N. 116 - Agosto 2017
(CXLVII)
omaggio a liu xiaobo
un premio nobel troppe volte dimenticato
di Gian Marco Boellisi
Tra le personalità di spicco scomparse nel passato recente, una delle più illustri è senza dubbio quella di Liu Xiaobo, docente, critico letterario e grande attivista cinese per i diritti umani.
Nonostante
l’importanza
rivestita
durante
i
suoi
anni
di
lotta
contro
le
restrizioni
del
governo
di
Pechino,
Liu
non
ha
mai
destato
l’interesse
concreto
dell’opinione
pubblica
estera,
se
non
nel
suo
ultimo
periodo
di
malattia
e
prigionia.
Eppure
ciò
che
ha
compiuto
quest’uomo,
e
soprattutto
ciò
che
ha
dovuto
subire
per
il
suo
libero
pensiero,
è
stato
lasciato
da
parte
troppe
volte,
la
maggior
parte
delle
quali
per
una
convenienza
politica.
È
importante
quindi
ripercorrere
la
vita
di
un
uomo
che
non
ha
mai
abbandonato
i
suoi
ideali,
forte
del
bisogno
di
un
intero
popolo
di
eguaglianza
e
libertà.
Liu
Xiaobo
nasce
a
Changchun,
nella
provincia
di
Jilin,
nel
1955.
Terzo
di
cinque
figli,
è
soggetto
sin
dalla
tenera
età
all’influenza
stimolante
della
famiglia
di
intellettuali.
Dal
1969
al
1974
si
sposta
con
il
padre
nella
Mongolia
Interna,
per
poi
tornare
nella
provincia
di
Jilin
a
lavorare
in
una
fattoria.
Nel
1977
viene
ammesso
alla
facoltà
di
letteratura
di
Jilin,
e
proprio
presso
la
sua
università
fonda
un
circolo
letterario,
noto
come
“I
Cuori
Innocenti”
(Chi
Zi
Xin).
Conseguì
così
la
laurea
di
primo
livello
nel
1982
e
quella
di
secondo
livello
nel
1984
presso
l’università
di
Pechino.
Seguirà
poi
anche
un
dottorato
nello
stesso
ateneo
nel
1988.
Liu
sin
da
subito
mostrò
di
avere
uno
spirito
critico
molto
acceso
nei
confronti
del
regime,
tant’è
che
iniziò
ad
essere
noto
come
“Cavallo
Oscuro”,
per
le
sue
continue
frecciatine
al
governo
di
Pechino.
Durante
gli
anni
del
dottorato
pubblica
il
suo
primo
libro,
diventato
immediatamente
un
best
seller.
La
sua
tesi
di
dottorato
impressionò
a
tal
punto
la
commissione
che
fu
approvata
all’unanimità,
e
divenne
così
il
suo
secondo
libro.
A
seguito
di
questo
suo
nuovo
titolo,
Liu
Xiaobo
divenne
professore
e
iniziò
a
viaggiare
presso
altri
atenei
in
tutto
il
mondo
per
esprimere
il
suo
pensiero.
Nel
1989,
durante
le
proteste
di
Piazza
Tienanmen,
Liu
si
trovava
negli
Stati
Uniti,
ma
decise
di
far
ritorno
in
patria
per
aderire
quanto
prima
al
movimento.
A
lui
si
devono
la
salvezza
di
centinaia
di
vite,
avendo
egli
partecipato
attivamente
alla
persuasione
degli
studenti
a
lasciare
perdere
le
proteste
quando
ormai
i
carri
armati
erano
arrivati
e la
situazione
non
poteva
più
essere
capovolta.
In
pochi
anni
a
quella
parte
tutti
i
testi
pubblicati
dall’autorevole
pensatore
furono
banditi
dalla
Cina,
essendosi
dimostrati
sempre
più
pericolosi
per
il
regime.
Durante
i
suoi
anni
di
attività,
furono
innumerevoli
le
volte
in
cui
Liu
chiese
separazione
dei
poteri
all’interno
della
classe
dirigente
cinese,
libere
elezioni
non
pilotate
dalla
logiche
del
partito
e
rispetto
dei
diritti
umani
da
parte
delle
autorità
cinesi.
Ma
non
è
tutto.
Infatti
Liu
in
primo
momento
fu
convinto
che
per
raggiungere
tali
obiettivi
la
Cina
dovesse
subire
un’“occidentalizzazione”
a
lungo
termine,
così
da
mettere
la
vita
umana
al
primo
posto
degli
interessi
concernenti
lo
Stato.
Tuttavia
col
tempo
realizzò
che
anche
la
società
occidentale
non
fosse
priva
di
difetti,
e
che
quindi
si,
la
Cina
avesse
bisogno
dell’influenza
occidentale
per
riformarsi,
ma
senza
con
ciò
denaturare
la
propria
vera
essenza.
Tutte
le
esibizioni
di
protesta
e
dissenso
da
parte
di
Liu
sono
state
pacifiche,
e
molte
volte
il
governo
ha
preso
provvedimenti
nei
suoi
confronti
solo
in
maniera
preventiva,
così
da
cercare
di
evitare
il
diffondersi
del
suo
pensiero.
Tra
tutte
le
opere
a
cui
Liu
partecipò
durante
la
sua
vita,
particolare
rilevanza
assume
la
Charta
08,
ovvero
una
dichiarazione
redatta
insieme
ad
altre
300
persone,
all’interno
della
quale
venivano
chieste
a
gran
voce
maggiori
libertà
personali,
libere
elezioni,
privatizzazione
delle
industrie
cinesi
e
introduzione
ufficiale
del
libero
mercato.
