contemporanea
Sulla riforma agraria in Lettonia
periodo interbellico / Parte II
di Andrea Cecchini
La caduta della coalizione
Meierovics
e l’ascesa al potere dell’esecutivo
guidato da Voldemārs Zāmuels segnò un
ulteriore inasprimento delle misure
adottate dal governo. Una nuova legge
del 30 aprile 1924 ribadiva difatti le
precedenti disposizioni emanate dalla
Costituente, esonerando perciò lo Stato
da qualsiasi onere risarcitorio.
Frattanto i «governi francese e polacco
hanno già dato assicurazione che i
rispettivi ministri a Riga si
associarono in una nota di protesta».
Parallelamente lo schieramento
balto-tedesco alla Camera si appellò, ma
invano, alla Società delle Nazioni il
cui raggio d’azione era circoscritto
alla sola diplomazia internazionale e
non comprendeva dunque l’elaborazione di
specifici piani di interventi capaci di
risolvere le controversie sorte
all’interno delle singole compagini
statali.
Il governo Zāmuels ebbe vita breve non
riuscendo perciò ad addivenire a una
soluzione istituzionale condivisa che,
in tempi brevi, accontentasse tutte le
parti in causa. L’adozione del sistema
proporzionale produsse, in sintesi,
effetti profondamente negativi, quali lo
snaturamento del parlamentarismo, la
frammentazione della rappresentanza e
l’indebolimento dell’autorità
governativa.
Gli unionisti contadini, dopo aver
avviato complesse consultazioni con i
gruppi moderati più vicini al loro
schieramento, garantirono al Paese un
nuovo esecutivo guidato da Hugo Celmiņš.
Nel frattempo, la questione agraria,
ancora insoluta, aveva assunto connotati
politici e sociali «della più alta
importanza, e i partiti politici ne
hanno fatto quasi una bandiera per
combattersi tra loro: la destra
sostenendo la moralità dell’indennità, i
socialisti affermando il carattere del
privilegio di classe a favore
dell’aristocrazia e della borghesia».
Parallelamente il nuovo Ministro degli
Affari Esteri, Meierovics, avviò
colloqui privati con l’ambasciatore
italiano a Riga Renato Piacentini al
fine di risolvere i «casi italiani» e
pervenire alla conciliazione tra la
Repubblica baltica e il governo di Roma.
Era chiaro che Riga non aveva
dimenticato gli sforzi diplomatici
compiuti dall’Italia per far sì che la
Lettonia venisse pienamente riconosciuta
a livello internazionale. A tal
proposito
Zigfrīds Anna
Meierovics, il 25 luglio 1925, si recò
in visita ufficiale a Roma. Nella
sfarzosa cornice di Villa Torlonia il
ministro lettone incontrò il presidente
del consiglio del Regno d’Italia Benito
Mussolini con il quale concluse
un’importante convenzione commerciale la
cui entrata in vigore, però, era
«inestricabilmente legata agli
indennizzi da percepire agli otto
italiani residenti in Lettonia a fronte
degli espropri avvenuti nel 1920».
La questione, dunque, ebbe un
considerevole eco internazionale e delle
pesanti ricadute sulla tenuta
complessiva della coalizione. I
componenti dell’esecutivo, difatti,
avevano maturato visioni contrastanti
mentre cominciò a serpeggiare l’idea
«che concessioni ai proprietari
espropriati, sia pure stranieri possano
offrire un’arma elettorale al già forte
partito socialista».
Dal canto loro i socialdemocratici, in
virtù dei maggiori seggi occupati in
Parlamento, erano disposti a tutto pur
di evitare che lo Stato versasse
qualsiasi somma riparatoria ai cittadini
stranieri espropriati. Il complesso
scenario politico interno venne
ulteriormente scosso dalla sopraggiunta
notizia della morte del Ministro
Meierovics, che tanto si era prodigato e
sacrificato per risolvere gli
innumerevoli problemi sorti in seguito
all’emanazione della riforma.
È all’interno di questo convulso,
frenetico e incerto quadro
politico-istituzionale che nell’ottobre
1925 si erano svolte le nuove elezioni
nazionali. Dalle urne era uscita
l’immagine di un Paese fortemente
spaccato, che aveva indirizzato le
proprie preferenze verso il Partito
socialdemocratico e l’Unione dei
contadini, tra loro incompatibili e in
costante competizione per definire i
nuovi possibili assetti governativi.
Questa lacerante contrapposizione non
permetteva di percorrere alcuna
soluzione di compromesso istituzionale,
rappresentando al contempo un grave
ostacolo per il progresso della Nazione.
La soluzione della questione appariva
così difficile, complessa e soprattutto
impercorribile.
