N°
173
/ MAGGIO 2022 (CCIV)
ambiente
IL COCCODRILLO GUSTAVE
LA LEGGENDA DEL TERRIBILE RETTILE ASSASSINO
di Lorenzo Bruni
La paura incondizionata di bestie feroci, viste come
sadiche cacciatrici di uomini, apparentemente dotate
di una forza mistica, ha da sempre accompagnato
l’evoluzione della natura umana. Se, in passato,
tale timore era ancor più giustificato, in quanto
legato alla propria diretta sopravvivenza, il
progredire della tecnologia e della politica sociale
hanno consentito alla razza umana di liberarsi, in
parte, da tale angoscia, limitando la stessa a
determinate parti del globo, nelle quali l’elemento
naturale continua a essere predominante su quello
umano, o vedendo la stessa mantenersi viva grazie,
per lo più, alla diffusione di alcune opere
cinematografiche, quali ad esempio la saga quali
Lo squalo oppure Anaconda.
Nonostante ciò, un ristretto numero di singoli
animali, nel corso della propria esistenza, è stato
direttamente accusato di aver perpetrato anche
decine di assassinii, tanto da entrare a far parte
delle culture e delle leggende autoctone con tratti
crudeli e demoniaci. Uno degli esempi più famosi fra
questi “mangiatori di uomini” è quello del
coccodrillo Gustave, un gigantesco rettile che,
negli ultimi vent’anni del secolo scorso, e forse
anche al giorno d’oggi, avrebbe causato la morte di
oltre trecento persone.
In realtà, come vedremo a breve, nonostante
l’esistenza e le gigantesche dimensioni dello stesso
possano essere anche considerate plausibili, la sua
innata ferocia, la sua longevità e, soprattutto, il
numero delle vittime ad esso attribuite
sembrerebbero essere state particolarmente romanzate
dalla tradizione locale e dai curiosi che alla
particolare storia di questo coccodrillo si
sarebbero avvicinati.
In primo luogo, si rende necessario stabilire cosa,
di fatto, sia, o fosse, Gustave. Tale rettile
acquatico appartiene alla razza dei Crocodylus
niloticus, specie diffusa in Africa lungo il
percorso del Nilo, a Sud del lago di Nasser, ma che
può vivere anche in acque salate. Il territorio di
caccia di Gustave sarebbe situato nel corso del
fiume Ruzizi e nelle foreste ad esso adiacenti, ma
soprattutto nella parte settentrionale del lago
Tanganyika, sul confine tra Repubblica Democratica
del Congo e Burundi: proprio qui avrebbero avuto
luogo la maggior parte degli attacchi ai danni di
esseri umani, in particolare nelle aree adiacenti
alla capitale, Bujumbura, e ai villaggi di Magara,
Kanyosha e Minago.
In questa zona dell’Africa i coccodrilli, oltre ad
essere particolarmente temuti, sono considerati
animali sacri dalla popolazione locale: i totem che
li raffigurano sono ritenuti amuleti dotati una
considerevole forza magica e gli stessi rettili sono
simboli di rincarnazione e rinascita, per via della
loro capacità di rinnovare costantemente, nel corso
della loro vita, la propria dentatura.
Lo stesso timore reverenziale, ovviamente, si
rivolge anche verso Gustave, considerato il più
imponente tra i suoi simili. Nonostante alcune
fotografie che lo raffigurano, scattate per lo più
dal fotografo Martin Best per National Geographic,
le dimensioni di Gustave sono soltanto ipotizzabili,
dato che nessuno ha mai potuto studiarlo da vicino:
sebbene esso venga descritto dagli autoctoni come
lungo tra gli 8 e i 12 metri, si ritiene più
probabile che la sua lunghezza superi di poco i 6
metri; il suo peso, invece, dovrebbe essere di circa
907 chili.
