N. 3 - Marzo 2008
(XXXIV)
La leggenda del sei nazioni
Dal fango alla storia
di Simone Valtieri
Il 15 gennaio 1998 è una
data storica per lo sport italiano: la nazionale
italiana di rugby viene ammessa, a partire dall’anno
2000, a partecipare al più prestigioso, elitario,
tradizionale, antico, affascinante e leggendario torneo
sportivo al mondo. Il Cinque, ora Sei, e in passato
Quattro… Nazioni, o per meglio dire il “Championship”.
Per capire l’importanza di tale data bisogna fare un
piccolo passo indietro nel tempo, o meglio un balzo di
oltre cento anni, fino al 27 marzo del 1871, data del
primo incontro internazionale della storia.
Edimburgo, si gioca sul
campo dell’Accademia, il Reaburn Place, davanti a
quattromila persone. L’incontro è tra la Scozia padrona
di casa in maglia blu, capitanata dal Francis Moncreiff,
e l’Inghilterra, rigorosamente in bianco con la rosa
rossa appuntata sul petto, guidata da Frederic Stokes,
poi futuro presidente della federazione nazionale.
Le regole? Più vicine
all’anarchia che a una codificazione. Il rugby di oggi,
a discapito di quanto possa sembrare guardando
distrattamente una partita, è disciplina,
differenziazione di ruoli e commissioni, regole precise.
Il rugby di allora, era una gigantesca "maul" tra
quaranta giocatori pronti ad azzuffarsi in un lago di
fango per spedire la palla in mezzo ai pali. L’arbitro
come si regolava? “La squadra che fa più casino di
solito è quella che sta dalla parte del torto”, queste
le parole dello scozzese Almond che diresse quella
partita e che concesse una dubbia meta proprio agli
scozzesi in quanto a far “più casino” in quell’azione
erano stati gli Inglesi. Finì 4-1 per chi giocava in
casa, dopo il fischio finale comunque strette di mano,
applausi sul campo, la promessa di rincontrarsi l’anno
seguente.
Questo match è considerato
il primo vero match della storia anche se in passato
erano stati già disputati due incontri internazionali
tra le medesime formazioni, ma con regole ancora più
sregolate. Questo perché al tempo si giocava secondo i
dettami delle diverse federazioni nazionali, e ognuna di
queste seguiva percorsi che le altre ignoravano.
Parliamo dei punteggi, ad
esempio: oggi il gioco è finalizzato alla meta,
costruita dopo faticose e difficili azioni, che viene
perciò premiata da cinque punti e dà poi il diritto di
eseguire un calcio di trasformazione che ne vale altri
due. Altre possibilità di rimpinguare il bottino sono i
calci di punizione, da tirare in mezzo ai pali se si
subisce un fallo, e i drop, da tirare sempre in mezzo ai
pali ma stavolta durante l’azione di gioco. Entrambi
danno diritto a tre punti. Al tempo il gioco era
finalizzato al calcio. Le mete non erano il punteggio
principale, o almeno c’erano diverse posizioni. Alcune
federazioni sostenevano valesse solamente una meta
trasformata, tre punti, altre che la meta già di per se
ne valesse uno, e che desse diritto a un qualcosa di
superiore, cioè calciare il pallone in mezzo ai pali
portando a casa altri due punti. Per questo in inglese
la meta si dice try, ossia tentativo, perché
grazie ad essa si può “tentare” di trasformare un
qualcosa di superiore.
Dopo quel match per altri
quattro anni si andò avanti con partite tra queste due
compagini, fino al 1874, quando l’Irlanda chiese di
giocare. Da risolvere c’era però un problema: far
convivere le due anime del Paese, cattolica e
protestante, rispettivamente il sud e il nord.
Soluzione: vengono convocati 10 giocatori per parte. I
primi, quelli del sud, si presentarono ben rasati,
mentre quelli del nord con una folta barba. Separati
dalla storia ma insieme nel rugby, cosa che accade
ancora oggi e solo in questo sport, dove nel Sei Nazioni
non gioca una compagine irlandese e una nordirlandese,
bensì un’unica Irlanda sotto un’unica bandiera, un’unica
maglia, rigorosamente verde come i prati d’Irlanda, e
con un unico inno, Ireland’s Call ("La chiamata
dell'Irlanda", usato per la prima volta nel 1995). Il
debutto irlandese avviene al Kennington Oval di Londra
l’anno seguente.
