N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
Gli
studi
sul
linguaggio
di
Ippia
Un
esempio
di
critica
letteraria
dalle
pagine
dell’Ippia
Minore
-
Parte
II
di Paola Scollo
In
seguito,
Socrate
si
assicura
che
Ippia
sia
dell’avviso
che
coloro
che
mentono
siano
capaci
e
abili
ad
ingannare
(366
b 4
-
5).
Il
bugiardo
è
sapiente
riguardo
all’argomento
della
menzogna.
Di
contro,
l’ignorante
non
è
capace
di
mentire.
Infatti,
pur
volendo
dire
il
falso,
potrebbe
dire
il
vero.
In
sintesi,
l’ignorante
non
è
capace
di
mentire,
mentre
è
capace
di
farlo
colui
che
è
nelle
condizioni
di
poter
fare
quello
che
vuole
quando
vuole
(366
b 7
- c
1).
La
conoscenza
del
contenuto
della
menzogna
è
una
forma
di
sapere.
Solo
chi
è
capace
e
sapiente
in
un
dato
ambito
può
essere
veritiero
o
bugiardo.
La
stessa
persona
può
essere
sincera
e
bugiarda
(367
c 2
-
4).
Il
ragionamento
sulla
capacità
di
mentire
giunge
alla
seguente
conclusione:
soltanto
chi
ha
piena
consapevolezza
dell’oggetto
della
menzogna
può
essere
considerato
bugiardo.
E
questa
stessa
persona
è
anche
in
grado
di
dire
la
verità.
Con
questa
riflessione
si
chiude
la
prima
parte
del
dialogo
tra
Socrate
e
Ippia
nell’Ippia
Minore.
Secondo
Friedländer,
la
paradossalità
di
queste
affermazioni
scaturisce
dal
diverso
significato
attribuito
da
Socrate
e da
Ippia
al
termine
bugiardo:
«Infatti,
i
due
uomini
intendono
con
il
termine
ingannatore
due
cose
diverse.
Ippia
ha
in
mente
una
persona
insincera,
che
trae
piacere
o
vantaggio
dai
propri
inganni;
Socrate
invece
una
persona
che
inganna
in
una
situazione
specifica
ma
che
è
allo
stesso
modo
in
grado
di
dire
la
verità
e
che,
da
uomo
sapiente,
può
usare
l’una
e
l’altra
cosa
per
ottenere
il
proprio
fine,
il
Bene».
È
evidente
che
l’aporia
poggia
sulla
tesi
di
Socrate
secondo
cui
la
virtù
è
conoscenza.
Il
sapere
è di
per
sé
la
condizione
della
possibilità.
Segue
un
intermezzo
in
cui
Ippia
si
mostra
orgoglioso
della
sua
conoscenza
universale.
Ippia
viene
qui
definito
esperto
di
aritmetica,
geometria,
astronomia,
correttezza
di
ritmi,
armonie
e
lettere
e di
molto
altro
ancora.
Socrate
riferisce
di
aver
udito
Ippia
vantarsi,
fra
i
banchi
del
cambiavalute,
di
essere
in
grado
di
cesellare
anelli,
fabbricare
sigilli,
strigili,
ampolle,
calzari,
intessere
mantelli
e
tuniche,
intrecciare
cinture,
comporre
poesie,
poemi,
tragedie,
ditirambi,
discorsi
in
prosa
composti
in
vari
modi.
Questa
pagina
dell’Ippia
Minore
si
rivela
interessante
per
diverse
ragioni.
Affermare
che
Ippia
sia
il
più
sapiente
di
tutti
gli
uomini
in
quasi
tutte
le
discipline
equivale
a
dire
che,
in
quanto
tecnico,
è il
più
sapiente
di
tutti
sia
nel
dire
il
vero
sia
nel
dire
il
falso.
Ippia
è
poi
presentato
come
teorico
del
principio
dell’autarchia,
ovvero
del
«dovere
di
ciascuno
di
bastare
a se
stesso».
Secondo
De
Sanctis,
«si
trattava
peraltro
di
una
erudizione
varia
posta
sempre,
com’è
da
credere,
al
servizio,
immediato
della
prassi
e
specie
al
raggiungimento
della
autarchia
cioè
del
suo
ideale
pratico
di
vita».
