N. 54 - Giugno 2012
(LXXXV)
lewis carrol
minuetto
di Giuliano Confalonieri
Minuetto
è
l’antica
danza
francese
di
andamento
moderato,
di
origine
popolare,
introdotta
nel
XVII
sec.
alla
corte
di
Luigi
XIV
e
passò
quindi
nella
musica
strumentale
come
parte
della
suite,
della
sinfonia
e
della
sonata
divenendo
più
vivace.
Questa
è
l’impressione
che
ho
avuto
in
merito
al
rapporto
tra
Carroll
Lewis
e le
sue
modelle-bambine.
Perciò
niente
di
morboso
– a
mio
parere
– in
questo
attaccamento
dello
scrittore-fotografo
al
mondo
pre
adolescenziale.
Sigmund
Freud
insegna
che
le
pulsioni
sessuali
–
dalla
semplice
carezza
al
sado-masochismo
–
sono
alla
base
di
molti
comportamenti
umani:
il
piacere
può
diventare
ossessione
o
rimanere
contenuto
in
ambiti
accettabili
proprio
come
l’inclinazione
di
questo
artista
che
delle
bambine
si è
fatto
intelligente
interprete.
Carroll
Lewis
è lo
pseudonimo
dello
scrittore
inglese
Charles
Lutwidge
Dodgson
(1832/1898).
Studiò
a
Oxford
dove
rimase
fino
al
1881
come
lettore
di
matematica
pura,
scienza
alla
quale
dedicò
numerosi
trattati.
Di
carattere
molto
timido,
fu
grande
amico
di
alcune
bambine
e
per
una
di
loro
scrisse
Alice
nel
paese
delle
meraviglie
(1865),
l’opera
più
amata
della
letteratura
infantile
inglese
che
ha
attratto
anche
il
pubblico
adulto
per
il
gusto
del
gioco
logico
e
verbale.
Alle
avventure
di
Alice,
seguì
Attraverso
lo
specchio
(1871),
che
ebbe
un
successo
quasi
altrettanto
vasto.
I
personaggi
che
nell'opera
precedente
erano
carte
da
gioco,
in
Attraverso
lo
specchio
sono
pezzi
degli
scacchi
con
il
comportamento
tipico
delle
regole
della
partita.
La
facoltà,
prevalentemente
infantile,
di
osservare
con
il
candore
del
gioco
la
realtà,
servì
a
Carroll
per
evidenziare
le
assurdità
degli
atteggiamenti
dell’età
matura
e
per
creare
incantevoli
giochi
basati
sulle
regole
della
logica
(La
caccia
allo
Snark
del
1876,
in
apparenza
una
poesia
buffa,
nasconde
possibilità
di
interpretazione
simbolica
che
hanno
affascinato
la
critica
moderna).
Un
esempio
di
fotografo
evoluto
quello
di
Carroll,
non
professionista
ma
valido
nell’arte
del
clic,
è
diventato
un’icona
nel
suo
genere.
Nella
prefazione
al
volume
“Alice
nel
paese
delle
meraviglie
e
nel
mondo
dello
specchio”
(1966)
della
mitica
economica
BUR
(volume
triplo
lire
300),
il
critico
e
romanziere
Oreste
Del
Buono
osservava:
“Con
la
sua
redingote
nera,
la
sua
cravatta
bianca,
i
suoi
occhi
dolci,
il
reverendo
Dodgson
era
sempre
a
caccia
di
sembianze
e
sorrisi
infantili
...
per
facilitare
gli
approcci
si
portava
addirittura
dietro
una
valigetta
piena
di
giocattoli.
Naturalmente,
si
presentava
ai
genitori
delle
bambine
su
cui
si
appuntavano
i
suoi
occhi,
ne
entrava
in
confidenza,
finché
poteva
avanzare
con
disarmante
timidezza
il
suo
invito.
E
così
le
sue
nuove
piccole
amiche
(il
loro
numero
superò
il
centinaio)
facevano
il
loro
ingresso
da
sole
(senza
accompagnatori
adulti,
erano
le
tassative
condizioni)
nella
bella
casa
del
professore
di
matematica
a
Oxford.
Lì
lui
serviva
loro
con
compunzione
il
tè e
suonava
loro
infinite
volte
‘Santa
Lucia’
alla
pianola,
le
ubriacava,
per
così
dire,
a
forza
di
doni,
improvvisazioni,
rappresentazioni.
Poi
arrivava
l’attimo
di
un
nuovo,
più
intimo
invito:
che
voleva
salire
allo
studio?
Sopra
l’appartamento,
era
attrezzato
uno
studio
di
fotografo.
Le
nuove
o
vecchie,
piccole
amiche
che
acconsentivano
venivano
allora
vestite
appositamente
da
Dodgson
perché
risultassero
più
pittoresche
e
attraenti
...
I
modi
di
Dodgson
era
carezzevoli,
ma
come
fotografo
era
di
una
pignoleria,
di
una
esigenza
eccessive,
che
a
volte
spazientivano
le
modelle
...
Una
fotografa
e
pittrice,
certa
Thomson
fu
incaricata
per
molto
tempo
da
Dodgson
di
far
posare
nude
e
ritrarre
ragazzine
sui
dodici
anni
scelte
di
preferenza
tra
le
giovani
attrici.
Nel
testamento
Dodgson
lasciò
scritto
che
alla
sua
morte
tutte
le
fotografie
di
nudi
in
suo
possesso
fossero
rinviate
alle
modelle
e
alle
loro
famiglie
o
distrutte.”
Anche
Robert
Mapplethorpe
(New
York
1946)
presenta
corpi
e
volti
su
fondali
neutri
dello
studio
di
Bond
Street
a
New
York.
Una
delle
sue
immagini
più
intuite
è
quella
derivata
da
Leonardo
–
modernizzazione
di
‘homo
ad
circulum’
–
realizzata
nel
1986:
‘Thomas’
mostra
un
poderoso
uomo
nero
inquadrato
nella
struttura
geometrica
e
illuminato
in
modo
da
evidenziarne
il
sesso.
Volti
celebri
della
cultura
e
dello
spettacolo
(Sonia
Braga,
Kathleen
Turner,
Norman
Mailer)
e
corpi
provocanti
fotografati
dapprima
con
la
Polaroid
poi
con
il
sistema
Hasselblad.
Ha
frequentato
il
Pratt
Institute
di
Brooklyn
e si
è
interessato
di
cinema.
Il
potere
commerciale
ed
artistico
di
Helmut
Newton
(Berlino
1920)
sta
nell’accendere
il
desiderio
in
chi
guarda
le
sue
foto.
L’originalità
degli
ambienti
nei
quali
fa
muovere
le
modelle,
usando
il
bianco/nero
per
nascondere
od
evidenziare
particolari
intimi,
stimola
pensieri
erotici
dando
tuttavia
un
tocco
di
eleganza
alle
situazioni
costruite.
Entra
nelle
case
dei
personaggi
celebri
convincendoli
a
mostrarsi.
Dagli
anni
Cinquanta
ha
lavorato
a
Parigi
per
le
riviste
Elle,
Playboy,
Vogue,
Stern
e
Marie-Claire.
David
Hamilton
(Londra
1933)
predilige
nudi
di
fanciulle
in
fiore
e
nature
morte:
“Il
giorno
in
cui
le
fanciulle
scompariranno
dalla
mia
vita,
mi
ritirerò
in
solitudine
e mi
perfezionerò
in
questo
genere,
in
omaggio
a
Morandi
che
ammiro
grandemente”.
Le
sue
immagini
accuratamente
preparate
con
una
luce
soffusa
che
rende
eterei
i
giovanissimi
corpi,
non
nascondono
niente
dei
segreti
intimi
e
della
bellezza
acerba
adolescenziale.
Lo
stesso
stile
Hamilton
lo
ha
trasferito
sul
grande
schermo
con
“Bilitis”,
“Tenere
cugine”,
“Primi
desideri”.
Dopo
avere
studiato
architettura
è
diventato
direttore
artistico
della
rivista
Queen;
trasferitosi
a
Parigi
collaborò
con
periodici
internazionali.
