.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia e ambiente

.

N. 23 - Aprile 2007

Dall'unità all'Inchiesta Ornitologica Italiana

Storia dei primi tentativi di legge unitaria sulla caccia - Parte I

di Matteo Liberti

 

“In Italia esistono, è vero, prescrizioni legislative, le quali limitano le epoche della caccia, [...], però per difetti intrinseci, e direi dell’organismo delle leggi medesime, [...], danno poco o niun frutto." (Carlo Ohlsen)

 

La questione della protezione degli uccelli utili in Italia, alla fine del secolo XIX, era fortemente condizionata dall’assenza di una legge unitaria.

 

Già sul finire degli anni sessanta in molte decine di Comuni avevano reclamato per ottenere provvedimenti al riguardo, senza però ottenere risultato alcuno; ciò avveniva soprattutto a causa della diversità delle opinioni che erano coinvolte, diversità che affossava puntualmente ogni proposta. Le disposizioni legislative che regolavano la caccia erano ancora quelle vigenti negli antichi Stati Italiani: c’erano leggi Siciliane, leggi Napoletane, Pontificie, Toscane, Lombarde, Venete, Marchigiane e altre a decine; una molteplicità di norme differenti portatrici di confusione e contraddizioni. “Sembra impossibile, ma è così! In Italia ogni regione possiede il codice di caccia che aveva sotto gli antichi regimi. Dall’unificazione del Regno sino ad oggi non si è ancor riusciti, malgrado i molteplici progetti presentati, ad avere una legge unica.”

 

Il panorama generale, quando il secolo stava per finire, era quindi caratterizzato dagli interessi distinti delle singole province, dalla mancanza totale di uniformità nelle disposizioni e nei regolamenti e, in ultimo, da una probabilmente erronea e superficiale considerazione generale sulle reali necessità di una nuova legge per la caccia.

 

A ciò si tentò di riparare con un’infinità di progetti e proposte che furono presentati al Parlamento con cadenze quasi annuali e con esiti spesso negativi.

Vediamoli nel dettaglio.

 

“Dirò che il primo Progetto di Legge sulla Caccia venne avanzato il 18 novembre 1862 da Giovacchino Pepoli, allora Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio davanti al Senato del Regno, ove non venne però discusso; non erano passati nemmeno due anni che il Deputato Sanguinetti l’11 giugno 1864 presentava alla Camera un suo Progetto di Legge […].”

 

Tale progetto disegnava una radicale riforma, esso proponeva una unificazione delle molteplici leggi e delle infinite ordinanze che erano state emanate dai governi degli antichi Stati italiani, ma non per questo ebbe un destino fortunato. Esattamente come il precedente, non fu neanche discusso. Così, nel maggio del 1867, fu riprodotto dallo stesso deputato per essere poi proposto, ancora una volta dal ministro Pepoli.

 

Esso aveva il proprio aspetto più rilevante nell’art.7, col quale ci si preoccupava di tutelare i nidi e le uova in particolare: “Durante il periodo di caccia vietata è proibito di prendere, distruggere, vendere o comperare le uova degli uccelli selvaggi, gli uccelli di nido ed i piccoli dei quadrupedi selvaggi non dannosi all’uomo.”

 

Dopo esser stato deferito all’esame di una Commissione incaricata d’esaminarlo, nel 1869 venne approvato dalla Camera per poi arrestarsi nuovamente presso gli uffici del senato, dove il nuovo Ministro d’Agricoltura Minghetti lo aveva presentato “con una Relazione così scolorita e fredda da far dubitare che avesse poco valore.”

Una nuova iniziativa del deputato Sanguinetti, in accordo col deputato Salvatoli, restò alla stessa maniera senza seguito.

 

Dopo una pausa di una decina d’anni, il 7 giugno 1879 il ministro Majorana-Calatabiano presentava un nuovo ed ottimo progetto, le Disposizioni per l’esercizio della caccia e dell’uccellagione, che esprimeva in questa maniera  i suoi concetti fondamentali (articoli 4 ed 8): “E’ proibita in qualsiasi tempo e luogo la distruzione in qualsivoglia modo operata e la cattura degli uccelli di nido eccettuati quelli dannosi alla economia agraria e domestica […] (art.4)”; “E’ vietato in ogni tempo di trasportare, esporre in vendita in qualsiasi luogo, di comprare, di ritenere uova, covate ed uccelli di nido […] (art.8)”

 

Questo disegno veniva con prontezza approvato dal senato, il 26 aprile dell’anno successivo, “ma malgrado questa approvazione non ebbe più lieta fortuna”. Venne presto bloccato e, ripresentato dal Ministro Grimaldi nella tornata del 1885, fu riveduto e corretto dalla Commissione Parlamentare (che sostanzialmente lo svuotò di qualsiasi senso) prima di trovar definitivo posto “e in questo caso grazie al cielo,” in archivio.

