[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

171 / MARZO 2022 (CCII)


contemporanea

SULL’INDIPENDENZA DELLA LITUANIA
UN ARDUO percorso

di Lorenzo Bruni

 

Il percorso che conduce un Paese a rivendicare e ottenere la propria indipendenza, spesso, può essere rappresentato come una tortuosa linea immaginaria, irta di ostacoli, per lo più non pacifici.

 

Raggiungere la propria autonomia, per la Lituania, non è stato semplice. Non soltanto per il soffocante dominio dell’Unione Sovietica, un gigante di fronte a una formica, ma anche per la posizione strategica occupata, in quanto fondamentale sbocco sul Mar Baltico, bramato anche da Germania e Polonia.

 

Volendo fissare un punto di partenza, dovremmo stabilirlo nel febbraio 1918, alla firma del trattato di Brest-Litovsk: tramite questo, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, priva del controllo zarista, si impegnava con gli Imperi centrale a rinunciare a qualsiasi interesse territoriale su Lituania, Estonia, Finlandia, Ucraina, Polonia Orientale e Transcaucasia; si trattava di una concessione molto dolorosa per i dirigenti sovietici, che in tal modo perdevano il controllo su circa cinquantasei milioni di abitanti, il 32% delle proprie attività agricole, il 75% della produzione del carbone e del ferro e oltre cinquemila fabbriche.

 

Il 16 febbraio il Consiglio della Lituania stipulò l’Atto d’Indipendenza e proclamò ufficialmente la nascita del Regno di Lituania.Il sistema monarchico ebbe però vita breve: nonostante la corona fosse stata già accettata dal Duca Wilhelm di Urach, che salì al trono col nome di re Mindaugas II, l’Impero tedesco, che aveva invaso l’area nel corso della Grande Guerra e riteneva di dover avere voce in capitolo riguardo al nuovo regnante di uno Stato subordinato, si oppose alla scelta.

 

La sconfitta degli Imperi centrali nel conflitto, però, pose le basi per un nuovo colpo di scena: dopo aver ritrattato il precedente Atto d’Indipendenza, nel quale era prevista la costituzione di una monarchia solo per compiacere l’Impero tedesco, il 2 novembre il Consiglio della Lituania optò per istituire una repubblica. Neppure dieci giorni dopo la proclamazione, però,la RSFSR rinnegò il trattato di Brest-Litovsk, invadendo i Paesi baltici: l’offensiva del 13 novembre venne giustificata dai dirigenti sovietici utilizzando come pretesto quello di voler proteggere non solo l’autodeterminazione di quei popoli, ma soprattutto per consentire loro di essere partecipi del proprio progetto di Rivoluzione mondiale e di ascesa del proletariato.

 

L’esercito russo riprese il controllo totale della Lituania nel mese di dicembre, fondando la Prima Repubblica Socialista Sovietica Lituana e ponendola sotto il controllo di VincasMickevičius-Kapsukas. Nel febbraio dell’anno successivo, per ovviare a diverse difficoltà logistiche, economiche e militari, questa venne accorpata alla corrispettiva bielorussa, creando una nuova Repubblica Socialista Sovietica, chiamata Litbel.

 

Per i Paesi baltici, però, giungevano minacce anche da Ovest: la Polonia invase la RSS lituano-bielorussa, occupando Vilnius, Minsk e sconfiggendo l’esercito russo nei pressi diKaunas, la capitale temporanea. Il conflitto polacco-sovietico si prolungò per i successivi due anni, finché, nell’agosto 1920, l’esercito russo, che si era spinto nel cuore della Polonia, non venne, tanto inaspettatamente quanto aspramente, sconfitto e respinto nei pressi di Varsavia.

 

I mesi seguenti videro un susseguirsi di vittorie per i polacchi, tanto da costringere Lenin ad aprire le trattative per un armistizio che culminò, nel marzo successivo, con la pace di Riga: la Poloniaottenne numerosi territori in aree ucraine, bielorusse e lituane; a generare un acceso contenzioso con la repubblica balticafu il fatto che in base a questo trattato la Polonia si vedeva riconoscere il diritto di possedere Vilnius, la capitale lituana.