Il
documento
fu
scritto
sulla
base
della
Charta
77
cecoslovacca
e
ideato
per
coincidere
con
i 60
anni
della
Dichiarazione
Universale
dei
Diritti
dell’Uomo
(10
dicembre
1948).
Nel
settembre
2010
questo
manifesto
raggiunse
oltre
10.000
sottoscrizioni.
Ma
ovviamente
fu
ignorato
completamente
dal
governo.
Fu
proprio
questo
importante
documento
tuttavia
a
iniziare
la
catena
di
eventi
che
porteranno
all’incarcerazione
definitiva
di
Liu
Xiaobo.
Già
in
precedenza
era
stato
sottoposto
ad
arresto
da
parte
della
autorità
cinesi.
Tuttavia
questa
volta
la
prigionia
sarebbe
durata
di
gran
lunga
di
più.
Due
giorni
prima
del
rilascio
officiale
della
Carta,
Liu
fu
arrestato
dalle
polizia,
con
l’accusa
di
“incitare
la
sovversione
contro
lo
Stato”.
Nel
2009
le
accuse
furono
confermate
e si
diede
inizio
al
processo.
Nonostante
diplomatici
di
oltre
12
nazioni
straniere
fossero
presenti
in
tribunale
per
assistere
alla
procedura
giudiziaria,
essi
furono
fatti
attendere
fuori.
Durante
il
periodo
precedente
al
processo,
i
contatti
di
Liu
furono
limitati
e
controllati.
Anche
la
moglie
Liu
Xia,
attivista
per
i
diritti
umani
anche
lei,
ebbe
problemi
nel
vedere
il
marito.
Il
25
Dicembre
2009
Liu
Xiaobo
fu
condannato
a 11
anni
di
reclusione
e 2
anni
d’interdizione
dai
diritti
politici
entro
i
confini
cinesi.
La
Carta
fu
portata
dall’accusa
come
prova
schiacciante
nei
confronti
di
Liu.
Al
processo
non
gli
fu
mai
concessa
la
parola.
L’intera
comunità
internazionale
chiese
a
Pechino
la
scarcerazione
di
Liu,
ma
questa
rispose
tenacemente
alle
critiche
fatte
dall’estero,
affermando
che
le
leggi
applicate
a
Liu
Xiaobo
hanno
loro
omologhi
in
tutto
il
mondo,
come
ad
esempio
il
Code
of
Laws
americano
o il
Treason
Act
del
1351
inglese.
Inoltre,
affermazione
che
liquidò
molto
presto
le
polemiche,
il
governo
cinese
affermò
che
la
comunità
internazionale
doveva
rispettare
il
sistema
legislativo
cinese,
non
avendo
essa
alcuna
voce
in
merito.
Negli
anni
successivi
gli
appelli
non
mancarono
per
la
liberazione
dell’attivista,
ma
la
decisione
di
Pechino
risultò
incontrovertibile.
Nel
2010
Liu
Xiaobo
ottenne
il
Premio
Nobel
per
la
Pace
mentre
stava
scontando
la
pena
in
carcere.
Nonostante
le
forti
proteste
della
Cina,
la
quale
ha
bollato
questa
assegnazione
come
assolutamente
fuori
luogo,
il
premio
costituì
un
giusto
riconoscimento
per
una
vita
spesa
al
servizio
della
Cina,
sebbene
questa
stessa
faticasse
a
riconoscerlo.
Gli
anni
di
prigionia
proseguirono
tra
innumerevoli
restrizioni
e
privazioni
per
Liu
Xiaobo,
essendo
tenuto
sotto
stretta
sorveglianza
dei
carcerieri
cinesi.
Dopo
numerosi
anni
di
sofferenze,
nel
Giugno
del
2017
viene
concesso
a
Liu
di
essere
scarcerato
temporaneamente
per
motivi
di
salute,
essendo
egli
affetto
da
un
tumore
terminale
al
fegato.
Nonostante
vari
medici
provenienti
dall’estero
abbiano
provato
ad
offrirgli
il
loro
aiuto,
Liu
Xiaobo
muore
in
ospedale
il
13
Luglio
2017.
Grande
è
stato
il
cordoglio
da
parte
di
tutto
il
mondo,
essendo
tutte
le
cancellerie
consce
della
perdita
di
questo
grande
gigante
dei
nostri
tempi.
Alla
morte
di
Liu,
furono
subito
immediate
le
accuse
al
governo
cinese,
il
quale
fu
più
volte
accusato
negli
anni,
e in
particolar
modo
nell’ultimo
periodo,
di
aver
lasciato
che
le
condizioni
di
salute
di
Liu
degenerassero
fino
ad
arrivare
ad
un
punto
non
più
curabile.
In
conclusione,
è
innegabile
che
Liu
Xiaobo
ha
segnato
un’intera
fase
del
pensiero
filosofico
e
politico
della
Cina.
Solo
con
la
propria
forza
di
volontà
ha
saputo
tenere
testa
fino
alla
fine
al
governo
della
Repubblica
Popolare
Cinese,
ed è
morto
per
i
suoi
ideali,
sempre
speranzoso
di
poter
ottenere
una
Cina
migliore.
Per
quanto
le
sue
teorie
ed
il
suo
pensiero
possano
non
mettere
d’accordo
tutti
sulla
via
che
deve
intraprendere
la
Cina,
questa
stessa
però
dovrebbe
sfruttare
maggiormente
queste
occasioni
di
dialogo
interno
al
proprio
paese.
Solo
così
riuscirebbe
a
evolvere
politicamente,
culturalmente
e
socialmente,
senza
rischiare
di
finire
nel
profondo
e
oscuro
baratro
della
stagnazione
interna
del
proprio
popolo.