N. 111 - Marzo 2017
(CXLII)
DAL
LEVIATANO
ALL’ESTABLISHMENT
DALLA
PACE
DI
VESTFALIA
AGLI
ANNI
sessanta
di
Norberto
Soldano
Il
concetto
moderno
di
Stato-Nazione
si
consolida
dopo
la
Pace
di
Vestfalia.
L’evento,
già
di
per
sé
estremamente
significativo,
si
colloca
in
un
momento
storico
delicato
per
il
nostro
continente.
Pietra
miliare
della
storia
europea
e
fase
cruciale
dell’età
moderna,
sotto
la
denominazione
“Pace
di
Vestfalia”
si
indicano
i
due
trattati
che
nel
1648
posero
fine
alla
guerra
dei
Trent'anni.
Con
la
pace
di
Vestfalia
si
afferma
inderogabilmente
il
principio
del
rispetto
della
sovranità
degli
Stati
nazionali.
Nasce
lo
Stato
moderno
e
viene
concretizzandosi
l’idea,
fino
a
quel
momento
recepita
come
pura
astrazione,
di
sovranità
nazionale,
ovvero
l’esercizio
monopolistico
del
potere
dell’autorità
politica
statale
su
un
territorio
e
una
popolazione
determinati.
Secondo
Max
Weber,
il
padre
della
sociologia
moderna,
per
Stato
deve
intendersi
«un'impresa
istituzionale
di
carattere
politico
in
cui
l'apparato
amministrativo
avanza
con
successo
una
pretesa
di
monopolio
della
coercizione
della
forza
legittima
in
vista
dell'attuazione
degli
ordinamenti».
Nella
visione
di
Hobbes,
«lo
Stato
rappresenta
l'istanza
unitaria
e
sovrana
di
neutralizzazione
dei
conflitti
sociali
e
religiosi».
L’ordinamento
giuridico
è un
elemento
costitutivo
dello
Stato.
Sotto
il
profilo
normativo,
l’autorità
statale
coincide
perfettamente
con
l’idea
stessa
di
ordinamento
giuridico.
Per
dirla
à la
John
Searle
«l’ordinamento
giuridico
è
l’insieme
dei
fatti
istituzionali
che
risultano
giuridicamente
rilevanti,
è il
custode
della
forza
giuridica
di
un
determinato
contesto
sociale».
Nel
dibattito
giuridico
filosofico,
a
lungo,
si è
dibattuto
sul
rapporto
tra
l’ordinamento
giuridico
e i
destinatari
delle
norme
giuridiche.
Si è
riflettuto
sulla
natura
delle
norme,
sul
fondamento
dell’ordinamento
giuridico,
sui
criteri
che
garantiscono
la
legittimazione
dello
stesso.
Il
filosofo
del
diritto,
Hans
Kelsen,
negli
anni
’30
del
secolo
scorso,
considerava
i
destinatari
del
diritto
come
dei
«meri
centri
di
imputazione
e di
interesse,
dei
portatori
di
interessi
giuridicamente
rilevanti».
Egli
considerava
l’ordinamento
giuridico
un
oggetto
che
si
dà
allo
sguardo.
La
teoria
di
Hans
Kelsen,
come
quella
del
suo
allievo
Half
Ross,
è
ricondotta
alle
teorie
“oggettualiste”
del
diritto.
Le
teorie
del
diritto
“non
oggettualiste”
rifiutano
la
definizione
dei
destinatari
del
diritto
fornita
da
Hans
Kelsen.
Per
Herbert
Hart
e
Guglielmo
Carcaterra
i
destinatari
delle
norme
giuridiche
si
configurano
come
“osservatori”,
interni
e
partecipanti
che
guardano
l’ordinamento
giuridico
non
più
dall’esterno.
Possiamo
rendere
efficacemente
questa
distinzione
con
una
metafora
visiva.
Immaginate
dei
turisti
italiani
in
Egitto.
I
turisti
di
Kelsen
nei
pressi
di
una
piramide
si
limiteranno
a
recepire
le
informazioni
della
guida
accompagnatrice,
il
turista
di
Ross
scatterà
delle
fotografie
dall’esterno
della
piramide
cercando
di
focalizzare
al
meglio
l’obiettivo,
i
turisti
di
Hart
e
Carcaterra
saranno
nei
cunicoli
della
piramide
a
studiare
i
percorsi
ed
effettuare
nuovi
scavi
insieme
agli
archeologi.
Quella
piramide
è
l’ordinamento
giuridico.
«Mosche
nella
bottiglia»
per
dirla
à la
Wittgenstein.