Dopo una lunga fase di transizione, il
24 dicembre 1925, Ulmanis costituì un
debole governo di minoranza.
Parallelamente i rappresentanti
diplomatici francesi avevano indirizzato
al nuovo esecutivo una nota di protesta
nella quale biasimavano «la lunga
dilazione delle trattative circa la
questione agraria» e richiedevano
apertamente «che i sudditi francesi non
siano indennizzati con cifre fittizie ma
reintegrati nel valore dei rispettivi
possedimenti sequestrati calcolato al
prezzo effettivo di avanti guerra». Il
consiglio dei ministri, di concerto con
le commissioni finanze ed esteri,
ritenne equo e adeguato determinare la
somma risarcitoria in «30 franchi d’oro
per ettaro su intera proprietà
espropriata».
L’ambasciatore italiano a Riga Renato
Piacentini, in un telegramma del 19
marzo 1926, traccia un resoconto
piuttosto dettagliato sul gravoso tema
degli indennizzi e sulla stabilità della
coalizione Ulmanis: «l’incaricato dal
ministro per gli affari esteri, prof.
Albat, il quale aveva promesso di
inviare una nota impegnativa solo da
parte lettone confermante la proposta
del governo lettone di pagare 30 franchi
d’oro per ogni ettaro espropriato ai
cittadini italiani e francesi e fissate
le modalità del pagamento e toccante la
questione degli interessi legali non ha
finora espletato alle sue promesse
mettendo nero su bianco. Il governo
lettone dopo il rifiuto del dottor
Schuman è privo di un titolare per gli
affari esteri, la direzione del
ministero è stata assunta dal segretario
generale con la qualifica di reggente.
Il prof. Albat ha rifiutato già più di
una volta la carica di ministro, perché
estraneo alla politica, privo di una
basa parlamentare del Ministro Ulmanis è
minata dall’ostruzionismo parlamentare
che da oltre un mese a questa parte
boicotta ogni decisione del governo
avendo preso lo spunto dalla discussione
delle leggi doganali. Cosa che anche il
presidente del consiglio deve prendere
di volta in volta per prendere decisioni
importanti un onore finanziario ottenere
il preventivo placet delle commissioni
parlamentari. Il concedere l’indennità
di 30 franchi è già di per sé una
agevolazione. Il governo lettone avrebbe
in animo di assegnare gli stranieri da
indennizzare a due categorie e ciò per
quelli che erano tali prima del 1914 e
quelli che hanno acquisito la
cittadinanza estera solo inseguito
concedendo a quest’ultimi non più di 10
franchi d-oro per ettaro. Quanto alle
modalità di pagamento il prof. Albat
stima che qualora il governo italiano
fosse disposto ad accettare la base di
pagamento di 30 lire non sarebbe
difficile accordarsi con il governo
lettone disposto a iniziare i pagamenti
già dal prossimo giugno. Sulla questione
degli interessi legali come si evince
avrebbe discusso il consiglio dei
ministri. Lo stesso incaricato di
Francia con il quale sono in quotidiani
rapporti mi ha detto di ritenere che il
suo governo avrebbe rinunciato agli
interessi e avrebbe accettato i trenta
franchi d’oro esigendo adeguate
condizioni di pagamento. Egli ha anche
confidato al diplomatico italiano a Riga
che la minaccia francese di ricorrere
all’Aja doveva considerarsi del tutto
accademica. Il termine fissato sia dalla
Francia che dalla Polonia al governo
lettone scade il 31 corrente e non credo
che quest’ultimo lo lascerà scadere
senza dare anche a noi la risposta
impegnativa scritta che ha promesso».
Il 4 maggio 1926 si apriva una nuova
crisi politica che costrinse l’esecutivo
Ulmanis a rassegnare le dimissioni. Il 7
maggio 1926, dopo varie e intense
consultazioni, Arturs Alberings assunse
la guida del governo. Tuttavia, la nuova
maggioranza visse fra continue
oscillazioni e incertezze in quanto
minata dalle diffidenze reciproche che
intercorrevano fra le sue diverse
componenti. Malgrado ciò, però, la
coalizione Alberings decise di
confermare la proposta «di 30 lats
per ettaro senza interesse né
arrotondamento». Una somma dunque assai
inferiore rispetto al reale valore dei
beni confiscati dallo Stato a partire
dal 1920. E per di più il governo
lettone, data la complessa situazione
finanziaria del Paese, tergiversò a
lungo sul tema degli indennizzi
assumendo «un atteggiamento
ostruzionistico nei riguardi della
questione agraria allo scopo di
procrastinare i pagamenti e diminuirli».
