contemporanea
SULL’INDIPENDENZA DELLA LITUANIA
UN ARDUO percorso
di Lorenzo Bruni
Il percorso che conduce un Paese a
rivendicare e ottenere la propria
indipendenza, spesso, può essere
rappresentato come una tortuosa linea
immaginaria, irta di ostacoli, per lo
più non pacifici.
Raggiungere la propria autonomia, per la
Lituania, non è stato semplice. Non
soltanto per il soffocante dominio
dell’Unione Sovietica, un gigante di
fronte a una formica, ma anche per la
posizione strategica occupata, in quanto
fondamentale sbocco sul Mar Baltico,
bramato anche da Germania e Polonia.
Volendo fissare un punto di partenza,
dovremmo stabilirlo nel febbraio 1918,
alla firma del trattato di
Brest-Litovsk: tramite questo, la
Repubblica Socialista Federativa
Sovietica Russa, priva del controllo
zarista, si impegnava con gli Imperi
centrale a rinunciare a qualsiasi
interesse territoriale su Lituania,
Estonia, Finlandia, Ucraina, Polonia
Orientale e Transcaucasia; si trattava
di una concessione molto dolorosa per i
dirigenti sovietici, che in tal modo
perdevano il controllo su circa
cinquantasei milioni di abitanti, il 32%
delle proprie attività agricole, il 75%
della produzione del carbone e del ferro
e oltre cinquemila fabbriche.
Il 16 febbraio il Consiglio della
Lituania stipulò l’Atto d’Indipendenza e
proclamò ufficialmente la nascita del
Regno di Lituania.Il sistema monarchico
ebbe però vita breve: nonostante la
corona fosse stata già accettata dal
Duca Wilhelm di Urach, che salì al trono
col nome di re Mindaugas II, l’Impero
tedesco, che aveva invaso l’area nel
corso della Grande Guerra e riteneva di
dover avere voce in capitolo riguardo al
nuovo regnante di uno Stato subordinato,
si oppose alla scelta.
La sconfitta degli Imperi centrali nel
conflitto, però, pose le basi per un
nuovo colpo di scena: dopo aver
ritrattato il precedente Atto
d’Indipendenza, nel quale era prevista
la costituzione di una monarchia solo
per compiacere l’Impero tedesco, il 2
novembre il Consiglio della Lituania
optò per istituire una repubblica.
Neppure dieci giorni dopo la
proclamazione, però,la RSFSR rinnegò il
trattato di Brest-Litovsk, invadendo i
Paesi baltici: l’offensiva del 13
novembre venne giustificata dai
dirigenti sovietici utilizzando come
pretesto quello di voler proteggere non
solo l’autodeterminazione di quei
popoli, ma soprattutto per consentire
loro di essere partecipi del proprio
progetto di Rivoluzione mondiale e di
ascesa del proletariato.
L’esercito russo riprese il controllo
totale della Lituania nel mese di
dicembre, fondando la Prima Repubblica
Socialista Sovietica Lituana e ponendola
sotto il controllo di
VincasMickevičius-Kapsukas.
Nel febbraio dell’anno successivo, per
ovviare a diverse difficoltà logistiche,
economiche e militari, questa venne
accorpata alla corrispettiva bielorussa,
creando una nuova Repubblica Socialista
Sovietica, chiamata Litbel.
Per i Paesi baltici, però, giungevano
minacce anche da Ovest: la Polonia
invase la RSS lituano-bielorussa,
occupando Vilnius, Minsk e sconfiggendo
l’esercito russo nei pressi diKaunas, la
capitale temporanea. Il conflitto
polacco-sovietico si prolungò per i
successivi due anni, finché, nell’agosto
1920, l’esercito russo, che si era
spinto nel cuore della Polonia, non
venne, tanto inaspettatamente quanto
aspramente, sconfitto e respinto nei
pressi di Varsavia.
I mesi seguenti videro un susseguirsi di
vittorie per i polacchi, tanto da
costringere Lenin ad aprire le
trattative per un armistizio che
culminò, nel marzo successivo, con la
pace di Riga: la Poloniaottenne numerosi
territori in aree ucraine, bielorusse e
lituane; a generare un acceso
contenzioso con la repubblica balticafu
il fatto che in base a questo trattato
la Polonia si vedeva riconoscere il
diritto di possedere Vilnius, la
capitale lituana.
