N. 121 - Gennaio 2018
(CLII)
un esempio di leader carismatico
leonida e i 300
di Ilaria La Fauci
Ogni
epoca
storica,
ogni
grande
battaglia,
ogni
grande
rivoluzione
ha
almeno
una
grande
persona
alle
spalle:
queste
persone
solitamente
sono
leader
carismatici,
lungimiranti,
strateghi,
valorosi,
determinati.
Ci
sono
anche
quei
leader
che
si
fanno
trascinare
dal
potere
e
valicano
il
limite
dell’accettabile,
compiendo
azioni
brutali
pur
di
perseguire
i
propri
scopi;
ma
ci
sono
anche
quelle
persone
che
invece
mantengono
una
giusta
linea
di
comando,
equilibrata,
una
bussola
orientata
sempre
verso
una
grandezza
che
non
divora,
verso
un
potere
che
non
sfiguri
la
personalità,
verso
una
fama
destinata
a
segnare
il
corso
dei
secoli.
Sono
uomini
o
donne
rari/e,
capaci
di
tenere
testa
alle
difficoltà,
di
mantenere
la
lucidità
dinnanzi
ai
pericoli,
di
compiere
la
scelta
più
giusta
o
meno
gravosa.
Hanno
dunque
una
personalità
già
propensa
alla
grandezza
da
tenere
tra
i
giusti
binari,
ma
in
aggiunta,
come
per
ogni
persona
che
abbia
già
una
naturale
propensione,
hanno
l’opportunità
di
crescere
tramite
l’addestramento,
l’istruzione,
la
costanza
e la
determinazione.
Il
figlio
del
leone:
questo
è il
significato
di
uno
dei
nomi
più
conosciuti
al
mondo,
Leonida.
Egli
incarna
tutte
queste
caratteristiche
di
grandezza,
equilibrio,
strategia,
carisma
e
grande
apertura
mentale.
Dalla
storia,
se
si è
in
grado
di
leggerla
bene,
si
possono
trarre
grandi
insegnamenti
e
importanti
modelli
che
farebbero
sfigurare
qualsiasi
persona
idolatrata
al
giorno
d’oggi:
non
si
tratta
dell’erba
del
vicino
che
è
sempre
più
verde,
si
tratta
di
persone
che
hanno
mantenuto
la
loro
fama
a
distanza
di
secoli
e/o
millenni
senza
avere
social
network
o
intuizioni
fortunose:
una
volta
la
fama
la
si
costruiva
con
il
sudore
e
dava
ad
alcune
persone
il
privilegio
di
rimanere
impresse
nella
storia,
sui
libri,
sui
monumenti,
sulle
iscrizioni
per
sempre.
Non
erano
persone
perfette,
spesso
avevano
ossessioni
e
paranoie,
perché
si
sa
che
il
potere
può
dare
alla
testa,
a
chi
più
e a
chi
meno:
ma
sono
passate
alla
storia
per
le
loro
azioni
e le
loro
decisioni
prese
sui
campi
di
battaglia,
grazie
alle
loro
posizioni
politiche
o
alla
loro
determinazione
verso
i
loro
sogni
ed
obiettivi.
Ci
sono
uomini
che
a
prescindere
dalle
loro
origini
o
situazioni
iniziali,
riescono
a
diventare
grandi
persone
e a
dare
enormi
contributi
al
cambiamento
delle
società
verso
la
stabilità
o
l’evoluzione.
«Vieni
a
prenderle»:
è
questa
la
risposta
che
dà a
Serse
dopo
aver
ascoltato
la
sua
intimazione
sul
consegnare
le
armi
presso
il
passo
delle
Termopili.
Hanno
fatto
film,
fumetti,
costruito
leggende,
su
questo
personaggio
che
un
po’
tutti
conoscono,
grandi
e
bambini,
per
sentito
dire
o
per
la
famosa
esclamazione
cinematografica
“Questa
è
Sparta!”.
Bastano
due
semplici
frasi
e si
ha
già
il
sentore
del
carattere
forte
di
questo
uomo:
determinato,
sicuro
di
sé,
caparbio.