Nella
loro
mutata
prospettiva,
i
destinatari
delle
norme
sono
i
protagonisti
di
quell’articolato
gioco
sociale
che
è il
diritto,
concorrono
alla
stesura
e
alla
determinazione
delle
stesse.
Estremamente
rivoluzionaria
nel
panorama
giuridico
filosofico
è
stata
la
teoria
di
Herbert
Hart,
nella
quale
il
diritto
si
presenta
come
una
prassi,
le
norme
giuridiche
come
delle
proposizioni
di
linguaggio
con
una
struttura
semanticamente
aperta,
il
cui
significato
lo
si
ricava
dall’uso,
dall’interpretazione.
Emerge
una
chiara
dimensione
costitutiva
del
diritto
nella
sua
teoria.
Se
per
Kelsen
la
sanzione
era
l’elemento
caratteristico
del
diritto,
per
Ross
l’efficacia,
è la
costitutività
l’aspetto
peculiare
e
denotativo
del
diritto
nella
teoria
di
Hart.
Una
teoria
democratica
che
pone,
non
a
caso,
a
fondamento
dell’ordinamento
giuridico,
le
“norme
di
riconoscimento”,
quelle
norme
che
sono
da
noi
convenzionalmente
poste
per
legittimare
l’ordinamento
giuridico
e
sono
costitutive
dell’intero
sistema
normativo.
Nella
seconda
metà
del
Novecento,
il
processo
di
democratizzazione
operando
a
trecentosessanta
gradi
si è
gradualmente
andato
radicandosi
nella
nostra
società,
fino
a
condizionarne
i
meccanismi.
Persino
in
alcuni
supermercati
si è
colta
la
necessità
di
coinvolgere
il
cliente
e
renderlo
protagonista
delle
scelte
di
marketing
assunte
per
l’esercizio
dell’attività
commerciale.
Emblematica
da
questo
punto
di
vista
è
stata
la
politica
portata
avanti
con
successo
dalla
Cooperativa
di
Consumatori,
meglio
nota
come
“Coop”.
La
tessera
come
socio
“Coop”
consente,
ad
oggi,
non
soltanto
di
esprimere
il
proprio
gradimento
o
disapprovazione
per
la
qualità
dei
prodotti
in
vendita,
ma
di
intervenire
e
contribuire
concretamente,
mediante
proposte
e
suggerimenti,
insieme
agli
altri
tesserati
soci
nel
miglioramento
dei
servizi
offerti
dal
centro
commerciale.
L’espressione
divenuta
poi
slogan,
adoperata
negli
spot
pubblicitari,
“la
Coop
sei
tu”
offre
uno
spaccato
significativo
di
questa
realtà.
Cosa
è
accaduto
negli
anni
’60
del
secolo
scorso?
I
diritti
umani
sul
piano
culturale,
la
nascita
delle
prime
grandi
organizzazioni
internazionali,
da
un
punto
di
vista
prettamente
politico
ed
istituzionale,
e il
rapporto
sempre
più
districato
e
contorto
fra
la
politica
e
l’economia
ha
decretato,
quale
dolorosa
sentenza,
l’inizio
della
lenta
e
inesorabile
crisi
degli
Stati
nazionali.
Lo
sviluppo
di
un
mercato
autoregolamentato,
deregolato,
nonché
svincolato
dai
vincoli
statali
e la
trasformazione
del
concetto
di
impresa
hanno
contribuito
in
misura
notevole
al
depauperamento
di
quelle
funzioni
che
erano
state
fino
a
quel
momento
prerogativa
degli
organismi
statali.
Da
un
lato
il
processo
di
democratizzazione,
dall’altro
lo
sgretolamento
delle
realtà
statali.
A
complicare
questo
quadro
una
miriade
di
cambiamenti.
La
società
si è
di
fatto
trasformata
sulla
prospera
scia
del
“boom
economico”.
Dalla
semplicità
alla
complessità
il
volo
è
stato
rapido.
Quasi
pindarico.
Le
insegne
artigianali
delle
attività
commerciali
sono
state
celermente
sostituite
dalle
fabbricazioni
industriali
favorite
dalle
prime
forme
di
digitalizzazione.
Dopo
l’89
e la
caduta
del
muro
di
Berlino
anche
gli
equilibri
nel
mondo
sono
cambiati.
“La
storia
si
riapre”
fu
il
titolo
dell’editoriale
del
giornalista
Biagio
de
Giovanni
su
l’Unità
quella
mattina
del
12
novembre
del
1989.
Da
un
mondo
bipolare,
dalla
rigida
contrapposizione
dei
due
blocchi,
si è
scivolati
quasi
senza
accorgersene
in
un
mondo
multipolare.