Sono numerose le leggende che circolano addirittura
attorno al suo aspetto: nonostante egli assomigli a
qualsiasi altro coccodrillo, presentando un colorito
verde scuro che si avvicina al marroncino, alcune
testimonianze lo descrivono come scarlatto, oppure
di un giallo abbagliante; ancora, alcuni testimoni
sosterrebbero di aver intravisto una collana di
diamanti attorno al suo collo, o che sulla parte
superiore del suo corpo crescerebbe direttamente un
manto d’erba che lui utilizzerebbe per mimetizzarsi
perfettamente nell’ambiente circostante.
Ignorando tali dicerie popolari, è certa, invece, la
presenza di alcune cicatrici: una, ben visibile, si
presenterebbe sulla spalla destra, mentre sulla
sommità del cranio si troverebbero i segni di tre
fori di proiettile, probabilmente causati dai colpi
di fucili mitragliatori. Grande incertezza, infine,
si ha a riguardo dell’età del rettile.
Una fotografia scattata nei primi anni Duemila,
infatti, testimoniava il perfetto mantenimento della
propria dentatura: tale indizio andava però a
scontrarsi con la leggenda popolare, che riteneva
Gustave potesse essere ultracentenario. Dato che la
dentatura dei Coccodrilli del Nilo, la cui vita dura
mediamente poco più di settant’anni, inizia a essere
lacunosa in seguito al sessantesimo anno d’età, si
ipotizzò che potesse essere nato nel 1955.
Quel poco che sappiamo, a proposito di Gustave, è il
frutto della lunga ricerca e del lavoro
dell’erpetologo francese Patrice Faye che, dal 1998
in poi, si sarebbe dedicato anima e corpo alla
caccia nei confronti del terribile animale. In base
ai suoi studi, effettuati grazie alla raccolta di
preziose testimonianze e all’osservazione diretta
sul campo, Faye avrebbe stabilito che la prima,
ufficiale apparizione di Gustave sarebbe da far
risalire al 1987; anche per lui, purtroppo, è
risultato però impossibili stabilire il numero
preciso e l’intensità delle aggressioni perpetrate
dal “mostro del Tanganyika” data la grande quantità
di attacchi a esseri umani perpetrati da indefiniti
coccodrilli di modesta taglia.
In un primo momento, considerando la presenza di
Gustave soltanto un pericolo per le comunità ivi
residenti, Faye avrebbe richiesto e ottenuto dal
governo del Burundi un permesso per cacciare e
uccidere l’animale; trascorsi alcuni mesi, però, il
suo obiettivo sarebbe cambiato radicalmente: egli
avrebbe sì continuato a tentare di catturare il
colossale coccodrillo, ma unicamente a scopo di
studio.
A inizio 2002, dunque, collocò una gigantesca
trappola per rettili lungo il fiume Ruzizi,
avvalendosi dell’opera di circa quaranta
trasportatori, col preciso intento di immobilizzare
Gustave il tempo necessario per inserirgli un
rilevatore nella coda che comunicasse ogni suo
spostamento. Tale tentativo non ha però prodotto
alcun risultato.
Dopo ulteriori due anni di preparazione e ricerca,
nel novembre 2004 un’equipe specializzata,
organizzata da National Geographic, si è
recata a Bujumbura finanziando una spedizione di
caccia, guidata dallo stesso Faye e dalla biologa
sudafricana Alison Leslie. Il materiale raccolto nel
corso di tale impresa e i filmati girati durante il
suo svolgimento sono successivamentestati sfruttati
per creare il documentario Capturing The Killer
Croc.
Il primo tentativo di cattura escogitato da Faye
prevedeva l’utilizzo di una gabbia lunga circa 9
metri, ancora una volta sulle rive del Ruzizi, con
un’esca al suo interno. Una volta preso atto del
fallimento di tale espediente, l’erpetologo francese
ordinò di collocare ulteriori tre trappole di minori
dimensioni nelle dirette prossimità del fiume; nei
giorni successivi, però, ad essere catturati furono
esclusivamente coccodrilli di piccola taglia.