Nel 1879 viene assegnata
per la prima volta la Calcutta Cup. Un passo
indietro. Al tempo del massimo splendore dell’impero
britannico, in India, nel Gange, si trovava una
guarnigione composta da molti ufficiali appartenenti
all'aristocrazia inglese. Essi pensarono di costituire
un club in cui ritrovarsi. Quattro anni dopo, al momento
di tornare in patria e sciogliere il club, a qualcuno
venne l'idea di fondere le monete della cassa sociale
per destinarle a un oggetto d'arte atto a perpetuare il
ricordo del soggiorno in India. Il 20 dicembre 1877
James Rothney, segretario del Calcutta Football Club,
scrisse una lettera alla Rugby Union informandoli dello
scioglimento della squadra e offrendo 60 sterline al
fine di realizzare una coppa da mettere in palio
annualmente. La coppa fu fabbricata da un artigiano
locale e messa in palio annualmente solo tra Inghilterra
e Scozia. Al trofeo venne fissata una base in legno
sulla quale ogni anno, ancora oggi, vengono incisi i
nomi della squadra vincitrice. Viene conservata per un
anno dalla nazionale vincitrice del confronto e in caso
di parità resta alla squadra detentrice. In realtà la
coppa è custodita da un gioielliere di Abermale
Street dopo che nel 1897 la Scozia, battuta
dall'Inghilterra, si era presentata a Manchester senza
il trofeo, avendolo lasciato a Edimburgo forse troppo
sicura della propria vittoria che durava da quattro
anni. Così solo nei giorni della sfida viene esposta in
vetrina.
Ultima a debuttare tra le
Home Nations, ossia le nazionali d'Oltremanica, fu il
Galles, nel 1881. I Red Dragons, ancora cuccioli e senza
zolfo tra le fauci, cedono all’esordio per sei mete,
sette calci e un drop all’Inghilterra. Nel frattempo le
regole di questo sport iniziano a stabilizzarsi: 15
contro 15, con nove avanti (I giocatori che giocano
nella mischia più i due mediani) e sei indietro (quelli
che corrono con la palla in mano). L’arbitro diventa
figura importante, sembra strano a dirlo ma fino a che
non si introdusse l’uso del fischietto, il direttore di
gara era spesso ignorato dai giocatori e considerato
alla stregua di un intruso sul campo da gioco.
E siamo al 1883, anno del
primo torneo vero e proprio, il primo Home Nations
Championship, o più volgarmente, il primo Quattro
Nazioni. La prima classifica ufficiosa del torneo si
ebbe proprio in quell’anno. E' bene sottolineare il
termine "ufficioso", perché tale resterà a lungo.
Infatti per centodieci anni (fino al 1993) non esisteva
una classifica ufficiale della manifestazione né una
coppa per la formazione vincitrice. Le partite si
susseguivano regolarmente anno dopo anno nel periodo
invernale alimentando miti, storie, leggende di trionfi
e disfatte, personaggi e campioni, ma nessuna
istituzione rugbistica stilava graduatorie. A esse
pensavano i giornali. Il primo torneo se lo aggiudicò
l'Inghilterra, con un neo: gli inglesi e gli scozzesi
disputarono una gara in più, mentre Irlanda e Galles non
si incontrarono tra loro.
L'anno successivo (1884)
si disputò il primo torneo completo di tutti i match ed
è ancora l'Inghilterra a primeggiare. Le acque però
tornano agitate per i problemi sorti tra inglesi e
scozzesi: la prossima edizione non "monca" si avrà nel
1887 e fu appannaggio della Scozia di McLagan, mentre
l'Inghilterra per tre edizioni sprofonda all'ultimo
posto, nel bel mezzo della diatriba per la questione
dell'International Board. Era successo, infatti, che la
Scozia aveva aderito alla proposta dell'Irlanda per la
creazione di un organismo internazionale che unificasse
le regole e gli inglesi avevano boicottato i rivali blu.
