N. 46 - Ottobre 2011
(LXXVII)
LA FINESTRA SBAGLIATA
una legge per LE UNIONI OMOSEX
di Danilo Caruso
Nel passato giugno 2011 lo Stato di New York (ultimo di questa particolare serie iniziata nel 2001 dall’Olanda) ha emanato una legge (marriage equality act) che consente il matrimonio civile tra soggetti del medesimo sesso. In Italia il disegno di legge Bindi-Pollastrini del 2007, che non arrivò a essere approvato dal Parlamento, per il riconoscimento giuridico delle cosiddette unioni di fatto, intendeva dare soddisfazione a uno stato di disagio in cui per una lacuna legislativa è possibile che incorrano i soggetti che vi si trovano coinvolti.
Lo
Stato
non
può
non
prendere
atto
di
tali
situazioni
in
cui
due
o
più
individui
non
legati
da
strettissimi
legami
di
parentela
naturale
si
trovano
a
convivere
al
fine
di
un
mutuo
sostegno.
È
lecito
e
legittimo
disciplinare
una
casistica
di
possibili
casi
che
partano
esclusivamente
dal
fenomeno
della
convivenza
costante,
che,
poiché
non
può
essere
trascurato
nella
sua
rilevanza
fattuale
dalle
istituzioni
(che
regolano
il
vivere
societario)
merita
un’attenzione
che
lo
ponga
all’interno
di
norme
precise
per
chiarire
diritti
e
doveri
di
tali
cittadini.
Costoro
sono
inseriti
in
questo
contesto
di
fatto:
negarlo
è
illecito,
e
vorrebbe
dire
trascurare
agli
occhi
del
diritto
una
forma
associativa.
Qualsiasi
associazione
deve
vivere
in
società
essendo
riconosciuta
e
riconoscibile,
in
armonia
normativa
con
tutto
il
resto
del
consorzio
sociale
in
cui
si
presenta.
Il
progetto
di
legge
dell’allora
governo
Prodi
era
però
parziale
in
tali
aspetti:
parlava
solamente
delle
coppie
legate
da
vincoli
sentimentali.
Il
motivo
sarebbe
stato
nel
voler
dare
accoglimento
alla
richiesta
di
legalizzare
in
qualche
modo
le
unioni
omosex.
Non
si
possono
negare
a
degli
associati
conviventi
diritti
e
doveri,
nonostante
ciò
questo
non
può
maturare
sulla
base
del
comportamento
sessuale:
l’essere
omosessuali
non
è
fonte
di
riconoscimento
giuridico.
Ciò
è
dimostrato
storicamente.
Nell’antica
Grecia,
dove
l’omosessualità
era
considerata
sotto
il
profilo
antropologico
normale,
nessuno
pensò
di
elevare
questi
legami
al
rango
di
qualcosa
dotato
di
diritti
e
doveri.
Le
inclinazioni
sessuali
fanno
parte
della
sfera
del
privato,
nella
quale
lo
Stato
non
deve
entrare,
e da
cui
per
il
resto
i
contenuti
non
devono
essere
pubblici
perché
appunto
attinenti
a
una
dimensione
che
non
lo
è.
Il
matrimonio
legittimo
è
giuridicamente
disciplinato
per
il
fatto
che
contribuisce
alla
crescita
del
corpo
sociale:
se
dalle
unioni
eterosessuali
non
ci
fosse
la
facoltà
di
nascita
dei
figli
anche
questo
farebbe
parte
delle
cose
di
carattere
integralmente
privato.
Ma
qui
lo
Stato
non
prende
atto
della
situazione
partendo
da
un
riconoscimento
di
fattori
sessuali;
nel
matrimonio
normale
lo
Stato
tutela
i
coniugi
poiché
possono
avere
dei
figli,
e di
questa
eventualità
ne
coglie
gli
aspetti
sociali
(l’impotentia
cöeundi
è
fattore
annullante).
Da
coppie
gay
è
biologicamente
impossibile
che
nascano
dei
figli,
quindi
anche
sul
piano
del
diritto
naturale
dette
unioni
non
sono
giuridicamente
rilevanti
sotto
gli
aspetti
della
sessualità.
Gli
omosessuali
sono
liberi
nel
loro
privato
di
tenere
la
condotta
che
vogliono;
nessuno,
né
tanto
meno
lo
Stato,
può
condannarli
o
discriminarli.
Le
legislazioni
contro
di
loro
partono
anch’esse
da
principi
non
naturali:
è
naturale
e
ragionevole
che
un
cittadino
abbia
la
libertà
nel
suo
massimo
grado
lecito
consentito
nella
società
dalle
leggi
giuste,
e
nel
suo
privato,
a
maggior
ragione,
dove
lo
regolano
le
proprie
scelte
di
vita:
quando
queste
ledono
la
società
nella
sua
interezza
costui
compie
un
reato;
l’inclinazione
all’omosessualità
non
è un
reato.
Lo
Stato
deve
essere
sanamente
aconfessionale
e
interprete
del
diritto
di
natura.
