N. 20 - Gennaio 2007
IL MIO AMORE PER DAUN'KA
La vita privata del Nobel Lev Landau
raccontata da sua moglie
Kòra
di
Leila Tavi
Quando il famoso fisico teorico Lev Landàu incontra,
nel 1934, quella che sarà la sua futura moglie Kòra a
Khàrkov, l’attuale Khàrkiv, in Ucraina, non ha ancora
mai, all’età di 26 anni, baciato una ragazza.
Landàu, o Dau, come sono soliti chiamarlo i suoi
amici, è conosciuto tra i suoi studenti e tra i fisici
di tutto il mondo come un genio della scienza, un
allievo di Niels Bohr, un ragazzo che a soli 22 anni è
in grado di confutare e migliorare le tesi del grande
Albert Einstein.
La sua carriera è brillante: nel 1922 a soli 14 anni
entra all’Università di Baku, la città in cui è nato;
nel 1924 si trasferisce a Lenigrado, dove si laurea
nel 1927 a 19 anni, dopo la pubblicazione del sul
lavoro sulla teoria quantistica.
Landàu si oppone fermamente alla decisione del padre,
un ingegnere petrolifero, che vorrebbe per il figlio
un futuro come affermato pianista.
Nel 1929 parte per l’Europa con un sussidio del
governo sovietico, integrato da una borsa di studio
della Fondazione Rockfeller; in questa occasione
incontra il suo maestro Bohr.
Questo è l’unico viaggio di Landàu fuori dell’Unione
sovietica.
Tornato in patria nell’estate del 1932 si trasferisce
a Khàrkov, dove è nominato direttore della Divisione
teorica dell’UFTI, l’Istituto Ucraino di Fisica
Tecnica e dove conosce, due anni dopo, Kòra.
In un documento del tempo è scritto, dopo pochi mesi
dall’arrivo di Lev Landàu:
“Mosca, Cremlino.
Al compagno Stalin
L’UFTI in seguito ad un lavoro impegnativo per il XV
anniversario d’Ottobre ha ottenuto i primi successi
nella distruzione di un nucleo dell’atomo. Il 10
ottobre [1932] l’equipe d’alto prestigio ha distrutto
un nucleo di litio. I lavori proseguono.”
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb – fonte non citata
nel testo]
Dopo l’arrivo di Landàu a Khàrkov l’UFTI diventa uno
dei centri più importanti al mondo per lo studio della
fisica; Landàu vi lavora fino al 1937.
Lev Davìdovich, odia essere chiamato con il suo nome;
lev significa in russo “leone”, ma il fisico
teorico non si vede proprio come un felino maestoso e
aggressivo: le sue mani sono affusolate ed egli è
esile e slanciato, non certo massiccio come un leone,
allora chiede a tutti, anche ai suoi studenti, di
essere chiamato Dau, un soprannome in cui si
riconosce.
Il fisico scherza sul fatto che il suo nome letto alla
francese suona come “l’asino Dau”, l’ane Dau.
-
E’ un nome miserevole, un nome d’animale.
-
E’ il nome del nostro miglior scrittore. [Lev Tolstòi]
-
E’ la mia unica consolazione
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro E´così
che vivevamo di Kòra Landàu-Dobràntseva]
Dau si perde nelle sue formule per ore e ore dimentica
anche di mangiare, ma nei suoi occhi brilla una luce
particolare, una luce che colpisce Kòra Dobràntseva
sin dal loro primo incontro, durante una festa
universitaria.
Kòra crede sin dal primo momento di vedere un essere
che viene dal futuro, un uomo che vive su un altro
pianeta, in un’altra dimensione, come più tardi anche
il poeta russo Nikolài Asèev scriverà:
Come un grande spirito alato
Da un altro pianeta qui giunto
Di segni ed oggetti contornato
E a un grande bagliore congiunto
Voi stesso di questo sfavillio
Raggio simile a un dardo rutilante
A cent’anni luce con brio
Tornate sulla terra sfavillante
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro E´così
che vivevamo di Kòra Landàu-Dobràntseva]
Lev Landàu, durante tutta la sua vita, ama ricordare
che il giorno del suo compleanno, il 22 gennaio, è
anche quello in cui è nato, 120 anni prima di lui, il
grande poeta Lord Byron.
