.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia e ambiente

.

N. 25 - Giugno 2007

Dal caos dei calendari alla legge n. 1420

Storia dei primi tentativi di legge unitaria sulla caccia - Parte III

di Matteo Liberti

 

La disparità dei calendari di caccia nelle diverse regioni d’Italia aveva, in alcuni casi, dell’incredibile. Ad esempio, mentre in Toscana si aveva una media di 127 giorni di divieto, a Roma detta media era di 71, a Cosenza di 56, a Palermo di 15 giorni e, a Potenza…non vi era proprio divieto, potendosi cacciare tutto l’anno gli uccelli di transito. Se si guarda al comportamento che avevano avuto i vari governi per stimolare lo zelo degli agenti incaricati del controllo e della repressione degli abusi in materia di caccia, si possono ben scoprire, anche in quest’ambito, delle fortissime differenziazioni nei criteri adottati, ad evidenziare ulteriormente il bisogno di un regolamento uniforme per tutta l’Italia.

 

In Piemonte la Regia Lettera Patente del 26 giugno 1853 stanziava una somma a beneficio degli agenti che meglio si fossero distinti nell’accertare le contravvenzioni, e leggi simili si trovavano anche in Lombardia e nel Parmense,  dove i soldi delle multe andavano per metà alle casse comunali e per metà all’agente che denunciava l’infrazione (una disposizione di questo genere era presente anche negli ex territori dello Stato Pontificio).

 

Nel Napoletano invece gli agenti erano invece ricompensati con le armi e con gli oggetti confiscati, mentre in Toscana mancava qualsiasi legge o regolamento in proposito.

 

“E per la paura di scontentare l’on. Tizio o l’on. Caio o magari il semplice elettore Sempronio si è lasciato sussistere durante trent’anni l’odioso sistema dell’unico peso e delle sette misure (in Italia, prima della legge unitaria, esisteva un unica tassa per l’esercizio della caccia che veniva regolato però da sette leggi differenti, le quali a loro volta davano origine a 68 regolamenti provinciali diversi l’uno dall’altro), sola macchia stridente nella felice effettuazione dell’unità italica”... commentava il Renault.

 

Questo stato di cose era ciò che più di ogni altra cosa provocava l’indignazione delle nazioni vicine. Come abbiamo infatti visto, molti di questi paesi erano impegnati, negli anni in cui in Italia si discuteva tanto vanamente, a studiare con ogni mezzo (coi nidi artificiali e con gli allevamenti diretti) la giusta via per aiutare ed accrescere la moltiplicazione degli uccelli. L’urgenza di una legge unica e ben fatta, che fosse in grado di rispettare le disposizioni delle nazioni confinanti, doveva, entro breve, farsi sentire come  assolutamente impellente. “Infine sommamente importa di fare cessare i lamenti e le poco benevole espressioni, che in proposito ci sono di continuo rivolte dai giornali d’Austria-Ungheria, di Germania, di Svezia ed anche di Francia.” Così si esprimeva il presidente della Società Torinese protettrice degli animali Francesco Durando, il quale aggiungeva, provocatoriamente, che ogni indugio ad aderire formalmente almeno alla Convenzione Europea del 19 marzo 1902, avrebbe lasciato dubitare “ad una tacita opposizione per parte del Governo del Re”, visto che trent’anni prima era stato firmato un simile accordo internazionale (quello con l’Austria-Ungheria) senza che si fosse prima provveduto a regolare la legislazione interna. Quando non si partecipava alle iniziative internazionali, dunque, si continuava con dissimulato imbarazzo ad invocare l’assenza di una legge Nazionale.

 

Nel frattempo le proposte per la nuova legge continuavano pure incessanti, e tra queste ci fu quella dell’onorevole De Capitani d’Arzago, Ministro per l’Agricoltura del Governo Nazionale. Egli presentò il suo disegno nel febbraio del 1922, col nome di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia.

 

Con esso si stabiliva che tutte le proprietà del Demanio forestale dovevano essere considerate quali bandite di rifugio e di ripopolamento della selvaggina stanziale e che ogni provincia avrebbe dovuto avere la sua zona di rifugio.

 

Inoltre si disciplinava la costituzione di riserve di caccia, si vietava la caccia con qualsiasi mezzo nelle bandite, “salva la facoltà del Ministro per l’Agricoltura di permettere in via eccezionale e sotto determinate condizioni, catture di selvaggina a scopo di ripopolamento di altre terre e di protezione delle colture ed anche per destinazione al pubblico consumo”, si stabilivano i mezzi che potevano essere usati per la caccia e per l’uccellagione, proibendo assolutamente quelli che fossero essenzialmente distruttivi ed insidiosi, si stabiliva un unico periodo ordinario di esercizio della caccia per tutto il Regno e si comminava la pena del carcere per le infrazioni più gravi alle norme contenute nel disegno di legge.

 

Si era da pochi anni esaurito il primo conflitto mondiale, gli scolaretti avevano avuto ben poco tempo per gustarsi le tavole illustrate dell’Agnes e le parole del Casoli ed i fascisti capeggiati da Mussolini avevano marciato da pochi mesi attraverso le strade e le ferrovie della capitale. Quando il disegno del Ministro De Capitani d’Arzago si trasformò nella prima legge unica sulla caccia del Regno d’Italia.

 

Nella Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 1923 venne pubblicata la legge n. 1420 del precedente 24 giugno: prima legge unitaria sull’argomento, essa andava sotto la dicitura di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia.

Il testo di legge era costituito da 42 articoli che regolamentavano la protezione della selvaggina (art. 1-14), l’esercizio della caccia (art. 15-23), la vigilanza e le sanzioni (art. 24-33). Gli articoli 34, 35 e 36 istituivano un registro delle associazioni dei cacciatori presso il Ministero di agricoltura.

 

Gli ultimi  cinque articoli disegnavano le disposizioni generali e transitorie per l’applicazione della nuova legge.

 

Il dibattito poteva dirsi in parte concluso, o, perlomeno, poteva ora continuare senza dover assistere all’inciviltà di una serie di disposizioni arretrate e gonfie di interessi personali che isolavano il nostro paese da uno dei pochi contesti in cui i paesi Europei furono, nella prima parte del novecento, tutti alleati.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Arturo Renault, Per la legge unica sulla caccia. Lettera a S.E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, Tip. Ferdinando Simoncini, Pisa 1901

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia, Ministero Agricoltura e Foreste, Leggi e decreti del Regno d’Italia. Volume quinto. Legge n.1420, Tip. Mantellate, pp. 4531-4546

 



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.