Per
questo
motivo
i
Greci
antichi
né
la
condannarono
né
la
legittimarono,
ma
la
lasciarono
al
di
fuori
delle
cose
pubbliche,
mantenendola
sul
piano
pedagogico
in
uno
schema
culturale
più
ristretto
(senza
dimenticare
però
che
essa
era
più
generalizzata
e
diffusa).
Il
disegno
di
legge
che
parlava
di
coppie
usava
impropriamente
alcuni
termini,
soprattutto
nel
definirle
costituite
da
persone
unite
da
legami
sentimentali:
è
ammissibile
dare
legittimazione
solamente
all’associazione
in
quanto
tale
(quelle
con
più
di
due
componenti
non
rientravano
nella
disciplina
dei
casi
previsti
e ne
restavano
fuori).
Andava
preferibilmente
riconosciuta
qualsiasi
forma
aggregativa
stabile
che
al
momento
non
avesse
avuto
accoglimento
in
un
sistema
di
diritti
e
doveri
dei
componenti.
Alla
coppia
eterosessuale
in
questo
quadro
era
assegnato
un
matrimonio
civile
di
serie
B, e
il
motivo
è
chiarissimo:
senza
definirlo
matrimonio
un
tale
stato
di
unione
eterosessuale
era
parificato
a
quello
omosessuale:
calava
di
grado
il
matrimonio
civile
e
gli
si
avvicinava
l’unione
omosessuale
(il
che
avrebbe
voluto
attraverso
questo
espediente
creare
una
certa
uguaglianza).
Ma,
con
tutto
il
rispetto,
la
coppia
gay
non
potrà
mai
avere
uguaglianza
biologica
con
una
eterosessuale
(per
i
motivi
che
sono
già
stati
detti);
ragion
per
cui
questo
incontro
formale
a
metà
strada
tra
due
realtà
differenti
era
puramente
artificioso.
In
parecchi
avevano
protestato
in
difesa
dei
principi
della
famiglia
tradizionale
riconosciuta
dal
diritto
di
natura.
Questo
è il
non
plus
ultra
dei
ragionamenti
giuridici
per
tutti:
sia
per
chi
lo
interpreta
come
ordine
dato
da
Dio
alla
natura
e
alla
realtà
sociale,
sia
per
chi
lo
vede
come
contenuto
dato
dalla
pura
ragione
nell’esercizio
spontaneo
delle
sue
prerogative.
Su
questo
piano
tutti
gli
esseri
umani
devono
necessariamente
ritrovarsi;
il
modo
in
cui
ne
giustificano
l’origine
non
è
tanto
pertinente
agli
argomenti
discussi,
ma
che
il
diritto
naturale
sia
universalmente
rispettato
da
tutti
è
necessario
(pena
l’esclusione
dalla
civiltà).
Le
varie
morali
d’ispirazione
confessionale
vedono
e
trattano
la
realtà
in
modi
diversi:
perciò
si
discute
il
tema
in
maniera
libera,
unicamente
in
termini
di
antropologia
e di
razionalità.
Nessun
liberale
avrebbe
probabilmente
difficoltà
ad
accettare
delle
norme
per
il
riconoscimento
di
diritti
e
doveri
anche
di
coppie
omosessuali
nel
momento
in
cui
queste
siano
inserite
in
una
cornice
legislativa
più
ampia
che
raccolga
tutta
la
casistica
associativa,
senza
parlare
di
persone
(etero
o
omosex)
unite
da
vincoli
affettivi.
Tre
che
convivono
non
sono
una
coppia,
tuttavia
convivono:
meritano
ugualmente
attenzione.
Era
preferibile
non
parlare
di
coppie,
ma
solamente
di
“associazioni”
dal
numero
di
componenti
indefinito:
pure
una
casa
di
accoglienza
per
anziani
sarebbe
potuta
rientrare
in
questa
tipologia
associativa,
per
fare
un
esempio.
Su
più
grande
scala
occorreva
individuare
i
vari
casi
da
riconoscere
davanti
alla
legge:
passando
sì
da
questa
“finestra”
le
unioni
di
omosessuali
(giuridicamente
spogliate
degli
aspetti
sessuali
accidentali)
potevano
essere
accolte
più
serenamente.
Non
va
trascurato
che
la
legittimazione
dell’unione
eterosessuale
di
fatto
non
interessava
molto
agli
individui
in
essa
coinvolti
perché
già
avevano
la
possibilità
del
matrimonio
civile
se
volevano
regolarizzare
la
propria
posizione,
e
poi
perché
scelgono
la
convivenza
per
il
fatto
stesso
di
non
gradire
vincoli
giuridici.
Una
prospettiva
nuova
che
si
potrebbe
offrire,
e
non
esclusivamente
agli
anziani,
è
quella
di
varare
in
Italia
una
legge
per
associazioni
di
mutuo
sostegno.
Vale
a
dire
tramite
essa
dare
l’opportunità
ai
cittadini
di
unirsi,
con
forma
contrattuale,
in
nuclei
che
abbiano
lo
scopo
di
garantire
e
fornire
un
aiuto
reciproco
tra
i
componenti.
Questi
naturalmente
avrebbero
la
medesima
residenza.