Ma
procediamo
con
ordine:
Leonida
fu
re
di
Sparta
tra
il
490
e il
480
a.
C.circa,
la
sua
ascesa
non
fu
immediata
né
semplice:
non
era
il
primogenito,
motivo
per
cui
salì
al
trono
solo
quando
morirono
i
suoi
fratelli.
Nonostante
ciò
apparteneva
comunque
alla
famiglia
degli
Agiadi,
una
dinastia
regnante
a
Sparta
da
parecchio
tempo;
però
come
qualsiasi
altro
bambino
all’età
di
sette
anni
fu
sottoposto
all’agoghè,
la
famosa
istituzione
lacedemone
composta
da
duri
esercizi
di
addestramento,
basati
su
disciplina
e
obbedienza,
per
poter
diventare
cittadino
di
Sparta.
Venne
separato
dalla
famiglia,
imparò
la
lealtà,
la
pratica
militare
e la
caccia,
diventando
un
uomo
vigoroso,
sia
fisicamente
sia
moralmente.
Si
sposò
con
una
donna
di
grande
intelletto,
Gorgo,
ovvero
la
figlia
del
fratello
Cleomene.
L’evento
passato
alla
storia
più
significativo
della
sua
vita
è
legato
a
trecento
uomini
che
combatterono
presso
le
Termopili:
tale
vicenda
va
spiegata
adeguatamente
ricorrendo
all’antefatto
di
questa
battaglia
e
all’obiettivo
che
perseguiva.
È il
480
a.C.
circa
e i
greci
sono
impegnati
in
una
dura
lotta
contro
l’impero
persiano
capeggiato
da
Serse:
contro
di
esso
si
erge
Leonida,
re
spartano
da
circa
un
decennio,
il
quale
decide
di
intraprendere
una
strategia
contorta,
ma
da
lui
ritenuta
efficace.
Il
passo
delle
Termopili
è un
territorio
tutt’oggi
visitabile
seppur
molto
cambiato
da
millenni
fa:
difatti
oggigiorno
la
distesa
di
terra
è
più
vasta
a
scapito
del
mare.
Per
capire
bene
la
battaglia
bisogna
dunque
sapere
come
fosse
questo
territorio:
innanzitutto
Termopili
significa
“le
porte
calde”,
il
che
allude
alle
sorgenti
termali,
ed è
descritto
come
un
passo
angusto
e
tortuoso
lungo
la
riva
del
golfo
Maliaco,
cosa
che
facilitava
la
strategia
di
combattimento
greco.
Quest’ultima
consisteva
nell’usare
gli
opliti
per
bloccare
lo
stretto
passaggio
in
cui
la
fanteria
persiana
non
poteva
entrare
dal
momento
che
aveva
un’armatura
leggera
e
vulnerabile;
la
cavalleria
era
totalmente
inutilizzabile
visto
il
piccolo
spazio.
Il
luogo
quindi
era
perfetto
per
poter
avere
un
vantaggio
sui
persiani
nonostante
il
minor
numero
di
soldati:
inizialmente
Leonida
fu
raggiunto
da
migliaia
di
uomini
provenienti
dalle
poleis
greche
e
dopo
un’attesa
di
circa
quattro
giorni
furono
attaccati
dai
persiani.
Serse,
pertanto,
lasciò
passare
quattro
giorni,
sempre
sperando
che
i
Greci
si
ritirassero.
Il
quinto
giorno,
poiché
non
se
ne
andavano
e
anzi
la
loro
permanenza
gli
pareva
un
atto
di
insolenza
e di
follia,
Serse,
infuriato,
mandò
contro
di
loro
Medi
e
Cissi,
con
l’ordine
di
farli
prigionieri
e di
condurli
al
suo
cospetto.
I
Medi
si
gettarono
contro
i
Greci;
molti
di
essi
caddero,
ma
altri
subentravano,
e
non
indietreggiavano,
benché
subissero
perdite
gravi.
Resero
chiaro
a
chiunque,
e
per
primo
al
re,
che
c’erano
sì
tanti
uomini,
ma
pochi
veri
combattenti.
La
battaglia
durò
una
giornata.