Due
fotografi
molto
famosi
hanno
lasciato
le
testimonianze
dei
loro
lavori
ma
anche
alcune
considerazioni:
“Desideravo
fermare
tutte
le
cose
belle
che
mi
si
presentavano
davanti”
affermava
Cameron
Julia
Margaret
(Calcutta
1815-Ceylon
1879);
educata
in
Europa,
visse
in
Estremo
Oriente
fino
al
1848,
cominciò
a
scattare
fotografie
a 48
anni
ritraendo
molti
personaggi
importanti
dell’epoca:
la
sua
esperienza
è
riassunta
in
‘Annals
of
my
glass
Hause’.
Il
francese
Henri
Cartier-Bresson,
morto
nel
2004,
a
quasi
96
anni,
lasciò
scritto:
“Volevo
soprattutto
cogliere,
nei
limiti
di
un’unica
fotografia,
tutta
l’essenza
di
una
situazione
che
si
stava
svolgendo
davanti
ai
miei
occhi
...
Fotografare
significa
individuare
in
una
frazione
di
secondo
un
fatto
e
l’organizzazione
delle
forme
percepite
visivamente
che
configurano
questo
fatto.
Vuol
dire
usare
nello
stesso
tempo
la
testa,
gli
occhi
e il
cuore”
–
“Ho
estratto
dagli
uomini,
attraverso
la
fotografia,
il
meglio
e il
peggio;
in
questo
caso
li
ho
tutti
perdonati,
anche
quando
la
mia
Leica
coglieva
atroci
istanti
di
ferocia”
–
“La
fotografia
è
libertà
del
pensiero,
senza
strutture,
è
avventura;
quando
ancora
mi
dico:
guarda
che
bella
fotografia
da
fare,
è
già
troppo
tardi”.
Fu
assistente
del
regista
francese
Jean
Renoir,
nel
1944/45
fotografò
l’occupazione
della
Francia
e la
liberazione
di
Parigi,
girò
“Le
Retour”,
documentario
sui
prigionieri
di
guerra
reduci.
Quando
Cartier-Bresson
incontrò
l’ungherese
Robert
Capa
e
David
‘Chim’
Seymour
fondò
con
loro
nel
1947
una
delle
più
importanti
agenzie
del
mondo,
la
Magnum
Photos.
Carroll
soffriva
di
balbuzie
e di
emicrania
e
ciò
avrebbe
influito
nei
rapporti
con
il
mondo
adulto.
Nel
1856
iniziò
ad
avvicinarsi
alla
neonata
tecnica
della
fotografia
che
si
dimostrò
per
lui
uno
strumento
basilare
per
esprimere
l'idea
di
"bellezza",
ovvero
uno
stato
di
grazia,
di
perfezione
morale,
estetica
e
fisica:
la
trovava
nel
teatro,
nella
poesia,
nelle
formule
matematiche
e
soprattutto
nella
figura
umana,
accomunandola
alla
purezza
perduta
dell'Eden:
"rifiutava
il
principio
calvinista
del
peccato
originale
sostituendolo
con
il
concetto
opposto
di
divinità
innata".
Probabilmente
il
segreto
della
passione
per
l’innocenza
infantile
nacque
da
queste
componenti:
dal
saggio
Lewis
Carroll,
photographer
di
Roger
Taylor
(2002),
che
contiene
le
foto
salvate
dal
tempo
e
dalla
noncuranza,
risulta
che
oltre
la
metà
dei
suoi
lavori
erano
ritratti
di
bambine.
La
modella
preferita
era
Alexandra
Kitchin
("Xie")
ritratta
una
cinquantina
di
volte
fra
i 5
ed i
16
anni
di
età.
Si
avvicinava
a
loro
come
fate,
libere
creature
dei
boschi
e
non
come
persone
fatte
di
istinti,
quindi
l’accusa
di
pedofilia
rimane
aleatoria
malgrado
fosse
implicita
nel
giudizio
dei
benpensanti
dell’epoca.
Il
poeta,
l’artista,
vive
una
propria
dimensione,
dimentico
delle
regole
stabilite
dalla
società.
Per
merito
dell’abilità
fotografica
venne
accettato
nei
circoli
sociali
più
esclusivi
facendo
ritratti
a
personaggi
noti.
Smise
improvvisamente
di
fotografare
nel
1880,
dopo
24
anni
di
attività
e
oltre
3.000
foto.
Meno
di
un
terzo
di
queste
immagini
sono
sopravvissute;
alcune
furono
deliberatamente
distrutte
dallo
stesso
autore.
Perduto
anche
il
diario
in
cui
annotava
minuziosamente
le
condizioni
in
cui
aveva
realizzato
ciascuno
scatto.
Attualmente
è
considerato
uno
dei
grandi
fotografi
dell'epoca
vittoriana,
certamente
tra
coloro
che
ha
maggiormente
influito
sulla
fotografia
artistica
moderna.
Alto
un
metro
e
ottanta,
magro,
capelli
ricci
e
occhi
azzurri.
A
diciassette
anni
ebbe
un
attacco
di
pertosse
che
compromise
l'udito
di
un
orecchio,
problema
che
si
assommò
a
quello
respiratorio
del
quale
soffrì
sempre.
Malgrado
queste
limitazioni
o
forse
per
tentare
di
superarle,
Lewis
cantava
e
recitava
in
pubblico,
ambizioso
di
essere
notato.
Primeggiava
anche
in
ambito
scolastico
tanto
che
l'insegnante
di
matematica
affermò
di
non
avere
mai
avuto
un
allievo
così
promettente.
Ricevette
numerosi
riconoscimenti
formali
per
i
risultati
ottenuti:
ciononostante
la
sua
carriera
accademica,
rimase
in
equilibrio
fra
brillanti risultati e annoiata pigrizia. Ebbe una cattedra in matematica
ma
sembra
che
trovasse
l'insegnamento
privo
di
stimoli,
e
che
nelle
sue
lezioni
regnasse
l'apatia.
Fiaba
e
favola,
solitamente
si
usano
ambedue
i
termini
con
lo
stesso
significato:
il
primo
indica
un
racconto
fantastico
di
origine
popolare,
di
tradizione
orale,
nel
quale
interagiscono
esseri
soprannaturali
(streghe,
orchi,
fate,
elfi,
gnomi,
maghi);
il
secondo
indica
una
narrazione
in
versi
o
prosa
con
fini
pedagogici,
nella
quale
agiscono
animali
o
figure
simboliche
dei
vizi
e
delle
virtù
umane.
Il
mondo
vecchio
ma
non
completamente
tramontato
dei
racconti
del
nonno
intorno
al
fuoco
ha
conservato
il
suo
fascino
anche
nell’era
tecnologica
e
smaliziata
del
terzo
millennio:
atmosfera
ricostruita
nel
film
di
Ermanno
Olmi
“L’albero
degli
zoccoli”
del
1975
(due
le
versioni
distribuite
sul
mercato,
una
nella
lingua
italiana
e
l’altra
nel
dialetto
bergamasco:
la
stalla,
dove
faceva
più
caldo,
era
il
luogo
di
ritrovo
delle
piccole
comunità
contadine
e lì
i
racconti
tramandati
di
generazione
in
generazione
colpivano
ed
affascinavano
i
ragazzi
non
ancora
intontiti
dai
messaggi
mediatici).
Il
significato
etimologico
della
parola
(dal
latino
‘fabula’)
è
“una
breve
narrazione
in
prosa
o in
versi
di
intento
morale
avente
per
oggetto
un
fatto
immaginato
i
cui
protagonisti
sono
per
lo
più
cose
o
animali”:
il
termine
ha
dunque
un’estensione
notevole,
applicabile
in
maniera
differenziata.
La
favola
scritta
o
raccontata
riportata
fino
ai
nostri
giorni
ha
origini
classiche,
dalla
cultura
greca
a
quella
romana.
Le
leggende
di
origine
religiosa
o
tribale
hanno
spesso
carattere
di
fiaba
e
sono
riferibili
a
civiltà
antiche
come
quelle
della
Cina,
dell’India
e
dell’Egitto,
ognuna
con
le
caratteristiche
legate
alla
propria
cultura.
