).

 

Dal Diario di Scarpellini si apprende che, all’arrivo in Toscana del Maresciallo Costantino d’Aspre a capo di 16.000 uomini, pregato di intervenire soltanto sulla ribelle Livorno, parte il 7 maggio verso Pisa una “Deputazione di cittadini (…) mossi da Patria Carità per supplicare il Barone di usare ogni possibile riguardo affinché il materiale della Città, e le proprietà della immensa maggioranza dei buoni Cittadini non patiscano danni. Il Maresciallo risponde che Se non faranno resistenza io tratterò Livorno da Amico e vi entrerò come in una Chiesa, in caso diverso non posso rispondere della indignazione dei miei Soldati”.

 

La delegazione era guidata dal figlio del Console Generale Austriaco (Paolo Taush fratello di Pirro) formata da cittadini benestanti fra cui molti israeliti, proprio come Busnach (che invece partecipava attivamente alla difesa della città): Francesco Cartoni, Niccola Manteri, Michele Angiolo Bastogi, Sansone Uzielli e Agostino Notzien.

 

Ho riscontrato Michele Angiolo Bastogi, già settantenne nel ‘41, anch’egli negoziante, uno dei cittadini benestanti andati in delegazione dal Maresciallo d’Aspre insieme a Sansone Uzielli di anni 43 nel ‘41 (secondo l’Università Israelitica, ma di 39 nel registro della parrocchia della SS. Trinità), di professione banchiere, abitante nella Villa Pavoli, in Via San Jacopo. Con buona probabilità il negoziante Francesco Cartoni era il padre di Diomira Cartoni, una quindicenne anch’essa autrice di un diario di quei giorni, del tutto contrario agli insorti, nel quale la ragazza definisce i rivoltosi come stranieri e rivoluzionari toscani, uniti a poca feccia del popolo livornese.

 

E dell’eroe Enrico Bartelloni, soprannominato “il Gatto”, il trascina popolo della rivolta, patriota coraggioso, Pietro Martini, artigiano livornese ed ex militare di fede mazziniana che combatté in prima persona nella difesa di Livorno, nel suo Diario Livornese scritto molti anni dopo dice: «Quest’uomo, entusiasta, povero, rigido nel costume, sordo ad ogni lusinga di chi volea comprarlo o ammansirlo, fu l’uomo del popolo per eccellenza, e fu potente nel popolo… Or bene… quel provvido frenatore della folla furibonda o bislacca fu, né più né meno che Enrico Bartelloni, uomo incorrotto e dabbene, soldato degno d’un’idea nobilissima, serbato dal destino a suggellare col sangue la fede, accarezzata e custodita per tanti anni, senza paura e senza macchia».

 

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Il busto di Bartelloni, in ricordo della rivolta livornese, sulle mura lorenesi della città.

 

Lo Scalpellini invece, oltre a definirlo “moderno Robespierre Livornese”, dice della sua morte: «A dì 14 maggio. Ieri sera è stato arrestato un insigne Brigante Livornese Enrico Bartelloni Salumajo, e successivamente fucilato, come da Sentenza stampata in detto giorno, e affissa per tutta la città».

 

La morte di Bartelloni (provocata dal Bartelloni stesso che, rimasto in città nei giorni seguenti, passeggiando una notte nei pressi dell’Ospedale di Sant’Antonio, apostrofò un soldato toscano di sentinella con l’appellativo brutta marmotta e poi si dichiarò con il suo nome di battaglia: “Io sono… il Gatto… odio a morte i nemici della mia patria!”) è così descritta dal Martini: «Finita di leggere la sentenza gli si avvicinarono per bendarlo, ma non volle che lo bendassero. E quando vide appressarsi i sei soldati di ordinanza - cioè il picchetto che voleva ucciderlo - sbottonò la camicia, mostrando il nudo petto ed esclamò: - “Via da bravi, marmotte tirate qui!” In quell’estremo punto spalancò i suoi occhi di vero gatto e quegli occhi mandarono faville… e guardando fisso le bocche degli schioppi pronte a fulminarlo gridò forte: viva l’Ita…».

 

Ho riscontrato nei registri che Enrico Bartelloni che nel ‘41 aveva 33 anni ed era bottajo, fu censito nella parrocchia dei SS. Francesco e Ferdinando in Via dei Carrai (attuale Via della Campana), casa Vanni, n° 63 secondo piano. Viveva con il padre David anche lui bottajo, la madre Maria Corsani analfabeta, i fratelli Giuseppe, Luigi, Pietro e Tito, tutti artigiani ma che sapevano leggere e scrivere come il padre.

 

Nell’avviso di cattura, condanna ed esecuzione capitale di Enrico Bartelloni riportato nel diario di Martini viene dichiarato di professione salumajo, come afferma anche lo Scarpellini. Probabilmente l’equivoco, non necessariamente a scopo dispregiativo, deriva dal fatto che al tempo nelle botti venivano stoccati molti alimenti, spesso sotto sale.

 

Scorrendo i registri mi sono imbattuta in un altro nome importante: Marino Giurovich, che sembra avesse partecipato come volontario nel 1848 alla battaglia di Curtatone forse tenente del Battaglione Bande Nere e che fu fra i difensori di Piazza San Marco nel ‘49. Si salvò scappando in Corsica. Nel 1857, iscritto alla Giovine Italia, fu fucilato nei moti mazziniani livornesi in Via de’ Larderel, con altri sei insorti.

 

Nella Parrocchia di San Giovanni Battista lo si trova censito come giovane tintore di 24 anni, sposato con la ventiduenne Adelaide e con una figlioletta di 3 anni.