Platone
mostra
qui
grande
ironia
nei
confronti
della
versatilità
di
Ippia,
sintomo
di
confusione
e di
superficialità.
In
seguito,
Ippia
rimprovera
Socrate
di
intrecciare
ragionamenti,
di
insistere
sugli
aspetti
più
controversi
del
discorso,
esaminandoli
punto
per
punto,
senza
cure
per
l’argomento
nel
suo
complesso.
Ippia,
invece,
si
avvale
di
un
ragionamento
adeguato
e
fondato
su
numerose
prove
per
dimostrare
che
Achille
sia
migliore
di
Odisseo
(369
b 8
- c
8).
Va
da
sé
che
l’origine
di
queste
critiche
va
individuata
nell’incompatibilità
di
metodo
dei
due
interlocutori.
Nella
seconda
fase
della
discussione,
incentrata
sull’interpretazione
di
Omero,
Socrate
cerca
di
comprendere
se
siano
migliori
coloro
che
sbagliano
volontariamente
rispetto
a
coloro
che
sbagliano
involontariamente.
Socrate
rileva
delle
contraddizioni
nelle
affermazioni
di
Achille:
nonostante
abbia
dichiarato
di
non
rimanere
a
Troia,
ma
di
partire
per
Ftia,
rimane
in
campo.
Di
conseguenza,
è
proprio
Achille
a
dire
il
falso.
Secondo
Ippia,
l’analisi
di
Socrate
non
è
corretta:
le
menzogne
di
Achille
non
vengono
dette
volontariamente;
le
menzogne
di
Odisseo,
invece,
sono
dette
di
proposito.
Achille
muta
opinione,
ma è
sempre
schietto
e
sincero.
Sulla
base
dell’assunto
precedente
secondo
cui
chi
inganna
volontariamente
è
più
bravo
di
chi
inganna
involontariamente,
Socrate
dichiara
che
Odisseo
è
superiore
ad
Achille.
Ippia,
portavoce
di
un
comune
sentire,
tende
a
negare
questa
tesi
di
Socrate.
In
seguito,
Socrate
invita
Ippia
a
esaminare
tutte
le
scienze
per
comprendere
se
ne
esista
una
nella
quale
la
persona
sincera
e
quella
bugiarda
siano
diverse.
Dall’analisi
emergerebbe
che
la
persona
esperta
conosce
la
totalità
di
ciò
che
rientra
nel
proprio
ambito
di
competenza.
Una
volta
passate
in
rassegna
attività
che
spaziano
dalla
sfera
pratica
a
quella
intellettuale,
il
discorso
verte
sull’anima
in
sé.
L’anima
che
è
più
sapiente,
quando
commette
ingiustizia,
lo
fa
volontariamente,
mentre
quella
cattiva
involontariamente.
È
proprio
di
un
uomo
buono
commettere
ingiustizia
volontariamente
e di
un
uomo
cattivo
commetterla
involontariamente.
Dunque,
chi
sbaglia
di
proposito
e
commette
azioni
turpi
e
ingiuste,
se
costui
esiste,
deve
essere
l’uomo
buono
(376
b 4
-
6).
Di
fronte
al
problema
di
come
si
debba
vivere
Ippia
si
interrompe.
La
discussione
giunge
alla
seguente
conclusione:
chi
compie
il
male
volontariamente
è
superiore
a
chi
lo
compie
involontariamente.
Tale
affermazione,
che
non
può
essere
condivisa
nemmeno
da
Socrate,
presuppone
l’idea
secondo
cui
nessun
uomo
compie
il
male
di
sua
spontanea
volontà.
Infatti,
si
può
desiderare
solo
il
bene,
mentre
agire
male
non
è
altro
che
incapacità
di
volere
il
bene.
La
conclusione
aporetica
è
affidata
all’ironia
di
Socrate
che
esprime
l’impossibilità
della
gente
comune
di
giungere
alla
conoscenza
del
vero.
Dal
momento
che
neanche
i
sapienti
sono
in
grado
di
fornire
certezze,
il
destino
dell’uomo
comune
è
quello
di
errare
-
come
Odisseo
-
per
il
mare
dei
dubbi
e
delle
incertezze.
Il
girovagare
di
Socrate
è il
girovagare
di
Odisseo,
determinato
dalla
forza
degli
eventi,
dunque
non
volontario.