Molti
scrittori
si
sono
cimentati
per
riversare
in
un
racconto
la
potenzialità
dell’immaginazione
(raccolte
di
novelle
come
quella
araba
“Le
Mille
e
una
Notte”,
“Il
Decameron”
di
Giovanni
Boccaccio
e “I
Racconti
di
Canterbury”
dell’inglese
Geoffrey
Chaucer,
possono
essere
considerate
favole
letterarie
‘per
grandi’,
così
come
la
raccolta
medioevale
“Chanson
de
Roland”).
Una
serie
di
personaggi
–
spesso
con
segni
antropomorfici
–
che
avrebbero
trovato
una
diversificazione
espressiva
nei
fumetti
e
nei
cartoons.
Le
moderne
favole
si
chiamano:
“E.T.
L’Extra
Terrestre”
(film
di
Steven
Spielberg
del
1982),
il
romanzo
“Il
signore
delle
mosche”
(1954)
di
William
Golding,
“Il
signore
degli
anelli”
di
J.R.
Renel
Tolkien,
il
romanzo
di
J.K.
Rowling
“Harry
Potter
e la
Pietra
filosofale”.
Nei
saggi
degli
anni
Cinquanta
raccolti
nel
volume
“Il
linguaggio
dimenticato
(la
natura
dei
miti
e
dei
sogni)”,
lo
scrittore
tedesco
Erich
Fromm
dedica
un
capitolo
a
“Cappuccetto
Rosso”
commentando
che
questa
favola
“esemplifica
bene
le
teorie
di
Freud
e
allo
stesso
tempo
offre
una
variante
del
tema
del
conflitto
uomo-donna
che
abbiamo
trovato
nella
trilogia
di
Edipo
e
nel
mito
della
creazione”.
▪
Andersen
Hans
Christian
(Danimarca,
1805).
Dopo
il
primo
successo
con
il
romanzo
scritto
ed
ambientato
in
Italia
(“L’improvvisatore”,
1834)
diventò
famoso
con
le
fiabe
pubblicate
in
fascicoli
annuali
dal
1835
al
1872.
Il
suo
mondo
ingenuo
e
fantasioso
invita
alla
speranza
malgrado
i
contraccolpi
della
sorte
(156
racconti
tradotti
in
30
lingue).
▪
Apuleio
Lucio
(Algeria,
125
ca).
Scrittore
latino
che
dopo
avere
studiato
a
Cartagine
seguì
l’inclinazione
scrivendo
e
tenendo
conferenze.
Fu
in
occasione
di
un
processo
a
suo
carico
che
compose
una
dotta
autodifesa
(“Apologia”),
sintesi
degli
stili
retorici
dell’epoca;
con
il
medesimo
taglio
letterario
raccolse
23
dei
suoi
brani
oratori
in
“Florida”.
L’unico
romanzo
della
letteratura
latina
pervenutoci
integro
è
considerato
l’opera
maggiore
di
Apuleio
(“Metamorfosi”
o
“Asino
d’oro”),
racconti
imperniati
intorno
al
giovane
Lucio,
trasformato
per
magia
in
un
asino,
nei
quali
viene
sottolineata
la
caduta
e la
redenzione
dell’essere
umano.
▪
Basile
Giambattista,
anagramma
di
Gian
Alesio
Abbattutis
(Napoli,
1575).
Scrittore
in
lingua
e
dialetto,
governatore
di
alcune
zone
dell’Italia
meridionale,
conosciuto
per
“Muse
Napoletane”
(quadri
di
vita
quotidiana
a
sfondo
moralistico
e
satirico)
e
per
“Lo
cunto
de
li
cunti”
(raccolta
di
cinquanta
fiabe,
pubblicata
postuma
nel
1635,
tradotta
in
italiano
nel
1925
da
Benedetto
Croce).
Alcuni
personaggi
sono
stati
in
seguito
imitati
dal
francese
Perrault:
“Zezolla”
è
diventata
“Cenerentola”
e
“Cagliuso”
è
diventato
“Il
gatto
con
gli
stivali”.
“Cuorvo”
e
“Le
tre
cetre”
sono
state
rielaborate
dall’italiano
Gozzi,
rispettivamente
come
“Corvo”
e
“L’amore
delle
tre
melarance”.
▪
Collodi
Carlo
(pseudonimo
di
Carlo
Lorenzini).
Nato
a
Firenze
nel
1826
partecipò
ad
alcune
campagne
militari
risorgimentali
e si
dedicò
al
giornalismo.
Scrisse
“Il
viaggio
per
l’Italia
di
Giannettino”,
“Minuzzolo”,
“Occhi
e
nasi”,
“Storie
allegre”.
“Le
avventure
di
Pinocchio,
storia
di
un
burattino”,
apparvero
sul
Giornale
dei
Bambini
nel
1880
ed
in
volume
nel
1883.
▪
Esopo.
Favolista
greco
di
origine
frigia,
schiavo
a
Samo
nel
VI
sec.
a.C.,
divenne
una
figura
leggendaria
tanto
da
stimolare
la
stesura
nel
IV
sec.
d.C.
di
una
biografia
romanzata
della
sua
vita
avventurosa.
Ė
considerato
il
creatore
di
favole
sugli
animali
con
riferimenti
allegorici
ai
vizi
ed
alle
virtù
dell’uomo.
▪
Fedro.
Favolista
latino
del
I
sec.
d.C.,
originario
della
Macedonia,
liberto
di
Augusto
a
Roma.
Scrisse
cinque
libri,
spesso
“traduzioni”
dei
lavori
attribuiti
ad
Esopo,
anche
se
la
sua
ambizione
fu
quella
di
creare
uno
stile
personale
.
▪
Fiacchi
Luigi
detto
il
Clasio
(1754).
Sacerdote
ed
Accademico
della
Crusca.
Le
sue
“Favole”
(1807)
ambientate
nel
natio
Mugello
hanno
una
dichiarata
intenzione
pedagogica
eppure
la
capacità
dell’autore
di
rielaborare
le
idee
in
modo
fantastico
con
l’uso
appropriato
e
semplice
della
lingua
italiana
ha
dato
al
suo
lavoro
un’impronta
originale.
▪
Firenzuola
Agnolo,
soprannome
di
Michelangiolo
Giovannini
(Firenze
1493).
Esercitò
l’avvocatura
e
per
qualche
tempo
indossò
il
saio
penitenziale.
Prosatore
elegante
‘capace
di
armonizzare
modi
illustri
e
forme
popolaresche,
colore
arcaico
e
moderna
spigliatezza’.
Rielaborò
le
“Metamorfosi”
di
Apuleio
(“L’asino
d’oro”,
1525),
scrisse
favole
e
apologhi
zoomorfi
(“Prima
veste
dei
discorsi
degli
animali”).
Quasi
tutte
le
sue
opere
furono
pubblicate
postume.
▪
Gadda
Carlo
Emilio.
Nato
a
Milano
nel
1893,
di
professione
ingegnere,
pubblicò
una
serie
di
opere
che
sono
considerate
innovative
per
il
particolare
uso
della
lingua
ed
il
continuo
imprevedibile
ribaltamento
delle
strutture
narrative:
“Quer
pasticciaccio
brutto
de
via
Merulana”,
“La
cognizione
del
dolore”.
Scrisse
“Il
primo
libro
delle
favole”
nel
1952.
▪
Gozzi
Carlo
(Venezia,
1720/1806).
Polemico
contro
il
rinnovamento
e
quindi
a
favore
della
tradizione,
difese
la
Commedia
dell’Arte
con
l’uso
insistente
della
‘maschera’
come
nella
tragedia
greca
e
nel
teatro
classico
giapponese
– al
tramonto
per
la
ripetitività
degli
schemi
–
contro
la
novità
teatrale
dei
‘caratteri’
goldoniani.
Le
“Fiabe”
di
Gozzi
furono
parodie
alle
idee
innovative
di
Carlo
Goldoni
ma
poi
acquistarono
autonomia
creativa
nella
quale
si
mescolano
comico
e
tragico,
magia
e
realismo,
spesso
evidenziando
il
contrasto
tra
il
‘favoloso
oriente’
ed
il
‘pragmatismo
occidentale’.