Infine, cercò di sfruttare nuovamente la gabbia
utilizzata nel primo tentativo, posizionando al suo
interno, stavolta, una capra viva come esca, e
ponendola sotto il diretto e costante controllo di
una telecamera a infrarossi. Anche in questo caso,
purtroppo, il piano fallì: il giorno successivo l’equipe
trovò la telecamera inabissata, mentre della capra
non rimaneva alcuna traccia.
Per ammissione dello stesso Faye, in ogni caso,
sarebbe da escludere un intervento dello stesso
Gustave: l’ipotesi da lui ritenuta più probabile
sarebbe quella di un’improvvisa tempesta notturna,
che avrebbe semplicemente fatto strabordare il fiume
Ruzizi, ribaltando così la telecamera e consentendo
alla capra di fuggire.
Al termine della spedizione, Faye avrebbe deciso di
abbandonare definitivamente la caccia a Gustave, pur
rilasciando numerose interviste nel corso degli anni
e continuando la sua opera di ricerca. Negli anni,
in realtà, è diventato una personalità molto
conosciuta e apprezzata in Burundi, grazie alla
stesura di numerose opere teatrali, ma soprattutto
alla creazione di un talk show satirico che
gli valse l’antipatia della politica locale.
Nel 2011, al termine di un processo per stupro
intentato da cinque ragazzi provenienti da uno degli
orfanotrofi da lui costruiti a Bujumbura, venne
condannato a una detenzione di venticinque anni. In
seguito alle molte proteste organizzate dalla sua
famiglia e valorizzate dal diretto intervento del
governo francese, che definirono tale processo una
farsa organizzata da una politica che ormai
considerava Faye un personaggio eccessivamente
scomodo, egli venne scarcerato e rimpatriato in
Francia; attualmente vive in Togo.
Nel frattempo, gli avvistamenti di Gustave
iniziarono a farsi sempre meno frequenti. Nel 2005,
addirittura, la stampa burundese asserì che
l’animale fosse stato ucciso da un gruppo di
pescatori locali e servito come portata principale
nei ristoranti di Bujumbura. Due anni dopo, il
regista Michael Katleman realizzò il film
Primeval (Paura primordiale), un horror ispirato
alla storia di Gustave che, però, ottenne pochissimo
successo, sia di pubblico che di critica.
Quando chiunque ormai iniziava a pensare che il
mostro del Tanganyika fosse effettivamente
scomparso, nel febbraio 2008 questo venne nuovamente
avvistato da alcuni pescatori burundesi mentre si
trovava a caccia di un’antilope. Una nuova
apparizione del mastodontico coccodrillo si verificò
anche l’anno successivo sulle sponde del lago
Tanganyika.
Sebbene alcuni ricercatori tendano a ricollegare il
ritorno di Gustave semplicemente alle superstizioni
locali, sostenendo che esso in realtà sia morto da
tempo, una spiegazione plausibile sulle sue continue
e prolungate assenze sarebbe fornita dalla natura
stessa del Coccodrillo del Nilo, che, avanzando con
l’età, avverte sempre meno la necessità di nutrirsi,
e, superati i sessant’anni, può accontentarsi di
mangiare anche soltanto una volta ogni sei mesi,
trascorrendo il resto del tempo nella più totale
tranquillità. In aggiunta a ciò, andrebbe
considerata anche la mole di Gustave, aggravata
dalla vecchiaia: esso, infatti, non avrebbe mai
potuto disporre della rapidità necessaria per
cacciare prede troppo veloci, normale nutrimento dei
coccodrilli di dimensioni più modeste,
costringendolo ad avventurarsi sempre con meno
frequenza in battute di caccia e ad accontentarsi di
animali feriti, anziani o, come nel caso di alcuni
pescatori, distratti.
