N. 25 - Giugno 2007
Dal
caos dei calendari alla
legge n. 1420
Storia dei primi tentativi di legge unitaria
sulla caccia - Parte III
di
Matteo Liberti
La disparità
dei calendari di caccia nelle diverse
regioni d’Italia aveva, in alcuni casi,
dell’incredibile. Ad esempio, mentre in
Toscana si aveva una media di 127 giorni di
divieto, a Roma detta media era di 71, a
Cosenza di 56, a Palermo di 15 giorni e, a
Potenza…non vi era proprio divieto,
potendosi cacciare tutto l’anno gli uccelli
di transito. Se si guarda al comportamento
che avevano avuto i vari governi per
stimolare lo zelo degli agenti incaricati
del controllo e della repressione degli
abusi in materia di caccia, si possono ben
scoprire, anche in quest’ambito, delle
fortissime differenziazioni nei criteri
adottati, ad evidenziare ulteriormente il
bisogno di un regolamento uniforme per tutta
l’Italia.
In Piemonte la Regia
Lettera Patente del 26 giugno 1853 stanziava una
somma a beneficio degli agenti che meglio si fossero
distinti nell’accertare le contravvenzioni, e leggi
simili si trovavano anche in Lombardia e nel
Parmense, dove i soldi delle multe andavano per metà
alle casse comunali e per metà all’agente che
denunciava l’infrazione (una disposizione di questo
genere era presente anche negli ex territori dello
Stato Pontificio).
Nel Napoletano invece
gli agenti erano invece ricompensati con le armi e con
gli oggetti confiscati, mentre in Toscana mancava
qualsiasi legge o regolamento in proposito.
“E per la paura
di scontentare l’on. Tizio o l’on. Caio o magari il
semplice elettore Sempronio si è lasciato sussistere
durante trent’anni l’odioso sistema dell’unico peso e
delle sette misure (in
Italia, prima della legge unitaria, esisteva un unica
tassa per l’esercizio della caccia che veniva regolato
però da sette leggi differenti, le quali a loro volta
davano origine a 68 regolamenti provinciali diversi
l’uno dall’altro), sola macchia stridente nella
felice effettuazione dell’unità italica”...
commentava il Renault.
Questo stato di cose era
ciò che più di ogni altra cosa provocava
l’indignazione delle nazioni vicine. Come abbiamo
infatti visto, molti di questi paesi erano impegnati,
negli anni in cui in Italia si discuteva tanto
vanamente, a studiare con ogni mezzo (coi nidi
artificiali e con gli allevamenti diretti) la giusta
via per aiutare ed accrescere la moltiplicazione degli
uccelli. L’urgenza di una legge unica e ben
fatta, che fosse in grado di rispettare le
disposizioni delle nazioni confinanti, doveva, entro
breve, farsi sentire come assolutamente impellente.
“Infine sommamente importa di fare cessare i
lamenti e le poco benevole espressioni, che in
proposito ci sono di continuo rivolte dai giornali d’Austria-Ungheria,
di Germania, di Svezia ed anche di Francia.” Così
si esprimeva il presidente della Società Torinese
protettrice degli animali Francesco Durando, il quale
aggiungeva, provocatoriamente, che ogni indugio ad
aderire formalmente almeno alla Convenzione Europea
del 19 marzo 1902, avrebbe lasciato dubitare “ad
una tacita opposizione per parte del Governo del Re”,
visto che trent’anni prima era stato firmato un simile
accordo internazionale (quello con l’Austria-Ungheria)
senza che si fosse prima provveduto a regolare la
legislazione interna. Quando non si partecipava alle
iniziative internazionali, dunque, si continuava con
dissimulato imbarazzo ad invocare l’assenza di una
legge Nazionale.
Nel frattempo le
proposte per la nuova legge continuavano pure
incessanti, e tra queste ci fu quella dell’onorevole
De Capitani d’Arzago, Ministro per l’Agricoltura del
Governo Nazionale. Egli presentò il suo disegno nel
febbraio del 1922, col nome di Provvedimenti per la
protezione della selvaggina e l’esercizio della
caccia.
Con esso si stabiliva
che tutte le proprietà del Demanio forestale dovevano
essere considerate quali bandite di rifugio e di
ripopolamento della selvaggina stanziale e che ogni
provincia avrebbe dovuto avere la sua zona di rifugio.
Inoltre si disciplinava
la costituzione di riserve di caccia, si vietava la
caccia con qualsiasi mezzo nelle bandite, “salva la
facoltà del Ministro per l’Agricoltura di permettere
in via eccezionale e sotto determinate condizioni,
catture di selvaggina a scopo di ripopolamento di
altre terre e di protezione delle colture ed anche per
destinazione al pubblico consumo”, si stabilivano
i mezzi che potevano essere usati per la caccia e per
l’uccellagione, proibendo assolutamente quelli che
fossero essenzialmente distruttivi ed insidiosi, si
stabiliva un unico periodo ordinario di esercizio
della caccia per tutto il Regno e si comminava la pena
del carcere per le infrazioni più gravi alle norme
contenute nel disegno di legge.
Si era da pochi anni
esaurito il primo conflitto mondiale, gli scolaretti
avevano avuto ben poco tempo per gustarsi le tavole
illustrate dell’Agnes e le parole del Casoli ed i
fascisti capeggiati da Mussolini avevano marciato da
pochi mesi attraverso le strade e le ferrovie della
capitale. Quando il disegno del Ministro De Capitani
d’Arzago si trasformò nella prima legge unica sulla
caccia del Regno d’Italia.
Nella Gazzetta Ufficiale
del 9 luglio 1923 venne pubblicata la legge n. 1420
del precedente 24 giugno: prima legge unitaria
sull’argomento, essa andava sotto la dicitura di
Provvedimenti per la protezione della selvaggina e
l’esercizio della caccia.
Il testo di legge era
costituito da 42 articoli che regolamentavano la
protezione della selvaggina (art. 1-14), l’esercizio
della caccia (art. 15-23), la vigilanza e le sanzioni
(art. 24-33). Gli articoli 34, 35 e 36 istituivano un
registro delle associazioni dei cacciatori presso il
Ministero di agricoltura.
Gli ultimi cinque
articoli disegnavano le disposizioni generali e
transitorie per l’applicazione della nuova legge.
Il dibattito poteva
dirsi in parte concluso, o, perlomeno, poteva ora
continuare senza dover assistere all’inciviltà di una
serie di disposizioni arretrate e gonfie di interessi
personali che isolavano il nostro paese da uno dei
pochi contesti in cui i paesi Europei furono, nella
prima parte del novecento, tutti alleati.
Riferimenti
bibliografici:
Arturo
Renault, Per la legge unica sulla caccia. Lettera a
S.E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio,
Tip. Ferdinando Simoncini, Pisa 1901
Cesare
Durando, La convenzione Europea per la protezione
degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia,
Festa e C., Torino 1902
Ettore
Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed
illustrativo delle disposizioni vigenti in materia
venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926
Provvedimenti per la protezione della selvaggina e
l’esercizio della caccia, Ministero Agricoltura e
Foreste, Leggi e decreti del Regno d’Italia. Volume
quinto. Legge n.1420, Tip. Mantellate, pp. 4531-4546 |