 

Il ruolo e la posizione di questa città avevano infatti assunto un posto cruciale nell’evolversi del conflitto: già nel luglio 1920, volendo servirsi delle milizie di resistenza militare anti polacca, in azione dall’estate precedente, Lenin aveva firmato un trattato a Mosca, assieme alle cariche politiche lituane, in base al quale prometteva di riconoscere piena indipendenza alla Repubblica di Lituania e concedere Vilnius come capitale, in cambio del libero transito delle armate russe su tale territorio per dieci anni; si trattavadi una concessione fittizia: nei piani di Lenin, infatti, tale indipendenza avrebbe dovuto possedere vita breve, limitata al tempo necessario per sconfiggere la Polonia.

 

Nell’ottobre successivo il Capo di Stato polacco, Józef Piłsudski, firmò un armistizio separato con la Lituania, tramite il quale si impegnava anch’egli a riconoscere loro Vilnius in cambio di neutralità nel resto del conflitto; contemporaneamenteordì un piano segreto allo scopo di riappropriarsi del controllo totale della città: il 9 ottobre ordinò a un contingente armato, composto da circa quindicimila uomini e sotto la guida di Lucjan Żeligowski, di fingere di disertare in massa dall’esercito regolare polacco e di prendere il controllo di Vilnius, instaurando una dittatura militare, comandata dallo stesso Żeligowski.

 

Nel 1922, il parlamento di questo nuovo Stato, denominato Lituania Centrale, votò a favore di un’unione con la Polonia, per diventarne una provincia, nonostante le numerose protestemosse dal governo lituano. I due decenni successivi in Lituania furono caratterizzati da un notevole sviluppo, sia economico che culturale: nacquero numerose imprese agricole, aumentarono le esportazioni di bestiame e l’apertura di numerose scuole, statali e private, favorì il rianimarsi della letteratura nazionale. Il 17 dicembre 1926, un colpo di Stato organizzato da Augustinas Voldemaras, leader del partito fascista Geležinis vilkas, cioè “Lupi di ferro”, destituì il Presidente della Repubblica, Kazys Grinius, e nominò Antanas Smetona, che aveva già ricoperto la carica nel 1919.

 

Nel 1928, il regime autoritario conferì ancor più poteri nella figura del presidente, riducendo al tempo stesso il ruolo del parlamento nella politica nazionale. Nonostante una precoce rottura tra Smetona e Voldemaras, il potere del primo, che utilizzò in maniera incontrastata, soprattutto per bandire la cultura polacca e combattere il diffondersi del comunismo, resistette fino al 1940. Verso la fine degli anni ’30, infatti, l’ascesa del Reich tedesco non poteva non iniziare a destare numerose preoccupazioni: se, da un lato, lo Stato nazista mirava a espandersi verso oriente, ai danni della Polonia, dall’altro anche l’URSS di Stalin non nascondeva la propria intenzione di recuperare il controllo di quei territori.

 

Nell’agosto 1939 i ministri degli Affari esteri nazista e sovietico, Joachim von Ribbentrop e Vjačeslav Molotov, firmarono un patto di non aggressione reciproca che avrebbe stabilito anche le sfere d’espansione nelle quali entrambi gli Stati avrebbero avuto il potere di muoversi: in caso di conflitto, l’Unione Sovietica avrebbe ottenuto Finlandia, Estonia e Lettonia, mentre la Lituania sarebbe stata occupata dalla Germania. Otto giorni dopo, l’esercito nazista invadeva la Polonia occidentale, segnando l’inizio del secondo conflitto mondiale. Il 17 dello stesso mese, l’URSS si impadronì della Polonia orientale, compresa la regione di Vilnius.

