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THE LIMITS TO GROWTH
SUI LIMITI DELLO SVILUPPO, CINQUANT'ANNI
DOPO
di Francesco Arduini
In un periodo di allarmismo generale
come quello che stiamo attualmente
vivendo, tra pandemia e venti di guerra
provenienti dall’Est, è passato un po’
in sordina il cinquantesimo anniversario
della pubblicazione del libro intitolato
The limits to growth.
Fu presentato il 1° marzo 1972 allo
Smithsonian Institution di
Washington, davanti a un pubblico di
scienziati, politici, economisti e
giornalisti. La tesi proposta negli
studi pubblicati in questo libro è stata
paragonata, mutatis mutandi,
all’impatto che ebbe la teoria del Big
Bang per le scienze astronomiche. E non
sembra affatto essere un paragone fuori
luogo.
Un gruppo di giovani ricercatori del
Massachusetts Institute of Technology
costruì un modello di simulazione
matematica della crescita del sistema
mondiale nei successivi 100 anni.
Impiegando per la prima volta
elaboratori elettronici che entrarono in
uso al MIT a partire dal 1961, i
ricercatori presero in considerazione 5
fattori:
-
aumento della popolazione;
- disponibilità di cibo;
- riserve e i consumi di materie prime;
- sviluppo industriale e l’inquinamento.
Il libro descrive questa simulazione,
analizzando 12 possibili scenari futuri
fra il 1972 e il 2100, e giunge
all’univoca conclusione che il sistema
“collasserà entro il 2070” come
risultato di una combinazione dei
fattori sopra elencati. Mentre
l’esaurimento delle riserve planetarie
avverrà attorno al 2050.
Possiamo affermare che The limits to
growth, se non è stato il primo vero
testo di ‘allerta globale’, fu senza
dubbio il primo a convincere i leader
mondiali che il problema legato
all’esaurimento delle risorse del
pianeta era da attenzionare con seria
preoccupazione.
Secondo gli autori, il cambiamento
climatico, la perdita di biodiversità,
la modificazione del suolo, il problema
della produzione di alimenti, quello del
consumo di materie prime, quello della
crescita dell'inquinamento, avrebbero
comportato una serie di scelte drastiche
partendo da una semplice constatazione
di fatto: “la Terra ha dimensioni
finite”.
Alla storia non manca mai il senso
dell’ironia: lo studio del MIT fu
finanziato dalla “Fondazione
Volkswagen”. Un nome che, per quanto
oggi non sia più legato alla rinomata
casa automobilistica, richiama alla
mente del lettore quei recenti
accadimenti operati in violazione delle
leggi a tutela dell’ambiente e
attribuiti al Gruppo Volkswagen, il
cosiddetto Dieselgate.
Il testo non fu privo di successive
critiche e controanalisi. Ma la forza
del “messaggio”, più che quella dei
“dati”, continua a richiamare una grande
attenzione sulla problematica,
innescando dibattiti a livello mondiale
sul futuro dell’umanità. Umanità resa
consapevole che il superamento della
capacità globale dell’uso delle risorse
e delle emissioni porrebbe limiti
significativi allo sviluppo economico
del ventunesimo secolo. L’umanità non
può continuare a proliferare come ha
fatto nelle ultime decadi.
Le conclusioni degli autori sono
riconducibili a tre soli punti:
1. nell’ipotesi
che l’attuale linea di crescita dei 5
settori esaminati continui inalterata,
l’umanità è destinata a raggiungere i
limiti naturali della crescita entro i
prossimi 100 anni [a partire dagli anni
‘70];
2.
è possibile modificare questa linea di
crescita per raggiungere una condizione
di equilibrio;
3.
se l’umanità opta per il punto n. 2, le
probabilità di successo saranno tanto
maggiori quanto più presto essa
comincerà a operare in tale direzione.
E in tale direzione si sono mossi i
numerosi accordi internazionali degli
scorsi anni, fino a giungere all’attuale
Green Deal Europeo, che ha come
obiettivo ambizioso la neutralità
climatica entro il 2050. I problemi
messi sul “tavolo” dall’originale gruppo
di lavoro del Massachusetts Institute
of Technology si ritrovano
immancabilmente sui tavoli delle
Conferenze delle Parti, a partire dalla
COP1 di Berlino 1992, fino all’ultima
COP26 di Glasgow 2021.
Alcune recenti direttive sono senza
dubbio allineate allo spirito che animò
la discussione. Altre lasciano
quantomeno perplessi: ad esempio
accelerare così bruscamente la
transizione verso i veicoli elettrici
senza essere pronti con la relativa
filiera di smaltimento batterie (ad oggi
solo il 5% viene completamente
riciclato) è realmente una scelta
lungimirante?
La sola produzione di litio, secondo le
ultime stime, dovrebbe crescere del 500%
nei prossimi 15/20 anni e, come noto, le
miniere non sono propriamente delle
realtà green. I problemi sono
ancora numerosi e pensare di azzerarli
entro il 2050 è forse un obiettivo più
chimerico che ambizioso.
Nonostante il percorso sia ancora irto
di ostacoli e difficoltà, giova
ricordare le parole che chiudono The
limits to growth, un libro che a
distanza di 50 anni mantiene ancora
tutto il suo carisma e la forza
argomentativa originale: «Oggi
disponiamo della più potente
combinazione di conoscenze, strumenti e
risorse che il mondo abbia mai
conosciuto; disponiamo di tutto ciò che
è materialmente necessario per avviare
l’edificazione di una nuova società,
destinata a durare per generazioni e
generazioni. L’unica cosa che ci manca è
un riferimento, realistico ma tuttavia
proiettato nel futuro, un obiettivo che
possa guidarci verso una condizione di
equilibrio; in assenza di tale obiettivo
la nostra azione diventa miope, e
inevitabilmente produce quella crescita
esponenziale che è destinata a sfociare
nella rottura dei limiti naturali e
nella catastrofe finale». |