Un
mondo
multipolare
in
cui,
economicamente
parlando,
almeno
per
ora,
ciascuna
potenza
fa
valere
i
propri
muscoli
sulle
altre.
Senza
dimenticare
la
globalizzazione,
l’avvento
di
Internet.
Ed
eccoci
nella
società
postmoderna,
dalle
sviluppatissime
telecomunicazioni
e
tecnologie.
Se
nel
corso
del
Novecento
i
diktat
erano
“giustizia”,
“equità”,
“uguaglianza”,
“sicurezza”,
la
parola
chiave
del
nuovo
millennio
sembra
essere
“stabilità”.
Obsoleto
ed
anacronistico
sarebbe
oggi
studiare
l’ordinamento
giuridico
e la
natura
delle
norme.
Oggetto
del
nostro
studio
e
approfondimento
individuale
sono
infatti
le
complesse
strategie
di “Governance”.
Un
concetto
della
postmodernità
che
non
ha
un
fondamento
ontologico.
In
un
sistema
di
“governance”
l’ordinamento
giuridico
è
soltanto
la
parte
di
un
tutto,
come
i
singoli
arti
nel
nostro
corpo
umano.
La
politica
è
ormai
un
pezzo
del
puzzle,
non
più
l’intero
mosaico.
Dove
risiede
la
cabina
di
comando
in
un
articolato
sistema
di “governance”?
Veniamo
dunque
al
nocciolo
della
questione.
Se
il
potere
non
appartiene
più
in
esclusiva
al
Popolo,
chi
ne
detiene
il
restante?
Chi
lo
custodisce
gelosamente
e in
quali
segrete
stanze?
È
una
società,
quella
postmoderna,
in
cui
va
facendosi
strada
l’utopia
di
un
mondo
“confortevole”
senza
sacrifici
e
amarezze.
La
tecnologia
si
sta
rivelando
un’arma
a
doppio
taglio.
Se
da
un
lato,
facilita
l’uomo
nello
svolgimento
del
proprio
lavoro,
dall’altro
si
dichiara
favorevolmente
disposta
a
sostituirlo
nelle
sue
mansioni
condannandolo
così
irrimediabilmente
alla
disperazione
della
disoccupazione.
Le
macchine
stanno
prendendo
il
posto
degli
scalpellini,
i
personaggi
del
presepe
dell’Ikea
i
preziosi
prodotti
di
cartapesta
degli
abili
artigiani
salentini,
gli
sportelli
computerizzati
all’avanguardia
dei
disponibili
e
cortesi
operatori
dei
banchi
postali.
Se a
cavallo
fra
la
fine
del
‘600
e
l’inizio
del
’700
la
paura
spingeva
l’essere
umano
ad
identificarsi
nella
mostruosa
figura
del
Leviatano,
a
legittimarne
l’autorità
cedendo
parte
della
propria
libertà
in
cambio
del
diritto
alla
vita
mediante
la
stipulazione
del
“contratto
sociale”,
oggi
lo
sforzo
sembra
essere
meno
esoso
per
ottenere
la
garanzia
dei
propri
standard
quotidiani.
Si è
passati
dal
Leviatano
di
turno
all’Establishment.
Dal
gettonato
motto
“sicurezza
e
ordine”
risalente
molto
indietro
nel
tempo
all’età
augustea
della
storia
romana
all’hashtag
“stabilità”.
La
forma
è
mutata,
ma
non
la
sostanza.
Anche
l’Establishment
ha
un
prezzo
da
pagare:
la
sterilizzazione
della
propria
volontà
politica.
L’Establishment
si
dà
allo
sguardo
del
cittadino.
Il
regresso
agli
anni
’30
del
Novecento
è
innegabile.
Questo
lo
snodo
fondamentale
della
nostra
riflessione
e il
provvisorio
punto
d’approdo
della
nostra
ricostruzione
storica.
Inutile
negarlo.
La
nostra
democrazia
sta
cedendo
il
passo
alle
strette
cerchie
oligarchiche.
I
nazionalismi,
le
politiche
protezioniste,
le
cosiddette
“forze
antisistema”
sembrano
rappresentare
attualmente
la
risposta
più
gradita
a
questo
fenomeno.
Negli
anni
’60
ci
siamo
imbattuti
in
una
strada
principale
mai
percorsa
per
di
più
senza
una
meta
precisa,
le
cui
uscite
secondarie,
inesplorate
fino
a
quel
momento,
non
sono
state
ancora
registrate
dai
cartografi
sulle
mappe
geografiche.
Al
fine
di
scongiurare
nuove
possibili
scelte
avventate
e
pericolosi
retromarcia,
sarà
pertanto
caldamente
consigliato
di
procurarsi
un
aggiornato
TomTom.