N. 16 - Aprile 2009
(XLVII)
La legge LXXI
Analisi della
nuova normativa
vaticana in materia
di fonti del diritto
di Ferdinando
Angeletti
Il 1 gennaio 2009 è
entrata in vigore, nello Stato della Città del Vaticano,
la legge LXXI riguardante le fonti del diritto
riconosciute dall’ordinamento vaticano.
Tale legge, motu proprio del Pontefice Benedetto
XVI va a sostituire un’analoga norma risalente al 7
giugno 1929 e promulgata da Papa Pio XI.
Lo scopo di questo articolo è quello di analizzare la
legge, confrontandola con la normativa precedente e
successivamente fare alcune considerazioni sulle
polemiche sorte a seguito della promulgazione di questa
norma pontificia.
Le motivazioni della normativa
Fin dall’incipit, è chiaro come la nuova legge vaticana
sulle fonti del diritto abbia un’importanza
fondamentale. Infatti viene espressamente citata, a
riguardo, la “legge fondamentale” dello Stato della
Città del Vaticano promulgata nel 2000 dal Pontefice
Giovanni Paolo II.
Infatti, a seguito di quella norma, che ha rivoluzionato
l’ordinamento vaticano, è sorta la necessità di rivedere
anche la gerarchia delle fonti valida nei territori
papali.
Oltretutto, la normativa di riferimento, la già citata
Legge II del giugno 1929, risultava piuttosto obsoleta e
di difficile applicazione, stanti le numerose
modificazioni intervenute sia nel diritto vaticano, sia
nel diritto italiano, che nella società.
Si ricordi, a riguardo, che il codice penale italiano è
successivo alla norma vaticana (1930), così come tutti
gli altri codici italiani attualmente in vigore (civile
e procedura civile 1942, procedura penale 1988) nonché
lo stesso codice di procedura civile vaticano (1946). È
vero che la norma era stata più volte modificata e
novellata ma, a distanza di settanta anni e con tanti e
tali cambiamenti avvenuti, una normativa nuova, unica e
chiara era più che mai necessaria.
Si andrà ora ad analizzare più in dettaglio le norme
presenti nella nuova legge.
Le fonti del diritto in generale
L’art. 1 della legge LXXI contiene una rigida gerarchia
delle fonti, implementata poi, ai sensi degli artt. 3 e
12 della medesima legge, dalle norme della legislazione
italiana ed internazionale.
Come è molto semplice comprendere, la gerarchia delle
fonti vaticana risente delle peculiarità che lo Stato
della Città del Vaticano possiede. Ecco quindi che al
primo “gradino” della gerarchia non troviamo leggi
ordinarie o una Costituzione, bensì un ordinamento. Ai
sensi dell’art. 1 c. 1, infatti, la prima fonte
normativa è costituita dall’Ordinamento canonico (il cui
elemento di spicco è il Codex Iuris Canonici
assieme a disposizioni conciliari e Costituzioni
apostoliche).
Utilizzando i termini stessi della legge vaticana,
immediatamente al di sotto della “prima fonte normativa”
troviamo le “fonti principali” costituite dalla già
citata legge fondamentale del 2000, nonché da tutte le
leggi promulgate dal Pontefice e dagli organi delegati a
esercitare il potere legislativo (ad esempio la
Pontificia Commissione).
Tuttavia occorre fare una diversificazione. Infatti non
si può paragonare la “forza normativa” della legge
fondamentale con le altre leggi promulgate dal
Pontefice.
Bisogna qui evidentemente scindere la categoria “fonti
principali” in due ordini: da una parte le norme “motu
proprio” del Pontefice (come la legge fondamentale del
2000) dall’altra le norme promulgate da altri organi.
Infatti, proprio per le peculiarità dello stato
vaticano, ove il Pontefice gode di poteri assoluti,
appare incontrovertibilmente vero come le norme da lui
volute siano gerarchicamente superiori a quelle emanate
da altri organi. In sostanza, si tratterebbe di norme
“fondamentali” per l’ordinamento vaticano e, quindi,
aventi una resistenza passiva all’abrogazione/modifica
superiore.
