N. 78 - Giugno 2014
(CIX)
LIGABUE LIVE A ROMA
FINE DEL MONDO IN MONDOVISIONE
di Andrea Bajocco
È il 30 maggio. È arrivato finalmente il giorno del ritorno
negli
stadi
di
Luciano
Ligabue.
Il
Mondovisione
tour
è
pronto
a
sconvolgere
l’estate
musicale
italiana.
Centinaia di ragazzi hanno addirittura passato l’intera
notte
in
fila
(altri
si
sono
mossi
nelle
prime
ore
del
mattino)
dinanzi
ai
cancelli
dello
Stadio
Olimpico
alla
ricerca
della
tanto
agognata
transenna
che
significa
prima
fila,
a tu
per
tu
con
il
Liga.
Alla
fine
saranno
oltre
60.000
gli
spettatori,
un
risultato
eccezionale
se
si
pensa
che
anche
la
seconda
data
romana
è
già
praticamente
sold
out.
Come sempre, il pubblico che segue il rocker di Correggio
risulta
variegato.
Ci
sono
infatti
spettatori
di
tutte
le
età:
dai
gruppi
di
quindicenni
che,
fascetta
in
fronte,
sono
al
loro
primo
concerto
del
Liga
a un
padre
con
moglie
al
fianco
e
figlio
di 5
anni
sulle
spalle
che
scattano
selfie
ricordo
da
ogni
angolazione.
Infine,
immancabili,
ci
sono
quei
trentenni
e
quarantenni
che
“[...]
chissà
quanti
ne
hanno
visti...”.
Il tempo scorre veloce, le luci si spengono e le urla della
gente,
a 4
anni
di
distanza
dall’ultima
apparizione
negli
stadi,
accompagnano
l’entrata
della
band,
composta
da
Michael
Urbano
alla
batteria,
Luciano
Luisi
alle
tastiere
e
programmazioni
e
David
Pezzin
al
basso.
Alle
chitarre
Niccolò
Bossini
e
l’immancabile
braccio
destro
Federico
“Capitan
Fede”
Poggipollini.
Lo show ha inizio.
L’imponente palco, un semicerchio alto 44 metri con una
“lingua”
che
si
insinua
in
mezzo
ai
fan,
accompagna
–
con
i
suoi
schermi
che
proiettano
le
riprese
delle
12
telecamere
sistemate
ad
hoc
– il
rock
de
Il
muro
del
suono,
quarto
estratto
dal
nuovo
album,
che
rompe
finalmente
il
silenzio.
Il
pubblico,
soprattutto
i
più
giovani,
assistono
estasiati.
Come anticipato dallo stesso Ligabue, la scaletta è basata
in
gran
parte
su
Mondovisione
(saranno
ben
11
alla
fine
i
brani
tratti
dal
nuovo
lavoro).
Si
continua
infatti
con
Il
volume
delle
tue
bugie,
prima
di
fare
un
salto
indietro
e
suonare
I
ragazzi
sono
in
giro
e la
sempre
sottocutanea
Ho
messo
via.
E
questa
volta
sono
i
più
grandi
a
cedere
il
passo
all’emozione.
Non c’è tempo per pensieri e parole.
Si riprende in men che non si dica con Ciò che rimane di
noi,
Le
donne
lo
sanno,
Nati
per
vivere
e
Il
giorno
di
dolore
che
uno
ha,
melodiosa
e
onirica
come
sempre.
Il
pubblico
gradisce
e
Ligabue
lo
percepisce
e si
concede
ai
fan,
fermandosi
per
lungo
tempo
sulla
“lingua”
del
palco
prima
di
riprendere
il
concerto
con
Siamo
chi
siamo,
tratta
dall’ultimo
album.
Segue una doppietta d’annata, apprezzatissima dal pubblico,
composta
da
Leggero
e
Lambrusco
e
pop
corn.
Si
continua
e,
mentre
ci
sono
striscioni
che
inneggiano
alla
supremazia
del
famigerato
Bar
Mario
di
Ligabue
sul
Roxy
Bar
di
Vasco
Rossi,
la
band
continua
ad
alternare
pezzi
nuovi
a
hit
del
passato.
È il
momento
di
Sono
sempre
i
sogni
a
dare
forma
al
mondo,
Per
sempre
(durante
la
quale
vengono
trasmesse
immagini
della
famiglia
Ligabue),
L’odore
del
sesso
e
Balliamo
sul
mondo;
mentre
nel
parterre
si
salta
e si
balla,
probabilmente
Fred
e
Ginger
sono
su
una
supernova
sopra
noi
e
guardano
divertiti
il
pubblico.