▪
Grimm
Jacob
(1785)
e
Wilhelm
(1786).
Fratelli
tedeschi,
professori
di
filologia
a
Gottinga,
noti
oltre
che
per
una
serie
di
interessanti
lavori
letterari
(grammatica,
vocabolario
e
storia
della
lingua
tedesca,
leggende
eroiche
tedesche)
anche
per
“Fiabe
per
bambini
e
per
famiglie”
nelle
quali
riassumono
con
un
linguaggio
semplice
e
suggestivo
molte
storie
raccolte
dalla
viva
voce
del
popolo.
▪
Hoffmann
Ernst
Theodor
Amadeus
(Germania,
1776).
Artista
di
eclettica
cultura
(musica,
pittura,
critica
teatrale)
in
parallelo
con
l’attività
di
magistrato.
Dal
1808
si
cimentò
con
la
letteratura
scrivendo
romanzi
e
racconti.
Nella
raccolta
“Fantasie
alla
maniera
di
Callot”
è
inserita
la
storia
fantastica
e
grottesca
“La
pentola
d’oro”.
▪ La
Fontaine
Jean
de
(Francia,
1621).
Dopo
gli
studi
di
teologia
e
diritto
diventò
ispettore
delle
acque
e
foreste.
Dopo
avere
sposato
una
quattordicenne
–
dalla
quale
poi
si
separerà
–
nel
1658
si
trasferì
a
Parigi
dove
frequentò,
tra
gli
altri,
Racine
e
Molière.
Colui
che
fu
definito
‘Aretino
mitigato’
per
i
temi
licenziosi
trattati
in
diverse
sue
opere,
è
ricordato
soprattutto
per
le
sue
“Fables”
edite
a
Parigi
tra
il
1668
e il
1694:
gli
spunti
di
questa
notevole
raccolta
risalgono
ad
Esopo,
Fedro,
a
fonti
medioevali
e
rinascimentali,
a
libri
della
cultura
indiana.
Dopo
un
periodo
nel
quale
usò
lo
stile
didattico
tipico
della
favola
per
bambini,
l’autore
francese
(“un
miracolo
di
cultura”)
ampliò
il
discorso
ai
temi
più
impegnativi
dell’etica
e
della
politica
conservando
però
la
fluidità
dello
stile.
▪
Lessing
Gotthold
Ephraim
(1729).
Scrittore
tedesco,
giornalista
e
bibliotecario.
Capolavoro
della
sua
produzione
teatrale
è
considerata
la
fiaba
drammatica
“Nathan
il
saggio”,
un
apologo
sulla
tolleranza
religiosa.
▪
Pancrazi
Pietro
(Cortona,
1893).
Saggista,
redattore
di
riviste,
collaboratore
del
“Corriere
della
Sera”
e
consulente
editoriale,
si
interessò
di
tutti
gli
aspetti
della
letteratura
del
suo
tempo.
I
racconti
favolistici
definiti
“vicini
alla
prosa
d’arte”
sono
raccolti
in
“Esopo
moderno”
(1930).
▪
Passeroni
Gian
Carlo
(Nizza,
1713).
Poeta
membro
dell’Accademia
dei
Trasformati.
Tra
il
1779
ed
il
1788
scrisse
“Favole
esopiane”
ma
questo
autore
è
noto
anche
per
il
poema
“Cicerone”
nel
quale
espone
curiose
notizie
sui
costumi
del
XVIII
secolo.
▪
Perrault
Charles
(Parigi,
1628).
Funzionario
pubblico
e
membro
dell’Académie
française.
È
conosciuto
per
“I
racconti
di
mia
madre
l’Oca”
(“Contes
de
ma
mère
l’Oye”,
1697),
otto
in
prosa
e
tre
in
poesia.
I
soggetti,
ripresi
dall’antica
tradizione
orale
della
favolistica
popolare
e
con
l’uso
di
uno
stile
fluido,
comprendono
titoli
universalmente
conosciuti
come
“La
bella
addormentata
nel
bosco”,
“Cappuccetto
rosso”,
“Il
gatto
con
gli
stivali”,
“Cenerentola”.
▪
Pignotti
Lorenzo
(Firenze,
1739).
Professore
di
fisica
all’Università
di
Pisa,
si
cimentò
con
“Favole
e
novelle”
dove
prende
bonariamente
in
giro
la
società
toscana
del
Settecento.
▪
Rodari
Gianni
(Omegna,
1920).
Giornalista
e
scrittore
per
l’infanzia.
La
sua
novità
è
stata
quella
di
aprire
il
mondo
della
favola
ai
temi
della
vita
contemporanea
sostituendo
all’immaginifico
tradizionale
personaggi
e
situazioni
surreali
moderne:
“Le
avventure
di
Cipollino”,
“Le
filastrocche
del
cavallo
parlante”,
“C’era
una
volta
il
barone
Lamberto”.
▪
Saint-Exupéry
Antoine
de (Lione,
1900).
Pilota
e
scrittore
di
origine
aristocratica.
“Il
piccolo
Principe”
è un
classico
della
letteratura
per
l’infanzia,
scritto
ed
illustrato
nel
1943,
un
anno
prima
che
durante
un
volo
di
ricognizione
il
suo
aereo
fosse
abbattuto.
▪
Salgari
Emilio
(Verona,
1862).
Produsse
80
romanzi
e
150
racconti
per
ragazzi.
Con
i
personaggi
esotici
(“I
Pirati
della
Malesia”,
“Le
Tigri
di
Mompracem”)
ottenne
un
successo
strepitoso;
ciononostante
lo
scrittore
veronese
fu
sempre
assillato
dai
debiti
tanto
da
essere
indotto
al
suicidio.
▪
Straparola
Giovan
Francesco.
Scrittore
italiano
del
XV
sec.
Nelle
75
novelle
raccolte
sotto
il
titolo
“Le
piacevoli
notti”
(ipoteticamente
narrate
nell’Isola
di
Murano
per
13
notti
durante
il
carnevale
da
una
brigata
di
commensali)
l’autore
alterna
favole
a
racconti
popolari.
▪
Trilussa
(anagramma
di
Salustri,
Carlo
Alberto).
Scrittore
dialettale
romano
(1871).
Si
dedicò
al
bozzetto
di
costume
ed
“alla
favola
moraleggiante
di
ascendenza
esopiana”.
Trilussa
ha
commentato
in
modo
ironico
e
disincantato
mezzo
secolo
di
storia
italiana:
“Favole
romanesche”,
“Caffè-concerto”,
“Er
serrajo”,
“Ommini
e
bestie”.
Personaggio
popolarissimo,
fece
diverse
tournée
in
Italia
ed
all’estero
come
lettore
di
poesie.
▪
Twain
Mark
(pseudonimo
di
Samuel
Langohorne
Clemens).
L’autore
statunitense
(1835)
fu
pilota
di
battello
sul
fiume
Mississippi
e
proprio
dal
linguaggio
marinaresco
ricavò
il
nome
per
la
sua
carriera
di
scrittore:
‘mark
twain’
significa
‘marca
due’
per
segnalare
che
la
profondità
dell’acqua
è di
‘due
braccia’.
Diventò
poi
conferenziere,
inviato
speciale
e
romanziere
di
successo
con
le
vicende
picaresche
dei
ragazzi
americani
di
fine
Ottocento:
“Le
avventure
di
Tom
Sawyer”,
“Le
avventure
di
Huckleberry
Finn”.
▪
Verne
Jules
(Nantes,
1828).
Diventò
famoso
nel
1863
con
“Cinque
settimane
in
pallone”,
un
romanzo
d’avventure
ispirato
al
progresso
scientifico.
Macchine
avveniristiche
e
personaggi
straordinari
sono
raccontati
in
“Viaggio
al
centro
della
terra”;
“Dalla
Terra
alla
Luna”,
“Ventimila
leghe
sotto
i
mari”.
