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filosofia & religione


N. 25 - Gennaio 2010 (LVI)

LE LISTE EPISCOPALI
fra storia e mito...

di Francesco Arduini

 

“Il teologo può indulgere al gradevole compito di descrivere la religione così come discese dal Cielo in tutta la sua nativa purezza. Allo storico si impone un dovere più malinconico. Egli deve scoprire l’inevitabile mescolanza di errori e corruzione che le si accompagnò nella sua lunga permanenza sulla terra, in mezzo a una razza di uomini debole e degenarata”.

Così si espresse lo storico Edwar Gibbon, e mai parole furono più appropriate di queste nel trattare il tema delle “liste episcopali” e della ininterrotta “successione dei vescovi” proclamata dalle maggiori Chiese della cristianità.
La Parola di Dio, affidata da Cristo agli apostoli, sarebbe da questi ultimi stata trasmessa ai loro successori in modo da garantirne la fedele conservazione fino ai giorni nostri. Come recita il Denzingher, le liste episcopali testimonierebbero le ininterrotte successioni vescovili a garanzia di un integro ed inalterato depositum fidei:

"Fra i vari ministeri che vengono esercitati nella chiesa fin dai primi tempi, la tradizione assegna il posto principale all'ufficio di coloro che sono costituiti nell'episcopato e che, per successione che decorre dalle origini, possiedono i tralci della radice apostolica" (DH 4144).

"Gli apostoli poi, affinché l'evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella chiesa, lasciarono come successori i vescovi, ad essi 'affidando il loro proprio posto di maestri'" (DH 4208).

Lo storico, che non può sottrarsi al suo “malinconico dovere”, ha però il compito di verificare queste affermazioni autoreferenziali, che il più delle volte sono proclamate come apodottiche verità teologiche.
Esamineremo quindi la lista episcopale di Roma e la lista episcopale di Gerusalemme, consci che “il processo di formazione di queste liste presenta caratteristiche e finalità del tutto simili a quelle che determinarono la stesura dei cataloghi di altre sedi episcopali: l’approntamento di una ‘memoria’ che dimostrasse una tradizione ininterrotta”. (Rinaldi, pag. 481).

La Lista dei Vescovi Romani:

1) Pietro
2) Lino

3) Cleto/Anacleto

4) Clemente I

5) Evaristo

6) Alessandro I

7) Sisto I

8) Telesforo

9) Igino

10) Pio I

11) Aniceto

12) Sotero

13) Eleuterio

14) Vittore I

15) Zefirino

L'elenco dei vescovi romani dell'età antica (le cui liste risalgono, con ogni probabilità, a non prima della seconda metà del II secolo) ci è giunto attraverso tre testimoni: Ireneo (AH 3,3,2-3), Eusebio (HE 5,6,1-4) nel quale confluì Esegippo, e il Catalogo Liberiano. Anche il Liber Pontificalis é di grande importanza ma sembra che la sua prima redazione risalga al VI secolo e, alla pari del Catalogo Liberiano che evidentemente ne costituisce la base, le informazioni che riporta hanno scarso valore storico; esse iniziano a essere di qualche utilità soltanto per il periodo che va da Atanasio II (496-498) in poi. (cfr Rinaldi, pag. 485)

Entrando nel merito della lista, notiamo subito che Ireneo esordisce con un'affermazione che ha dell'incredibile. Egli scrive: “Ma poiché sarebbe troppo lungo enumerare in un volume come questo le successioni di tutte le chiese, ci limiteremo alla chiesa più grande e antica, a tutti nota, fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo […] I beati Apostoli, che fondarono la Chiesa romana ne trasmisero il governo episcopale a Lino” (AH 3,3,2-3).
Tralasciando quella che per gli storici è una “pia leggenda”, cioè la fondazione della chiesa romana da parte di Pietro (cfr Rinaldi pag. 481), stupisce notare come Ireneo parli di Paolo definendolo co-fondatore. E' impensabile supporre che Ireneo non conoscesse la lettera ai Romani, scritta da Paolo evidentemente prima del suo viaggio che lo portò a Roma. E' chiaro che lo scopo primario del nostro narratore ha natura strettamente apologetica, piuttosto che storica, e va letto sullo “sfondo di tutti quei tentativi posti in essere dalle principali chiese di quest’epoca al fine di collegare le loro origini all’operato diretto di esponenti del primitivo collegio apostolico” (ibidem). Ireneo, del resto, non è nuovo alla manipolazione dei dati già acquisiti al suo tempo. Basta menzionare come, per contrastare la valenza che l’insegnamento gnostico sugli Eoni attribuiva al numero 30, egli cerchi di convincere i suoi lettori che Gesù sia morto a 50 anni (!) (AH 2,22,5-6).