Nel giorno dei sul compleanno i suoi colleghi usano
regalargli delle icone in cui, al posto della testa
dei santi, vi è la sua e, al posto delle sacre parole,
compaiono formule matematiche.
Nonostante la sua famiglia sia di religione ebraica
Dau si dichiara un non credente.
L’amore per la lettura e per la poesia riempiono
l’animo di Landàu e sono per lui il naturale
completamento della scienza, una scienza che non deve
scendere a compromessi né con la politica, né con la
religione.
Il fisico teorico non è soggiogato dal potere
personale o dalla ricchezza, rimane un animo puro, che
non si lascia mettere al giogo dal comunismo, ma nello
stesso tempo rifiuta di emigrare negli Stati Uniti
dove, secondo lui, lavorerebbe per i “pescecani del
capitalismo”.
E’ uno spirito indipendente; sul suo tesserino di
riconoscimento porta al posto della sua foto quella di
una scimmia ritagliata da una rivista e si lamenta con
i guardiani dell’istituto, se con quel documento non
lo fanno passare.
Nei corridoi dell’Istituto tutti cercano di fermare
Dau, fargli domande, chiedergli spiegazioni, ma egli
non vuole essere disturbato, nessuno deve osare
interrompere il filo dei suoi pensieri, è come in
trance: la scienza è la sua linfa vitale.
Sulla porta del suo studio di Khàrkov è appeso un
cartello con la scritta: “Lev Landàu. Attenzione
morde!”.
C’è solo una cosa terrena che può distogliere Landàu
dalle sue formule e i suoi calcoli: la bellezza
femminile!
Dau è un vero e proprio estimatore di belle donne, i
suoi colleghi lo chiamano perfino “maomettano” per
questa sua passione.
Dau ribatte di essere un “bellista”, in una donna non
apprezzava l’anima, l’ama semplicemente per la sua
bellezza.
Della bellezza femminile Landàu fa una classifica;
durante il tempo libero era un suo passatempo
inventare classifiche di ogni tipo.
La classifica delle donne:
-
classe = a questa apparteneva la stella del cinema
tedesco Anny Ondra, una bionda dagli occhi grigi del
tipo Marilyn Monroe. Se la osservi ti è impossibile
poi distoglierli lo sguardo.
-
classe = bionde carine con il naso all’insù.
-
classe = niente di speciale. Non sono però così
brutte, ma si può anche far a meno di guardarle.
-
classe = meglio non guardarle. Non sono pericolose
per la gente, ma impauriscono i cavalli.
-
classe = prive di interesse. Non si prova voglia di
guardarle. Un rimprovero ai genitori
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb]
Null’altro se non la bellezza lo colpisce delle donne,
con ironia dichiara che se fosse stato una donna, con
tutti i problemi che hanno le donne, non avrebbe
potuto dedicarsi alla fisica.
Della sua “Korùsha” apprezza le belle gambe, gli occhi
verdi, che quando piange diventano grigio chiaro, il
fare leggiadro, il gusto in cui si abbiglia, ma non va
mai oltre.
La ritiene una bella bambola e Kòra, pur vantando una
laurea in chimica a pieni voti, rifiuta un’
aspirantura, il titolo russo tra la laurea e il
dottorato, per restare accanto all’amato.
Pensa solo a scegliere le stoffe più vivaci, di
taffettà, raro in Unione sovietica, così da rendere
Landàu orgoglioso quando, alla vista di Kòra, gli
uomini per la strada si voltano.
Kòra ha un solo difetto agli occhi del fisico: non sa
civettare come ogni bella donna che si rispetti
dovrebbe.
Ma delle sue opinioni non si cura, non ama passare il
tempo con la bella ragazza discorrendo; infastidito le
corregge la pronuncia di “dollàro” in “dòllaro”.