Seguono altre edizioni incomplete: 1888 e 1889, e più
avanti 1897 e 1898. Se si esclude l'exploit irlandese
del 1888, questi anni vedono l'alternanza al vertice di
Inghilterra e Scozia. Nel 1890 si arriva a un accordo
sul regolamento e l'anno successivo la Scozia conquista
la sua prima triplice corona.
Aperta parentesi. La
Triple Crown, o Triplice Corona, era il trofeo
assegnato a chi si aggiudicava il torneo battendo tutte
e tre le altre squadre. E’ ancora assegnata, ma visto
che del Championship fanno parte oggi anche
Francia e Italia, resta un trofeo prestigioso, che ha
valore però solo relativo e riguarda esclusivamente le
nazionali anglosassoni che, come allora, se lo
guadagnano battendo sul campo le altre tre. Chiusa
parentesi.
Il 1893 segna il primo
trionfo del Galles, grazie al nuovo sistema di gioco dei
quattro "tre quarti", mentre l'Inghilterra entra in un
declino con cui dovrà fare i conti fino al 1912, anno in
cui gli uomini della Rosa torneranno al successo. Dal
1884 in poi le leggende si sprecano, troppe per entrare
in uno solo articolo giornalistico, ma anche troppo
affascinanti per essere tralasciate.
Come non ricordare il
mitico esordio sul campo dell’Arms Park di Cardiff,
datato 1893, dove Il Galles batte l'Inghilterra 12-11
con un drop di Billy Bancroft, negli ultimi istanti di
una partita giocata nel fango? Infatti il giorno prima
la coltre di neve e ghiaccio che ricopriva il terreno
venne sciolta con bracieri, usando 18 tonnellate di
carbone. Memorabile anche la sfida dei Dragoni con
l'Inghilterra nel gennaio 1903 a Swansea. Piove a
dirotto sul St. Helen's. Il capitano dei rossi è Tom
Pearson che dopo dieci minuti va in meta, ma si
infortuna e deve uscire. Con un uomo in meno, il Galles
combatte e ne mette a segno addirittura altre tre con
Jehoida Hodges: tripletta record, superato solo dopo
sessant'anni.
Dal 1910 entra a far parte
del prestigioso torneo anche la Francia. I primi anni
sono però durissimi per la nuova arrivata, che il 1°
gennaio tracolla all’esordio sotto i colpi del Galles
per 49-14. Nel 1913 la Francia viene rimproverata per
l'indisciplina del pubblico durante il match con la
Scozia: la pace verrà fatta sette anni dopo.
L'Inghilterra, battendo tutte le avversarie, ottiene il
primo Grande Slam del torneo allargato a cinque
partecipanti e si ripete nel 1914, ultima edizione prima
del blocco dovuto alla Grande Guerra. Nel conflitto le
Nazionali britanniche perderanno 76 giocatori, la
Francia 23.
E' il giorno di capodanno
del 1920 e al Parco dei Principi di Parigi, di fronte a
25 mila spettatori, va in scena il match inaugurale del
Cinque Nazioni tra Francia e Scozia. Non è una partita
come tutte le altre: sette anni prima, nel 1913, stesso
giorno stesse contendenti, si era verificata
un'incresciosa invasione di campo del pubblico
casalingo, infuriato per l'inflessibile arbitraggio
dell'inglese Baxter colpevole di aver favorito gli
scozzesi (vittoriosi per 3-21). Di conseguenza, la
Scozia aveva congelato qualsiasi rapporto con i
francesi. Ora, in un contesto pressoché identico e con
un risultato finale ancora arridente alla Scozia (0-5,
una meta allo scadere), si temeva la stessa conclusione
della volta precedente. Invece l'arbitro - anche lui
inglese - Frank Potter-Irwin viene circondato
minacciosamente dalla folla e poi... portato in trionfo!
E' un rugby d'altri tempi:
il terza ala scozzese Jock Wemyss, colpevole di aver
smarrito la vecchia maglia da gioco usata prima della
guerra (gli altri erano tutti giocatori nuovi), non
viene fornito della nuova uniforme e si presenta nel
tunnel di ingresso al campo a torso nudo. Solo
all'ultimo momento un dirigente - vista la giornata di
intemperie - chiude un occhio e gli consegna la maglia,
evitandogli qualche malanno. Nello stesso anno, il 17
gennaio, il Galles strapazza l'Inghilterra a Swansea
19-5. In uno stadio battuto da vento gelido e pioggia,
protagonisti del primo tempo sono l'ala inglese Harold
Day e il centro gallese Jerry Shea. Quest'ultimo porta i
suoi sul 3-0 e nel secondo tempo dilaga, riuscendo
nell'impresa della full house: meta, trasformazione,
calcio e drop.