Il ruolo e la posizione di questa città
avevano infatti assunto un posto
cruciale nell’evolversi del conflitto:
già nel luglio 1920, volendo servirsi
delle milizie di resistenza militare
anti polacca, in azione dall’estate
precedente, Lenin aveva firmato un
trattato a Mosca, assieme alle cariche
politiche lituane, in base al quale
prometteva di riconoscere piena
indipendenza alla Repubblica di Lituania
e concedere Vilnius come capitale, in
cambio del libero transito delle armate
russe su tale territorio per dieci anni;
si trattavadi una concessione fittizia:
nei piani di Lenin, infatti, tale
indipendenza avrebbe dovuto possedere
vita breve, limitata al tempo necessario
per sconfiggere la Polonia.
Nell’ottobre successivo il Capo di Stato
polacco, Józef Piłsudski, firmò un
armistizio separato con la Lituania,
tramite il quale si impegnava anch’egli
a riconoscere loro Vilnius in cambio di
neutralità nel resto del conflitto;
contemporaneamenteordì un piano segreto
allo scopo di riappropriarsi del
controllo totale della città: il 9
ottobre ordinò a un contingente armato,
composto da circa quindicimila uomini e
sotto la guida di Lucjan Żeligowski, di
fingere di disertare in massa
dall’esercito regolare polacco e di
prendere il controllo di Vilnius,
instaurando una dittatura militare,
comandata dallo stesso Żeligowski.
Nel 1922, il parlamento di questo nuovo
Stato, denominato Lituania Centrale,
votò a favore di un’unione con la
Polonia, per diventarne una provincia,
nonostante le numerose protestemosse dal
governo lituano. I due decenni
successivi in Lituania furono
caratterizzati da un notevole sviluppo,
sia economico che culturale: nacquero
numerose imprese agricole, aumentarono
le esportazioni di bestiame e l’apertura
di numerose scuole, statali e private,
favorì il rianimarsi della letteratura
nazionale. Il 17 dicembre 1926, un colpo
di Stato organizzato da Augustinas
Voldemaras, leader del partito fascista
Geležinis vilkas, cioè “Lupi di
ferro”, destituì il Presidente della
Repubblica, Kazys Grinius, e nominò
Antanas Smetona, che aveva già ricoperto
la carica nel 1919.
Nel 1928, il regime autoritario conferì
ancor più poteri nella figura del
presidente, riducendo al tempo stesso il
ruolo del parlamento nella politica
nazionale. Nonostante una precoce
rottura tra Smetona e Voldemaras, il
potere del primo, che utilizzò in
maniera incontrastata, soprattutto per
bandire la cultura polacca e combattere
il diffondersi del comunismo, resistette
fino al 1940. Verso la fine degli anni
’30, infatti, l’ascesa del Reich tedesco
non poteva non iniziare a destare
numerose preoccupazioni: se, da un lato,
lo Stato nazista mirava a espandersi
verso oriente, ai danni della Polonia,
dall’altro anche l’URSS di Stalin non
nascondeva la propria intenzione di
recuperare il controllo di quei
territori.
Nell’agosto 1939 i ministri degli Affari
esteri nazista e sovietico, Joachim von
Ribbentrop e
Vjačeslav Molotov, firmarono
un patto di non aggressione reciproca
che avrebbe stabilito anche le sfere
d’espansione nelle quali entrambi gli
Stati avrebbero avuto il potere di
muoversi: in caso di conflitto, l’Unione
Sovietica avrebbe ottenuto Finlandia,
Estonia e Lettonia, mentre la Lituania
sarebbe stata occupata dalla Germania.
Otto giorni dopo, l’esercito nazista
invadeva la Polonia occidentale,
segnando l’inizio del secondo conflitto
mondiale. Il 17 dello stesso mese,
l’URSS si impadronì della Polonia
orientale, compresa la regione di
Vilnius.