 

Un altro personaggio da ricordare è Giacomo Eminente che fu tenente dei volontari e che, designato a comandare i Bersaglieri della Cattedrale, fu destituito dall’incarico perché malvisto in quanto di religione ebraica. Partecipò all’ultima carica in Piazza Grande l’11 maggio; fu poi volontario garibaldino, e rientrò a Livorno il 28 novembre 1860, tra i plausi della folla.

 

Credo che l’Eminente di cui parliamo sia censito in Via Serristori di anni 21 nel ‘41, figlio di un commerciante, ed egli stesso merciajo (anche se nella stessa via è censito un omonimo più giovane di circa dieci anni, figlio di povera gente, il padre impedito-paralitico indigente necessario, orfano di madre con tre fratelli e senza sostentamento).

 

Oltre ai personaggi dei moti risorgimentali livornesi, ho trovato riscontri di altri personaggi livornesi di una certa rilevanza, in particolare di due garibaldini, che all’epoca del censimento erano bambini.

 

Nella stessa pagina di registro della Università Israelitica dove è censito Eminente troviamo Gustavo Uzielli di anni 2, uno dei cinque figli di Sansone Uzielli che nel ‘49 andò in missione “di pace” dal Maresciallo d’Aspre.

 

  

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Pagina del registro della Università Israelitica con Gustavo Uzielli e Giacomo Eminente

 S.C.T. filza 12130, Censimento, Università Israelitica.

 

Gustavo Uzielli fu una figura eclettica: scienziato e letterato ma anche patriota. Insegnò Mineralogia e Geologia nelle Università di Modena, di Torino e di Parma. Partì volontario nel 1859, come soldato d’artiglieria. Ufficiale garibaldino nella Campagna del 1860, combatté con onore nella battaglia del Volturno. Pubblico studi su Leonardo da Vinci. Inoltre, fu amico e confidente di Diego Martelli e di alcuni pittori macchiaioli, come ad esempio di Telemaco Signorini. 

 

Un altro riscontro è quello relativo a Cesare Gattai, che nel ‘41 è censito nella parrocchia della SS. Trinità di anni 10 (in realtà sappiamo che nacque nel 1835 e quindi aveva solo 6 anni nel 1841), ed è l’eroe livornese di Calatafimi, il portabandiera che difese fino alla morte il vessillo tricolore affidatogli da Andrea Sgarallino dopo i campi di Lombardia. Ultimo di sei figli, il padre Alessandro è marinaro.

 

Per concludere, dopo aver collocato alcuni personaggi dei moti risorgimentali di Livorno nel loro contesto familiare e sociale, mi pare interessante riportare anche il riscontro e la testimonianza di un grande artista livornese, Giovanni Fattori (1825-1908), principale esponente della corrente artistica dei Macchiaioli, che nel 1841 era solo un ragazzo e che nel 1849 si appassionò alle vicende della sua città al punto che forse fu ispirato proprio da quanto vide in quei giorni nel dipingere nella maturità le sue opere di carattere storico-militare.

 

Egli fu un testimone oculare della difesa di Livorno e nel 1841 si trova censito di anni 17 in Via Marsiliana 1211 al 5° piano insieme alla sua famiglia. Il padre è indicato disimpiegato, il fratello Rinaldo (di molti anni maggiore, colui che lo indirizzò alla pittura) sensale. Nessuno è analfabeta. Dai dati del registro censorio sembrerebbe nato nel 1824, dato che è riportato di anni 17, ma sull’atto di battesimo in Cattedrale si indica il 1825: “Fattori Giovanni Vincenzjo nato alle ore 6 del 6 7bre 1825 da Giuseppe e Nannetti Lucia, padre commerciante, padrino Vannini Vincenzjo battezzato il giorno 8 in Cattedrale” (atto 353 del registro dei nati del 1825).

 

Come nel caso di Gattai, abbiamo la prova della non infallibilità dei dati del censimento circa l’età dei censiti.

 

Ci racconta il Landini che Fattori “manteneva i contatti con il movimento cospirativo livornese recandosi spesso a trovare ‘il Gatto nella sede segreta di Via Sproni. Durante i giorni dell’assedio del ‘49 si trovava a Livorno e non se ne allontanò, pur non partecipando ai combattimenti, ed esaltò l’eroismo dei concittadini”.

 

Ma questa affermazione si perfeziona con quanto riportato di seguito dal Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali: «Tra i cittadini di Livorno che assistettero ai fatti del 10-11 maggio 1849 c’era Giovanni Fattori, il futuro capofila dei “macchiaioli” toscani. Data la giovane età, egli fu trattenuto dai familiari nella casa di Via del Corso e non poté partecipare alla difesa. Arrampicato sul tetto dello stabile in cui abitava, riuscì ad osservarne le fasi più emozionanti e trasse anche da queste lo spunto per suoi quadri risorgimentali che lo resero celebre nell’età matura. Conservò di quell’avvenimento un ricordo vivissimo, vantandosi per tutta la vita, malgrado la sua ben nota modestia, di essere di Livorno, la città che aveva osato prendere a cannonate gli austriaci».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

M. Landini, Contributi livornesi al Risorgimento, Ed. Nuova Fortezza, Livorno 1986.

G. Scarpellini, Torbidi di Livorno, trascrizione Osvaldo Priolo, Ed. Nuova Fortezza, Livorno 1997.

P. Martini, Diario livornese. Ultimo periodo della Rivoluzione del 1849, Tip. Gazzetta Livornese, Livorno 1892. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]