 

Nel maggio successivo, però, Stalin decise di rivedere il piano espansionistico: in seguito alla, tanto misteriosa quanto sospetta, scomparsa di alcuni soldati russi su territorio lituano, il Capo del Governo sovietico comunicò a Smetona l’intenzione di stanziare stabilmente alcuni reparti dell’Armata Rossa in Lituania. A nulla valsero le proteste provenienti da Kaunas: il 15 giugno l’esercito sovietico occupò il territorio lituano. La Germania, come indennizzo, ottenne una porzione maggiore di territorio polacco e il pagamento di 7,5 milioni di dollari in oro.

 

Due giorni dopo, il rappresentante di Mosca, Vladimir Dekanozov, istituì un Governo del Popolo, fondando la Seconda Repubblica Socialista Sovietica lituana e affidando il potere politico a Justas Paleckis.Nei primi mesi di controllo, il governo sovietico mise in atto un’opera di distruzione degli elementi della cultura lituana, abbattendo chiese e chiudendo biblioteche e tipografie, e bandì il culto cattolico.

 

Grazie a un’accentuata politica di immigrazione organizzata di popolazione russa sul territorio e alla collettivizzazione delle terre, nacquero numerosi nuovi complessi agricoli e industriali. Coloro che manifestavano il proprio dissenso, venivano arrestati e trasportati forzatamente o nei gulag siberiani, dove, se fossero sopravvissuti al viaggio, avrebbero passato anni, se non il resto della vita, a scontare la pena ai lavori forzati, oppure in alcune aree della Russia centrale che necessitavano di essere ripopolate: è stato calcolato che, a partire dal giugno 1941 e fino al 1956, circa centotrentamila lituani, il 70% dei quali donne e bambini, siano stati vittime di deportazione.

 

Il 24 giugno 1941, due giorni dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, durante la quale le truppe della Weirmacht rinnegarono il precedente trattato di non belligeranza reciproca,la Germania invase la Lituania: nell’arco di una giornata, grazie alla collaborazione di quei cittadini che agivano in funzione antisovietica, l’esercito tedesco fece il proprio ingresso a Vilnius e Kaunas e impose sin da subito rigide misure restrittive per la popolazione ebrea residente.

 

L’Olocausto lituano è stato, in proporzione, tra i più terrificanti d’Europa: si calcola che dei circa duecentocinquantamila ebrei residenti in Lituania nel periodo immediatamente anteriore alla guerra, dei quali molti provenienti dalla Polonia in seguito all’invasione nazista, ne siano stati uccisi un numero compreso tra i centonovantamila e i centonovantacinquemila.

 

Tale massacro sarebbe stato agevolato dal diffuso collaborazionismo della popolazione non ebrea, che avrebbe favorito l’invasore nella speranza, vana, che riconoscesse loro ampia autonomia. L’occupazione nazista continuò fino al luglio 1944, quando una serie di offensive sovietiche riuscì a scacciare le truppe tedesche. Negli anni successivi alla fine della guerra, e alla restaurazione delle repubbliche sovietiche, nei tre Paesi baltici si svilupparono delle sacche di resistenza armate, chiamate miškobroliai, cioè “fratelli della foresta”, che per un decennio cercarono di combattere l’occupazione sovietica.

 

Nonostante il grande seguito popolare che riscontrarono, la repressione delle autorità fu spietata: malgrado una cifra iniziale che si avvicinava alle cinquantamila unità, già nel 1955, secondo le stime riportate dalla Polizia Segreta Sovietica, resistevano nelle foreste baltiche soltanto novecento militi.

 

La morte di Stalin, nel 1953, comportò un sensibile miglioramento per le condizioni dei lituani: il suo successore, Nikita Krhushchev, decise di interrompere la politica intimidatoria delle deportazioni, a partire dal 1956; purtroppo, questo non comportò dei vantaggi per coloro che erano già stati allontanati dalle proprie terre: a circa cinquantamila lituani non venne concesso il ritorno in patria, mentre, per quelle persone che ci riuscirono, le possibilità di trovare lavoro risultarono ridotte.