Nel 1921, sempre al St.
Helen's di Swansea, il Galles perde partita (8-14) e
faccia di fronte alla Scozia, in un match caratterizzato
da continue invasioni di campo di un pubblico
numericamente eccessivo e debordante rispetto alla
capienza delle tribune. L'anno successivo la Scottish
Football Union (dal 1924 Scottish Rugby Union) decide di
costruire un nuovo stadio che sostituisse quello di
Inverleith, ormai inadeguato alla popolarità del rugby
scozzese e delle sue leggende MacGherron, Drysdale,
Liddell. Vennero così acquistati diciannove acri di
terreno a Murrayfield dal club di polo di Edimburgo e in
tre anni innalzato il nuovo tempio. Il 31 marzo 1925 la
partita inaugurale con l'Inghilterra, battuta 14-11, che
consegnò alla Scozia il suo primo Grande Slam,
interrompendo il predominio inglese. Sono anni eroici in
cui il suono delle cornamuse riecheggia anche oltre il
vallo di Adriano: nel 1926 la Scozia fu la prima
britannica a violare Twickenham, lo storico tempio del
rugby Inglese, superando 9-17 un'Inghilterra vincitrice
dello Slam cinque volte nelle ultime otto edizioni. Rose
rosse e Highlanders dominarono gli anni '20, con
la felice parentesi dei gallesi del 1922. Dragoni che,
però, non poterono far nulla, due anni dopo, di fronte a
un'Irlanda forte di ben tre coppie di fratelli: Tom e
Frank Hewitt (ala destra e mediano di apertura, entrambi
di Belfast); George e Harry Stephenson (tra quarti,
anch'essi dalla capitale nordirlandese); Dick e Billy
Collopys, piloni dublinesi.
Nel 1929, l'Irlanda
perderà in casa con la Scozia 7-16, nell'ultima partita
in cui si proibirono mete per invasione di campo. Il tre
quarti verde Jack Arigho era infatti pervenuto in area
di meta, senza poter schiacciare a terra l'ovale perché
l'area era intasata di tifosi festanti (ce n'erano
quarantamila quel giorno a Lansdowne Road). Lo stesso
accade poco dopo a Rowland Byers: meta annullata. Tempi
di vacche magre per la Francia: l'apprendistato è dei
più difficili per i whipping boys (più o meno
"vittime predestinate"), come gli inglesi chiamano con
disprezzo i francesi. Quattro cucchiai di legno e
le perle del pareggio con l'Inghilterra nel 1922 (11-11)
e la vittoria sui "maestri" per 3-0 nel 1927.
Seconda parentesi. Il
cucchiaio di legno, o Wooden Spoon, è il
simbolico riconoscimento che va a chi arriva ultimo in
ogni torneo. Da non confondere con il Whitewash
("andare in bianco"), che va alla formazione che ha
perso tutte le partite, totalizzando zero punti in
classifica. Fino al 1904 l'utensile più temuto dal mondo
ovale esisteva veramente: William Bolton, velocissimo
tre quarti ala inglese, introdusse la tradizione per
"gratificare" i nemici irlandesi, sempre sconfitti. Il
cucchiaio, acquistato da Bolton durante una vacanza in
Svizzera nel cantone dei Grigioni, era simile a quello
che i produttori elvetici di formaggio utilizzavano per
girare il caglio. Dal 1904, chissà per quali sconosciute
vicende della vita, di quell'arnese non si ha più
traccia.
