[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

173 / MAGGIO 2022 (CCIV)


ambiente

IL COCCODRILLO GUSTAVE

LA LEGGENDA DEL TERRIBILE RETTILE ASSASSINO

di Lorenzo Bruni

 

La paura incondizionata di bestie feroci, viste come sadiche cacciatrici di uomini, apparentemente dotate di una forza mistica, ha da sempre accompagnato l’evoluzione della natura umana. Se, in passato, tale timore era ancor più giustificato, in quanto legato alla propria diretta sopravvivenza, il progredire della tecnologia e della politica sociale hanno consentito alla razza umana di liberarsi, in parte, da tale angoscia, limitando la stessa a determinate parti del globo, nelle quali l’elemento naturale continua a essere predominante su quello umano, o vedendo la stessa mantenersi viva grazie, per lo più, alla diffusione di alcune opere cinematografiche, quali ad esempio la saga quali Lo squalo oppure Anaconda.

 

Nonostante ciò, un ristretto numero di singoli animali, nel corso della propria esistenza, è stato direttamente accusato di aver perpetrato anche decine di assassinii, tanto da entrare a far parte delle culture e delle leggende autoctone con tratti crudeli e demoniaci. Uno degli esempi più famosi fra questi “mangiatori di uomini” è quello del coccodrillo Gustave, un gigantesco rettile che, negli ultimi vent’anni del secolo scorso, e forse anche al giorno d’oggi, avrebbe causato la morte di oltre trecento persone.

 

In realtà, come vedremo a breve, nonostante l’esistenza e le gigantesche dimensioni dello stesso possano essere anche considerate plausibili, la sua innata ferocia, la sua longevità e, soprattutto, il numero delle vittime ad esso attribuite sembrerebbero essere state particolarmente romanzate dalla tradizione locale e dai curiosi che alla particolare storia di questo coccodrillo si sarebbero avvicinati.  


In primo luogo, si rende necessario stabilire cosa, di fatto, sia, o fosse, Gustave. Tale rettile acquatico appartiene alla razza dei Crocodylus niloticus, specie diffusa in Africa lungo il percorso del Nilo, a Sud del lago di Nasser, ma che può vivere anche in acque salate. Il territorio di caccia di Gustave sarebbe situato nel corso del fiume Ruzizi e nelle foreste ad esso adiacenti, ma soprattutto nella parte settentrionale del lago Tanganyika, sul confine tra Repubblica Democratica del Congo e Burundi: proprio qui avrebbero avuto luogo la maggior parte degli attacchi ai danni di esseri umani, in particolare nelle aree adiacenti alla capitale, Bujumbura, e ai villaggi di Magara, Kanyosha e Minago.

 

In questa zona dell’Africa i coccodrilli, oltre ad essere particolarmente temuti, sono considerati animali sacri dalla popolazione locale: i totem che li raffigurano sono ritenuti amuleti dotati una considerevole forza magica e gli stessi rettili sono simboli di rincarnazione e rinascita, per via della loro capacità di rinnovare costantemente, nel corso della loro vita, la propria dentatura.

 

Lo stesso timore reverenziale, ovviamente, si rivolge anche verso Gustave, considerato il più imponente tra i suoi simili. Nonostante alcune fotografie che lo raffigurano, scattate per lo più dal fotografo Martin Best per National Geographic, le dimensioni di Gustave sono soltanto ipotizzabili, dato che nessuno ha mai potuto studiarlo da vicino: sebbene esso venga descritto dagli autoctoni come lungo tra gli 8 e i 12 metri, si ritiene più probabile che la sua lunghezza superi di poco i 6 metri; il suo peso, invece, dovrebbe essere di circa 907 chili.

 

Sono numerose le leggende che circolano addirittura attorno al suo aspetto: nonostante egli assomigli a qualsiasi altro coccodrillo, presentando un colorito verde scuro che si avvicina al marroncino, alcune testimonianze lo descrivono come scarlatto, oppure di un giallo abbagliante; ancora, alcuni testimoni sosterrebbero di aver intravisto una collana di diamanti attorno al suo collo, o che sulla parte superiore del suo corpo crescerebbe direttamente un manto d’erba che lui utilizzerebbe per mimetizzarsi perfettamente nell’ambiente circostante.

 

Ignorando tali dicerie popolari, è certa, invece, la presenza di alcune cicatrici: una, ben visibile, si presenterebbe sulla spalla destra, mentre sulla sommità del cranio si troverebbero i segni di tre fori di proiettile, probabilmente causati dai colpi di fucili mitragliatori. Grande incertezza, infine, si ha a riguardo dell’età del rettile.

 

Una fotografia scattata nei primi anni Duemila, infatti, testimoniava il perfetto mantenimento della propria dentatura: tale indizio andava però a scontrarsi con la leggenda popolare, che riteneva Gustave potesse essere ultracentenario. Dato che la dentatura dei Coccodrilli del Nilo, la cui vita dura mediamente poco più di settant’anni, inizia a essere lacunosa in seguito al sessantesimo anno d’età, si ipotizzò che potesse essere nato nel 1955.       