 

I decenni successivi, caratterizzati da una politica di decentramento economico, voluta da Krhushchev, portò apprezzabili risultati nell’area baltica: rispetto ad altre zone dell’URSS, in Lituania il livello tecnologico delle aziende era mediamente superiore, i salari erano più alti e le condizioni di vita migliori. Di conseguenza, aumentò la popolazione urbana, che crebbe dal 39% sul totale del 1960 al 70% alla fine degli anni ’80, e, in generale, il Paese poté godere dei risultati di un incremento demografico che, nel 1979, lo portò a sfiorare i quattro milioni di abitanti.

 

Fino al 1988, tutte le attività politiche, economiche e culturalierano gestite dal Partito Comunista Lituano, in particolare nella figura del segretario Antanas Snieckus, appendice a tutti gli effetti del Partito Comunista. L’aumento di studenti delle scuole, nel medesimo periodo, portò a un nuovo rifiorire della cultura locale e, di conseguenza, a un diffuso sentimento di malessere, causatodall’assenza di libertà democratiche.

 

Verso la fine degli anni ’80, la fondazione di partiti popolari, opposti al regime sovietico, conferì nuova linfa ai movimenti per la liberazione nazionale dei Paesi baltici: se, per Estonia e Lettonia, questo ruolo venne occupato, rispettivamente, dal Rahvarrinne e dal TautasFronte, a Vilnius, nel giugno 1988, il professore e politico lituano Vytautas Landsbergis fondò il Sąjūdis, il cui progetto politico mirava a ottenere maggiori diritti, democratici e nazionali, ed esercitare pressioni sulle comunità internazionali affinché riconoscessero la Lituania come Stato indipendente.

 

Guadagnandosi la simpatia popolare, il Sąjūdis iniziò a rendere sempre più presente la cultura lituana nella vita quotidiana, organizzando cerimonie dove veniva mostrata la bandiera e cantato l’inno nazionale. In seguito a numerose manifestazioni popolari, e a un clima politico che stava diventando sempre più rovente, il 19 ottobre 1988 Algirdas Brazauskas divenne il nuovo segretario del PCL: si trattava di una netta presa di posizione in contrasto con il volere del PCUS, dato che Brazauskas era non solo un dichiarato riformatore, ma anche un fervente patriota, già presente a numerose riunioni del Sąjūdis.

 

Forte di questo nuovo, importante “alleato” politico e, soprattutto, del crescente seguito popolare che si stava guadagnando, il movimento guidato Landsbergis ottenne il ripristino dei simboli nazionali, come la bandiera, il riconoscimento del lituano come lingua ufficiale, la celebrazione del 16 febbraio in quanto festività nazionale e la riapertura al culto della religione cattolica nella cattedrale di Vilnius. Nel febbraio 1989, Landsbergis dichiarò che l’annessione della Lituania da parte dell’Unione Sovietica era stata un atto di forza, con lo scopo di estendere la propria sovranità anche sopra la repubblica baltica e che, da quel momento in avanti, il Sąjūdis avrebbe considerato tale occupazione illegale.

 

Sei mesi dopo, i tre movimenti politici per l’indipendenza del Baltico riuscirono a organizzare un’imponente manifestazione pacifica: circa due milioni di persone, tenendosi per mano, cantando i rispettivi inni nazionali e vestendo coi coloridelle bandiere locali, formarono un’ininterrotta catena umana dalla lunghezza complessiva di circa 600 chilometri, che univa tra loro Tallin, Riga e Vilnius, le tre capitali baltiche 

 

Godendo di un privilegio nazionale incontrastato, alle elezioni per i deputati popolari del Consiglio Supremo della RSS Lituana del marzo 1990 il Sąjūdis ottenne ottantuno seggi sui centoquarantuno disponibili, mentre Landsbergis veniva eletto presidente del Parlamento all’unanimità assoluta.