L’ultimo avvistamento ufficiale di Gustave
risalirebbe al 2015, quando sarebbe stato scorto da
alcuni burundesi trascinare in acqua, a seconda
delle fonti, o la carcassa di un’antilope o quella
di un bufalo. Nel 2019 la stampa locale diede
nuovamente notizia riguardo la morte dell’animale,
sostenendo che un coccodrillo ucciso da alcuni
pescatori sulle rive del Tanganyika potesse essere
proprio lui: in questo caso, la smentita ufficiale
arrivò immediata, dato che le dimensioni
dell’animale, che a malapena raggiungeva i 5 metri,
risultavano non sufficienti per appartenere a
Gustave.
Una nuova fotografia, ritraente la carcassa
inanimata di un gigantesco coccodrillo, venne fatta
circolare nel corso del 2021, assieme a una
didascalia che sanciva la fine della leggenda di
Gustave; anche in questo caso, però, non si trattava
che di un falso, scattato con angolo tale che il
rettile, di dimensioni in realtà ben più modeste di
quelle che apparivano dalla foto, sembrasse quasi
gigantesco.
È dunque logico presumere che Gustave, il terribile
mangiatore di esseri umani, sia sempre in
circolazione, pronto a mietere le sue nuove vittime?
In realtà, ciò appare ben poco probabile. Per
giustificare tale scetticismo, si rende necessario
abbandonare il campo della leggenda e analizzare più
da vicino la statistica che renderebbe Gustave così
unico e particolare nel suo genere: il numero delle
oltre trecento vittime a lui attribuite.
Se, infatti, risulta già abbastanza complicato
attribuire a un coccodrillo piuttosto che a un altro
la responsabilità di un determinato attacco,
compresi alcuni casi, come quello di Ildephonse
Ndikumana, che nel 2004 dichiarò di essere
sopravvissuto a Gustave perdendo soltanto un arto
inferiore, forse lasciandosi semplicemente
suggestionare da voci e superstizioni, è necessario
sottolineare come la stima dei decessi da lui
causati non sia riconosciuta ufficialmente, ma
soltanto conseguenza di un malinteso.
Infatti, sarebbe stato proprio Faye a dichiarare,
durante un’intervista rilasciata a National
Geographic nel corso della spedizione del 2004,
che nei tre mesi in cui, negli anni precedenti,
avrebbe seguito Gustave da vicino, sarebbe stato
spettatore di ben diciassette attacchi contro esseri
umani. In base a questa sua diretta testimonianza,
l’erpetologo francese avrebbe continuato, sostenendo
che se il coccodrillo avesse mantenuto quella media
per tutti i precedenti vent’anni, sarebbe dunque
riuscito a uccidere più di trecento persone.
Non esistono, difatti, prove concrete del fatto che
Gustave possa aver effettivamente mietuto un tale
numero di vittime. Addirittura, lo stesso Faye, nel
2011, poco prima dell’inizio delle proprie peripezie
legali,avrebbe ammesso all’autore Richard Grant, nel
libro Crazy River: A Plunge into Africa, che
in realtà le vittime confermate che potrebbero
essere attribuite a Gustave non raggiungerebbero
neppure la sessanta unità.
Esistono alcune teorie, smentite in ogni caso dallo
stesso Faye, che sospettano che la figura di Gustave
sia stata creata nel corso della guerra civile del
Burundi per occultare o giustificare alcuni
assassinii avvenuti nell’area vicina alla capitale;
tale ipotesi, in ogni caso, non è mai stata
confermata, né esistono prove a suo carico.
Piuttosto, appare lecito e logico pensare che sia
veramente esistito, o continui a esistere, un
gigantesco coccodrillo, dalle dimensioni superiori a
quelle comuni, e che tale creatura si sia resa
protagonista di effettivi attacchi nei confronti di
esseri umani; a creare il mito di feroce belva
assassina di uomini, in seguito, avrebbe provveduto
la superstizione locale e la volontà umana di
ricercare un mostro terrificante là dove,
semplicemente, non è presente altro che un comune
animale.
Si sa, però… a conti fatti, per quanto improbabile
possa essere, tutte le leggende contengono un
fondamento di verità.