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N. 24 - Maggio 2007

Dal progetto del 1896 ai Provvedimenti per la tutela della selvaggina

Storia dei primi tentativi di legge unitaria sulla caccia - Parte II

di Matteo Liberti

 

Il primo maggio del 1896 l’onorevole Tassi portava alla Camera dei Deputati un progetto di Legge che vietava in modo assoluto l’esercizio della caccia fino a che non ci fosse stata la promulgazione della Legge unica. Tale draconiana proposta era solo l’ultima di molte altre e, come queste, trovò una sorte avversa: lo stesso onorevole che l’aveva fatta la ritirò dopo pochi giorni su sollecitazione del Ministro Guicciardini, in cambio della promessa che il ministero avrebbe, con rapidità, affrontato e risolto la tormentata questione.

 

Cosa che poi non avvenne, e“non per colpa dell’insigne parlamentare, ma per le solite vicissitudini dell’Assemblea.”

 

Si giunge al 1904 per trovare un nuovo progetto, quello presentato dell’onorevole Landucci. Esso, che non si allontanava troppo dai precedenti progetti nella sua struttura e nei suoi intenti, non vi si discostò nemmeno nell’esito. Fu, dopo poche ore, spodestato da un disegno del ministro Rava intitolato Provvedimenti per l’esercizio della caccia.

 

Una apposita Commissione Reale presieduta dagli onorevoli Toaldi e Roselli lo aveva esaminato e studiato l’anno precedente, approfondendone soprattutto le norme volte ad impedire l’ampia e troppo rapida distruzione della selvaggina e quelle per “infrenare certe barbarie, e magari crudeli usanze di caccia, sulla guida di quel sentimento di gentilezza che deve presiedere ai costumi di un popolo civile.”

 

Il 19 maggio 1905, lievemente ritoccato, il progetto venne approvato dal Senato del Regno ed il 20 giugno successivo l’onorevole Rava lo presentava alla Camera dei Deputati, dove però, ci risiamo, non ottenne l’approvazione necessaria.

 

Il deputato provinciale G. B. Cavarzerani, in un suo scritto del 1906 (Per la protezione della selvaggina), denunciava un certo pessimismo: “Chissà dunque per quanti anni ancora – in tema di caccia – si dovrà seguitare in Italia ad applicare qua un Decreto della Repubblica Italiana, più vicino una legge di Napoleone I, più lontano leggi di Borboni, Granduchi, di Granduchesse, di Re, di Cardinali, di Luogotenenti e via dicendo.”

Si arrivò così al febbraio del 1911, quando il Ministro di Agricoltura Industria e Commercio, onorevole Raineri, presentò un progetto dal titolo Provvedimenti per la tutela della selvaggina.

 

L’obbiettivo era sempre quello di impedire la totale scomparsa della selvaggina dal territorio Italiano, ed a ciò lavorarono molti uomini di valore tra scienziati e cacciatori, che diedero al progetto una base scientifica e tecnica, nonché squisitamente pratica.

La relazione che lo introduceva dichiarava che esso mirava a “frenare la distruzione della selvaggina che in Italia si pratica purtroppo senza distinzione di tempo, di luogo e di modo.” Ma l’ennesima delusione era già dietro l’angolo: “Possiamo assicurare, senza esagerazioni di sorta, che la mancata discussione dello stesso costituì un nuovo e più forte disastro per l’economia delle specie.”

 

La mancanza di una legge unica e le difficoltà che si presentavano per riuscire ad ottenerla erano in gran parte dovute alla politica priva di consultazione che operavano i vari Consigli Provinciali, forti della loro facoltà di stabilire i calendari di caccia per ogni provincia, autonomamente dal Governo ed al di fuori di qualsiasi norma o regolamento che avesse carattere generale. Derivava da ciò una vera e propria anarchia organizzativa che, con che pessime conseguenze, coinvolgeva tutte le 69 province del Regno d’Italia.

 

Una data unica per l’apertura e la chiusura della stagione venatoria era qualcosa di fortemente auspicabile per riportare un po’ d’ordine nella confusione delle disposizioni provinciali, ma era anche cosa malvista dalla gran parte dei cacciatori, i quali si ostinavo a credere, con buon pregiudizio, che ci fosse una differenza notevole nelle presenze della selvaggina tra le due estremità del regno e, in particolare, “fra le date di arrivo e di partenza delle diverse specie tra il Nord e il Sud d’Italia, perciò che riguarda gli uccelli, quasichè questi, migrando, impiegassero un tempo considerevole a percorrere l’intera penisola, e la percorressero realmente dal Nord al Sud, o viceversa, a seconda del passo autunnale e di quello primaverile.”

 

Quel che invece abbiamo visto, in proposito, è che gli uccelli, nel loro migrare su e giù attraverso l’Europa, seguivano delle direzioni che non erano (e non sono) esattamente perpendicolari ai meridiani, viaggiando piuttosto per linee diagonali; con la evidente conseguenza, così, di toccare quasi contemporaneamente i lidi meridionali e quelli settentrionali del continente.

 

Tutto ciò, però, continuava ad essere prevalentemente ignorato o non tenuto in alcun conto dal ceto dei cacciatori, cosa che rendeva maggior merito a quella parte del progetto del ministro Ranieri che cercava di avocare al potere centrale quelle facoltà che fino ad allora erano esclusiva dei Consigli Provinciali. A questi si proponeva di sostituire delle Commissioni Provinciali che avessero a capo una Commissione Centrale a carattere semi-permanente. Questo il commento dello studioso Giacinto Martorelli, appassionato ornitologo ed autore dell’importante volume “Gli Uccelli d’Italia”, alla proposta del ministro: “la parte considerevole che la Legge verrebbe a dare all’elemento biologico rappresenta un importante progresso ed è promessa di ottimi frutti dei quali i Cacciatori stessi saranno i primi a godere...”.