Nel maggio successivo, però, Stalin
decise di rivedere il piano
espansionistico: in seguito alla, tanto
misteriosa quanto sospetta, scomparsa di
alcuni soldati russi su territorio
lituano, il Capo del Governo sovietico
comunicò a Smetona l’intenzione di
stanziare stabilmente alcuni reparti
dell’Armata Rossa in Lituania. A nulla
valsero le proteste provenienti da
Kaunas: il 15 giugno l’esercito
sovietico occupò il territorio lituano.
La Germania, come indennizzo, ottenne
una porzione maggiore di territorio
polacco e il pagamento di 7,5 milioni di
dollari in oro.
Due giorni dopo, il rappresentante di
Mosca, Vladimir Dekanozov, istituì un
Governo del Popolo, fondando la Seconda
Repubblica Socialista Sovietica lituana
e affidando il potere politico a Justas
Paleckis.Nei primi mesi di controllo, il
governo sovietico mise in atto un’opera
di distruzione degli elementi della
cultura lituana, abbattendo chiese e
chiudendo biblioteche e tipografie, e
bandì il culto cattolico.
Grazie a un’accentuata politica di
immigrazione organizzata di popolazione
russa sul territorio e alla
collettivizzazione delle terre, nacquero
numerosi nuovi complessi agricoli e
industriali. Coloro che manifestavano il
proprio dissenso, venivano arrestati e
trasportati forzatamente o nei gulag
siberiani, dove, se fossero
sopravvissuti al viaggio, avrebbero
passato anni, se non il resto della
vita, a scontare la pena ai lavori
forzati, oppure in alcune aree della
Russia centrale che necessitavano di
essere ripopolate: è stato calcolato
che, a partire dal giugno 1941 e fino al
1956, circa centotrentamila lituani, il
70% dei quali donne e bambini, siano
stati vittime di deportazione.
Il 24 giugno 1941, due giorni dopo
l’inizio dell’Operazione Barbarossa,
durante la quale le truppe della
Weirmacht rinnegarono il precedente
trattato di non belligeranza
reciproca,la Germania invase la
Lituania: nell’arco di una giornata,
grazie alla collaborazione di quei
cittadini che agivano in funzione
antisovietica, l’esercito tedesco fece
il proprio ingresso a Vilnius e Kaunas e
impose sin da subito rigide misure
restrittive per la popolazione ebrea
residente.
L’Olocausto lituano è stato, in
proporzione, tra i più terrificanti
d’Europa: si calcola che dei circa
duecentocinquantamila ebrei residenti in
Lituania nel periodo immediatamente
anteriore alla guerra, dei quali molti
provenienti dalla Polonia in seguito
all’invasione nazista, ne siano stati
uccisi un numero compreso tra i
centonovantamila e i
centonovantacinquemila.
Tale massacro sarebbe stato agevolato
dal diffuso collaborazionismo della
popolazione non ebrea, che avrebbe
favorito l’invasore nella speranza,
vana, che riconoscesse loro ampia
autonomia. L’occupazione nazista
continuò fino al luglio 1944, quando una
serie di offensive sovietiche riuscì a
scacciare le truppe tedesche. Negli anni
successivi alla fine della guerra, e
alla restaurazione delle repubbliche
sovietiche, nei tre Paesi baltici si
svilupparono delle sacche di resistenza
armate, chiamate miškobroliai,
cioè “fratelli della foresta”, che per
un decennio cercarono di combattere
l’occupazione sovietica.
Nonostante il grande seguito popolare
che riscontrarono, la repressione delle
autorità fu spietata: malgrado una cifra
iniziale che si avvicinava alle
cinquantamila unità, già nel 1955,
secondo le stime riportate dalla Polizia
Segreta Sovietica, resistevano nelle
foreste baltiche soltanto novecento
militi.
La morte di Stalin, nel 1953, comportò
un sensibile miglioramento per le
condizioni dei lituani: il suo
successore, Nikita Krhushchev, decise di
interrompere la politica intimidatoria
delle deportazioni, a partire dal 1956;
purtroppo, questo non comportò dei
vantaggi per coloro che erano già stati
allontanati dalle proprie terre: a circa
cinquantamila lituani non venne concesso
il ritorno in patria, mentre, per quelle
persone che ci riuscirono, le
possibilità di trovare lavoro
risultarono ridotte.