 

L’11 dello stesso mese, l’assemblea dichiarò la restaurazione dell’indipendenza nazionale e il conseguente distacco dall’Unione Sovietica.La risposta di Gorbačëv, che rifiutò di riconoscere la nuova repubblica, non si fece attendere: non solo venne immediatamente disposto un durissimo blocco economico ed energetico nei confronti del Paese ribelle,ma si iniziò anche a sobillare le minoranze slave residenti in Lituania, nel tentativo di sviluppare in loro un marcato sentimento filosovietico, e quelle polacche, per dare vita a un movimento separatista.

 

Il 10 gennaio 1991, in un ultimo tentativo di riportare lo Stato baltico all’ordine, Gorbačëv lanciò un ultimatum al governo lituano: abolire immediatamente la repubblica indipendente e riconoscere la sovranità dell’Unione Sovietica, oppure prepararsi a essere invasi dall’esercito russo. In assenza di risposta positiva, il giorno successivo il segretario del PCUS diede ordine alle truppe sovietiche di occupare Vilnius, prendere possesso del Palazzo della stampa,del Dipartimento di Stato della difesa e di bloccare le vie d’accesso alla capitale. Nelle ore successive all’attacco, la popolazione locale iniziò a raccogliersi attorno all’edificio del Parlamento, alla sede del centralino nazionale e alla Torre della televisione, per proteggerle dall’occupazione.

 

All’alba del 13 gennaio, componenti dell’unità speciale Al’fa, su blindati e carri armati andarono all’assalto delle strutture protette dai cittadini di Vilnius: in migliaia vennero dispersi, oltre duecento rimasero feriti e in tredici persero la vita.Per completezza di informazioni desidero comunque rendere noto che il libro “La congiura lituana”, pubblicato nel 2016 dalla giornalista russa Galina Sapožnikova, raccontauna storia differente: avvalendosi di alcune testimonianze, come quella del dirigente socialista Algirdas Paleckis o dell’ex ministro della Difesa Audrius Butkevičius, ella promuove la teoria secondo la quale, durante l’attacco del 13 gennaio, ad aprire il fuoco sulla popolazione non sia stato l’esercito sovietico, bensì cecchini lituani, addestrati da istruttori statunitensi, appositamente posizionati sui tetti; il motivo di tale azione sarebbe stato quello di ottenere piena simpatia internazionale per il movimento di liberazione, gettando discredito sull’operato russo.

 

Uno degli elementi che la Sapožnikova presenta a favore di questa teoria, sarebbe la presenza, costante per buona parte del 1990, del professore americano Gene Sharp, l’ideatore della filosofia della nonviolenza civile, a Vilnius. Tra gli individui intervistati dalla Sapožnikova vi sarebbe anche Michail Golovatov, ex comandante dell’Al’fa, arrestato nel 2010 a Vienna, su mandato di cattura lituano, per crimini contro l’umanità: proprio dalla sua testimonianza diretta emergerebbe il fatto che, sui cadaveri dei cittadini lituani, fosse perfettamente visibile come le numerose ferite di proiettile seguissero una traiettoria non orizzontale, ma dall’alto verso il basso.La condanna internazionale fu immediata e categorica: Washinghton minacciò di riconsiderare gli aiuti economici che stavano per essere stanziati nei confronti dell’Unione Sovietica, così come la Comunità Europea, mentre la NATO ammonì Gorbačëv, promettendo ripercussioni negative nel caso in cui fosse stato fatto un nuovo utilizzo sconsiderato della forza.

 

Aspre critiche iniziarono a giungere anche dall’interno dell’Unione Sovietica: oltre all’aperta disapprovazione di alcune repubbliche sovietiche, come Georgia e Moldavia, un duro attacco giunse dal principale rivale politico di Gorbačëv, il deputato Borís Nikoláevič Él’cin: egli non solo esortò i soldati russi stanziati in Lituania a non operare contro la popolazione locale, ma addirittura si recò in prima persona a Tallin, unendosi alla protesta organizzata dai Paesi baltici e dichiarandosi a favore della loro indipendenza.