L'edizione 1930 vide
quattro delle cinque partecipanti giungere al traguardo
ex aequo con due vittorie ciascuna. Cenerentola rimase
la Scozia. Il tallonatore inglese Sam Tucker riuscì a
scendere in campo per il rotto della cuffia in
Galles-Inghilterra. Escluso dalla selezione della Rosa
rossa, viene richiamato appena due ore prima del match
per sostituire l'infortunato Henry Rew. A Bristol c'è
pronto un aereo della federazione per lui, ma una volta
atterrato nei pressi di Cardiff, il nostro Tucker deve
affidarsi a un passaggio in un camion puzzolente fino al
centro cittadino e deve districarsi nella ressa
scatenatasi all'ingresso dell'Arms Park per l'acquisto
dei biglietti. Entrerà nello spogliatoio cinque minuti
prima del fischio d'inizio, il tempo di cambiarsi e
imboccare il tunnel. I bianchi inglesi vincono 3-11: per
Tucker il più classico dei veni, vidi, vici. Nel 1931 la
Francia vince due gare (Irlanda e Inghilterra), ma non
s'immagina certo quel che le sta per accadere: i
Galletti sono esclusi dal torneo per professionismo.
Saranno riammessi nel 1939, ma dovranno aspettare il
1947 per poter rigiocare una partita del Cinque Nazioni.
Infatti dal 1940 al 1946 la seconda guerra mondiale
impedisce lo svolgimento della competizione e si disputa
solo qualche amichevole.
La bufera bellica si è
placata, lasciando un po' ovunque sull'Europa i suoi
cumuli di macerie, fisiche e morali. Lo spirito sportivo
rinasce e si torna a giocare a rugby: l'edizione della
ripresa, 1947, se l'aggiudica l'Inghilterra sul Galles,
arriveranno poi gli anni d'oro dell'Irlanda e gli anni
della Francia di Jean Prat, "Monsieur Rugby", nativo di
Lourdes e celebrità cittadina secondo soltanto
all'Immacolata Concezione, nonché promotore del rugby
come gioco corale, una caratteristica che diventerà
distintiva della palla ovale francese. Sono gli anni del
delicato equilibrio sociale e politico che attraversa
l’Irlanda. Nel 1954, a Belfast, i giocatori dell'Ulster
non vogliono saperne di ascoltare l'inno britannico: la
decisione avvelena ulteriormente il clima. Da allora le
partite casalinghe dell'Irlanda si giocheranno
stabilmente a Dublino. Sono gli anni di Terry Davies,
estremo ed eroe dei Dragoni, e di Eric Evans tallonatore
Inglese che guida i bianchi nel 1957 ad ottenere il
Grande Slam dopo vent'anni, ma che diventano ventinove
se si considera il torneo completo a cinque squadre (nel
1937 la Francia era esclusa).
Gli anni sessanta sono un
decennio bicolore "bleu" e "red", con un’unica parentesi
“bianca” nel 1963. Tra le curiosità di questo periodo,
nel 1962 il match Irlanda-Galles slittò da marzo a
novembre per un'epidemia di vaiolo e si concluse in
parità (3-3). Pochi giorni dopo iniziò un inverno tra i
più gelidi che la storia ricordi e che condizionerà
l'edizione 1963 del torneo, vinta dagli inglesi.
Galles-Inghlterra è a rischio rinvio, ma si fa di tutto
per giocare: il campo dell'Arms Park viene ricoperto da
30 tonnellate di paglia, da togliere appena prima della
partita, per evitare il formarsi di una lastra di
ghiaccio. Ingenti quantità di sale sono cosparse su
tribune e terrapieni. Addirittura, il rettangolo di
gioco subisce una riduzione, perché alcune porzioni sono
irrimediabilmente congelate. Per la cronaca vincono gli
Inglesi tredici a sei, sei come i gradi sotto zero che
segnava quel giorno il termometro. I Dragoni si rifanno
in Scozia, stavolta su un campo decente grazie al
sistema di riscaldamento del manto erboso ideato dai
padroni di Murrayfield. Un bel "cappotto", e non è
soltanto una "freddura": 0-6, con il capitano Clive
Rowlands autore di un drop da posizione impossibile.
Quel giorno fu stabilito anche il record di 111 touche.