 

Passarono altri otto anni (25 marzo 1893) ed il deputato Compans, “tenuto conto dei voti di Congressi venatori, come delle numerose pubblicazioni comparse anteriormente”, presentò un nuovo breve progetto di Legge alla Camera dei deputati che fu poi seguito, l’anno successivo, da una nuova proposta del Ministro d’Agricoltura onorevole Lacava (4 maggio 1894). Simile a quella del Majorana-Calatabiano, essa teneva conto degli accordi internazionali che l’Italia aveva nel frattempo stipulato e del nuovo Codice Penale. Per esaminarla venne nominata una nuova Commissione presieduta dall’on. Chiaradia, la quale accettò con lievi modifiche il progetto. Ma puntualmente accadde che: “Per la sopravvenuta chiusura della Sessione tale Progetto non poté essere discusso, susseguentemente il 6 dicembre 1894 il Ministro on. Barazzuoli lo ripresentò chiedendo che fosse ripreso allo stato di Relazione, ma esso pure non ebbe favorevoli le sorti parlamentari.”

 

In sostanza, tolta la parentesi dell’accordo con l’Austria-Ungheria per la protezione degli uccelli utili, trascorsero trenta anni pieni di proposte, dibattiti, progetti e disposizioni al termine dei quali quel che più risultava evidente era che nulla, praticamente, si era fatto e si stava ancora facendo: “Non consta quali sieno le misure prese dall’Austria-Ungheria. In Italia per molto tempo non vi si pensò…”

 

Se vi fu un evento di qualche rilevanza, in questo periodo, esso fu certamente  costituito dall’avvio dell’Inchiesta Ornitologica Italiana, che, come abbiamo visto, venne intrapresa e diretta dal professor Enrico Hillyer Giglioli.

 

Per ogni regione venivano raccolte numerose informazioni e dati statistici e, tra le varie domande poste nei questionari distribuiti, vi era quella che invitava ad osservare se vi fosse stata una diminuzione oppure un aumento delle diverse specie di uccelli. Bisognava poi indicare gli eventuali motivi e le cause di questi fatti.

 

Ora, tra le quasi sessanta risposte pervenute da ogni angolo d’Italia, ben 54 denunciavano la diminuzione o la scomparsa di varie specie di uccelli; le rimanenti, invece, descrivevano sporadici aumenti o situazioni stazionarie. La situazione era di emergenza ed una buona ed unica legge si mostrava essere indispensabile.“L’Italia nostra, unita politicamente e chiamata a libertà dopo tanti secoli di servaggio e divisione, se ha pensato a promulgare una infinità di leggi (finanziarie specialmente), se ha provvisto ad unificare le varie leggi più essenziali al politico reggimento, non fu invece ugualmente sollecita di provvedere all’unificazione di quelle leggi, che parevano di minore importanza.”

 

Una legge sulla caccia avrebbe dovuto avere quale fondamento l’utile dell’agricoltura intesa come bene comune. Questo utile nazionale non doveva essere infatti in alcun modo subordinato alle consuetudini, che spesso venivano elevate al carattere di diritto dagli amanti della caccia e dagli ignoranti in materia.

 

Ma l’applicazione di tale fondamento sembrava scontrarsi di continuo contro un fato avverso, non essendovi voto, relazione, esortazione di cacciatori, di istituzioni agrarie, di studiosi o di deputati che riuscisse a superare definitivamente lo scoglio del Parlamento.

 

Ed intanto, come denunciava l’Arrigoni degli Oddi, “il nostro patrimonio venatorio lentamente dileguavasi, la selvaggina perseguitata, distrutta senza modo, senza misura diminuiva in modo impressionante.”

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

G. B. Cavarzerani, Per la protezione della selvaggina, Tip. Del Bianco, Udine 1906

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Carlo Ohlsen, La protezione degli uccelli utili all’agricoltura. Raccomandazione, Tip. Nazionale, Salerno 1892

Lino Vaccari, Per la protezione della fauna Italiana, Stab. Tip. Bartelli e C., Perugia 1912

Arturo Fancelli, Sulla diminuzione degli uccelli: cause, effetti e rimedi, Tip. Egisto Bruscoli, Firenze 1892

Luigi Simoni - Ettore Mattei, Gli uccelli e l’agricoltura. Considerazioni, Cenerelli, Bologna 1893

 



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.