L’esecutivo dovette inoltre affrontare
le crescenti pressioni provenienti dai
cittadini lettoni, i quali continuavano
a chiedere con insistenza nuovi spazi
coltivabili. La maggioranza iniziò
persino a paventare l’ipotesi di
requisire le vaste distese rurali che
circondavano i maggiori centri urbani
pur di soddisfare le numerose richieste
avanzate dalle differenti fasce sociali
della popolazione. Tale ipotesi, al
centro di intensi dibattiti e
discussioni parlamentari, appariva agli
occhi di molti deputati come
un’operazione illegittima e perciò
inattuabile. Lo stesso Mussolini, in un
telegramma del 22 luglio 1926, annotava
che «la
risposta formalizzata dal governo
lettone in relazione alla gravosa
questione dell’indennità da versare nei
confronti dei sudditi italiani sia vaga
e dilatatoria su alcuni punti».
Ma una nuova nota del 22 settembre
annunciava «l’inizio
delle trattative tra la marchesa Tommasi
della Torretta barone Pilar e questo
ministero degli affari esteri per la
liquidazione del suo reclamo».
Sull’esito finale di queste particolari
trattative non abbiamo, purtroppo,
notizie precise. Verso la fine del 1926
il fragile governo Alberings cadde,
aprendo così la strada all’ascesa al
potere dei socialdemocratici che
riuscirono a promuovere un esecutivo a
trazione socialista. Questi rivolgimenti
politici ebbero un’eco profonda a
livello internazionale poiché Mosca,
diplomaticamente isolata, vi intravedeva
l’opportunità di sviluppare e
incrementare le relazioni bilaterali tra
i due Stati.
A tal proposito, il 2 giugno 1927, Riga
e il Cremlino siglarono un importante
accordo commerciale che segnò l’inizio
di una fase di profonda distensione nei
rapporti lettoni-sovietici.
Parallelamente il Ministro degli Affari
Esteri Felikss Cielēns
organizzò una serie di incontri con
l’ambasciatore polacco al fine di
discutere uno degli aspetti più
controversi: il problema delle
riparazioni per i cittadini polacchi che
vennero privati delle loro terre. Cielēns
formulò una prima proposta di
compensazione che prevedeva il pagamento
«di
dieci lats per ogni ettaro di terreno
espropriato più gli interessi a partire
dalla data dell’avvenuta espropriazione
cioè in totale circa 15 lats».
La risposta di Varsavia fu, però, ferma
e perentoria. Nonostante il diniego del
governo polacco, l’offerta rappresentava
un «punto
di partenza per una futura ripresa delle
conversazioni non si è esclusa che la
faccenda possa risolversi come si è
fatto con la Germania con l’offerta da
parte del governo lettone di una somma
globale essendo i proprietari polacchi
moltissimi sarebbe difficile liquidare
caso per caso».
Ed è sicuramente paradossale che una
coalizione a maggioranza
socialdemocratica tentasse ora di
intavolare trattative allo scopo di
addivenire a una soluzione conciliativa.
Alla fine del ’27 l’esecutivo Skujenieks
fu ampiamente delegittimato a causa
dell’intensa opposizione di cui gli
unionisti contadini si fecero portavoce
in Parlamento.
La guida del Paese fu così assunta da Pēteris
Juraševskis
(Centro Democratico) che fu chiamato a
“traghettare” il Saeima sino alle
elezioni politiche del 6-7 ottobre 1928.
Sin dagli esordi del suo mandato, il
primo ministro dovette gestire una
situazione che si faceva sempre più
difficile a causa delle innumerevoli
accuse rivolte al Ministro della
giustizia Magnus (Partito minoranza
tedesca) il quale venne tacciato «di
voler in avvenire modificare le basi
della riforma agraria in maniera tale di
arrecare un vantaggio ai possidenti
tedeschi–baltici».
Il 28 novembre 1928, dopo un lungo
periodo di consultazioni e incessanti
trattative interparlamentari, Hugo Celmiņš
(LZS) formò un nuovo governo presentando
al Parlamento la lista dei nuovi
ministri. La questione agraria era uno
dei tasselli fondamentali del programma
elaborato dall’esecutivo
Celmiņš
che «si adopererà in maniera tale che la
riforma agraria abbia la sua definitiva
esecuzione, sia al consolidamento delle
nuove economie rurali, sia con la
condivisione della proprietà fondiaria
in Letgallia. Nell’esecuzione della
riforma agraria sarà sempre difeso il
principio della proprietà privata come
nelle vecchie aziende rurali. Nel
bilancio annuo saranno assegnati sussidi
e crediti per la restaurazione delle
aziende andate distrutte durante la
guerra». |