Conseguenza diretta di questo ragionamento sta nella
posizione gerarchica della norma di cui stiamo parlando.
La legge LXXI, infatti, oltre ad essere un “motu
proprio” del Pontefice, richiama esplicitamente nel
preambolo la norma fondamentale, ponendosi un gradino
più in alto di qualsiasi altra legge ordinaria
(promanante da altro organo).
Per quanto riguarda le norme di secondo grado, esse si
articolano in regolamenti, decreti e, ai sensi dell’art.
1 c. 3 Legge LXXI, in “ogni altra disposizione normativa
legittimamente emanata”.
Le norme vaticane ed il diritto italiano
L’art. 3 della legge LXXI va a sostituire l’analogo
articolo 3 della legge 7 giugno 1929 N. II.
Secondo questo articolo, l’ordinamento della Città del
Vaticano recepisce le norme dell’ordinamento italiano
che possano integrare le lacune presenti
nell’ordinamento vaticano.
Secondo il dettato dell’art. 3, le norme del diritto
italiano vengono applicate, previo recepimento da parte
dell’autorità vaticana, in via suppletiva nelle materie
in cui l’ordinamento vaticano risulta insufficiente o
addirittura mancante.
Ora, a prima vista, una norma del genere parrebbe essere
innocua e di strettissima applicazione.
In realtà l’ordinamento giuridico vaticano è molto
lacunoso in quanto a norme. Sono relativamente poche le
leggi vaticane e quindi ancor meno quelle che possano
andare a riguardare il diritto civile, il diritto penale
e le relative procedure.
Infatti, se si va a ben vedere nei successivi articoli,
le norme civili e penali (nonché la procedura penale)
sono quasi esclusivamente devolute all’ordinamento
italiano.
Fa eccezione la procedura civile per la quale, in data 1
maggio 1946, si è provveduto a dare completa
sistemazione con l’adozione di un codice di procedura
civile vaticano.
Appare quindi chiaro che, devolvendo importantissime
parti del proprio diritto a quelle di uno stato
straniero (non si dimentichi che Italia e Stato Città
del Vaticano sono due stati sovrani e distinti collegati
da numerosi Trattati ed Accordi universalmente
riconosciuti come Trattati internazionali),
l’ordinamento vaticano debba in qualche modo tutelare i
propri interessi sovrani in caso di violazione di essi
da parte dell’ordinamento italiano. È un ragionamento
abbastanza logico.
Se l’Italia dovesse
devolvere ad uno stato terzo l’intera legislazione in
materia penale, è evidente come dovrebbe poi far
conciliare questa legislazione “esterna” con le proprie
norme e, specialmente, con la propria Costituzione.
Un esempio renderà meglio l’idea. L’ordinamento italiano
devolve a quello francese il potere di legiferare in
materia penale. In Francia, per una serie di
motivazione, viene promulgata una legge penale la cui
pena prevista viene applicata anche a parenti e
conoscenti del colpevole benché estranei alla vicenda.
Questo configgerebbe con l’art. 27 c. 1 della nostra
Costituzione che postula la responsabilità personale e
vieta la responsabilità per fatto altrui (nullum
crimen, nulla poena, sine culpa).
Non serve evidenziare come
un norma del tipo analizzato non potrebbe rimanere
nell’ordinamento italiano ma andrebbe dichiarata
incostituzionale dalla competente autorità (la Corte
Costituzionale).
Allo stesso modo l’ordinamento vaticano non può
accettare certe norme dell’ordinamento italiano che
configgano con le sue norme gerarchicamente superiori
(ovvero tutti gli atti normativi emanati dalle autorità
vaticane, perché il diritto italiano opera in via
suppletiva) e, a tal fine impone, ai sensi dell’art. 3 c.1
un previo recepimento.
