N. 62 - Febbraio 2013
(XCIII)
Giustizia e legislazione nelle assise di Ariano
LA MONARCHIA MERIDIONALE
di Eleonora Stefanelli
Il
proemio
delle
Assise
di
Ariano
costituisce
l’espressione
immediata
della
concezione
monarchica,
la
quale
cerca
di
mettere
insieme
sia
le
idee
della
tradizione
bizantina,
sia
i
principi
giuridici
romanistici.
Ora,
per
meglio
comprendere
la
rilevanza
di
tale
corpus
normativo
risalente
al
1140
occorre
accennare
alla
figura
di
Ruggero
II,
re
di
Sicilia,
che
dopo
dieci
anni
di
lotte
riuscì
ad
affermare
la
propria
autorità
sull’intero
territorio
normanno
d’Italia.
Questi,
sconfitti
gli
avversari
e
riappacificatosi
con
il
pontefice,
proclamava
davanti
all’assemblea
generale
del
suo
popolo
il
proprio
ringraziamento
a
Dio
per
avergli
concesso
la
vittoriosa
conclusione
del
conflitto.
Il
nuovo
sovrano
si
sentiva
parte
di
un
ampio
disegno
divino
riguardante
l’Italia
meridionale
e la
Sicilia.
Nello
specifico,
il
ruolo
che
egli
aveva
ricevuto
da
Dio
era
rappresentato
dall’amministrazione
della
giustizia
e
dall’esercizio
della
pietà,
per
raggiungere
la
pacificazione
interna
e
l’unità
del
territorio.
Per
svolgere
tale
incarico
nella
maniera
più
adeguata
e
soddisfacente,
egli
doveva
non
solo
curare
la
corretta
e
costante
applicazione
dell’ordinamento
giuridico
in
vigore
nelle
regioni
del
regno,
ma
altresì
doveva
intervenire
col
fine
di
correggere
il
diritto
vigente,
laddove
risultasse
iniquo,
mediante
l’introduzione
di
nuove
disposizioni
normative.
Secondo
la
concezione
di
Ruggero
II,
i
legislatori
avevano
il
compito
di
amministrare
la
giustizia
e il
compito
di
perseguire
l’obiettivo
della
tutela
del
diritto
già
in
vigore.
Il
monarca
affermava
di
voler
svolgere
la
funzione
legislativa
perché
essa
era
parte
integrante
della
giustizia,
in
tal
modo
giustizia
e
legislazione
risultavano
connesse
nella
potestà
regia.
In
sostanza,
le
leggi
sovrane
servivano
a
riformare
il
diritto
contrario
all’equità.
In
tal
modo,
Ruggero
II
considerò
le
Assise
un
valido
strumento
di
giustizia
nonché
una
riforma
necessaria
di
tutte
quelle
norme
vigenti
che
risultavano
del
tutto
superate
e
palesemente
ingiuste.
Per
la
prima
volta,
nell’Italia
meridionale
un
monarca
assumeva
su
di
sé
la
responsabilità
della
tutela
del
diritto,
dell’amministrazione
della
giustizia
con
riferimento
all’intero
territorio
del
regno.
Tale
assunzione
di
responsabilità
presentava
due
conseguenze
dirette
e
immediate:
da
un
lato,
il
sovrano,
quale
supremo
responsabile
della
giustizia,
vantava
la
potestà
di
intervenire
nel
merito
di
ordinamenti
particolari
(ordinamento
signorile
–
feudale
–
ecclesiastico);
dall’atro,
poteva
arrogarsi
settori
specifici
inerenti
l’amministrazione
della
giustizia.
Dunque,
la
tutela
del
diritto
vigente
del
regno
imponeva
a
Ruggero
II
il
rispetto
degli
ordinamenti
particolari,
ma
allo
stesso
tempo
lo
autorizzava
a
modificarne
i
contenuti
qualora
questi
risultassero
difformi
all’aequitas.
Tale
potestà
di
intervento
comportava
l’individuazione
di
un
preciso
ambito
di
giustizia
riservato
esclusivamente
alle
competenze
del
sovrano.
Più
specificatamente,
Ruggero
II
riservò
per
sé
la
competenza
di
una
serie
di
reati
la
cui
rilevanza
imponeva
una
giustizia
omogenea
e
superiore.