 

Ormai sommerso dalle critiche e circondato dai nemici, Gorbačëv, nella notte del 29 gennaio, ritirò i soldati sovietici dalla capitale e aprì un nuovo tavolo delle trattative con Vilnius. Il 9 febbraio, ormai convinto di potersi definitivamente distaccare dalla sovranità sovietica, il governo lituano organizzò un referendum nazionale, nel quale si chiamava il popolo a schierarsi a favore, o contro, l’indipendenza della nuova repubblica. Il risultato fu inoppugnabile: alla votazione presero parte 2.652.738 cittadini lituani, il 90.47% dei quali votò in favore del primo articolo della futura Costituzione della Repubblica di Lituania, in base al quale si sanciva che lo Stato di Lituania avrebbe dovuto essere una repubblica democratica e indipendente.

 

Gorbačëv, però, disconobbe l’esito di tale plebiscito: il 17 marzo, il Capo di Stato dell’Unione Sovietica decise di indire a sua volta un referendum, il quale aveva lo scopo di preservare l’URSS, rinnovando il patto federativo tra le repubbliche sovietiche, promettendo il pieno rispetto dei diritti di ogni cittadino e di ogni nazionalità. Nonostante una netta vittoria del sì, per il quale decise di propendere il 77,8% dei circa centocinquanta milioni di votanti, il piano di Gorbačëv sarebbe stato destinato a fallire. Nel successivo mese di agosto, infatti, un tentativo di colpo di Stato, attuato da alcuni membri del governo con l’obiettivo di prendere il controllo del Paese e salvaguardare il potere decisionale del PCUS,danneggiò il suo ruolo e la sua figura, tanto dacostringerlo a dimettersidall’incarico di Segretario Generale del PCUS.

 

Il 22 dello stesso mese, il PCL veniva definitivamente considerato illegale e bandito dal territorio lituano, mentre lo Stato si affrettava a confiscare i suoi beni.A emergere come principale figura politica fu El’cin, che si era distinto come guida della resistenza organizzata a Mosca.

 

Mentre l’Unione Sovietica continuava a scivolare verso l’oblio, che avrebbe raggiunto nel successivo giorno di Natale, il 6 settembre il Parlamento russo riconobbe ufficialmente l’indipendenza delle tre Repubbliche baltiche. Il distacco definitivo dall’Unione Sovietica, però, fu più lento e complicato: la dipendenza energetica da Mosca comportò una grave crisi economica, che costrinse quasi un terzo delle aziende locali a interrompere la propria attività, mentre nelle grandi città i beni di prima necessità iniziarono a essere razionati.

 

Altra complicazione fu l’organizzazione del ritiro dei quarantamila soldati russi presenti in Lituania: nonostante i continui, quanto buoni, contatti diplomatici con la Russia di El’Cin, l’ultimo soldato russo poté abbandonare il territorio lituano soltanto il 31 agosto 1993. Il 17 settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la ammise come membro. Questo non fu che il primo dei numerosi accordi internazionali siglati dai governi lituani una volta raggiunta l’indipendenza.

 

Nell’ottobre 1992 si tennero in Lituania le prime elezioni multipartitiche del dopoguerra, vinte dal PDL di Brazauskas, a discapitodi Landsbergis e del suo Sąjūdis. Nel marzo 2004, dieci anni dopo aver firmato l’accordo di partnership con i Paesi membri, la Lituania venne invitata a far parte della NATO.

 

Due mesi più tardi, fece il suo ingresso nell’Unione Europea: in seguito, nel dicembre 2007 decise di aderire, alla zona Schengen, mentre il primo gennaio 2015 adottò ufficialmente l’euro come moneta nazionale.

 

Nel 2009, precisamente mille anni dopo la prima testimonianza scritta della parola “Lituania”, Vilnius è stata eletta capitale europea della cultura. Finalmente, il piccolo Paese sulle sponde del Baltico era riuscito a ottenere la propria indipendenza: il mondo stava, a poco a poco, scoprendo la Repubblica di Lituania. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]