N. 53 - Maggio 2012
(LXXXIV)
IL RITORNO LIBICO AL PASSATO
Tra anarchia e guerra civile
di Federico Donelli
A
più
di
un
anno
dallo
scoppio
delle
rivolte
contro
il
regime
del
colonnello
Gheddafi,
la
Libia
prova
ad
uscire
da
una
difficile
situazione
politica
di
generale
anarchia
che
in
alcune
province
sfocia
sempre
più
in
vera
e
propria
guerra
civile.
Col
passare
delle
settimane
e
l’avvicinarsi
delle
elezioni
(19
giugno)
a
farsi
strada
come
probabile
soluzione
per
un
nuovo
e
comunque
fragile
equilibrio
è
l’idea
di
un
vero
e
proprio
ritorno
al
passato
ovvero
ad
una
Libia
federale
divisa
in
regioni
autonome
come
già
avvenuto
tra
il
1951
e il
1963.
Il 6
marzo
fuori
Bengasi,
luogo
simbolo
delle
rivolte
anti
Gheddafi,
si
sono
radunati
circa
duemila
leader
tribali
e
politici
della
regione
con
lo
scopo
di
discutere
della
prospettiva
di
dar
vita
ad
uno
Stato
federale,
annunciando,
come
primo
passo
concreto,
la
formazione
di
un
consiglio
delle
province
orientali
la
cui
guida
è
stata
affidata
allo
sceicco
Ahmed
al-Zubair.
La
persona
di
al-Zubair
rimanda
al
passato
monarchico
dello
Libia;
infatti
il
nome
dello
sceicco
sarebbe
in
realtà
Ahmed
al-Senussi,
pronipote
dell’ultimo
re
di
Libia
Idriss
al-Senussi.
Lo
sceicco
gode
di
ampia
fiducia
e
credibilità
a
cui
si
deve
aggiungere
una
legittimità
acquisita
sul
“campo”
attraverso
una
lunga
prigionia
durante
il
regime
di
Gheddafi.
L’iniziativa
intrapresa
dalle
province
orientali
rappresenta
una
importante
iniziativa
politica
nella
“nuova”
Libia,
ma
allo
stesso
tempo
una
sua
ulteriore
minaccia.
La
Libia
attualmente
si
trova
sotto
la
guida
del
Consiglio
Nazionale
Transitorio
(CNT),
autorità
che
fin
dai
primi
giorni
delle
rivolte
ha
tenuto
i
contatti
con
le
potenze
straniere
e
che
ora
supervisiona
il
governo
fino
alle
prossime
elezioni.
Il
CNT
ha
dovuto
fin
da
subito
opporre
resistenza
alle
spinte
autonomistiche
provenienti
da
diverse
zone
de l
Paese;
per
questo
motivo
ancora
prima
dell’incontro
di
Bengasi
vi
sono
state
diverse
occasioni
nelle
quali
i
membri
dell’attuale
governo
provvisorio
hanno
rilasciato
dichiarazioni
in
cui
hanno
delineato
futuri
piani
di
stampo
federale.
Dal
momento
della
caduta
di
Gheddafi
la
maggior
parte
degli
osservatori
stranieri
hanno
previsto
che
qualunque
dovesse
essere
il
futuro
ordinamento
istituzionale
libico
sicuramente
non
sarà
caratterizzato
da
una
concentrazione
del
potere
in
Tripoli
come
avvenuto
sotto
il
regime
del
colonnello.
(Al-Ahram
Weekly
–
29/3/2012)
Previsioni
queste
frutto
della
consapevolezza
che
la
Libia
sia
socialmente
e
soprattutto
storicamente
un
agglomerato
di
tante
tribù
e
famiglie
i
cui
interessi
sono
da
sempre
assai
diversi
tra
loro
e
dove
nessuno
intende
perdere
la
propria
locale
sovranità.
I
delegati
presenti
alla
conferenza
di
Bengasi
appartengono
all’Unione
Federale
Nazionale
(UFN)
e
hanno
dato
vita
al
consiglio
provvisorio
della
Barqah
tuttavia
sarebbe
sbagliato
considerarli
come
semplici
secessionisti
in
quanto
comunque
le
loro
richieste
non
sono
finalizzate
ad
una
totale
indipendenza
politica,
ma
piuttosto
al
ritorno
a
condizioni
esistenti
nel
1951
anno
d’indipendenza
della
Libia.
In
quel
momento
la
monarchia
nazionale
governava
su
tre
distinte
regioni
amministrative
che
ricalcavano
la
divisione
fatta
quarant’anni
prima
dai
coloni
italiani:
la
Tripolitania
ad
occidente,
la
Cirenaica
ad
est
e il
Fezzam
nelle
zone
desertiche
del
sud
est
del
Paese.