Non le tiene nascosto che, anche se adesso non ha
occhi che per lei, presto vorrà avere avventure con
altre donne e si augura, che anche per lei verranno
affascinanti ammiratori per farla sognare.
Per Dau il matrimonio è un “mortimonio” [In russo il
gioco di parole è con il termine brak, che
significa sia matrimonio che rifiuto] e due amanti per
poter vivere insieme tutta la vita devono rispettarsi
l’un altro e, soprattutto, rispettare la libertà
dell’altro, anche in questioni di cuore: questo è il
patto di non aggressione.
Uguale quante donne
ancora Dau avrà, nessuna potrà sostituire nel suo
cuore il posto di Kòra; il fisico ama ricordare che la
sua vita è stata segnata solo da un grande evento,
l’incontro con la signorina Dobràntseva.
Da quel momento esiste un prima e un dopo Kòra.
Alla donna Landàu spiega che la gelosia è un
sentimento infimo, che non si addice alla natura
dell’essere umano.
Nel 1937 si trasferisce al kapìchnik, così è
soprannominato tra gli studenti l’Istituto di problemi
fisici di Mosca, diretto da Piòtr Leonìdovich Kapìtsa,
che chiama Landàu per salvarlo dalle persecuzioni nei
confronti del gruppo di scienziati che lavorano a
Khàrkov.
Nello stesso anno sposa Kòra, trasgredendo al suo
patto di “non aggressione in amore”, la sua teoria
massima in fatto di rapporti con l’altro sesso.
Stàlin fa morire nelle camere di tortura quasi tutti i
colleghi di Landàu, tra cui Iàkov Ivànovich Bessaràb,
fucilato il 23 settembre 1937 a soli 37 anni. La
figlia Màia, nipote acquisita di Landàu, descrive in
un breve scritto dedicato al suo amato zio, intitolato
Così diceva Landàu, le sofferenze e i soprusi
inflitti dal regime sovietico agli scienziati di quel
tempo.
Landàu ama profondamente la sua patria e non fugge mai
dall’Unione sovietica, nonostante l’infame accusa di
essere una spia tedesca, con cui è arrestato e
condannato al carcere per un anno nel 1938.
L’arresto avviene la notte del 28 aprile 1938; Landàu
sta lavorando sui fondamenti teorici della
superliquidità dell’elio liquido, studio per cui verrà
insignito nel 1962 del premio Nobel.
Negli anni ’30 a Mosca tutto fa pensare che sta per
essere preparato un processo ai fisici della portata
di quello in cui verranno condannati nel 1952 i medici
coinvolti nel complotto contro Stàlin.
A firmare l’ordine di arresto nei confronti di Landàu
è il vice del Commissariato del popolo degli interni,
Mikhaìl Frinòvski, soprannominato il “super boia del
regime stalinista”.
Durante l’anno di carcere Laudàu non cede a
compromessi e, soprattutto, non firma la dichiarazione
di colpevolezza.
“Ma non potrò mai firmare una dichiarazione in cui
affermo di essere una spia tedesca! Basterà che
riflettiate sul fatto che io, pur essendo ebreo, per
tutta la vita non mi sono fidanzato che con ragazze
ariane e questo è severamente proibito dai nazisti
tedeschi”.
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro E´così
che vivevamo di Kòra Landàu-Dobràntseva]
Landàu non perde mail il suo umore, neanche davanti
agli aguzzini del KGB.
Si salva da morte sicura grazie all’intercessione di
Bohr e di Kapìtsa.
Trascriviamo qui alcune lettere inviate dal capo
dell’Istituto di problemi fisici:
“P. L. Kapìtsa a I. V. Stàlin
28 aprile 1938, Mosca
Compagno Stàlin!
Stamattina hanno arrestato il collaboratore
scientifico dell’Istituto L.D. Landàu. Nonostante i
suoi 29 anni egli, come Fok [Vlàdimir Aleksàndrovich
Fok, anche salvato dalla prigione insieme a I. V.