Oggigiorno
la
pagina
scritta
è
affiancata
e
talvolta
prepotentemente
sottomessa
dai
mezzi
elettronici:
la
televisione
ed i
video-giochi
affascinano
i
ragazzi
ma
non
permettono
loro
di
esercitare
le
potenzialità
dell’immaginazione;
lo
schermo
casalingo
non
solo
isola
gli
individui
ma
sempre
più
presenta
in
modo
assillante
le
tremende
realtà
quotidiane
oppure
fiction
nelle
quali
la
violenza
è
fine
a se
stessa
e
quindi
spettacolo
diseducativo
(la
famiglia
è il
nucleo
primario
della
società:
se è
malata,
il
processo
di
autodistruzione
è
inevitabilmente
innescato,
una
pericolosa
escalation
verso
il
vuoto
morale
e
sociale).
Fra
gli
autori
che
hanno
apertamente
dichiarato
di
considerare
Alice una fonte di ispirazione per le loro opere si possono
ricordare
James
Joyce
e
Jorge
Luis
Borges.
In
molti
paesi
del
mondo
esistono
club
e
società
di
estimatori
di
Carroll;
gli
è
dedicato
il
Lewis
Carroll
Shelf
Award,
importante
premio
per
la
letteratura
per
ragazzi.
Ecco
l’inizio
di
“Alice
nel
paese
delle
meraviglie”:
Alice
cominciava
ad
essere
veramente
stufa
di
star
seduta
senza
far
niente
accanto
alla
sorella,
sulla
riva
del
fiume.
Una
o
due
volte
aveva
provato
a
dare
un'occhiata
al
libro
che
sua
sorella
stava
leggendo,
ma
non
c'erano
né
figure
né
filastrocche.
"Che
me
ne
faccio
di
un
libro
senza
figure
e
senza
filastrocche?"
pensava
Alice.
A
dire
la
verità
non
era
possibile
pensare
molto,
perché
faceva
tanto
caldo
che
Alice
si
sentiva
tutta
assonnata
e
con
le
idee
confuse:
adesso
si
stava
domandando
se
valesse
la
pena
di
alzarsi
a
raccogliere
fiori
per
fare
una
ghirlanda
di
margherite,
quando
ecco
che
improvvisamente
le
passò
proprio
davanti
un
Coniglio
Bianco
con
gli
occhi
rosa.
La
cosa
non
sembrò
tanto
strana,
ad
Alice.
Non
le
sembrò
neppure
tanto
strano
che
il
Coniglio
dicesse
tra
sé:
'Povero
me,
povero
me!
arriverò
troppo
tardi!"
Solo
in
un
secondo
tempo,
quando
ripensò
a
questo
fatto,
Alice
si
rese
conto
che
avrebbe
dovuto
meravigliarsene;
sull'istante
le
sembrò
addirittura
una
cosa
naturale.
Però
quando
il
Coniglio
trasse
un
orologio
dal
taschino
del
panciotto
e,
dopo
avergli
dato
un'occhiata,
affrettò
il
passo
ancora
di
più,
Alice
balzò
in
piedi
meravigliata
perché
ricordava
benissimo
di
non
aver
mai
visto
uri
coniglio
con
un
taschino
nel
panciotto
e,
per
di
più,
con
un
orologio
dentro
questo
taschino!
Ormai
era
tutta
presa
dalla
curiosità:
lo
rincorse
attraverso
il
campo
e
per
fortuna
arrivò
in
tempo
per
vederlo
infilarsi
in
una
grande
tana,
sotto
una
siepe.
Un
istante
dopo
Alice
si
infilava
nella
tana
dietro
di
lui:
non
le
venne
neppure
in
mente
di
chiedersi
come
avrebbe
poi
fatto
ad
uscire
da
quel
posto.
Per
un
pezzo
la
tana
era
diritta
come
una
galleria,
poi
sprofondava
all'improvviso,
ma
così
all'improvviso,
che
Alice
non
fece
neppure
in
tempo
a
pensare
che
era
meglio
fermarsi,
perché
si
trovò
subito
a
sprofondare
lungo
quella
specie
di
pozzo
veramente
profondo.
O il
pozzo
era
molto
profondo
oppure
Alice
cadeva
lentamente:
il
fatto
certo
è
che
essa,
prima
d'arrivare
in
fondo,
ebbe
tutto
il
tempo
di
guardarsi
intorno
e di
chiedersi
che
cosa
le
stesse
capitan-do.
In
un
primo
tempo
cercò
di
guardare
in
basso
per
vedere
dove
stava
andando
a
finire.
Ma
c'era
troppo
buio
e
non
si
vedeva
niente.
Allora
guardò
le
pareti
del
pozzo
e si
accorse
che
erano
piene
di
credenze
e di
scaffali.
Da
ogni
parte
si
vedevano
carte
geografiche
e
quadri
appesi
ai
chiodi.
Alice
prese
a
volo
un
barattolo
da
una
credenza:
sull'etichetta
c'era
scritto
"MARMELLATA
D'ARANCE".
Però
fu
molto
delusa
quando
s'accorse
che
il
barattolo
era
vuoto.
Non
voleva
buttarlo
via,
perché
aveva
paura
che,
cadendo,
potesse
ammazzare
qualcuno.
Allora
lo
posò
sopra
un'altra
credenza,
mentre
le
passava
davanti.
"Bene!”
pensava
intanto
Alice.
"Dopo
una
caduta
come
questa,
un
capitombolo
lungo
le
scale
mi
sembrerà
uno
scherzo!
A
casa
troveranno
che
sono
proprio
coraggiosa!
Anzi
sono
sicura
che
non
avrei
paura
nemmeno
se
dovessi
cadere
dal
tetto
di
casa!”.
(Questo,
molto
probabilmente,
era
vero.)
E
cadeva,
cadeva,
cadeva.
Ma
non
finiva
mai
di
sprofondare?
"Chissà
quanti
chilometri
di
caduta
ho
fatto
finora”
disse
ad
alta
voce.
"Ormai
debbo
essere
vicina
al
centro
della
terra.
Vediamo:
sarebbero
più
di
seimila
chilometri
di
profondità,
mi
sembra..."
(Alice
aveva
imparato
parecchie
cose
come
queste
a
scuola,
ed
anche
se
non
era
certamente
la
migliore
occasione
per
fare
sfoggio
della
sua
erudizione,
dato
che
non
c'era
nessuno
ad
ascoltarla,
era
però
un
buon
esercizio
ripetere
quelle
cose.)
"Sì,
deve
essere
proprio
la
distanza
giusta.
Però
vorrei
sapere
il
grado
di
latitudine
e di
longitudine
che
ho
raggiunto.»
(Alice
non
aveva
la
più
piccola
idea
di
che
cosa
fosse
la
Latitudine
e
tanto
meno
la
Longitudine:
però
le
piaceva
dire
queste
due
parole.)
Poi
cominciò
a
pensare
ancora:
"Chissà
se
attraverserò
tutta
la
terra.
Sarebbe
divertente
capitare
fra
la
gente
che
cammina
a
testa
in
giù!
Mi
pare
che
si
chiamino
gli
Antipati..."
(Questa
volta
era
abbastanza
contenta
che
non
ci
fosse
nessuno
ad
ascoltarla,
perché
la
parola
non
le
sembrava
proprio
quella
giusta.)
"Bisognerà
che
domandi
a
qualcuno
il
nome
del
paese,
si
capisce.
Per
favore,
signora,
questa
è la
Nuova
Zelanda
oppure
l'Australia?"
(Cercò
d'inchinarsi
con
gentilezza,
mentre
parlava...
pensate
un
po':
inchinarsi
educatamente
mentre
si
cade
attraverso
l'aria!
Ci
riuscireste
voi?)
"Chissà
che
bambina
ignorante
penserà
che
io
sono!
No,
è
meglio
non
domandare;
forse
lo
troverò
scritto
in
qualche
posto.
E
cadeva,
cadeva,
cadeva.
Non
c'era
niente
da
fare.
Perciò
Alice
ricominciò
a
parlare.
"Credo
che
Dina
sentirà
molto
la
mia
mancanza,
stasera."
(Dina
era
la
gatta.)