Il
gruppo
(UFN)
vorrebbe
la
creazione
della
provincia
autonoma
di
Barqah
(nome
arabo
per
indicare
la
Cirenaica)
strutturata
in
maniera
molto
simile
agli
Stati
federali
americani,
cioè
con
una
propria
capitale,
un
proprio
parlamento,
un
proprio
apparato
amministrativo
e
una
propria
forza
di
polizia.
La
riunione
è
servita
alla
stipula
di
una
bozza
di
proposta
comune
per
l’Assemblea
Costituente
le
cui
elezioni
si
terranno
in
giugno
e il
cui
compito
sarà
di
redigere
una
nuova
costituzione.
All’interno
del
gruppo
riunitosi
a
Bengasi
vi
sono
diversi
notabili
e
uomini
politici
locali
ma
soprattutto
leader
tribali
che
controllano
in
concreto
il
tessuto
sociale
libico.
(Al-Akhbar
–
7/3/2012)
La
stessa
presenza
dei
leader
è la
dimostrazione
di
come
clan
e
vecchie
famiglie
delle
province
orientali
si
sentano
poco
rappresentate
dal
CNT
a
cui,
durante
i
giorni
delle
rivolte,
avevano
dato
un
valido
se
non
decisivo
appoggio.
Non
può
essere
considerato
un
caso
che
il
movimento
di
opposizione
al
regime
del
colonnello
sia
nato
proprio
in
Bengasi,
dove
il
malessere
era
più
diffuso
che
altrove
e
dove
da
sempre
il
controllo
da
parte
del
potere
centrale
è
stato
labile
e ha
fatico
a
sedimentarsi.
Quello
che
avviene
ora
non
è
altro
che
il
riversarsi
degli
stessi
sentimenti
autonomistici
contro
però
il
governo
provvisorio
del
CNT.
A
peggiorare
la
situazione
è
stata
la
comunicazione
da
parte
del
CNT
delle
percentuali
per
la
futura
assegnazione
dei
seggi
all’
Assemblea
costituente
che
si
formerà
con
le
prossime
elezioni
di
giugno
(19/6).
Per
le
province
dell’est
sono
previsti
“solo”
60
seggi
sui
200
disponibili
mentre
per
le
province
occidentali
sono
previsti
ben
102
seggi.
Motivi
questi
che
hanno
accentuato
ulteriormente
la
sensazione
da
parte
delle
popolazioni
orientali
di
essere
trascurati
dal
resto
del
Paese
e
soprattutto
che
i
propri
rappresentanti
all’interno
del
CNT
siano
eccessivamente
asserviti
al
potere
centrale
di
Tripoli.
Una
sensazione
la
cui
criticità
aumenta
in
relazione
al
fatto
che
nella
regione
Cirenaica
ed
in
particolar
modo
la
zona
a
sud
da
Bengasi
si
concentrano
un
alto
numero
di
giacimenti
e i
principali
terminal
per
l’export
del
Paese.
Il
rischio
principale
dato
dall’emergere
di
questi
movimenti
(
anche
diversi
notabili
beduini
delle
province
del
Fezzam
iniziano
a
chiedere
maggiori
autonomie)
è
l’innesco
di
una
inarrestabile
spirale
di
frammentazione
che
rischierebbe
di
portare
alla
nascita
non
di
una
ma
di
più
“Libie”.
Per
questo
motivo
il
CNT
ha
precisato
in
più
occasioni
che
in
questo
momento
non
saranno
tollerate
le
eccessive
manifestazioni
di
opposizione
al
governo
centrale
ed
ai
propri
piani
per
il
futuro
amministrativo
dello
Libia.
Il
rischio
della
frammentazione
potrebbe
portare
a
ben
più
di
tre
regioni
autonome
ma
piuttosto
da
piccoli
emirati
semi
indipendenti
e,
in
alcuni
casi,
conflittuali
tra
loro.
Un
rischio
accentuato
dal
fatto
che
sul
territorio
libico
vi
siano
ancora
moltissime
armi
in
mano
a
clan,
bande
e
gruppi
armati
che
non
sempre
garantiscono
appoggio
al
governo
centrale
e
che
sono
totalmente
fuori
controllo.
Alcuni
episodi
di
violenza
hanno
colpito
città
chiave
come
Misurata
dove
in
marzo
si
sono
tenute
“libere”
elezioni
per
il
consiglio
locale
dove
a
vincere
è
stata
la
fazione
opposta
al
CNT.
Il
fatto
più
grave
però
è
avvenuto
in
febbraio
in
una
delle
roccaforti
del
regime
di
Gheddafi,
Bani
Walid,
dove
i
membri
vicini
al
governo
centrale
sono
stati
minacciati
e
cacciati
da
gruppi
tribali
armati
che
hanno
preso
in
mano
il
potere
della
città.