Obreìmov da Kapìtsa], è uno dei nostri fisici più
eminenti qui nell’Unione sovietica. I suoi lavori sul
magnetismo e sulla teoria quantistica sono citati
spesso sia nella nostra letteratura scientifica che in
quella straniera. L’anno scorso ha pubblicato un
magnifico saggio con cui è il primo ad indicare una
nuova fonte d’energia stellare d’emissione di luci. In
questo lavoro si giunge alla possibile soluzione del
problema “del perché l’energia del Sole e delle stelle
non si attenua notevolmente con il tempo e non s’è
esaurita fino ai nostri giorni” Bohr e altri eminenti
scienziati prevedono un grande futuro per le sue idee.
Non c’è dubbio che la perdita di Landàu per il nostro
istituto, per la scienza sovietica e per quella
mondiale sarà molto avvertita e non passerà
inosservata. Certo, l’istruzione e il talento per
quanto grandi siano non danno ad una persona il
diritto di trasgredire le leggi del proprio Paese, e
se Landàu è colpevole deve risponderne. Ma io vi prego
tanto, tenendo presente il talento eccezionale di
Landàu, di dare disposizioni tali da far sì che il suo
caso sia esaminato con molta attenzione. Mi sembra
anche opportuno tener presente il carattere di Landàu
che, detto in maniera semplice, è un cattivo
carattere. Egli è un attaccabrighe, ama andare a
caccia d’errori e quando li trova, specialmente nei
lavori dei nostri anziani colleghi e dei nostri
accademici, si mette a molestarli senza nessun
riguardo. E per questo motivo s’è fatto molti nemici.
Nel nostro istituto non è stato facile lavorare con
lui, ma è stato possibile persuaderlo a diventare
migliore. Gli ho perdonato il modo di comportarsi per
il suo talento eccezionale. Ma nonostante tutti i suoi
difetti di carattere mi è molto difficile credere che
Landàu sia capace di commettere qualcosa di disonesto.
Landàu è giovane ed è prevedibile che otterrà ancora
tanto nel campo scientifico. Nessun altro scienziato
potrà scrivervi di tutto questo, perciò sono io a
scrivervelo.
P. Kapìtsa”
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb]
Questa lettera, pur non sortendo nessun effetto, dà
inizio alla sfida contro il regime sovietico da parte
dei fisici Kapìtsa e Bohr per la liberazione di Landàu.
Qui la lettera di Bohr a Stàlin:
“Soltanto la mia eccezionale gratitudine per la
collaborazione attiva e feconda con gli scienziati
dell’Unione Sovietica, collaborazione che ho la
fortuna di avere già da anni, e l’impressione
indimenticabile che mi ha lasciato durante i tanti
miei viaggi nell’Unione Sovietica l’entusiasmo con cui
vi si conducono e si sostengono le ricerche
scientifiche mi spingono ad attirare la vostra
attenzione su uno dei più eminenti fisici della nuova
generazione – il professore L. D. Landàu dell’Istituto
dei Problemi della Fisica dell’Accademia Sovietica
delle Scienze.
Il professor Landàu ha conquistato la riconoscenza del
mondo scientifico non soltanto con una serie di lavori
notevoli sulla fisica dell’atomo. Con la propria
entusiasmante influenza sui giovani studiosi egli ha
contribuito in modo risolutivo alla creazione
nell’URSS della scuola di fisici teoretici che ha
fornito gli indispensabili operatori ai laboratori da
poco costruiti e così generosamente attrezzati, in cui
oggi si conducono meravigliose ricerche sperimentali
in tutti gli angoli dell’URSS. […] Non posso
immaginare che il professor Landàu, al cui testa è
occupata soltanto da pensieri sulla fisica teorica,
abbai fatto qualcosa che possa giustificare il suo
arresto. […] Deve continuare il lavoro di ricerca
tanto importante per il progresso dell’umanità.
N. Bohr”
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb]
Il caso Landàu, il n. 18746 è gestito dal sottotenente
del servizio dei sicurezza statale Efimenko, giudice
istruttore della seconda sezione della Direzione
principale della Sicurezza statale del Commissariato
del popolo degli interni.