Al comma successivo, poi,
la norma chiarisce le motivazioni per un mancato
recepimento (benché sul piano teorico non appaia
necessario espletare tali motivazioni, potendoli
ricondurre tutti al criterio gerarchico).
Ecco che, quindi, viene vietato il recepimento di norme
contrarie ai precetti di diritto divino, ai principi
generali di diritto canonico (quindi alla prima fonte
normativa) nonché alle norme dei Patti lateranensi e
successivi accordi applicabili.
Oltre a questo, l’art. 4 pone delle limitazioni in
materia civile; è a tal fine che alcune importanti
materie, quali la cittadinanza, il matrimonio e
l’adozione vengono regolate dalla legge canonica o
comunque da leggi vaticane.
Tutti i punti di cui all’art. 4 lettere a – m, benché
utili a chiarire effettivamente quali siano le
limitazioni al recepimento di norme italiane in materia
civile, appaiono superflue sul piano puramente teorico
avendo già l’art. 3 chiarito che le norme italiane
operano unicamente in via suppletiva e solo in caso di
lacuna nell’ordinamento vaticano.
Il diritto vaticano ed il diritto internazionale
Non vi è molto da dire riguardo i rapporti tra diritto
vaticano ed ordinamento internazionale, almeno stando
alle disposizioni della Legge LXXI.
Secondo l’art. 1 c. 4, l’ordinamento vaticano si
conforma alle norme di diritto internazionale generale
(ormai assimilato al diritto internazionale
consuetudinario), nonché ai trattati di cui è parte la
Santa Sede (cui è peraltro riconosciuta personalità
giuridica internazionale). Al tempo stesso, in virtù
dell’art. 3 nonché del’art. 12, lo Stato della Città del
Vaticano recepisce anche i Trattati internazionali
ratificati dall’Italia riguardanti specifiche materie
previste ai numeri 1 – 9 della lettera a) del c. 1 del
medesimo articolo 12 (sempre fatta salva un’eventuale
specifica normativa vaticana in materia).
Alcune note a conclusione
Spunto per la redazione di questo articolo è venuto allo
scrivente negli ultimi giorni del passato 2008. In
numerosi quotidiani, blog ed agenzie di informazione
veniva riportata la notizia dell’imminente (1 gennaio
2009) entrata in vigore della norma (da ricordare che
era stata redatta mesi prima, il 1 ottobre 2008) unita
ad una serie di commenti (giornalistici e di cittadini
comuni) di stampo profondamente beffeggiatorio ed
avverso a tale norma. Incuriosito, lo scrivente ha
preferito trovare il testo originale della norma e si è
accorto, con profonda tristezza, che gli articoli
giornalistici raccontavano una verità profondamente
distorta e/o priva non solo di obiettività ma anche di
dati oggettivi esatti.
Infatti si prospettava la Legge LXXI come una norma che
impediva la recezione di norme italiane “scomode” (si
faceva continuo riferimento a leggi in materia di
aborto, divorzio e, soprattutto, coppie di fatto) da
parte dell’ordinamento vaticano.
Il fatto che questa legge, vieti questa recezione è
incontestabile. Ma non si trattava di una novità. Già
prima, infatti, la precedente norma sulle fonti del
diritto (Legge II del giugno 1929) poneva le medesime
limitazioni al recepimento non prevedendo solamente la
formalità di tale atto.
Questo tuttavia era
implicito, in quanto norme contrarie alle norme vaticane
non sarebbero comunque entrate in vigore in Vaticano.
Secondo gli autori di tali articoli o blog, invece,
potenzialmente le leggi sull’aborto e sul divorzio
italiane degli anni ’70 erano applicabili in Vaticano in
quanto solo con la norma appena entrata in vigore questo
recepimento formale è previsto.
Su un piano strettamente giuridico, comunque, appare
doveroso che l’ordinamento vaticano ponga dei limiti al
recepimento di norme esterne poiché, come stato sovrano,
ha pieno diritto di salvaguardare i propri diritti
sovrani.
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