I decenni successivi, caratterizzati da
una politica di decentramento economico,
voluta da Krhushchev, portò apprezzabili
risultati nell’area baltica: rispetto ad
altre zone dell’URSS, in Lituania il
livello tecnologico delle aziende era
mediamente superiore, i salari erano più
alti e le condizioni di vita migliori.
Di conseguenza, aumentò la popolazione
urbana, che crebbe dal 39% sul totale
del 1960 al 70% alla fine degli anni
’80, e, in generale, il Paese poté
godere dei risultati di un incremento
demografico che, nel 1979, lo portò a
sfiorare i quattro milioni di abitanti.
Fino al 1988, tutte le attività
politiche, economiche e culturalierano
gestite dal Partito Comunista Lituano,
in particolare nella figura del
segretario Antanas Snieckus, appendice a
tutti gli effetti del Partito Comunista.
L’aumento di studenti delle scuole, nel
medesimo periodo, portò a un nuovo
rifiorire della cultura locale e, di
conseguenza, a un diffuso sentimento di
malessere, causatodall’assenza di
libertà democratiche.
Verso la fine degli anni ’80, la
fondazione di partiti popolari, opposti
al regime sovietico, conferì nuova linfa
ai movimenti per la liberazione
nazionale dei Paesi baltici: se, per
Estonia e Lettonia, questo ruolo venne
occupato, rispettivamente, dal
Rahvarrinne e dal TautasFronte,
a Vilnius, nel giugno 1988, il
professore e politico lituano Vytautas
Landsbergis fondò il Sąjūdis, il
cui progetto politico mirava a ottenere
maggiori diritti, democratici e
nazionali, ed esercitare pressioni sulle
comunità internazionali affinché
riconoscessero la Lituania come Stato
indipendente.
Guadagnandosi la simpatia popolare, il
Sąjūdis iniziò a rendere sempre
più presente la cultura lituana nella
vita quotidiana, organizzando cerimonie
dove veniva mostrata la bandiera e
cantato l’inno nazionale. In seguito a
numerose manifestazioni popolari, e a un
clima politico che stava diventando
sempre più rovente, il 19 ottobre 1988
Algirdas Brazauskas divenne il nuovo
segretario del PCL: si trattava di una
netta presa di posizione in contrasto
con il volere del PCUS, dato che
Brazauskas era non solo un dichiarato
riformatore, ma anche un fervente
patriota, già presente a numerose
riunioni del Sąjūdis.
Forte di questo nuovo, importante
“alleato” politico e, soprattutto, del
crescente seguito popolare che si stava
guadagnando, il movimento guidato
Landsbergis ottenne il ripristino dei
simboli nazionali, come la bandiera, il
riconoscimento del lituano come lingua
ufficiale, la celebrazione del 16
febbraio in quanto festività nazionale e
la riapertura al culto della religione
cattolica nella cattedrale di Vilnius.
Nel febbraio 1989, Landsbergis dichiarò
che l’annessione della Lituania da parte
dell’Unione Sovietica era stata un atto
di forza, con lo scopo di estendere la
propria sovranità anche sopra la
repubblica baltica e che, da quel
momento in avanti, il Sąjūdis
avrebbe considerato tale occupazione
illegale.
Sei mesi dopo, i tre movimenti politici
per l’indipendenza del Baltico
riuscirono a organizzare un’imponente
manifestazione pacifica: circa due
milioni di persone, tenendosi per mano,
cantando i rispettivi inni nazionali e
vestendo coi coloridelle bandiere
locali, formarono un’ininterrotta catena
umana dalla lunghezza complessiva di
circa 600 chilometri, che univa tra loro
Tallin, Riga e Vilnius, le tre capitali
baltiche
Godendo di un privilegio nazionale
incontrastato, alle elezioni per i
deputati popolari del Consiglio Supremo
della RSS Lituana del marzo 1990 il
Sąjūdis ottenne ottantuno seggi sui
centoquarantuno disponibili, mentre
Landsbergis veniva eletto presidente del
Parlamento all’unanimità assoluta.