Il 1965, seppur nel bel
mezzo dell'età dell'oro gallese, è ricordato per la meta
di Andy Hancock a Twickenham, il 20 marzo. Sotto di tre
punti per quasi 80 minuti e con la Scozia sempre in
attacco, l'ala inglese riceve l'ovale presso la propria
area di meta e lo schiaccia dalla parte opposta dopo una
corsa forsennata di novanta metri, placcato inutilmente
sulla linea di meta. Praticamente l'unica azione
dell'Inghilterra in tutto il match, capace di cogliere
impreparati fotografi e cameramen. Le due rivali però
chiusero il torneo in fondo alla classifica. In
Galles-Inghilterra del 1967, emerge il tre quarti
centro, riadattato a estremo, Keith Jarrett, capace di
metter dentro sette calci e una meta a soli diciotto
anni. Risultato finale: 34-21, unica vittoria gallese di
quell'anno, ma quell'annata costituì solo una piccola
parentesi negativa, preludio a una straordinaria serie
di successi colorati di rosso.
Siamo all'anticamera di un
grandissimo ciclo gallese, un'epopea tra le più
significative della storia dello sport. Negli anni '70
una nazione arrivò a identificarsi nella sua squadra di
rugby: il Galles. Sette titoli (1971, 1972, 1973, 1975,
1976, 1978, 1979) contro i due della pur quotatissima
Francia (1970, 1977) e il successo solitario (1974)
dell'Irlanda del leggendario capitano Willie John
McBride che una volta aveva giocato alcuni minuti di un
match contro la Francia, seppur avesse una frattura alla
tibia sinistra.
Triste parentesi nel 1972:
30 gennaio, giornata nota come Bloody Sunday,
domenica di sangue. Tredici pacifici manifestanti
nordirlandesi sono uccisi dai soldati inglesi a
Londonderry e la protesta divampa in tutto il Paese.
Siamo nel bel mezzo del Cinque Nazioni: Scozia e Galles,
data la situazione politica estremamente instabile, si
rifiutano di andare in Irlanda e quasi un secolo dopo
l'ultima volta si ha un torneo incompleto. A Dublino,
per i successivi venticinque anni, non sarà più suonato
l'inno God save the Queen.
Tornando al Galles.
L'epopea dei Dragoni era iniziata con la vittoria del
torneo nel 1969, anno in cui vennero introdotte le
sostituzioni. Ma già dalla metà del decennio i gaelici
avevano imposto la loro superiorità. "Nelle valli
minerarie e lungo i cento chilometri che vanno da
Newport a Llanelli - scrive Francesco Volpe - fiorisce
una generazione di talenti paragonabile a quella
dell'Olanda di Johann Cruyff".
Barry John, Gareth
Edwards, JPR Williams, Phil Bennett, Carwyn James,
Raymond Gravell, Gerald Davis resero il Galles
imbattibile. Nel 1971
espugna Murrayfield e i giornalisti dissero di aver
visto "la migliore squadra di tutti i tempi". Quattro
triplici corone consecutive (1976-1979) e sei in totale,
partendo dal 1979; tre Grandi Slam (1971, 1976, 1978):
solo la granitica Francia di Jacques Fouroux - detto "le
Petit Caporal", mediano di mischia - e Jean Pierre Rives
- "l'Angelo Biondo" - sembra poter tenere testa ai
Dragoni nella seconda metà degli anni '70.
Chiudiamo il decennio con
altre due memorie: nel 1978 si verificò la prima
espulsione di un giocatore; l'edizione 1976 si apre in
un Murrayfield battuto da un vento
incredibilmente secco: la Francia vince 6-13 e l'arbitro
inglese Ken Pattinson, reo di aver fischiato un
fuorigioco inesistente, terminerà lì la sua carriera
internazionale. Dagli anni '70 il Cinque Nazioni aumenta
esponenzialmente la sua popolarità e visibilità. La
televisione, per soddisfare le esigenze di sponsor e
audience, impone un calendario più regolare, con cinque
giornate non consecutive da gennaio a marzo e di sabato.
Sulla tv italiana le partite sono commentate da Paolo
Rosi, ex azzurro e primo italiano a segnare una meta a
Twickenham. La sua conoscenza enciclopedica del rugby e
la sua dote inesauribile di aneddoti contribuiscono alla
diffusione dello sport ovale in Italia. E a proposito di
quella partita a cui si è accennato, Scozia-Francia del
10 gennaio 1976, Rosi pronunciò la storica frase "mentre
soffia il vento gelido delle Highlands...".
