N. 7 - Luglio 2008
(XXXVIII)
Lettera dall’esilio
L’appello di Andreij
Sacharov ai
dirigenti dell’Urss
di Stefano De Luca
Nel luglio del 1980, Andreij Sacharov scrisse
una Lettera aperta al Presidium del Soviet
supremo dell’URSS ed al Presidente dello stesso,
Brežnev, “a proposito di un problema di estrema
importanza: l’Afghanistan.
Sacharov chiedeva ai dirigenti sovietici di “cessare le
azioni belliche”, e concludere “un armistizio” con il
Paese occupato. Il futuro dell’Afghanistan, doveva
essere gestito dalle Nazioni Unite, per garantirne la
neutralità, la pace e l’indipendenza.
Sacharov chiedeva inoltre al Presidium di impegnarsi a
riguardo di “una questione scottante per il Paese […]
un’amnistia politica per liberare i prigionieri di
coscienza condannati per le loro convinzioni e per le
loro forme di azione non violente”.
Il suo
appello non ottenne risposta, così come quelli che
avrebbe continuato a firmare da Gor’kij.
La
condizione dei dissidenti migliorò solamente sul finire
degli anni Ottanta, quando le limitazioni della libertà
personale cominciarono via via a rientrare nell’alveo
della legalità.
Sacharov rimase confinato nell’antica
Nižnij Novgorod
assieme alla moglie Elena Bonner fino al 19 dicembre del
1986.
Alcuni
mesi prima, era esploso un reattore della centrale
nucleare di Chernobil.
Visse dall’interno le complesse vicende
della perestrojka gorbaceviana, ma non ne vide la
conclusione.
Morì il 14 dicembre del 1989, non prima
di aver redatto un Progetto Costituzionale per
l’Unione delle repubbliche sovietiche di Europa ed Asia.
Riferimenti bibliografici:
Omaggio a Sacharov: testi
dalla Russia,
Firenze, Arte&Pensiero, 1982 |