L’11 dello stesso mese, l’assemblea
dichiarò la restaurazione
dell’indipendenza nazionale e il
conseguente distacco dall’Unione
Sovietica.La risposta di Gorbačëv, che
rifiutò di riconoscere la nuova
repubblica, non si fece attendere: non
solo venne immediatamente disposto un
durissimo blocco economico ed energetico
nei confronti del Paese ribelle,ma si
iniziò anche a sobillare le minoranze
slave residenti in Lituania, nel
tentativo di sviluppare in loro un
marcato sentimento filosovietico, e
quelle polacche, per dare vita a un
movimento separatista.
Il 10 gennaio 1991, in un ultimo
tentativo di riportare lo Stato baltico
all’ordine, Gorbačëv lanciò un ultimatum
al governo lituano: abolire
immediatamente la repubblica
indipendente e riconoscere la sovranità
dell’Unione Sovietica, oppure prepararsi
a essere invasi dall’esercito russo. In
assenza di risposta positiva, il giorno
successivo il segretario del PCUS diede
ordine alle truppe sovietiche di
occupare Vilnius, prendere possesso del
Palazzo della stampa,del Dipartimento di
Stato della difesa e di bloccare le vie
d’accesso alla capitale. Nelle ore
successive all’attacco, la popolazione
locale iniziò a raccogliersi attorno
all’edificio del Parlamento, alla sede
del centralino nazionale e alla Torre
della televisione, per proteggerle
dall’occupazione.
All’alba del 13 gennaio, componenti
dell’unità speciale Al’fa, su
blindati e carri armati andarono
all’assalto delle strutture protette dai
cittadini di Vilnius: in migliaia
vennero dispersi, oltre duecento
rimasero feriti e in tredici persero la
vita.Per completezza di informazioni
desidero comunque rendere noto che il
libro “La congiura lituana”, pubblicato
nel 2016 dalla giornalista russa Galina
Sapožnikova, raccontauna storia
differente: avvalendosi di alcune
testimonianze, come quella del dirigente
socialista Algirdas Paleckis o dell’ex
ministro della Difesa Audrius
Butkevičius, ella promuove la teoria
secondo la quale, durante l’attacco del
13 gennaio, ad aprire il fuoco sulla
popolazione non sia stato l’esercito
sovietico, bensì cecchini lituani,
addestrati da istruttori statunitensi,
appositamente posizionati sui tetti; il
motivo di tale azione sarebbe stato
quello di ottenere piena simpatia
internazionale per il movimento di
liberazione, gettando discredito
sull’operato russo.
Uno degli elementi che la Sapožnikova
presenta a favore di questa teoria,
sarebbe la presenza, costante per buona
parte del 1990, del professore americano
Gene Sharp, l’ideatore della filosofia
della nonviolenza civile, a Vilnius. Tra
gli individui intervistati dalla
Sapožnikova vi sarebbe anche Michail
Golovatov, ex comandante dell’Al’fa,
arrestato nel 2010 a Vienna, su mandato
di cattura lituano, per crimini contro
l’umanità: proprio dalla sua
testimonianza diretta emergerebbe il
fatto che, sui cadaveri dei cittadini
lituani, fosse perfettamente visibile
come le numerose ferite di proiettile
seguissero una traiettoria non
orizzontale, ma dall’alto verso il
basso.La condanna internazionale fu
immediata e categorica: Washinghton
minacciò di riconsiderare gli aiuti
economici che stavano per essere
stanziati nei confronti dell’Unione
Sovietica, così come la Comunità
Europea, mentre la NATO ammonì Gorbačëv,
promettendo ripercussioni negative nel
caso in cui fosse stato fatto un nuovo
utilizzo sconsiderato della forza.
Aspre critiche iniziarono a giungere
anche dall’interno dell’Unione
Sovietica: oltre all’aperta
disapprovazione di alcune repubbliche
sovietiche, come Georgia e Moldavia, un
duro attacco giunse dal principale
rivale politico di Gorbačëv, il deputato
Borís Nikoláevič Él’cin: egli non solo
esortò i soldati russi stanziati in
Lituania a non operare contro la
popolazione locale, ma addirittura si
recò in prima persona a Tallin, unendosi
alla protesta organizzata dai Paesi
baltici e dichiarandosi a favore della
loro indipendenza.