Nel 1979 si consuma
l'ultimo successo del grande Galles: bisognerà attendere
il 1988 per rivedere i Dragoni in cima alla classifica,
e neanche da soli. C'era infatti la Francia, quella
Francia che, liberatasi dell'ostacolo gallese, potrà
finalmente dominare il decennio, insieme all'Irlanda.
Nel mezzo del regno blu e verde c'è però spazio per due
ritorni eccellenti: Inghilterra e Scozia. Nel 1980 la
Rosa rossa del capitano Bill Beaumont e poi la Scozia
che nel 1984 centra il Grande Slam. Erano 59 anni che
non accadeva. In questa occasione, dopo Scozia-Francia
21-12, si ritira il transalpino Rives. Quattro i
successi della Francia negli anni '80: 1981, 1986, 1987,
1989. Due gli Slam (1981 e 1987). Nel 1983 giunge pari
con l'Irlanda, trionfatrice nel 1982 e 1985.
L'allenatore dei Galletti è Jacques Fouroux, in campo a
tradurre in pratica le sue direttive vanno tra gli
altri Serge Blanco, talentuoso e spettacolare estremo di
colore; Philippe Sella, il centro che stabilisce il
record di 111 presenze in Nazionale; Pierre Berbizier,
mediano di mischia e anima del gioco della Grande
Francia; Laurent Rodriguez, potentissimo numero otto.
Ci si avvia così verso gli
anni '90, che segneranno il riemergere dell'Inghilterra.
Le vittorie della Rosa erano diventate così rare che fu
considerato storico e degno di libagioni collettive il
colpo parigino del 1982 (15-27). Il "terzo tempo" non fu
trascorso al pub, ma all'ospedale per una lavanda
gastrica. Il nuovo decennio comincia con una memorabile
vittoria della Scozia sull'Inghilterra, partita decisiva
che consegna agli Highlanders un altro Grande Slam dopo
quello del 1984. E' la Scozia di David Sole, Gavin
Hastings e John "The White Shark" Jeffrey, oltre
al capitano Craig Chalmers. I blu avevano vinto tutte le
partite, finora, e così gli inglesi, i quali però
sembravano molto più uno schiacciasassi. A Murrayfield
la gara della verità, che avrebbe consegnato al
vincitore non solo titolo e Slam, ma anche la Calcutta
Cup e la Triple Crown. All'intervallo la Scozia conduce
9-4, con tre calci di Chalmers e una meta non
trasformata di Guscott (il punteggio per la meta era
ancora 4+3 e non 5+2, come oggi). Nel secondo tempo,
mentre tutti si aspettano la reazione dell'Inghilterra,
la Scozia continua a spingere sull'acceleratore e va
ancora in meta con Stanger. Finirà 13-7, dopo un calcio
di Hodgkinson: tripudio finale scozzese con invasione
pacifica di campo. L'astio verso gli inglesi era
particolarmente avvertito in quegli anni, a causa della
situazione politica: era il periodo del governo di Margaret
Thatcher e della sua austerità economica e durezza
fiscale.
Tre anni dopo, nel 1993,
una grande svolta interessa il torneo: viene istituito
il Championship Trophy e per la prima volta questa
competizione assegnerà una coppa. Quindi, niente più
vittorie a pari merito: in caso di parità in classifica,
conterà, d'ora in poi, la differenza punti ed
eventualmente la differenza mete. Ormai la tv e il
professionismo sono entrati a pieno titolo nel Cinque
Nazioni. Gli anni ’90, così come il successivo decennio,
vedono l’alternarsi al vertice di Inghilterra e Francia,
con sporadiche eccezioni. I bianchi vincono le edizioni
1991, 1992, 1995 e 1996, con tre Slam e sei triplici
corone (in otto tornei). I Galletti hanno la meglio nel
1993, 1997 e 1998, gli ultimi due con tutte vittorie.
Uno dei successi più straordinari della Francia fu
quello del 1997 a Twickenham: in svantaggio 20-6 dopo i
primi quaranta minuti e di fronte a un pubblico in
delirio, Lamaison guida i francesi a un'incredibile
rimonta fino al 20-20. A tre minuti dalla fine, lo
stesso Lamaison centra i pali con un calcio: 20-23, il
tempio è espugnato.