Quel poco che sappiamo, a proposito di Gustave, è il frutto della lunga ricerca e del lavoro dell’erpetologo francese Patrice Faye che, dal 1998 in poi, si sarebbe dedicato anima e corpo alla caccia nei confronti del terribile animale. In base ai suoi studi, effettuati grazie alla raccolta di preziose testimonianze e all’osservazione diretta sul campo, Faye avrebbe stabilito che la prima, ufficiale apparizione di Gustave sarebbe da far risalire al 1987; anche per lui, purtroppo, è risultato però impossibili stabilire il numero preciso e l’intensità delle aggressioni perpetrate dal “mostro del Tanganyika” data la grande quantità di attacchi a esseri umani perpetrati da indefiniti coccodrilli di modesta taglia.

 

In un primo momento, considerando la presenza di Gustave soltanto un pericolo per le comunità ivi residenti, Faye avrebbe richiesto e ottenuto dal governo del Burundi un permesso per cacciare e uccidere l’animale; trascorsi alcuni mesi, però, il suo obiettivo sarebbe cambiato radicalmente: egli avrebbe sì continuato a tentare di catturare il colossale coccodrillo, ma unicamente a scopo di studio.

 

A inizio 2002, dunque, collocò una gigantesca trappola per rettili lungo il fiume Ruzizi, avvalendosi dell’opera di circa quaranta trasportatori, col preciso intento di immobilizzare Gustave il tempo necessario per inserirgli un rilevatore nella coda che comunicasse ogni suo spostamento. Tale tentativo non ha però prodotto alcun risultato.

 

Dopo ulteriori due anni di preparazione e ricerca, nel novembre 2004 un’equipe specializzata, organizzata da National Geographic, si è recata a Bujumbura finanziando una spedizione di caccia, guidata dallo stesso Faye e dalla biologa sudafricana Alison Leslie. Il materiale raccolto nel corso di tale impresa e i filmati girati durante il suo svolgimento sono successivamentestati sfruttati per creare il documentario Capturing The Killer Croc.

 

Il primo tentativo di cattura escogitato da Faye prevedeva l’utilizzo di una gabbia lunga circa 9 metri, ancora una volta sulle rive del Ruzizi, con un’esca al suo interno. Una volta preso atto del fallimento di tale espediente, l’erpetologo francese ordinò di collocare ulteriori tre trappole di minori dimensioni nelle dirette prossimità del fiume; nei giorni successivi, però, ad essere catturati furono esclusivamente coccodrilli di piccola taglia.

 

Infine, cercò di sfruttare nuovamente la gabbia utilizzata nel primo tentativo, posizionando al suo interno, stavolta, una capra viva come esca, e ponendola sotto il diretto e costante controllo di una telecamera a infrarossi. Anche in questo caso, purtroppo, il piano fallì: il giorno successivo l’equipe trovò la telecamera inabissata, mentre della capra non rimaneva alcuna traccia.

 

Per ammissione dello stesso Faye, in ogni caso, sarebbe da escludere un intervento dello stesso Gustave: l’ipotesi da lui ritenuta più probabile sarebbe quella di un’improvvisa tempesta notturna, che avrebbe semplicemente fatto strabordare il fiume Ruzizi, ribaltando così la telecamera e consentendo alla capra di fuggire.

 

Al termine della spedizione, Faye avrebbe deciso di abbandonare definitivamente la caccia a Gustave, pur rilasciando numerose interviste nel corso degli anni e continuando la sua opera di ricerca. Negli anni, in realtà, è diventato una personalità molto conosciuta e apprezzata in Burundi, grazie alla stesura di numerose opere teatrali, ma soprattutto alla creazione di un talk show satirico che gli valse l’antipatia della politica locale.

 

Nel 2011, al termine di un processo per stupro intentato da cinque ragazzi provenienti da uno degli orfanotrofi da lui costruiti a Bujumbura, venne condannato a una detenzione di venticinque anni. In seguito alle molte proteste organizzate dalla sua famiglia e valorizzate dal diretto intervento del governo francese, che definirono tale processo una farsa organizzata da una politica che ormai considerava Faye un personaggio eccessivamente scomodo, egli venne scarcerato e rimpatriato in Francia; attualmente vive in Togo.          


Nel frattempo, gli avvistamenti di Gustave iniziarono a farsi sempre meno frequenti. Nel 2005, addirittura, la stampa burundese asserì che l’animale fosse stato ucciso da un gruppo di pescatori locali e servito come portata principale nei ristoranti di Bujumbura. Due anni dopo, il regista Michael Katleman realizzò il film Primeval (Paura primordiale), un horror ispirato alla storia di Gustave che, però, ottenne pochissimo successo, sia di pubblico che di critica.

 

Quando chiunque ormai iniziava a pensare che il mostro del Tanganyika fosse effettivamente scomparso, nel febbraio 2008 questo venne nuovamente avvistato da alcuni pescatori burundesi mentre si trovava a caccia di un’antilope. Una nuova apparizione del mastodontico coccodrillo si verificò anche l’anno successivo sulle sponde del lago Tanganyika.