 

E poi, commentando la scelta di istituire Commissioni Provinciali e non con estensione regionale, aggiungeva che le disposizioni relative alla caccia erano da subordinare piuttosto alla natura dei ”singoli territori ed al loro speciale contenuto zoologico, che non al criterio geografico, poichè in una vasta regione, ed in quelle Italiane specialmente, si possono realizzare le più svariate condizioni fisiografiche, corrispondenti ad altrettanta varietà di esseri viventi.”.

 

La relazione ministeriale prevedeva anche la costituzione di un Osservatorio Zoologico, il quale continuasse ed estendesse quel lavoro che era stato iniziato dall’Inchiesta Ornitologica, al fine di favorire, come già avveniva in molte Nazioni d’Europa, anche per l’Italia una maggior conoscenza e ed una migliore divulgazione degli argomenti che riguardavano l’ornitologia. Infine veniva affrontata la questione del ripopolamento dei boschi e delle campagne, proponendo, oltre alla costituzione dell’Osservatorio, la realizzazione di vivai e stazioni di avicoltura dove si potessero anche compiere delle ricerche sperimentali sull’acclimazione. Al testo di legge seguiva un allegato contenente un importante studio del professor Alessandro Ghigi nel quale erano analizzate le condizioni delle foreste inalienabili dello Stato. Vi erano descritti, per ognuna, quelli che erano i mezzi migliori (in base ai particolari climi e alle varie conformazioni del territorio) per un efficace ripopolamento.

 

Riguardo poi l’opportunità di una data unica per l’apertura e la chiusura della stagione di caccia, c’era da sottolineare come la diversità delle disposizioni provinciali impedisse agli agenti incaricati del controllo (Carabinieri su tutti), trasferiti di continuo da una provincia all’altra, di avere una immediata conoscenza delle singole disposizioni locali e di tutti i loro vasti e diversi contenuti. A ciò si accompagnava, inoltre, una perenne semi-ignoranza circa le specie di uccelli, in modo che fosse impossibile distinguere quelle che in un dato luogo e in un dato tempo venivano di volta in volta ritenute utili piuttosto che dannose.

 

Una legge uniforme per tutto il territorio Italiano, che fosse stata allo stesso tempo chiara e semplice e che avesse potuto esser facilmente compresa ed appresa tanto dai cacciatori che dagli agenti preposti alla loro sorveglianza, avrebbe avuto molte più opportunità di essere rispettata in maniera generale. Una legge che continuasse invece ad agire su di un livello prettamente locale, si sarebbe sempre prestata a fraintendimenti di vario genere, lasciando esitanti e poco decisi sia coloro avrebbero dovuto rispettarla sia quanti avevano, piuttosto, il compito di farla osservare e applicarla.

 

Come già si è visto, la maggior parte dei migratori presenti in Europa usava concentrarsi in determinate regioni o zone appartenenti all’area mediterranea. Nei tempi in cui questo avveniva, cioè tra la fine dell’estate e la primavera dell’anno successivo, le regioni da cui le varie specie erano partite (le Tundre e le foreste Conifere della Siberia, ampie fasce della Russia e della Scandinavia, le isole del Mar glaciale) restavano pressoché prive di uccelli. Grandissima parte dell’Europa Orientale, in questi periodi, veniva totalmente disertata da centinaia di specie e appena pochi individui ne restano in rappresentanza durante i periodi invernali.

 

“Tutti questi viaggiatori multiformi volano dunque concordi verso una comune terra promessa, calda e fertile d’ogni dovizia. Nel loro viaggio i pericoli naturali sono molti e svariati e innumerevoli sono i soccombenti alle fatiche, ai disagi, alle intemperie, alle epidemie, agli artigli dei predatori, ma la moltitudine dei migranti è tale che potrebbe resistere a tali cause di decimazione, se non si aggiungesse il più terribile fra i loro nemici, l’uomo che neppur li risparmia durante il passo primaverile mentre volano verso l’amore.” In Italia, anche durante il passo primaverile, soprattutto in alcune regioni, era lieta abitudine far caccia grossa di uccelli in cerca di un nido, con molti calendari che si inoltravano fin dentro la prima bella stagione.

 

“A ciò dobbiamo aggiungere che in quell’epoca sono pendenti tutti i nostri raccolti più importanti, e che è allora in attività la maggior parte degli insetti nocivi, mentre gli uccelli in tale stagione ne fanno un enorme consumo, poiché nutrono la prole quasi esclusivamente d’insetti e chiocciole, alimento più sostanzioso.”

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Alessandro Ghigi, Insetti, uccelli e piante in rapporto colla legge sulla caccia. Memoria, Tip.di G. Cenerelli, Bologna 1896

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

G. B. Cavarzerani, Per la protezione della selvaggina, Tip. Del Bianco, Udine 1906

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Giacinto Martorelli, Provvedimenti per la tutela della selvaggina

Carlo Ohlsen, La protezione degli uccelli utili all’agricoltura. Raccomandazione, Tip. Nazionale, Salerno 1892

Lino Vaccari, Per la protezione della fauna Italiana, Stab. Tip. Bartelli e C., Perugia 1912

Arturo Fancelli, Sulla diminuzione degli uccelli: cause, effetti e rimedi, Tip. Egisto Bruscoli, Firenze 1892

Luigi Simoni - Ettore Mattei, Gli uccelli e l’agricoltura. Considerazioni, Cenerelli, Bologna 1893

 



 

 

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