"Spero
che
non
dimentichino
di
darle
il
suo
piattino
di
latte,
quando
sarà
l'ora
della
merenda.
Dina
cara,
vorrei
che
tu
fossi
qui
con
me!
Non
ci
sono
topi
per
aria,
lo
so,
ma
potresti
acchiappare
un
pipistrello:
somiglia
molto
a un
topo,
no?
Chissà
se i
gatti
mangiano
i
pipistrelli."
A
questo
punto
Alice
cominciò
a
sentir
sonno
e
continuò
a
parlare
fra
sé,
come
in
dormiveglia:
"I
gatti
mangiano
i
pipistrelli?
I
gatti
mangiano
i
pipistrelli?”
ripeteva. E a volte diceva: "I
pipistrelli
mangiano
i
gatti?”
Infatti,
siccome
non
era
in
grado
di
rispondere
a
nessuna
delle
domande,
non
dava
molto
peso
alla
maniera
in
cui
se
le
poneva.
Alla
fine
si
accorse
che
stava
addormentandosi.
A un
certo
punto
cominciò
a
sognare
di
trovarsi
a
passeggio
con
la
sua
Dina,
a
braccetto,
e di
domandare
alla
gatta
con
molta
serietà:
"E
adesso,
Dina,
dimmi
proprio
la
verità:
l'hai
mai
mangiato
un
pipistrello?"
D'un
tratto
-
bum!
bum!
-
arrivò
proprio
al
fondo
e si
trovò
sopra
un
mucchio
di
foglie
secche.
Aveva
finito
di
cadere.
Alice
non
s'era
fatta
nulla
e un
attimo
dopo
era
già
in
piedi.
Guardò
in
alto,
ma
era
tutto
buio
sulla
sua
testa.
Davanti
a
lei
c'era
un
altro
lungo
corridoio,
in
fondo
al
quale
fece
appena
in
tempo
a
vedere
il
Coniglio
Bianco,
che
stava
svoltando
l'angolo.
Non
c'era
un
minuto
da
perdere.
Alice
si
mise
a
correre
come
il
vento
ed
arrivò
in
tempo
per
sentirlo
dire,
mentre
voltava
l'angolo:
"Per
i
miei
occhi,
per
i
miei
baffi,
s'è
fatto
tremendamente
tardi!”
Ormai
Alice
gli
era
vicinissima,
ma
quando
anche
lei
voltò
l'angolo,
il
Coniglio
non
si
vedeva
più.
Alice
si
trovò
in
una
sala
bassa
e
lunga,
illuminata
da
una
fila
di
lampade
che
pendevano
dal
soffitto.
Intorno
alle
pareti
si
vedevano
molte
porte,
ma
erano
tutte
chiuse.
Fece
un
giro
completo,
cercando
inutilmente
di
aprirle,
e
poi
si
diresse
tutta
afflitta
verso
il
centro
della
sala.
Si
chiedeva
come
avrebbe
potuto
fare
per
uscire
da
quel
posto.
Un
inizio
decisamente
originale
per
adeguarsi
alla
fantasia
infantile,
immaginata
e
scritta
in
un
modo
assolutamente
invogliante
alla
lettura.
Il
binomio
Alice-Coniglio
diventa
il
nucleo
di
un
racconto
che
si
dipana
in
ulteriori
invenzioni
molto
vicine
al
mondo
giovanile.
Non
so
se
ancora
oggi
la
parola
scritta
riesce
a
sovrastare
i
modelli
tecnologici
sempre
più
invasivi;
è
certo
però
che
gli
estri
degli
scrittori
dei
secoli
passati
hanno
in
sé
qualcosa
di
magico
perché
nati
dalle
idee
e
non
dai
suggerimenti
elettronici.
Carroll
usa
Alice
come
un
mezzo
per
esporre
le
proprie
fantasie
traslate
nel
linguaggio
fanciullesco.
Commenta
Carroll:
Di
solito
la
ragazzina
diventa
un
essere
così
diverso
quando
si
trasforma
in
donna;
allora
anche
la
nostra
amicizia
deve
evolversi:
in
generale
questa
evoluzione
si
traduce
nel
passaggio
da
un’intimità
affettuosa
a
rapporti
di
semplice
cortesia
consistenti
nello
scambio
di
un
sorriso
e di
un
saluto
quando
ci
incontriamo.
Da
questa
frase
risulta
chiaro
come
la
dolcezza
sentimentale
di
Carroll
nei
confronti
delle
bambine
sia
senza
secondi
fini
e
quindi
completamente
innocente,
proprio
come
l’artista
che
trasforma
la
modella
in
ideale:
le
pulsioni
sessuali
adulte
si
fermano
sulla
porta
del
proibito,
nel
rispetto
totale
della
persona
in
divenire.
Lo
prova
il
finale
del
racconto:
"La
giuria
emetta
il
verdetto!"
urlò
il
Re
per
la
ventesima
volta
o
quasi.
"No,
no!"
gridò
a
sua
volta
la
Regina.
"La
sentenza
prima...
il
verdetto
dopo!"
"Stupida
pazza!"
disse
forte
Alice.
"Che
Cretina!
Vuole
prima
la
sentenza!"
"Zitta!"
disse
la
Regina.
E
diventò
paonazza.
"Neanche
per
sogno!"
ribatté
Alice.
"Tagliatele
la
testa!»
urlò
allora
la
Regina
con
tutto
il
fiato
che
aveva
in
gola.
Ma
nessuno
si
mosse.
"A
chi
credi
di
far
paura?»
disse
Alice,
che
ormai
.
aveva
raggiunto
la
sua
statura
normale.
"Dopo
tutto,
non
siete
che
un
mazzo
di
carte!»
Non
aveva
ancora
finito
di
parlare,
quando
tutto
il
mazzo
di
carte
si
sollevò
in
aria
e
cominciò
a
volteggiarle
intorno
minaccioso.
Alice
ebbe
un
piccolo
grido,
un
po'
per
la
rabbia
e un
po'
per
la
paura.
Cercò
di
difendersi,
di
cacciarle
via
e...
si
risvegliò
sulla
riva
del
fiume:
aveva
il
capo
posato
sul
grembo
della
sorella,
la
quale
era
intenta
a
toglierle
dal
viso
le
foglie
secche
cadute
proprio
allora
da
un
albero.
"Svegliati,
Alice"
disse
la
sorella.
"Che
sonno
lungo
hai
fatto!"
"Oh,
che
strano
sogno
ho
fatto!"
mormorò
Alice.
E
raccontò
alla
sorella
le
strane
Avventure
che
avete
appena
finito
di
leggere.
Quando
poi
Alice
giunse
alla
fine
della
sua
storia,
la
sorella
la
baciò
dicendo:
"È
stato
davvero
uno
strano
sogno.
Ma
adesso
corri
a
far
merenda.
È
tardi".
Alice
si
alzò
e si
mise
a
correre
più
che
poteva.
Ma
intanto
pensava
ancora
al
suo
sogno
meraviglioso.
La
sorella
restò
lì,
seduta,
a
guardare
il
sole
che
tramontava.
Poi
appoggiò
la
testa
sulla
mano
e
pensò
alla
piccola
Alice
e
alle
sue
meravigliose
Avventure.
Allora
anche
lei
si
abbandonò
a un
sogno,
che
adesso
vi
racconto.
Sognò
la
piccola
Alice:
le
sue
manine
stringevano
le
ginocchia
della
sorella
e i
grandi
occhi
splendenti
erano
fissi
nei
suoi.
Udì
ancora
il
suono
festoso
della
sua
piccola
voce,
rivide
il
movimento
della
testa
che
gettava
all'indietro
i
capelli
ribelli,
ostinati
a
voler
sempre
ricadere
sugli
occhi.
Mentre
era
intenta
ad
ascoltare
la
voce
della
sorellina,
tutto
intorno
a
lei
si
popolò
delle
strane
creature
del
sogno
di
Alice.
L'erba
folta
si
incurvava
con
un
fruscio
sotto
il
passo
frettoloso
del
Coniglio
Bianco...