Kapìtsa è invitato da Molotov per un breve colloquio
in cui gli è data la possibilità di indirizzare un suo
parere per iscritto circa il caso Landàu alla
direzione del KGB.
Egli parla con Merkùlov e Kobùlov; è in questa
occasione che si pensa a una scarcerazione di Landàu,
che sarebbe tornato in libertà sotto la responsabilità
di Kapìtsa.
Liberarlo semplicemente significherebbe ammettere di
aver sbagliato e i vertici del KGB non lo potrebbero
ammettere pubblicamente.
Al suo ritorno dalla Lubìanka Kapìtsa scrive la
seguente lettera:
“P. Kapìtsa a L. P. Bèria
Il 26 aprile 1939
Vi prego di liberare dall’arresto il professore di
fisica Lev Davìdovich Landàu sotto la mia personale
responsabilità.
Garantisco al KGB che Landàu non condurrà nessuna
attività controrivoluzionaria nel mio istituto e che
prendo tutti i provvedimenti di mia competenza
affinché anche fuori dall’istituto non conduca
attività controrivoluzionaria. Nel caso noterò da
parte di Landàu qualsiasi atteggiamento volto a
danneggiare il potere sovietico ne informerò
immediatamente gli organi del KGB.
P. Kapìtsa”
[tratto dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb]
Dau è un genio e anche un despota sanguinario come
Stàlin capisce che è meglio tenerlo in vita, ma da
quel momento il fisico sarà controllato a vista e in
casa sua ci saranno cimici in tutte le stanze.
La liberazione di Landàu è una dei rari casi di storie
a lieto fine durante le purghe staliniane.
Landàu è riabilitato solo il 23 luglio 1990, 22 anni
dopo la sua morte.
Quando rientra a lavoro viene però sistematicamente
ignorato come scienziato dalla Sezione scientifica del
Comitato centrale del PCUS; questo non demoralizza il
grande fisico, che tra spunto da ciò per rafforzare
ancora di più la sua opposizione al regime sovietico.
Ritiene profetica la citazione di Oscar Wilde, tratta
dal suo primo dramma teatrale I nichilisti, “In
Russia tutto è possibile eccetto le riforme.”
Lev Landàu fa della scienza uno strumento di
opposizione al potere, che viceversa non riesce a
schiacciare l’eminente fisico.
Negli anni ‘50 riunisce intorno a sé un gruppo di
scienziati, tutti di origine ebraica e accomunati da
un sentimento di viva opposizione nei confronti del
regime, tra cui E. M. Lìfshits e N. S. Mèiman.
Landàu non vuole con questo, però, giustificare delle
spinte nazionalistiche e revanscistiche del suo
popolo.
Un giorno mette in guardia Mèiman: “Difendi
l’imperialismo. Sei capitato in una terribile
compagnia, in una compagnia davvero terribile. Sei
tanto accecato dal nazionalismo ebraico da non capire
queste cose. Ti trovi in una compagnia di gente turpe,
come mai non ne sei impaurito?”
In quelli stessi anni in Occidente si discute della
tragedia della bomba atomica e del pentimento di
Einstein.
Anche Landàu è coinvolto nella costruzione della bomba
atomica sovietica, insieme a I. E. Tamm, sotto la
supervisione di Igor’ Vassìlevich Kurciàtov.
I lavori si svolgono in segreto nel Ministero
dell’industria militare.
Landàu pensa di essere uno “schiavo istruito con
compiti speciali” a cui non è possibile sottrarsi.
Dau fa un’amara considerazione sul ruolo delle scienze
in Unione sovietica: “La scienza da noi non la
capiscono e non la amano; del resto non c’è da
meravigliarsi, perché sono i fabbri e i carpentieri
che comandano. Non c’è spazio per l’individualità. Le
direttive e il lavoro sono dettate dall’alto. La
nostra scienza si è prostituita e in misura assai
maggiore che all’estero.”
E´convinto che una persona intelligente che desidera
vivere felicemente la sua vita dovrebbe rifiutare tali
incarichi segreti del governo, ma sa benissimo che
come scienziato non può opporsi alle autorità,
soprattutto in anni in cui il coinvolgimento nella
corsa agli armamenti è massimo.