Si passa quindi a uno dei più grandi classici di Ligabue,
Urlando
contro
il
cielo,
seguito
dalla
nuova
La
neve
se
ne
frega.
Qualora non bastasse la magia delle note, Ligabue si improvvisa
“presentatore”
e
sfida
la
sua
gente
a
una
sorta
di
karaoke
senza
alcuno
schermo
a
suggerire
le
parole.
Ne
esce
un
medley
da
brividi
interamente
cantato
dal
pubblico.
Ho
perso
le
parole,
Happy
hour
e
Viva
sono
le
canzoni
scelte.
Il
pubblico
gradisce
e
risponde
presente
cantando
a
squarciagola.
È il momento di Tu sei lei, tra le canzoni più amate
del
nuovo
disco,
A
che
ora
è la
fine
del
mondo
e la
magica
Piccola
stella
senza
cielo.
L’esecuzione de Il
sale
della
terra,
nel
quale
testo
“[...]
l’ironia
è
molto
amara”,
è
accompagnata
da
alcuni
aforismi
sul
potere
trasmessi
sugli
schermi.
Sono
stati
citati
Edmund
Burke
(filosofo),
Jean
Giraudoux
(scrittore)
e
Henry
Kissinger
(politico).
Nondimeno,
i
boati
più
forti
del
pubblico
accolgono
le
frasi
“L’amore
per
il
potere
esclude
tutti
gli
altri”
e “Quando
il
potere
dell’amore
avrà
superato
l’amore
per
il
potere,
si
avrà
la
pace”
rispettivamente
di
Indro
Montanelli
e
Jimi
Hendrix.
Poi
il
brano
parte
e
sugli
schermi
vengono
mostrati
dei
numeri
che
invitano
il
pubblico
a
riflessioni
piuttosto
amare.
Quattro
miliardi
(gli
euro
per
i
costi
della
giustizia).
Ventitré
miliardi
(gli
euro
per
i
costi
della
politica).
E
nove
milioni
(i
processi
pendenti).
La
canzone
si
chiude
con
il
Liga
che
dice
la
sua
sulla
crisi
“mondiale”
che
stiamo
attraversando:
“[...]
I
responsabili
della
crisi,
che
dicono
essere
mondiale,
è
evidente
che
non
hanno
pagato...
Ha
pagato
chi
non
ha
commesso
nulla”.
Il
pubblico
applaude.
È
tutto
dalla
sua
parte.
Dopo
il
pessimismo
(o
forse
sarebbe
il
caso
di
dire
realismo)
che
ha
accompagnato
il
primo
singolo
estratto
da
Mondovisione,
è
arrivato
il
momento
di
guardare
al
futuro,
con
un
pizzico
di
ottimismo.
E
quindi
Il
meglio
deve
ancora
venire
fa
scatenare
ancora
una
volta
il
parterre
dello
Stadio
Olimpico.
Tra
palco
e
realtà
è
l’ultima
canzone
suonata
dalla
band
che
saluta
e se
ne
va
prima
di
rientrare
e
dare
vita
al
canonico
encore.
Rientrati,
il
concerto
volge
al
termine.
Ligabue
e
soci
partono
con
la
tanto
bella
quanto
inaspettata
Quella
che
non
sei,
seguita
dalla
canzone
forse
più
celebre
del
Liga.
Inizia
infatti
Certe
notti
e
l’emozione
cresce
e si
fa
sempre
più
forte
e
reale.
Il
momento
dei
saluti
è
arrivato.
Con
la
scusa
del
Rock
‘n’
roll
chiude
il
concerto.
Gli
schermi
propongono
le
foto
di
tutta
la
carriera
di
Ligabue.
Da
giovanotto
sconosciuto
che
vinceva
il
Festivalbar
all’ultracinquantenne
con
i
capelli
corti
e
argentei
che
è
ora.
Pubblico
in
visibilio.
Applausi,
urla,
sorrisi
e
lacrime
si
mischiano
tra
loro.
Dopo
quasi
trenta
canzoni
e
nonostante
una
scaletta
zeppa
di
brani
nuovi,
Ligabue
si
congeda
così
dal
pubblico,
alla
sua
maniera.
Da
vincitore...