Allora,
così
duramente
malconci,
i
Medi
si
ritirarono;
ma
presero
il
loro
posto
i
Persiani,
quelli
che
il
re
chiamava
Immortali,
agli
ordini
di
Idane:
l’idea
era
che
avrebbero
chiuso
la
faccenda
agevolmente.
Gli
spartani
lottarono
in
maniera
memorabile,
dimostrando
in
varie
maniere
di
essere
combattenti
esperti
fra
gente
che
combattere
non
sapeva.
Così
Erodoto
racconta
come
i
greci
uccisero
circa
ventimila
persiani,
ma
ben
presto
il
fato
girò
a
loro
favore,
dal
momento
che
Efialte,
un
abitante
del
luogo,
informò
Serse
di
una
stradina
utile
per
poter
fare
un’imboscata
ai
greci,
il
sentiero
di
Anopea.
Proprio
quando
il
re
non
sapeva
più
che
fare
in
quel
frangente,
gli
si
presentò
un
abitante
della
Malide,
Efialte
figlio
di
Euridemo,
certo
convinto
di
ricevere
da
lui
qualche
grande
ricompensa,
e
gli
parlò
del
sentiero
che
portava
alle
Termopili
attraverso
i
monti;
e
così
segnò
la
fine
dei
Greci
che
là
avevano
resistito.
A
quel
punto
la
battaglia
si
prospettava
persa
per
i
greci
e
Leonida,
uomo
leale
e
lungimirante,
capì
che
continuare
significava
un
suicidio:
rimandò
in
patria
le
truppe
corse
in
aiuto
e
rimase
con
i
famosi
trecento
spartiati,
i
quali
non
lo
avrebbero
mai
abbandonato
vista
la
loro
dedizione
militare,
e
con
novecento
Iloti,
quattrocento
Tebani
e
settecento
Tespiesi.
Ma
si
racconta
anche
che
fu
Leonida
a
congedarli:
si
preoccupava,
pare,
di
sottrarli
alla
morte,
mentre
a
lui
e
agli
spartiati
presenti
non
si
addiceva
abbandonare
la
postazione
che
erano
venuti
espressamente
a
presidiare.
Solo
i
Tebani,
che
si
arresero,
rimasero
vivi.
Leonida
morì
e,
stando
a
Erodoto,
egli
conosceva
l’esito
della
battaglia
poiché
aveva
consultato
l’oracolo
di
Delfi
e
conosceva
il
vaticinio:
«A
voi,
o
Spartani
dalle
larghe
piazze,
o la
vostra
città
sarà
distrutta
dai
discendenti
di
Perseo
o
ciò
non
avverrà
ma
Sparta
piangerà
la
morte
di
un
re
della
stirpe
di
Eracle».
Il
suo
fu
dunque
un
sacrificio,
consapevole
di
andare
incontro
a
morte
certa,
sicuro
di
salvare
la
sua
Sparta:
manifestò
lungimiranza
poiché
fece
sì
che
restassero
al
suo
fianco
unicamente
gli
spartiati
con
figli
per
assicurare
la
continuità
della
stirpe.
«Tranne
che
per
essere
re,
tu
non
sei
per
nulla
superiore
a
noi»,
questa
fu
l’accusa
di
un
uomo,
a
detta
di
Plutarco,
ma
la
risposta
del
re
lo
zittì
senza
alcun
dubbio:
«Ma
se
non
fossi
migliore
di
te,
non
sarei
re».
La
superiorità
di
cui
egli
si
sentiva
emblema
non
era
per
il
sangue
reale,
bensì
per
le
competenze
acquisite
nel
corso
degli
anni,
tipiche
della
società
spartana:
gli
spartani
infatti
non
guardavano
alla
stirpe,
alla
nobiltà,
ma
alle
capacità
e
strategie
militari.
Gli
spartani
inviarono
gli
uomini
avanti
con
Leonida
in
modo
che
il
resto
degli
alleati,
nel
vederli,
marciasse
senza
paura
di
sconfitta
anziché
temporeggiare
alla
notizia
di
un
ritardo
dei
lacedemoni.