Ormai sommerso dalle critiche e
circondato dai nemici, Gorbačëv, nella
notte del 29 gennaio, ritirò i soldati
sovietici dalla capitale e aprì un nuovo
tavolo delle trattative con Vilnius. Il
9 febbraio, ormai convinto di potersi
definitivamente distaccare dalla
sovranità sovietica, il governo lituano
organizzò un referendum nazionale, nel
quale si chiamava il popolo a schierarsi
a favore, o contro, l’indipendenza della
nuova repubblica. Il risultato fu
inoppugnabile: alla votazione presero
parte 2.652.738 cittadini lituani, il
90.47% dei quali votò in favore del
primo articolo della futura Costituzione
della Repubblica di Lituania, in base al
quale si sanciva che lo Stato di
Lituania avrebbe dovuto essere una
repubblica democratica e indipendente.
Gorbačëv, però, disconobbe l’esito di
tale plebiscito: il 17 marzo, il Capo di
Stato dell’Unione Sovietica decise di
indire a sua volta un referendum, il
quale aveva lo scopo di preservare
l’URSS, rinnovando il patto federativo
tra le repubbliche sovietiche,
promettendo il pieno rispetto dei
diritti di ogni cittadino e di ogni
nazionalità. Nonostante una netta
vittoria del sì, per il quale decise di
propendere il 77,8% dei circa
centocinquanta milioni di votanti, il
piano di Gorbačëv sarebbe stato
destinato a fallire. Nel successivo mese
di agosto, infatti, un tentativo di
colpo di Stato, attuato da alcuni membri
del governo con l’obiettivo di prendere
il controllo del Paese e salvaguardare
il potere decisionale del PCUS,danneggiò
il suo ruolo e la sua figura, tanto
dacostringerlo a dimettersidall’incarico
di Segretario Generale del PCUS.
Il 22 dello stesso mese, il PCL veniva
definitivamente considerato illegale e
bandito dal territorio lituano, mentre
lo Stato si affrettava a confiscare i
suoi beni.A emergere come principale
figura politica fu El’cin, che si era
distinto come guida della resistenza
organizzata a Mosca.
Mentre l’Unione Sovietica continuava a
scivolare verso l’oblio, che avrebbe
raggiunto nel successivo giorno di
Natale, il 6 settembre il Parlamento
russo riconobbe ufficialmente
l’indipendenza delle tre Repubbliche
baltiche. Il distacco definitivo
dall’Unione Sovietica, però, fu più
lento e complicato: la dipendenza
energetica da Mosca comportò una grave
crisi economica, che costrinse quasi un
terzo delle aziende locali a
interrompere la propria attività, mentre
nelle grandi città i beni di prima
necessità iniziarono a essere razionati.
Altra complicazione fu l’organizzazione
del ritiro dei quarantamila soldati
russi presenti in Lituania: nonostante i
continui, quanto buoni, contatti
diplomatici con la Russia di El’Cin,
l’ultimo soldato russo poté abbandonare
il territorio lituano soltanto il 31
agosto 1993. Il 17 settembre l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite la ammise
come membro. Questo non fu che il primo
dei numerosi accordi internazionali
siglati dai governi lituani una volta
raggiunta l’indipendenza.
Nell’ottobre 1992 si tennero in Lituania
le prime elezioni multipartitiche del
dopoguerra, vinte dal PDL di Brazauskas,
a discapitodi Landsbergis e del suo
Sąjūdis. Nel marzo 2004, dieci anni
dopo aver firmato l’accordo di
partnership con i Paesi membri, la
Lituania venne invitata a far parte
della NATO.
Due mesi più tardi, fece il suo ingresso
nell’Unione Europea: in seguito, nel
dicembre 2007 decise di aderire, alla
zona Schengen, mentre il primo gennaio
2015 adottò ufficialmente l’euro come
moneta nazionale.
Nel 2009, precisamente mille anni dopo
la prima testimonianza scritta della
parola “Lituania”, Vilnius è stata
eletta capitale europea della cultura.
Finalmente, il piccolo Paese sulle
sponde del Baltico era riuscito a
ottenere la propria indipendenza: il
mondo stava, a poco a poco, scoprendo la
Repubblica di Lituania. |