 

Sebbene alcuni ricercatori tendano a ricollegare il ritorno di Gustave semplicemente alle superstizioni locali, sostenendo che esso in realtà sia morto da tempo, una spiegazione plausibile sulle sue continue e prolungate assenze sarebbe fornita dalla natura stessa del Coccodrillo del Nilo, che, avanzando con l’età, avverte sempre meno la necessità di nutrirsi, e, superati i sessant’anni, può accontentarsi di mangiare anche soltanto una volta ogni sei mesi, trascorrendo il resto del tempo nella più totale tranquillità. In aggiunta a ciò, andrebbe considerata anche la mole di Gustave, aggravata dalla vecchiaia: esso, infatti, non avrebbe mai potuto disporre della rapidità necessaria per cacciare prede troppo veloci, normale nutrimento dei coccodrilli di dimensioni più modeste, costringendolo ad avventurarsi sempre con meno frequenza in battute di caccia e ad accontentarsi di animali feriti, anziani o, come nel caso di alcuni pescatori, distratti.

 

L’ultimo avvistamento ufficiale di Gustave risalirebbe al 2015, quando sarebbe stato scorto da alcuni burundesi trascinare in acqua, a seconda delle fonti, o la carcassa di un’antilope o quella di un bufalo. Nel 2019 la stampa locale diede nuovamente notizia riguardo la morte dell’animale, sostenendo che un coccodrillo ucciso da alcuni pescatori sulle rive del Tanganyika potesse essere proprio lui: in questo caso, la smentita ufficiale arrivò immediata, dato che le dimensioni dell’animale, che a malapena raggiungeva i 5 metri, risultavano non sufficienti per appartenere a Gustave.

 

Una nuova fotografia, ritraente la carcassa inanimata di un gigantesco coccodrillo, venne fatta circolare nel corso del 2021, assieme a una didascalia che sanciva la fine della leggenda di Gustave; anche in questo caso, però, non si trattava che di un falso, scattato con angolo tale che il rettile, di dimensioni in realtà ben più modeste di quelle che apparivano dalla foto, sembrasse quasi gigantesco.


È dunque logico presumere che Gustave, il terribile mangiatore di esseri umani, sia sempre in circolazione, pronto a mietere le sue nuove vittime?

 

In realtà, ciò appare ben poco probabile. Per giustificare tale scetticismo, si rende necessario abbandonare il campo della leggenda e analizzare più da vicino la statistica che renderebbe Gustave così unico e particolare nel suo genere: il numero delle oltre trecento vittime a lui attribuite.

 

Se, infatti, risulta già abbastanza complicato attribuire a un coccodrillo piuttosto che a un altro la responsabilità di un determinato attacco, compresi alcuni casi, come quello di Ildephonse Ndikumana, che nel 2004 dichiarò di essere sopravvissuto a Gustave perdendo soltanto un arto inferiore, forse lasciandosi semplicemente suggestionare da voci e superstizioni, è necessario sottolineare come la stima dei decessi da lui causati non sia riconosciuta ufficialmente, ma soltanto conseguenza di un malinteso.

 

Infatti, sarebbe stato proprio Faye a dichiarare, durante un’intervista rilasciata a National Geographic nel corso della spedizione del 2004, che nei tre mesi in cui, negli anni precedenti, avrebbe seguito Gustave da vicino, sarebbe stato spettatore di ben diciassette attacchi contro esseri umani. In base a questa sua diretta testimonianza, l’erpetologo francese avrebbe continuato, sostenendo che se il coccodrillo avesse mantenuto quella media per tutti i precedenti vent’anni, sarebbe dunque riuscito a uccidere più di trecento persone.

 

Non esistono, difatti, prove concrete del fatto che Gustave possa aver effettivamente mietuto un tale numero di vittime. Addirittura, lo stesso Faye, nel 2011, poco prima dell’inizio delle proprie peripezie legali,avrebbe ammesso all’autore Richard Grant, nel libro Crazy River: A Plunge into Africa, che in realtà le vittime confermate che potrebbero essere attribuite a Gustave non raggiungerebbero neppure la sessanta unità.

 

Esistono alcune teorie, smentite in ogni caso dallo stesso Faye, che sospettano che la figura di Gustave sia stata creata nel corso della guerra civile del Burundi per occultare o giustificare alcuni assassinii avvenuti nell’area vicina alla capitale; tale ipotesi, in ogni caso, non è mai stata confermata, né esistono prove a suo carico.

Piuttosto, appare lecito e logico pensare che sia veramente esistito, o continui a esistere, un gigantesco coccodrillo, dalle dimensioni superiori a quelle comuni, e che tale creatura si sia resa protagonista di effettivi attacchi nei confronti di esseri umani; a creare il mito di feroce belva assassina di uomini, in seguito, avrebbe provveduto la superstizione locale e la volontà umana di ricercare un mostro terrificante là dove, semplicemente, non è presente altro che un comune animale.

 

Si sa, però… a conti fatti, per quanto improbabile possa essere, tutte le leggende contengono un fondamento di verità.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]