[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

171 / MARZO 2022 (CCII)


ambiente

THE LIMITS TO GROWTH
SUI LIMITI DELLO SVILUPPO, CINQUANT'ANNI DOPO

di Francesco Arduini

 

In un periodo di allarmismo generale come quello che stiamo attualmente vivendo, tra pandemia e venti di guerra provenienti dall’Est, è passato un po’ in sordina il cinquantesimo anniversario della pubblicazione del libro intitolato The limits to growth.

 

Fu presentato il 1° marzo 1972 allo Smithsonian Institution di Washington, davanti a un pubblico di scienziati, politici, economisti e giornalisti. La tesi proposta negli studi pubblicati in questo libro è stata paragonata, mutatis mutandi, all’impatto che ebbe la teoria del Big Bang per le scienze astronomiche. E non sembra affatto essere un paragone fuori luogo.

 

Un gruppo di giovani ricercatori del Massachusetts Institute of Technology costruì un modello di simulazione matematica della crescita del sistema mondiale nei successivi 100 anni. Impiegando per la prima volta elaboratori elettronici che entrarono in uso al MIT a partire dal 1961, i ricercatori presero in considerazione 5 fattori:

- aumento della popolazione;

- disponibilità di cibo;

- riserve e i consumi di materie prime;

- sviluppo industriale e l’inquinamento.

 

Il libro descrive questa simulazione, analizzando 12 possibili scenari futuri fra il 1972 e il 2100, e giunge all’univoca conclusione che il sistema “collasserà entro il 2070” come risultato di una combinazione dei fattori sopra elencati. Mentre l’esaurimento delle riserve planetarie avverrà attorno al 2050.

 

Possiamo affermare che The limits to growth, se non è stato il primo vero testo di ‘allerta globale’, fu senza dubbio il primo a convincere i leader mondiali che il problema legato all’esaurimento delle risorse del pianeta era da attenzionare con seria preoccupazione.

 

Secondo gli autori, il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la modificazione del suolo, il problema della produzione di alimenti, quello del consumo di materie prime, quello della crescita dell'inquinamento, avrebbero comportato una serie di scelte drastiche partendo da una semplice constatazione di fatto: “la Terra ha dimensioni finite”.

 

Alla storia non manca mai il senso dell’ironia: lo studio del MIT fu finanziato dalla “Fondazione Volkswagen”. Un nome che, per quanto oggi non sia più legato alla rinomata casa automobilistica, richiama alla mente del lettore quei recenti accadimenti operati in violazione delle leggi a tutela dell’ambiente e attribuiti al Gruppo Volkswagen, il cosiddetto Dieselgate.

 

Il testo non fu privo di successive critiche e controanalisi. Ma la forza del “messaggio”, più che quella dei “dati”, continua a richiamare una grande attenzione sulla problematica, innescando dibattiti a livello mondiale sul futuro dell’umanità. Umanità resa consapevole che il superamento della capacità globale dell’uso delle risorse e delle emissioni porrebbe limiti significativi allo sviluppo economico del ventunesimo secolo. L’umanità non può continuare a proliferare come ha fatto nelle ultime decadi.

 

Le conclusioni degli autori sono riconducibili a tre soli punti:

 

1. nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita dei 5 settori esaminati continui inalterata, l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi 100 anni [a partire dagli anni ‘70];

2. è possibile modificare questa linea di crescita per raggiungere una condizione di equilibrio;

3. se l’umanità opta per il punto n. 2, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.

 

E in tale direzione si sono mossi i numerosi accordi internazionali degli scorsi anni, fino a giungere all’attuale Green Deal Europeo, che ha come obiettivo ambizioso la neutralità climatica entro il 2050. I problemi messi sul “tavolo” dall’originale gruppo di lavoro del Massachusetts Institute of Technology si ritrovano immancabilmente sui tavoli delle Conferenze delle Parti, a partire dalla COP1 di Berlino 1992, fino all’ultima COP26 di Glasgow 2021.

 

Alcune recenti direttive sono senza dubbio allineate allo spirito che animò la discussione. Altre lasciano quantomeno perplessi: ad esempio accelerare così bruscamente la transizione verso i veicoli elettrici senza essere pronti con la relativa filiera di smaltimento batterie (ad oggi solo il 5% viene completamente riciclato) è realmente una scelta lungimirante?

 

La sola produzione di litio, secondo le ultime stime, dovrebbe crescere del 500% nei prossimi 15/20 anni e, come noto, le miniere non sono propriamente delle realtà green. I problemi sono ancora numerosi e pensare di azzerarli entro il 2050 è forse un obiettivo più chimerico che ambizioso.

 

Nonostante il percorso sia ancora irto di ostacoli e difficoltà, giova ricordare le parole che chiudono The limits to growth, un libro che a distanza di 50 anni mantiene ancora tutto il suo carisma e la forza argomentativa originale: «Oggi disponiamo della più potente combinazione di conoscenze, strumenti e risorse che il mondo abbia mai conosciuto; disponiamo di tutto ciò che è materialmente necessario per avviare l’edificazione di una nuova società, destinata a durare per generazioni e generazioni. L’unica cosa che ci manca è un riferimento, realistico ma tuttavia proiettato nel futuro, un obiettivo che possa guidarci verso una condizione di equilibrio; in assenza di tale obiettivo la nostra azione diventa miope, e inevitabilmente produce quella crescita esponenziale che è destinata a sfociare nella rottura dei limiti naturali e nella catastrofe finale». 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]