Da una registrazione dei dispositivi segreti di
ascolto un agente comunica il 9 aprile 1955:
“Alla fine di marzo Landàu è stato chiamato con
Ghìnzburg da Zavenìaghin per un’attività speciale.”
In seguito Landàu riesce a convincere il ministro e
gli alti funzionari a non coinvolgerlo più in tali
compiti segreti, pur non respingendo a priori la
possibilità di discutere di questioni simili di tanto
in tanto.
Landàu realizza che ogni suo discorso è spiato e che
tutto quello che dichiara arriva alla Lubìanka.
Nel 1954 porta a termini i compiti a lui assegnati ed
è liberato dalla guardia del corpo, oltre a essere
insignito del titolo di Eroe del lavoro socialista.
Riguardo alla sua guardia del corpo agli amici ama
raccontare una barzelletta: “Un ebreo povero viveva in
una grande miseria e non potendola più sopportare andò
a consultare un rabbino: non ne posso più! – Compra
una capra -, gli consigliò il rabbino. Quando nella
piccola capanna apparve l’animale fu del tutto
impossibile viverci e il poveraccio corse di nuovo dal
rabbino: - Ma in questo modo la vita è insopportabile!
– protestò. –Allora vendi la capra! – ribatté il
rabbino.”
Gli viene negato il diritto d’espatrio e nei confronti
del regime diventa sempre più critico.
“L’idea che sta alla base del partito comunista è un
idea gesuitica. E’ l’idea dell’obbedienza al comando.
L’idea tipica di tutta la storia dell’ordine
gesuitico.”
Landàu è convinto che nel suo paese non ci sia la
realizzazione del socialismo, perché “il sistema è la
dittatura della classe dei funzionari, della classe
dei burocrati. […] i mezzi di produzione non
appartengono al popolo, ma alla burocrazia.”
[citazioni tratte dalla traduzione dal russo di Irina
Konstantìnova e Umberto Vitello del libro Così
diceva Landàu di Màia Bessaràb]
Siamo nel 1956 e Dau è pronto a inginocchiarsi davanti
all’Ungheria in rivolta, perché l’eroismo degli
Ungheresi merita venerazione.
Nel frattempo la sua vita privata scorre tra amori
passeggeri, l’amore per Kòra, l’educazione del figlio
Gàrik, nato nel 1946 e la sua generosità nei confronti
dei suoi amici e colleghi.
Spesso i riconoscimenti in denaro che gli provengono
dai premi vinti li utilizza per aiutare le famiglie
dei suoi colleghi vittime del regime, o per finanziare
una fuga d’amore di un collega invaghito della
studentessa di turno.
La sua vita è regolata da una formula infallibile
della felicità che ha teorizzato e messo in pratica
egli stesso: “Per essere felici bisogna che un terzo
del proprio tempo sia dedicato al lavoro, un terzo
all’amore e un terzo ai contatti con la gente. La cosa
più importante è però gioire della vita. Senza questo
tutto sarà grigio e noioso…”
Il 7 gennaio 1962, una domenica mattina, accade un
terribile incidente d’auto.
La “Volga” guidata dal fisico Vladìmir Sudakòv sbanda
a causa della strada ghiacciata e Landàu, che è a
bordo, entra in coma per sei settimane.
La diagnosi è frattura cranica; è dichiarato più volte
clinicamente morto.
Dopo una lunga agonia riprende sorprendentemente
conoscenza, ma la sua carriera scientifica è ormai
conclusa.
Nel 1965 a lui viene dedicato l’Istituto di fisica
teorica dell’Accademia delle scienze di Mosca.
Vive sei lunghi anni da infermo per morire il 1.
aprile 1968.
Il 1. aprile, ironia della sorte, proprio nella data
in cui si divertiva, in vita, a fare degli scherzi
goliardici ai suoi colleghi durante i suoi spensierati
anni a Khàrkov, passati insieme a Kòrochka, il primo
amore della sua vita. |