Ireneo sostenne che a Pietro seguì Lino, poi Anacleto e poi ancora Clemente. Ma Tertulliano, alla fine del II secolo, dichiara che la chiesa di Roma riconosceva Clemente come successore di Pietro, e non Lino (De Praescriptiones, XXXII) e anche Girolamo affermava che ai suoi tempi la maggior parte dei latini “era convinta che Clemente fosse l'immediato successore dell'Apostolo” (De viris illustribus, XV).


Ippolito invece, pur professandosi discepolo di Ireneo, si “allontanò” sia dal suo maestro che da Tertulliano, e sostenne che la corretta successione era: Pietro, Lino, Clemente, Cleto. Ma come si possono giustificare simili incroguenze?
Il problema nacque evidentemente da un'affermazione di Ireneo secondo la quale Clemente "vide gli Apostoli benedetti e conversò con loro".


Per alcuni apologeti, ciò creava un problema. Credere che Clemente, il quarto (o addirittura il quinto) nella successione episcopale potesse essere stato contemporaneo degli apostoli, sembrava loro inverosimile. Così Clemente venne spostato ad una posizione precedente, quella dov'era il "primo Cleto" al fine di conciliare la sua successione con le informazioni secondo cui conobbe gli apostoli. La disinvoltura con la quale alcuni nomi vengono spostati, induce lo storico ad avvalersi con la massima cautela di questi elenchi.


Ma la questione che sembra porre tutto l'argomento sotto il livello minimo di credibilità storica, è quella dell'episcopato monarchico. Pare infatti certo che l’episcopato monarchico sia rimasto estraneo alla cristianità romana, almeno per tutta la prima metà del II secolo. I documenti storici attestano l’equivalenza antica tra presbitero e vescovo e, in ogni caso, parlano di una pluralità di vescovi.


Non solo a Roma non vi era alcun episcopato monarchico, ma la stessa comunità ecclesiale difese, contro i corinzi (I CL. 40,1-15,8), un ordinamento ecclesiastico di tipo collegiale, sinagogale, di stampo giudeo-cristiano, quale originale direttiva apostolica (cfr Vouga, pag. 215).


Lo stesso Ignazio di Antiochia, favorevole alla corrente monarchico-episcopale, scrivendo all’inizio del II secolo la sua lettera alla comunità romana, non menziona mai un vescovo. Nessun singolo individuo avrebbe quindi ereditato il “governo episcopale” di cui parla Ireneo.


Per la compilazione degli elenchi romani, fu “probabilmente operata una selezione, scegliendo i nomi dei vescovi più memorabili, e proiettando ai primi tempi della storia del cristianesimo a Roma una situazione tipica di un’età successiva: il vescovo unico” (cfr Rinaldi, pag. 484).

La Lista dei Vescovi Gerosolomitani:

1) Giacomo il Giusto
2) Simeone I

3) Giusto I

4) Zaccheo

5) Tobia

6) Beniamino I

7) Giovanni I

8) Matteo I

9) Filippo

10) Seneca

11) Giusto II

12) Levi

13) Efram
14) Giuseppe I
15) Giuda

I principale testimoni per l’elenco dei vescovi di Gerusalemme sono: Eusebio (HE 4,5,3) ed Epifanio di Salamina (Panarion 66,20). Quest'ultimo offre un elenco di ventisette ‘vescovi dei Gerosolomitani’ di cui i primi quindici corrispondono a quelli di Eusebio.


Stando allo storico di Cesarea, “dopo il martirio di Giacomo e la conquista di Gerusalemme immediatamente seguita, si dice che gli apostoli e i discepoli del Signore che erano ancora in vita si radunarono da tutte le direzioni assieme a coloro che erano legati al Signore da vincoli di carne (poiché la maggioranza d'essi era ancora in vita), per decidere chi fosse degno di succedere a Giacomo. All'unanimità venne scelto Simeone, il figlio di Cleopa, di cui anche il vangelo fa menzione, come degno successore al seggio episcopale di quella sede. Egli era un cugino, come si diceva, del Signore, in quanto Esegippo segnala che Cleopa era un fratello di Giuseppe” (HE 3,11).