Il
Topo
spaventato
nuotava
in
cerca
di
una
via
di
scampo
nello
stagno
vicino...
si
sentiva
il
tintinnio
delle
tazze
da
tè
della
Lepre
Marzolina
e
dei
suoi
amici
durante
il
loro
pranzo
senza
fine...
la
voce
acuta
della
Regina
ordinava
l'esecuzione
dei
suoi
poveri
invitati...
il
Porcellino
starnutiva
sulle
ginocchia
della
strana
Duchessa,
mentre
i
piatti
e le
pentole
volavano
per
aria...
e
ancora
si
udì
nella
quiete
della
sera
il
grido
del
Grifone,
lo
stridere
del
gessetto
di
Bill,
gli
applausi
dei
‘tacitati’
Porcellini
d'India,
confusi
ai
lontani
singhiozzi
dell’infelice
Finta
Tartaruga.
Restò
così
seduta,
con
gli
occhi
chiusi,
e
quasi
credeva
anche
lei
di
trovarsi
nel
Paese
delle
Meraviglie.
Eppure
sapeva
che
sarebbe
stato
sufficiente
aprire
gli
occhi
per
tornare
alla
sbiadita
realtà
senza
fantasia
delle
persone
grandi.
L'erba
si
sarebbe
incurvata
solo
sotto
il
vento...
lo
spavento
del
Topo
nello
stagno
si
sarebbe
mutato
nel
fruscio
sordo
delle
canne...
il
tintinnio
delle
tazze
della
Lepre
Marzolina
nel
rumore
delle
campanelle
di
un
gregge
vicino...
gli
strilli
rauchi
e
fieri
della
Regina
nella
voce
di
un
esile
pastorello...
gli
starnuti
del
bimbo,
il
grido
del
Grifone,
e
tutte
le
altre
strane
voci
del
sogno,
si
sarebbero
mutate,
ne
era
certa,
nel
clamore
del
cortile
di
una
fattoria,
mentre
il
muggito
lontano
degli
armenti
si
sarebbe
sostituito
a
poco
a
poco
ai
disperati
singhiozzi
della
Finta
Tartaruga.
Alla
fine
tentò
di
immaginare
la
sua
sorellina
nel
tempo
in
cui
sarebbe
divenuta
donna:
avrebbe
conservato,
attraverso
gli
anni
più
maturi,
il
cuore
semplice
e
affettuoso
di
adesso?
Chissà
se
un
giorno
avrebbe
raccolto
intorno
a sé
altre
bambine,
per
fare
che
i
loro
occhi
brillassero
come
stelle
al
racconto
del
suo
(ormai
tanto
lontano)
viaggio
nel
Paese
delle
Meraviglie.
Chissà
se
avrebbe
saputo
partecipare,
ancora
con
lo
stesso
cuore,
ai
loro
piccoli
dispiaceri
e
alle
loro
semplici
gioie,
nel
ricordo
della
sua
vita
di
bambina
e
dei
suoi
felici
giorni
d'estate.
Lei
era
certa
che
Alice
ne
sarebbe
stata
capace.
Il
sogno
era
finito
e
come
dice
Dante
uscì
a
riveder
le
stelle...
fino
al
momento
in
cui
sarebbe
rientrata
nella
seconda
catarsi
dalla
realtà
quotidiana.
Prima
di
penetrare
il
miraggio,
ecco
un
paio
di
lettere
scritte
da
Lewis
Carroll
(talvolta
firmate
con
il
nome
originario
Charles
L.
Dogson),
un
lucido
spaccato
della
personalità
dello
scrittore-fotografo,
tanto
dolce
quanto
esigente
ed
ossessivo
nelle
sue
manie.
Ah,
bambina
mia,
bambina
mia!
perché
non
sei
mai
venuta
a
farti
fotografare
a
Oxford?
Otto
giorni
fa
ho
fatto
una
gran
bella
fotografia
ma
siccome
la
luce
è
molto
debole
in
questo
periodo
dell’anno,
la
mia
modella
(una
bambina
di
dieci
anni)
è
dovuta
restare
in
posa
per
un
minuto
e
mezzo.
Se
tu
trovassi
qualcuno
per
farti
accompagnare
sin
qui,
riuscirei
comunque
a
fotografarti.
Penso
di
restare
a
Oxford
fino
a
Natale.
A
che
serve
avere
una
sorella
maggiore
se
non
è
capace
di
accompagnarti
per
l’Inghilterra?
Dopo
Natale,
spero
di
andare
a
Londra
e di
accompagnare
alcune
bambine
a
vedere
le
pantomime.
Mia
prima
preoccupazione
sarà
quella
di
accompagnare
a
teatro
la
mia
amica
Evelyn
Dubourg
(i
suoi
genitori
mi
ospitano
quando
vado
a
Londra).
Dice
che
"si
conserva
piccola”
per
poter
uscire
con
me.
Non
è
ancora
grande
(compirà
sedici
anni
tra
una
settimana),
così
bisogna
perdonarla
se
ha
gusti
infantili.
Dopo
Evelyn,
sarei
molto
contento
di
portare
allo
spettacolo
due
di
voi
(10.12.1877).
Mia
cara
Florence,
quel
che
prova
la
vecchia
signora
che,
dopo
dato
da
mangiare
al
suo
canarino
ed
essersene andata a fare una passeggiata trova al suo ritorno la gabbia occupata da
un
tacchino
vivo;
quel
che
sente
il
vecchio
,signore
che,
dopo
aver
messo
alla
catena
la
sera
un
piccolo
fox-terrier,
la
mattina
seguente
trova
un
ippopotamo
che
fa
il
diavolo
a
quattro
nella
cuccia:
ecco
quel
che
provo
io,
quando
mentre
cerco
di
evocare
il
ricordo
di
una
bambina
che
sguazzava
nel
mare
di
Sandown,
mi
trovo
davanti
alla
stupefacente
fotografia
di
quello
stesso
microcosmo
bruscamente
sviluppatosi
in
una
grande
ragazza
che
io
non
oserei
guardare
neppure
con
l'aiuto
di
un
occhialino
che
sarebbe
senz'altro
necessario
per
farsi
un'idea
chiara
del
suo
sorriso
o,
almeno,
per
rendersi
conto
se
abbia
o no
delle
sopracciglia!
Uff!
Questa
lunga
frase
mi
ha
esaurito;
mi
resta
abbastanza
forza
per
dirti:
"Ti
ringrazio
sinceramente
delle
due
fotografie..."
Sono
atrocemente
parlanti.
Andrai
a
Sandown
l'estate
prossima?
C'è
una
piccola
probabilità
che
io
vi
passi
o
tre
giorni;
ma
per
ora
il
mio
quartier
generale
è
Eastbourne.
Con
tutto
il
mio
affetto
(10.2.1882).
Commenta
ancora
Oreste
Del
Buono
nella
prefazione
del
libro:
Con
la
sua
redingote
nera,
la
sua
cravatta
bianca,
i
suoi
occhi
dolci,
il
reverendo
Dodgson
era
sempre
a
caccia
di
sembianze
e
sorrisi
infantili
in
cui
cercava
di
recuperare
un
qualche
particolare,
una
qualche
sfumatura,
qualche
eco
della
piccola
amata:
per
facilitare
gli
approcci
si
portava
addirittura
dietro
una
valigetta
piena
di
giocattoli.
Naturalmente,
si
presentava
ai
genitori
delle
bambine
su
cui
si
appuntavano
i
suoi
occhi,
ne
entrava
in confidenza, finché poteva avanzare con disarmante timidezza il
suo
invito.
E
così
le
sue
nuove
piccole
amiche
(il
loro
numero
superò
il
centinaio)
facevano
il
loro
ingresso
da
sole
(senza
accompagnatori
adulti,
erano
le
tassative
condizioni)
nella
bella
casa
del
professore
di
matematica
a
Oxford.
Lì
lui
serviva
loro
con
compunzione
il
tè e
suonava
loro
infinite
volte
Santa
Lucia
alla
pianola,
le
ubriacava,
per
così
dire,
a
forza
di
doni,
improvvisazioni,
rappresentazioni.
Poi
arrivava
l'attimo
di
un
nuovo,
più
intimo
invito:
chi
voleva
salire
allo
studio?