Si
trattava
di
reati
importanti
ai
fini
del
mantenimento
dell’ordine
pubblico,
quali
reati
contro
l’autorità
del
monarca
nonché
reati
contro
la
fede
pubblica.
Tali
reati
erano,
appunto,
riservati
alla
conoscenza
esclusiva
del
monarca:
egli
ne
affidò
l’amministrazione
a
magistrati
da
lui
nominati,
che
avevano
l’autorità
di
svolgere
il
proprio
incarico
nell’intero
ambito
territoriale
del
regno.
Ma
la
prerogativa
regia
non
si
limitò
alla
materia
penale,
bensì
si
estese
alla
materia
privatistica
e
con
particolare
impegno
venne
trattata
la
materia
matrimoniale.
Tuttavia,
il
significato
della
prerogativa
regia
può
essere
colto
in
modo
più
ampio
se
confrontiamo
il
testo
delle
Assise
ruggeriane
con
le
Leges
Henrici
I,
raccolta
di
norme
predisposte
nel
corso
del
XII
secolo.
Le
Leges
rappresentavano
un
corpus
sistematico
di
norme
composte
nell’ambito
della
curia
del
sovrano
e
dirette
a
fissare
le
consuetudini
affermatesi
nei
rapporti
tra
competenza
regia
e
ordinamenti
particolari
in
merito
all’amministrazione
della
giustizia.
Questa
prerogativa
si
espresse,
all’epoca
di
Enrico
I,
nella
tendenza
crescente
a
riservare
alla
giustizia
regia
le
cause
più
rilevanti.
Nello
specifico,
le
Leges
stabilirono
le
categorie
dei
delitti
rientranti
nella
competenza
del
re,
escludendo
però
ogni
potestà
in
merito
a
materie
concernenti
il
campo
spirituale.
Si
trattava
dei
delitti
contro
il
re e
la
sua
corte,
dei
danni
al
patrimonio
regio
e
delle
offese
gravi,
quali
omicidi,
rapine,
incendi
e
tradimento.
Ciò
comportava
la
istituzione
di
un
apparato
di
giudici
regi
operante
nel
territorio
del
regno,
in
collegamento
con
la
curia,
e
infatti
alla
stessa
epoca
risale
la
creazione
di
una
fitta
rete
di
agenti
giudiziari
dislocati
all’interno
delle
varie
regioni
e di
un
gruppo
di
giudici
itineranti.
Tali
giudici,
tuttavia,
non
potevano
mai
sostituirsi
alle
tradizionali
corti
ma
intervenivano
nei
casi
riservati
alla
giustizia
regia.
Pertanto,
ne
discende
che
l’apparato
giudiziario
così
costituito
prevedeva
l’intervento
costante
della
corte
regia.
Tuttavia,
tale
assunzione
di
responsabilità
da
parte
di
Enrico
I
non
si
limitava
alla
sola
tutela
del
diritto
nel
regno
ma
si
esplicava
altresì
nell’intervento
dell’autorità
monarchica
nel
caso
vi
fosse
un
difetto
di
giustizia
da
parte
delle
corti
locali.
In
particolare,
nei
casi
in
cui
l’autorità
sovrana
veniva
a
conoscenza
di
un
mancato
assolvimento
dei
compiti
da
parte
di
una
corte
locale
provvedeva
a
inviarle
un
writ.
Si
trattava,
in
pratica,
di
ordini
scritti
volti
a
segnalare
la
necessità
di
intervenire
a
riparazione
di
un
torto
o a
disporre
l’esecuzione
di
decisioni
già
prese.
La
situazione
siciliana
appariva
analoga.
Difatti,
il
monarca
assumeva
su
di
sé
il
compito
di
proteggere
i
diritti
di
tutti
gli
uomini
liberi
nei
settori
più
delicati
e
rilevanti
della
vita
associata.
In
questo
modo,
l’ordinamento
giuridico
trovava
nella
figura
del
re
una
tutela
più
adeguata.
Riferimenti
bibliografici:
M.
Caravale,
La
monarchia
meridionale.
Istituzioni
e
dottrina
giuridica
dai
normanni
ai
Borboni,
ed.
Laterza
1998;
Assise
di
Ariano:
testo
critico,
traduzione
e
note
a
cura
di
Ortensio
Zecchino,
Di
Mauro,
Cava
dei
Tirreni
1984,
pp.
22-106;
Storia
medievale,
Donzelli
Editore,
Roma
1998.