L'edizione 1999, ultima
del Cinque Nazioni che dall'anno successivo diventerà
Sei Nazioni, se l'aggiudica la Scozia, nonostante ancora
una volta gli inglesi fossero arrivati a pari punti con
i blu, tra l'altro battuti 24-21 nello scontro diretto.
Da ricordare, in Scozia-Francia 33-20, la meta più
veloce della storia del torneo: John Leslie va a
schiacciare dopo nove secondi, uno in meno dell'inglese
Leo Price in Inghilterra-Galles 7-3 a Twickenham nel
1923.
L'importanza dell'edizione
2000 è fondamentale: il torneo sbarca nel nuovo
millennio presentando una nuova partecipante. Non
accadeva dal 1910, quando fu ammessa la Francia.
L'Italia ovale può esultare: è entrata in quello che
forse è il club più esclusivo del pianeta. L'allenatore
degli Azzurri è Brad Johnstone, neozelandese che ha
raccolto l'eredità di Georges Coste, il tecnico francese
che ha fatto compiere al rugby italiano il definitivo
salto di qualità. La stella è Diego Dominguez, mediano
di apertura che ha già 34 anni e ha atteso quel momento
per tutta la carriera. Sono i suoi drop e calci a
determinare il trionfo italiano nel match di esordio
contro la Scozia, campione in carica. Al Flaminio di
Roma, l'Italia vince 34-20 ed evita il cucchiaio di
legno. Utensile che, però, sarà regolarmente recapitato
nella cucina azzurra nel 2001 e 2002. Nel 2003, con il
nuovo tecnico John Kirwan, l'Italia supera 30-22 il
Galles e l'anno successivo 20-14 la Scozia: Lo Cicero e
compagni sembrano in grado di poter vincere almeno due
incontri, ma nel 2005 ripiomba l'oscurità e una
sciagurata partita gettata al vento a Murrayfield, con
un'infinità di calci falliti che avrebbero condotto
indubbiamente al successo gli Azzurri, costa il posto al
tecnico ex All Black che deve lasciare la panchina a
Pierre Berbizier, leggenda francese che traghetta gli
azzurri fino alle storiche affermazioni in terra di
Scozia e a Roma contro il Galles del 2007.
Questa, in breve,
l'evoluzione italiana nei primi anni di Sei Nazioni. Un
bilancio magro, ma in linea con le aspettative e la
storia di questo torneo, dove non si improvvisa niente e
dove la tradizione conta moltissimo. Il Flaminio non è
Twickenham e nemmeno l'avveniristico Millennium, non ha
il fascino di Murrayfield o la storia di Lansdowne Road.
Lo scudetto tricolore non è la Rosa rossa inglese o il
trifoglio o il cardo, e neppure il galletto. Ma la
tradizione non si inventa da un giorno all'altro, va
coltivata, alimentata, costruita nel tempo, giorno dopo
giorno, anno dopo anno. Per l'Italia sportiva è un
privilegio grandissimo disputare questo torneo e sembra
che il pubblico lo stia comprendendo.
Questo è in estrema
sintesi il resoconto di oltre centoventi anni di storia
di questo leggendario torneo. Tra i grandi nomi del
nuovo millennio si annoverano l’apertura inglese Jonny
Wilkinson, uno dei migliori calciatori della storia del
rugby, che con un già mitico drop ha portato la sua
nazionale al trionfo nella Coppa del mondo 2003, e il
centro Irlandese Brian O’Driscoll, che ha finora
capitanato invano un’Irlanda bella ma eterna incompiuta,
alla ricerca di un successo nel torneo che manca dal
1985, e che è sfuggita anche nell’ultima edizione a
causa di una meta all’ultimo secondo della Francia.
Accanto a loro, nelle rose delle squadre partecipanti ai
tornei, tantissimi giocatori sempre più fisici, veloci e
robusti rispetto al passato, al servizio sempre e
comunque di una collettività che è caratteristica
imprescindibile del gioco del rugby. Spero di aver ben
reso per quale motivo il 15 gennaio 1998, giorno in cui
l'Italia venne ammessa nel "Club", viene considerata una
data storica. |