I
gruppi
di
reciproca
assistenza
sarebbero
composti
da
una
pluralità
di
soggetti
(anche
più
di
due,
e di
qualsiasi
sesso);
i
loro
membri
verrebbero
equiparati
di
fronte
alla
legge
a
congiunti
di
primo
grado
(a
meno
che
non
vi
sia
esplicito
accordo
per
rispettare
l’esistenza
di
gradi
naturali).
Perciò
per
esempio
avrebbero
dopo
un
numero
di
anni
predefinito:
diritto
alla
pensione
di
reversibilità;
diritto
a
ereditare.
Queste
aggregazioni
non
sarebbero
giuridicamente
equiparabili
alla
famiglia
normale
(vi
potrebbe
essere
qualche
circostanza
d’eccezione).
Nessuno
avrebbe
facoltà
di
associarsi
se
non
compiuta
la
maggiore
età
(nell’ipotesi
di
minorenni
potrebbe
altrimenti
decidere
chi
ne
abbia
la
potestà):
un’adozione
stricto
sensu
non
sarebbe
possibile,
l’ingresso
di
minori
dovrebbe
essere
approvato
comunque
da
un
organo
statale.
I
nati
in
un
simile
consorzio
sarebbero
componenti
di
diritto.
A
tutela
di
questi,
e di
eventuali
minorenni
associati
in
un
secondo
momento
della
loro
vita,
lo
Stato
potrebbe
decidere,
assecondando
il
loro
sano
e
naturale
sviluppo,
un
tipo
di
affidamento
(adozione
o
accoglienza
in
strutture
apposite).
Questo
schema
associativo
darebbe
sistemazione
a
particolari
legami
(che
non
verrebbero
disciplinati
come
tali
ma
obliquo
modo):
-
coppie
eterosessuali
non
sposate
civilmente;
-
coppie
omosessuali;
-
poligamia
islamica.
Alcuni
in
relazione
a
questi
ultimi
aspetti
giudicheranno
il
progetto
delle
associazioni
di
mutuo
sostegno
contraddittorio
e
moralmente
dannoso
quando
in
realtà
non
lo
è:
chi
non
è
sposato
e
convive
more
uxorio
non
è
obbligato
se
non
vuole
a
sposarsi,
tuttavia
né
la
coppia
né
eventuali
figli
dovrebbero
rimanere
illegittimi;
allo
stesso
modo
per
i
gay:
lo
Stato
non
può
promuovere
né
riconoscere
unioni
omosessuali,
a
esso
non
interessa
in
questa
materia
l’orientamento
sessuale,
conta
solo
l’associazione
(nella
specifica
situazione
e in
tutte
le
altre,
fin
quando
qualcosa
non
si
tramuti
in
reato).
Questo
espediente
sarebbe
la
via
di
mezzo
tra
due
estremi:
la
legge
argentina
del
2010
che
legalizza
i
matrimoni
gay
–
con
la
modifica
del
codice
civile
–
equiparandoli
a
quelli
eterosessuali
(e
consente
quindi
le
adozioni),
e le
vigenti
legislazioni
di
Paesi
afroasiatici
a
danno
degli
omosessuali
(in
alcuni
casi
condannabili
alla
pena
di
morte
o
all’ergastolo).
Ugualmente
nei
confronti
di
cittadini
islamici
con
più
mogli
non
c’è
motivo
razionale
di
pregiudizio
a
loro
sfavore
(basta
ricordare
che
il
diritto
greco-antico
e
quello
romano
prevedevano
il
concubinato):
questa
forma
d’inquadramento
–
che
non
è
concubinato
–
sanerebbe
la
loro
posizione
rimuovendo
un
ostacolo
nell’avvicinamento
tra
culture
diverse.
Il
matrimonio
monogamico
resterebbe
l’unico
riconosciuto
e
tutelato
pubblicamente,
ciò
nonostante
se
uno
vuol
convivere
con
più
donne
si
tratta
di
fatti
privati
in
cui
lo
Stato
non
può
intromettersi
se
non
maturano
in
tale
contesto
dei
crimini.
La
legge
istitutiva
delle
associazioni
di
mutuo
sostegno
sarebbe
conforme
al
diritto
di
natura.
Va
compreso
che
nel
mondo
non
esiste
solamente
l’Occidente
cristiano
(cattolico,
ortodosso,
protestante)
e
che
il
valore
della
libertà
è
uno
dei
diritti
inalienabili
dell’essere
umano.
Ad
aprile
del
2010,
per
la
prima
volta
in
Italia,
è
stato
celebrato
religiosamente,
in
una
chiesa
valdese
di
Trapani,
uno
sposalizio
tra
due
donne
lesbiche.
La
cosa
è
inappuntabile
poiché
l’innocua
somministrazione
di
un
sacramento
non
è
materia
di
diritto
pubblico.
Lo
scorso
agosto
2011
l’onorevole
Paola
Concia,
parlamentare
del
PD
alla
Camera,
e la
sua
partner
tedesca
si
sono
congiunte
a
Francoforte
con
la
formula
dell’unione
civile
–
che
non
è
matrimonio
–
prevista
in
Germania
dal
2001.