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N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

SCRAMBLE FOR LIBIA
DUE ANNI DI GUERRA CIVILE

di Filippo Petrocelli

 

La Libia non trova pace: frammentata e divisa più che mai, è piombata in quella che sembra una guerra civile a bassa intensità.

 

Per tutto il 2013 e il 2014 sono stati costanti i momenti di tensione fra l’autorità governativa e le milizie islamiste: un tentativo di colpo stato, il rapimento del primo ministro Zeitan e pesanti operazioni militari contro i “ribelli” hanno scandito impietosi il passato recente del paese.

 

Ma tutto il convulso periodo post-Gheddafi è stato funestato dalla continua tensione fra le due anime di quella che era stata la resistenza al Raìs: da una parte le fazioni islamiste, dall’altra l’opposizione più laica e liberale.

 

E questo scontro ora si è riproposto sotto forma di conflitto a basso intensità fra i due blocchi di potere ora predominanti in Libia: quello lealista e fedele al generale Haftar, contrapposto al blocco islamista, riunito nella coalizione Fajr Libya (Lybian Dawn) vicina al General National Congress (GNC).

 

I problemi sono iniziati subito dopo la caduta di Gheddafi: molte katiba, ovvero le “brigate” che avevano preso parte alla guerra, sono entrate in competizione per la gestione del potere, complicando in un intreccio di rivendicazioni politiche e tribali, la governance del paese.

 

Finché il Consiglio nazionale di transizione (CNT) – l’organismo che ha guidato l’insurrezione contro Gheddafi – è rimasto in piedi la situazione è rimasta sotto-controllo, ma dopo le prime elezioni e la formazione dell’Assemblea costituente, il GNC, la situazione è degenerata in una vera e propria guerra civile.

 

I lealisti del generale Haftar – che è diventato l’uomo forte del paese – rappresentano la parte più laica del panorama politico libico e sono usciti vincitori dalle elezioni del giugno 2014, contestate però dal blocco islamista.

 

Controllano la zona di Bengasi e tutta la Cirenaica, la periferia Ovest di Tripoli e godono dell’appoggio del governo, del primo ministro Al-Thinni e dell’esercito.

 

Gli islamisti di Fajr Lybia – una coalizione di gruppi che include al suo interno la brigata di Misurata una delle più attive nella rivolta contro Gheddafi – invece controllano ampie zone della Tripolitania e sono i principaliali contendenti al potere centrale.

 

Hanno goduto dell’appoggio della parte maggioritaria del General National Congress, vicina al presidente Nouri Abusahmain, considerato il leader del blocco islamista e della Fratellanza musulmana.

 

Ma c’è anche un nuovo blocco protagonista, quello jihadista in competizione sia con i lealisti sia con Fajr Lybia, considerata troppo moderata: sono le milizie salafite di Ansar al-Sharia, che controllano una parte di Bengasi, mentre nelle zona di Derna è stato creato un califfato, fedele ad Al-Bagdadi e al IS, mentre il deserto e il Fezzan sono praticamente alla mercé degli uomini delle brigate Abu Salim.

 

Contro ribelli islamisti e jihadisti, considerati come terroristi dalla fragile autorità centrale rappresentata sul campo di battaglia dalle truppe di Haftar, è stata lanciata l’operazione Karama, ossia “dignità” il 16 maggio 2014, quando le tensioni fra esercito e GNC erano all’apice.

 

Naturalmente le forze islamiste e jihadiste possono cooperare contro Haftar, ma restano fondamentalmente rivali.

 

A oltre tre anni dalla cattura e dall’esecuzione di Gheddafi, quel che resta della Libia è insomma un campo di battaglia. Di democrazia, nemmeno l’ombra. Anche le elezioni sono state truccate.



 

 

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