(Stratfor
–
3/2012)
A
preoccupare
il
CNT
è la
consapevolezza
che
i
molteplici
inviti
di
riporre
e,
soprattutto,
riconsegnare
le
armi
alle
forze
del
governo
centrale,
sono
stati
ignorati
dalle
molte
milizie
che
operano
sul
territorio.
Il
fatto
che
non
ci
sia
ancora
un
consenso
sulla
definizione
del
futuro
del
Paese
comporta
che
le
milizie
si
rifiutino
di
tradurre
il
loro
status
rivoluzionario
in
potere
politico.
Il
rischio
però
è
che
il
Paese
ed
in
particolare
le
grandi
città
vengano
prossimamente
attraversate
nuovamente
da
vere
e
proprie
guerre
di
quartiere
tra
clan
diversi
con
il
rischio
che
si
crei
inoltre
una
polarizzazione
tra
persone
leali
al
CNT
ed
altre
invece
partigiane
dei
progetti
federalisti
o al
servizio
di
milizie
locali.
In
tutta
questa
situazione
di
caos
nascono
quasi
quotidianamente
partiti
desiderosi
di
acquisire
influenza
e
voti
alle
prossime
elezioni
di
giugno.
In
marzo
è
arrivato
il
tanto
atteso
comunicato
da
parte
dei
Fratelli
Musulmani
che
hanno
ridato
vita
ad
una
propria
creazione
politica
libica
in
grado
di
poter
ripercorrere
i
successi
ottenuti
recentemente
in
Egitto.
Il
partito,
denominato
“Giustizia
e
Sviluppo”,
si è
rapidamente
diffuso
nelle
principali
città
libiche
anche
grazie
al
rientro
in
patria
di
molti
libici
vicini
ai
Fratelli
Musulmani
d’Egitto
da
cui
hanno
ottenuto
sostegno
logistico
ed
economico.
I
Fratelli
Musulmani,
forti
della
propria
esperienza,
hanno
iniziato
ad
operare
nelle
zone
delle
città
più
colpite
dalla
guerra
civile,
aprendo
fondi
per
la
raccolta
delle
donazioni
provenienti
da
tutto
il
mondo
arabo
(soprattutto
Qatar)
attraverso
cui
finanziare
la
ricostruzione
del
Paese.
Tuttavia
occorre
precisare
che
il
peso
storico
avuto
dai
Fratelli
Musulmani
in
Libia
è
nettamente
inferiore
rispetto
a
quello
avuto
in
altri
Paesi
(Tunisia,
Egitto),
quindi
è ad
oggi
difficile
prevedere
una
immediata
vittoria
alle
prossime
elezioni.
I
gruppi
islamici
non
hanno
mai
mostrato
alcun
segno
di
malessere
nei
confronti
del
CNT
ben
consci
del
fatto
che
le
elezioni,
come
già
avvenuto
in
Egitto
e in
Tunisia,
porteranno
ad
una
loro
definitiva
consacrazione
democratica,
quindi
legittimata
anche
se
non
del
tutto
accettata,
dalle
potenze
occidentali.
In
base
a
queste
considerazioni
bisogna
comprendere
il
motivo
per
cui
il
CNT
ha
vietato
la
formazione
di
partiti
politici
basati
su
piattaforme
religiose,
tribali
e
regionali.
Il
governo
di
transizione
sta
cercando
in
tutti
i
modi
di
disinnescare
la
miccia
delle
divisioni
interne,
così
facendo
però
rischia
di
apparire
agli
occhi
della
popolazione
libica
come
un
nuovo
tipo
di
regime
“autoritario”.
La
situazione
libica
rimane
quindi
molto
contorta
e di
difficile
interpretazione
soprattutto
in
considerazione
del
fatto
che
il
governo
centrale
sia
ancora
molto
debole
e
difficilmente
potrà
riuscire
a
mantenere
il
controllo
su
tutto
il
Paese.
La
soluzione
ad
oggi
più
praticabile
sarebbe
quella
emersa
dal
raduno
tenutosi
a
Bengasi
ovvero
uno
Stato
che,
sul
modello
statunitense,
sia
composto
da
un
unione
di
stati
autonomi
uniti
tra
loro
però
da
un
governo
centrale
e
soprattutto
da
un’unica
e
condivisa
costituzione.
Soltanto
accettando
questa
prospettiva,
lasciando
quindi
ai
governi
locali
la
gestione
dei
rapporti
tra
clan
e
degli
equilibri
tribali,
la
Libia
potrà
sperare
di
trovare
una
propria
stabilità
politica
ed
istituzionale.