N. 101 - Maggio 2016
(CXXXII)
La
letteratura
critica
se
stessa
A
lezione
da
Don
Chisciotte
di
Simona
Paolantoni
Ogni
epoca
è
stata
testimone
di
dibattiti
culturali
riguardanti
i
temi
più
svariati,
e la
penna
della
critica
letteraria
è
stata
costantemente
imbevuta
di
inchiostro.
Oggi
tendiamo
a
pensare
che
la
distinzione
tra
la
letteratura
alta
e
quella
di
svago
(che
definiamo
talvolta
“da
ombrellone”),
e la
svalutazione
di
quest’ultima
da
parte
dei
critici,
sia
un
tratto
distintivo
dei
giorni
nostri.
In
realtà,
molti
autori
del
passato,
fin
dall’antichità
classica,
si
sono
dovuti
raffrontare
con
questo
metro
di
giudizio.
Quando
pensiamo
ai
classici,
è
quasi
impossibile
non
sentirsi
schiacciati
dal
peso
della
loro
autorità:
li
consideriamo
immuni
alle
critiche
proprio
per
il
fatto
di
essere
sopravvissuti
all’autore
che
li
ha
generati,
eppure
molti
dei
titoli
che
noi
consideriamo
dei
capolavori
ebbero
non
poche
difficoltà
a
essere
legittimati
quando
videro
la
pubblicazione
per
la
prima
volta.
Basti
pensare
che
il
romanzo,
il
genere
letterario
più
diffuso
nel
nostro
tempo,
era
considerato
ai
suoi
albori
una
mera
letteratura
d’intrattenimento,
adatta
per
lo
più
a un
pubblico
femminile
e
poco
colto.
Riflessioni
e
giudizi
letterari
si
possono
rintracciare
negli
stessi
romanzi:
la
letteratura
instaura
così
un
dialogo
con
se
stessa,
mettendosi
in
discussione
e
suggerendo
i
metodi
della
perfetta
narrazione.
Uno
degli
esempi
più
fortunati
di
metaletteratura
si
riscontra
nel
Don
Chisciotte
di
Cervantes,
capolavoro
del
seicento
spagnolo:
il
capitolo
VI,
in
cui
avviene
il
famoso
scrutinio
della
biblioteca,
può
essere
considerato
un
vero
e
proprio
trattato
di
critica
letteraria.
In
questo
capitolo
il
prete
e il
barbiere
del
posto
si
danno
da
fare
per
stabilire
quali
tra
i
preziosi
libri
del
Quijote
siano
da
destinare
al
rogo.
Si
apre
così
una
sorta
di
autodafé
(cerimonia
dell’Inquisizione
Spagnola)
prettamente
letterario:
ricordiamo
che
i
libri,
così
come
il
teatro,
erano
molto
spesso
oggetto
di
censura
nel
periodo
della
Controriforma.
Come
sappiamo
l’opera
di
Cervantes
nasce
con
l’intento
di
ridicolizzare
–
attraverso
la
parodia
– il
genere
cavalleresco,
criticato
soprattutto
per
l’assenza
di
verosimiglianza.
È
proprio
nell’inventario
della
biblioteca
che
veniamo
a
conoscenza
dei
gusti
letterari
dell’autore,
che
coincidono
con
quelli
del
curato.
Quest’ultimo,
nonostante
la
sua
disapprovazione
per
i
romanzi
di
finzione,
conosce
approfonditamente
tutti
gli
esemplari
esposti
e ne
evidenzia
qualità
e
limiti.
Alcuni
romanzi
vengono
salvati
dalle
fiamme,
per
una
scelta
di
forma
o
perché
ritenuti
capisaldi
del
genere.
Dopo
aver
esaminato
la
letteratura
cavalleresca,
i
due
personaggi
passano
all’analisi
del
romanzo
pastorale,
considerato
genere
di
entendimiento,
al
contrario
del
precedente.
In
questo
passaggio
Cervantes
fa
ironia
sulla
sua
stessa
opera,
la
Galatea,
affermando:
“Propone
qualcosa,
e
non
conclude
nulla:
bisogna
aspettare
la
seconda
parte
che
promette”.
Forse
questo
gigante
della
letteratura
spagnola
non
si
sarebbe
aspettato
che
molti
secoli
dopo
i
romanzi
medievali
sarebbero
stati
fonte
d’ispirazione
per
il
Fantasy
moderno,
e
allo
stesso
modo
non
avrebbe
scommesso
che
il
suo
personaggio,
Don
Chisciotte,
avrebbe
assunto
un
giorno
una
vita
autonoma
dal
suo
autore.
Questa
lezione
ci
insegna
che
la
letteratura,
come
ogni
forma
d’arte,
è
una
materia
in
continua
trasformazione
che
aspetta
di
essere
plasmata
secondo
il
volere
del
suo
creatore.
Non
ci
sono
leggi
che
regolano
il
suo
percorso:
continuerà
a
stupirci
per
le
direzioni
che
intraprenderà,
continuerà
a
far
parlare
di
sé,
a
generare
aspri
dibattiti,
ma
sicuramente
non
smetterà
mai
di
svolgere
il
suo
compito
essenziale:
nutrire
la
mente
di
ognuno
di
noi.