“Siccome i vescovi della circoncisione ebbero termine dopo la rivolta di Bar kokba, è giusto a questo punto esporre l'elenco dei loro nomi dal principio. Il primo quindi fu Giacomo, il cosiddetto fratello del Signore; il secondo Simeone, il terzo Giusto, il quarto Zaccheo; il quinto Tobia, il sesto Beniamino; il settimo Giovanni; l'ottavo Mattia; il nono Filippo; il decimo Seneca, l'undicesimo Giusto, il dodicesimo Levi, il tredicesimo Efrem, il quattordicesimo Giuseppe, e infine i quindicesimo Giuda. Questi sono i vescovi di Gerusalemme vissuti dal tempo degli apostoli fino a quella data, tutti appartenenti alla circoncisione” (HE 4,5,3-4).


Anche in questo caso ci troviamo praticamente subito, all’inizio della lista, ad affrontare un problema che evidentemente mina alla base ogni pretesa storicità della successione gerosolimitana. Secondo quanto riporta Eusebio, Simeone morì all’età di centoventi anni, e non di morte naturale.
“Egli, sottoposto a tortura per molti giorni, rese la sua testimonianza di fede, facendo stupire, fra tutti gli altri, anche il console di come un uomo, all'età di centovent'anni, potesse avere una simile resistenza”. E siccome le torture non servirono a nulla, “si comandò poi di crocifiggerlo” (HE 3,32,6). Gli storici sono generalmente concordi sulla natura leggendaria di questo racconto.
“L'intento di offrire elenchi completi o di retrodatare la fondazione di una comunità fino a renderla apostolica portò a inserire nomi incerti o inventati, a dilatare i tempi, a introdurre notizie e particolari di fantasia” (cfr Filoramo pag. 374 ss).

Un altro problema è collegato all'epoca assegnata ad ogni vescovo. Eusebio, il quale indica in Esegippo la sua fonte, scrive: “non ho trovato in nessun modo opere riguardanti i tempi dei vescovi di Gerusalemme” (HE 4,5,1). La comparsa dei dati cronologici solo dopo Eusebio, rende il tutto quantomeno sospetto. Poi afferma che fino all'epoca di Adriano (135), si sarebbero avvicendati ben quindici vescovi (HE 4,5,2-4). Quindi, dopo Giacomo ci fu Simeone, che visse fino a centovent'anni, e poi tredici nomi in meno di trent'anni.
E' difficile per gli storici non condividere l'opinione di Harnack, secondo la quale l'elenco di Eusebio non sarebbe affatto una successione di vescovi ma una lista di presbiteri più o meno contemporanei (cfr Nodet e Tylor, pag. 294).

Conclusione

Come abbiamo visto, il basamento storico sul quale pretende di poggiarsi l’ininterrotta successione delle liste episcopali, nella migliore delle ipotesi è da considerarsi fragile. Simili pretese sono però fragili anche da un punto di vista teologico. Infatti, secondo le fonti ufficiali, ”l'apostolicità della comunione ecclesiale consiste nella fedeltà all’insegnamento e alla prassi degli Apostoli, attraverso i quali viene assicurato il legame storico e spirituale della Chiesa con Cristo. La successione apostolica del ministero episcopale è la via che garantisce la fedele trasmissione della testimonianza apostolica”.
Ma dato che anche la Chiesa Ortodossa (oltre che quella Cattolica, Copta, Armena, ecc..) vanta un’interrotta successione apostolica, non si capisce come sia possibile che tutte garantiscano la “fedele trasmissione della fede” e poi non siano concordi su questioni teologiche talmente importanti da impedirne la completa comunione (es. il Primato Romano, il Purgatorio, il Filioque, ecc..).
Quanto sopra induce a rivalutare il pensiero di Lutero, il quale affermò che “ciò che legittima la chiesa o i suoi ministri non è la continuità storica con la chiesa apostolica, tramite la successione [quand’anche venisse storicamente accertata], bensì la continuità teologica. E’ più importante predicare lo stesso evangelo annunciato dagli apostoli che appartenere a un’istituzione storicamente derivata da loro” (cfr McGrath, pag. 226).
 


Riferimenti bibliografici:


Rinaldi, G., Cristianesimi nell’antichità, Roma, 2008.
Vouga, F., Il cristianesimo delle origini, Torino, 2001.
Filoramo-Menozzi (a cura di), Storia del Cristianesimo - L'antichità, Roma, 2001.
Nodet-Taylore, Le origini del cristianesimo, Casale Monf. 2000.
http://www.vatican.va
McGrath, A., Il pensiero della Riforma, Torino, 1999.



 

 

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