Dopo
la
fine
delle
Carnee,
lasciarono
Sparta
e
marciarono
a
ritmo
serrato
verso
le
Termopili.
Il
resto
degli
alleati
fece
lo
stesso,
dal
momento
che
in
quel
periodo
si
svolgevano
le
Olimpiadi.
Quindi
inviarono
la
loro
avanguardia,
non
pensando
che
la
guerra
alle
Termopili
fosse
decisa
così
velocemente.
Erodoto
spiega
in
questo
modo
la
strategia
di
Leonida:
difatti
a
inizio
battaglia
per
poter
raccogliere
alleati,
nonostante
il
piccolo
numero
di
soldati,
partì
ugualmente
sperando
di
infondere
coraggio
e
patriottismo,
sfruttando
le
unità
militari
ben
addestrate
ed
equipaggiate.
E ci
riuscì:
un’alleanza
di
circa
tremila
uomini
guidata
da
Leonida
si
batté
contro
l’esercito
persiano.
La
battaglia
in
questione
diede
il
tempo
necessario
ad
Atene
affinché
si
preparasse
per
la
battaglia
navale
successiva
a
Salamina;
seppur
secondo
alcuni
storici
fu
una
scelta
di
Serse
ritardare
l’attacco
contro
gli
ateniesi
e
non
una
conseguenza
della
strategia
greca.
Negli
ultimi
tempi
infatti
Serse
viene
rivalutato,
come
dallo
storico
George
Crowkwell
secondo
cui
il
persiano
ebbe
successo
in
mare
e in
terra
accumulando
vittorie
grazie
alle
sue
competenze.
Per
cui
ultimamente
si
tende
a
mettere
in
risalto
non
solo
il
sacrificio
di
Leonida,
ma
anche
la
furbizia
del
nemico.
Serse,
a
battaglia
conclusa,
versò
la
sua
rabbia
sul
corpo
di
Leonida:
«[…]
al
corpo
di
Leonida,
avendo
udito
che
era
re e
comandante
degli
Spartani,
ordinò
di
tagliare
la
testa
e di
piantarla
su
un
palo.
Mi
pare
chiaro
da
molti
altri
elementi
e da
questo
in
particolare,
che
Serse
si
era
infuriato
contro
Leonida,
quando
era
vivo,
più
che
contro
chiunque
altro;
altrimenti
nei
confronti
di
questo
cadavere
non
avrebbe
travalicato
le
norme:
si
perché
tra
tutte
le
popolazioni
a me
note
sono
proprio
i
Persiani
a
onorare
di
più
i
valorosi
in
guerra».
Questo
scontro
tra
“titani”
portò
dunque
alla
decapitazione
dello
spartano
sconfitto.
Eppure
nonostante
questa
vicenda,
i
persiani
furono
ben
presto
vinti:
Salamina
e
Platea
furono
i
teatri
di
scontro
che
diedero
la
vittoria
ai
greci.
E
così
si
ricordano
i
valorosi
uomini
che
passarono
alla
storia
come
i
trecento
spartani
assicurandosi
la
gloria
eterna,
come
descrive
Simonide:
«Dei
morti
alle
Termopili
gloriosa
la
sorte,
bella
la
fine,
un
altare
la
tomba,
di
singulti
il
ricordo,
compassione
la
lode.
Un
tal
sudario
né
la
ruggine
né
il
tempo
divoratutto
oscurerà.
Questo
sacello
d’eroi
valorosi
come
abitatrice
la
gloria
d’Ellade
si
prese.
Ne
fa
fede
anche
Leonida,
re
di
Sparta,
avendo
lasciato
di
virtù
grande
ornamento
ed
eterna
gloria».
Riferimenti
bibliografici:
F.
Lefèvre,
Storia
del
mondo
greco
Antico,
trad.
a
cura
di
Valeria
Zini,
Torino,
2012.
Plutarco,
Le
virtù
di
Sparta,
trad.
a
cura
di
Dario
Del
Corno,
Milano,
2005.
T.
Holland,
Persian
Fire:
The
First
World
Empire
and
the
Battle
for
the
West,
New
York,
2006.