Sopra
l'appartamento,
era
attrezzato
uno
studio
di
fotografo.
Le
nuove,
o
vecchie,
piccole
amiche
che
acconsentivano
venivano
allora
vestite
appositamente
da
Dodgson
perché
risultassero
più
pittoresche
e
attraenti.
Nelle
immagini
conservate
queste
bambinette
appaiono
in
Panni
di
mendicanti
come
Alice
Liddell
o di
cinesine
o di
turche
o
pescatrici,
con
espressioni
pensierose,
vagamente
sofferenti:
i
modi
di
Dodgson
erano
carezzevoli,
ma
come
fotografo
era
di
una
pignoleria,
di
una
esigenza
eccessive,
che
a
volte
spazientivano
le
modelle.
“Alice
nel
mondo
dello
specchio”.
Continua
la
meravigliosa
avventura
della
protagonista
Alice
insieme
alla
gatta
Kitty,
questa
volta
in
un
turbinio
di
mosse
del
complesso
gioco
degli
scacchi.
Mentre
Alice
stava
a
sedere
rannicchiata
in
un
angolo
della
grande
poltrona,
un
po'
parlando
a se
stessa
e un
po'
dormendo,
la
gattina
aveva
cominciato
a
giocare
sfrenatamente
col
gomitolo
di
lana
che
Alice
s'era
affaticata
ad
avvolgere
e lo
aveva
fatto
rotolare
in
su e
in
giù,
finché
il
gomitolo
s'era
nuovamente
disfatto
del
tutto
ed
ora
lo
si
vedeva
sparpagliato
sul
tappeto
accanto
al
caminetto,
diventava
tutto
nodi
e
grovigli,
mentre
la
gattina
vi
scorrazzava
sopra
inseguendo
la
sua
coda
...
Quando
io
ho
detto:
‘Scacco’
tu
hai
fatto
le
fusa.
Sì,
era
uno
scacco
davvero
bello,
Kitty,
ed
avrei
potuto
vincere
se
non
fosse
stato
per
quello
stupido
cavallo
che
è
sceso
a
far
strage
fra
i
miei
pezzi
...
Riferirò
qualche
frase
del
discorso
di
Alice
alla
gattina:
Facciamo
finta
che
tu
sia
la
Regina
Rossa,
Kitty!
Credo
che
se
ti
alzerai
sulle
zampe
e
piegherai
le
zampette,
sembrerai
identica
a
lei.
Via,
proviamo!
E
Alice
prese
dal
tavolo
la
Regina
Rossa
e la
mise
davanti
alla
gattina
perché
questa
la
imitasse:
naturalmente
la
gattina
non
ci
riuscì,
soprattutto,
disse
Alice,
perché
non
sapeva
piegare
le
zampette
nella
maniera
giusta.
Allora,
per
punirla,
la
portò
davanti
allo
specchio
perché
potesse
vedere
come
fosse
una
buona
a
nulla
e
aggiunse:
Se
non
riesci
subito,
ti
getterò
nella
Casa
che
si
vede
nello
Specchio.
Ti
piacerebbe?
Ecco,
se
avrai
un
po'
di
pazienza
e
non
parlerai
troppo,
ti
dirò
quello
che
penso
della
Casa
che
è
nello
Specchio.
In
primo
luogo
c’è
la
stanza
che
si
vede
attraverso
il
vetro,
identica
al
nostro
salotto
ma
con
gli
oggetti
disposti
al
contrario.
Se
salgo
su
una
sedia,
riesco
a
vederla
tutta,
all'infuori
di
quel
pezzo
che
è
dietro
il
caminetto
...
Facciamo
finta
che
ci
sia
un
modo
di
entrare
dentro,
Kitty.
Facciamo
finta
che
lo
specchio
sia
soffice
come
una
garza,
così
che
possiamo
attraversarlo.
Anzi,
penso
che
adesso
si
stia
trasformando
in
una
specie
di
nebbia.
Sarà
abbastanza
facile
attraversarlo
...
Mentre
diceva
queste
cose,
Alice
era
salita
sulla
cornice
del
caminetto
e
lei
stessa
non
riusciva
a
rendersi
ben
conto
di
come
fosse
arrivata
sino
lì.
A un
certo
momento
il
vetro
cominciò
a
liquefarsi
e
diventò
come
una
lucida
nebbia
d'argento.
Poco
dopo
Alice
passò
attraverso
il
vetro
e
saltò
in
punta
di
piedi
nella
stanza
dello
Specchio.
Ecco
il
nuovo
fantastico
mondo
da
ideare
al
quale
Lewis
si
accinge
per
avvicinarsi
ancora
di
più
all’età
infantile.
Ecco
dunque
presentarsi
sulla
scacchiera
dell’utopia
le
Pedine,
i
Cavalli,
le
sagome
del
Re e
della
Regina
nelle
due
sembianze
antagoniste,
lo
strano
paesaggio
dove
i
quadrati
del
gioco
sono
divisi
da
ruscelli
attraversati
da
ponticelli
come
se
su
un
palcoscenico
gigante
si
svolgesse
una
reale
partita
a
scacchi.
Strani
incontri
enfatizzati
come
Pizzicotto
e
Pizzichino
–
contornati
da
Ostriche,
Falegname,
Tricheco,
Corvo,
Tombolo
Dondolo
–
ognuno
dei
quali
sostiene
le
proprie
ragioni
per
esistere,
un
insieme
di
personaggi
creati
ex
novo
dalla
mente
fervida
del
reverendo.
Il
racconto
prosegue
con
la
pecora-commessa
in
una
piccola
bottega-bazar
dove
la
merce
nei
cassetti
scompariva
all’avvicinarsi
di
Alice,
insomma
un
insieme
di
immaginifiche
visioni
tipiche
di
poeti
e
favolisti:
Un
attimo
dopo
apparvero
dei
soldati
che
correvano
per
il
bosco,
prima
a
due
a
due,
poi
a
tre
a
tre,
poi
a
dieci
o
venti
alla
volta
e
infine
divennero
una
folla
così
enorme
che
sembrarono
abbattere
la
foresta.
Alice
si
nascose
dietro
un
albero,
per
paura
di
essere
travolta,
e
aspettò
che
se
ne
andassero.
In
tutta
la
sua
vita
non
aveva
mai
visto
dei
soldati
che
si
tenessero
in
piedi
così
male:
inciampavano
sempre
in
qualche
cosa
e,
non
appena
uno
di
loro
cadeva,
molti
altri
gli
cadevano
addosso
tanto
che,
ben
presto,
il
suolo
fu
ricoperto
di
piccoli
mucchi
di
uomini.
Allora
arrivarono
i
cavalli.
Siccome
avevano
quattro
zampe,
essi
si
reggevano
in
piedi
meglio
dei
soldati.
Però
ogni
tanto
ce
n'era
qualcuno
che
inciampava.
Allora,
immancabilmente,
non
appena
il
cavallo
inciampava,
il
cavaliere
cadeva
a terra. La confusione aumentava di minuto in minuto e Alice
pensò
bene
di
andarsene
in
un
posto
più
spazioso
dove
trovò
il
Re
Bianco
seduto
a
terra
e
intento
a
scrivere
febbrilmente
sul
suo
quaderno.
In
un
vecchio
trattato
di
psicopatia
sessuale
si
afferma
che
la
pedofilia
si
ancora
col
feticismo,
una
tesi
che
potrebbe
adattarsi
al
gusto
per
l’immagine
fantastica
–
sia
fotografica
che
letteraria
– di
Carroll.
Nulla
fa
supporre
che
nel
legame
instaurato
con
il
mondo
sprovveduto
a
lui
caro
si
siano
varcati
i
limiti
della
decenza.
A
noi
ha
lasciato
la
testimonianza
di
una
creatività
tanto
più
valida
quanto
più
inventiva,
innocente
perché
non
nascosta;
infatti
nelle
lettere
scritte
alle
bambine
non
tralascia
di
completarle
con
I
miei
più
cari
saluti
a
tua
mamma
e a
tuo
papà,
un
chiaro
indice
di
rapporti
aperti
e
leali.