N. 28 - Aprile 2010
(LIX)
Alla difesa dei diritti di Dio?
Lefebvre e la Fraternità San Pio X
di Lawrence M.F. Sudbury
Negli
ultimi
vent’anni
e
fino
a
tempi
recentissimi
forse
pochissime
questioni
interne
alla
Chiesa
cattolica
hanno
avuto
così
grande
risonanza
esterna
come
il
cosiddetto
“caso
Lefebvre”.
Eppure,
a
tutt’oggi,
molti
non
hanno
ancora
ben
chiaro
quali
siano
le
coordinate
essenziali
del
problema,
ritenendo
tutta
la
vicenda
solo
frutto
delle
stranezze
di
un
gruppetto
di
Ecclesiastici
ultra-conservatori
e
vagamente
razzisti,
a
lungo
guidati
da
un
Vescovo
disubbidiente
al
Vaticano.
La
realtà
dei
fatti
è
certamente
più
complessa
e
merita
di
essere
analizzata
un
po’
più
attentamente
di
quanto
spesso
accada
sui
mass
media
per
essere
compresa
in
tutta
la
sua
importanza
e in
tutta
la
sua
portata
pre-scismatica,
scismatica
e
post-scismatica
per
il
Cattolicesimo,
a
partire
già
dalla
figura
principale
che
ha
dato
l’avvio
a
tutto
il
processo:
Monsignor
Lefebvre.
Nato
in
una
famiglia
di
antica
tradizione
religiosa
(con
oltre
una
cinquantina
di
Consacrati
di
vario
livello
in
250
anni)
e
figlio
di
ricco
proprietario
di
industrie
tessili
ed
esponente
di
spicco
della
resistenza
francese,
incarcerato
dai
tedeschi
1941
e
giustiziato
nel
lager
nazista
di
Sonnenburg
nel
1944,
Marcel
Lefebvre
studiò
al
Seminario
francese
di
Roma
e si
laureò
in
filosofia
e
teologia
alla
Pontificia
Università
Gregoriana,
per
essere
ordinato
Sacerdote
il
21
settembre
1929.
Dopo
qualche
anno
come
Vicario
in
una
parrocchia
operaia
di
Lilla,
entrò
nella
“Congregazione
Missionaria
dello
Spirito
Santo”
e,
nel
1932,
venne
inviato
come
Professore
di
Dogma
e di
Sacra
Scrittura
al
Gran
Seminario
di
Libreville
in
Gabon,
del
quale,
due
anni
dopo,
assunse
la
direzione:
il
suo
lavoro
di
evangelizzazione
fu
così
intenso
da
triplicare
il
numero
dei
Cristiani
del
Paese
e,
nel
1945
venne
chiamato
a
dirigere
il
Seminario
del
suo
Ordine
a
Mortain,
in
Francia.
Due
anni
dopo
Lefebvre
venne
consacrato
Vescovo
da
Pio
XII
e
inviato
come
Vicario
apostolico
in
Senegal
(e,
dal
1948,
come
Vicario
apostolico
per
tutta
l’Africa
Francese,
comprendente
allora
ben
45
giurisdizioni
ecclesiastiche
in
18
Paesi),
rimanendo
in
Africa,
dal
1955
come
primo
Vescovo
di
Dakar,
fino
al
1962,
anno
in
cui
venne
eletto
Superiore
Generale
della
Congregazione
dei
Padri
dello
Spirito
Santo
e
Vescovo
di
Tulle.
Proprio
in
quanto
Superiore
Generale,
nel
1962
fu
chiamato
a
partecipare,
prima
nella
Commissione
preparatoria
(essendo
stato
nominato
da
Papa
Giovanni
XXIII
Assistente
al
Sacro
Soglio)
e
poi
come
delegato,
all’evento
che
cambiò
radicalmente
la
sua
esistenza:
il
Concilio
Vaticano
II.
Monsignor
Lefebvre
aveva
passato
praticamente
metà
della
sua
vita
lottando
per
evangelizzare
popolazioni
pagani
e
islamiche
in
Africa:
era
quasi
logico
che
non
potesse
accettare
in
nessun
modo
elementi
quali
l’ecumenismo
o le
modifiche
liturgiche,
così
fondamentali
nel
Concilio
ma
che,
nella
sua
visione,
altro
non
potevano
essere
che
avanguardie
di
uno
spirito
neo-modernista,
atte
solo
alla
distruzione
del
senso
ultimo
del
Sacerdozio
e al
minamento
delle
basi
ultime
della
vita
religiosa.
Per
questo,
nel
corso
dei
lavori
conciliari,
fu
sempre
fortemente
critico
verso
qualunque
elemento
di
“novità”,
partecipando
attivamente
allo
sviluppo
della
corrente
conservatrice
del
“Coetus
Internationalis
Patrum”
e,
quando
tale
corrente
risultò
perdente,
non
accettando
di
sottomettersi
al
“nuovo
corso”
che
considerava
“devastante”
per
il
Cattolicesimo
e
arrivando
a
firmare
solo
alcuni
documenti
finali
ma
rifiutando
di
sottoscrivere
la
Gaudium
et
Spes
e la
Dignitas
Humanae.
Sulla
stessa
linea,
nel
1969,
fu
tra
i
firmatari
del
Breve
esame
critico
del
Novus
Ordo
Missae
dei
Cardinali
Ottaviani
e
Bacci
e,
risultando
anche
questo
tentativo
vano,
decise
di
ergersi
a
difensore
della
tradizione
liturgica
di
San
Pio
V e,
soprattutto,
di
quella
che
vedeva
come
la
unica
e
reale
“Traditio
Fidei”
fondando,
nel
1970,
la
Fraternità
Sacerdotale
San
Pio
X (F.S.S.P.X),
creata
a
Friburgo
(Svizzera)
il 1
novembre
di
quell’anno
con
l’accordo
e
l’approvazione
di
Monsignor
François
Charrière,
allora
Vescovo
della
città.
La
Fraternità
possedeva
anche
un
proprio
Seminario
internazionale
a
Ecône
(curiosamente
fondato
24
giorni
prima
della
Congregazione
che
lo
avrebbe
retto)
per
la
formazione
di
giovani
“Sacerdoti
conservatori”
e
poteva
contare
sull’appoggio
di
numerose
fazioni
della
destra
francese,
che,
da
allora
in
poi,
non
hanno
mai
fatto
mancare
al
Seminario
Internazionale
San
Pio
X il
loro
sostegno
finanziario,
e di
alcune
alte
personalità
cantonali
del
Partito
Democristiano
(in
particolare
con
l'ex
Presidente
della
Confederazione
Elvetica,
Roger
Bonvin)
e
del
movimento
“Pro
Fide
Catholica”.
A
inizio
1971
la
Fraternità
venne
ufficialmente
approvata
dalla
Santa
Sede
ma,
praticamente
all’atto
del
ricevimento
del
riconoscimento,
Monsignor
Lefebvre
dichiarò
che
tutti
i
Sacerdoti
della
F.S.S.P.X
avrebbero
continuato
a
celebrare
la
Messa
secondo
il
Rito
di
San
Pio
V,
non
accettando
il
“Novus
Ordo”
per
motivi
di
coscienza.
Iniziò
da
qui
un
primo
grande
contrasto
con
la
Conferenza
Episcopale
francese
che,
nel
novembre
1972,
ad
una
sua
Assemblea
plenaria,
definì
Ecône
un
“Seminario
selvaggio”,
nonostante
la
sua
canonicità.
In
ogni
caso,
il
Seminario
(e,
conseguentemente,
la
Fraternità)
continuò
ad
accogliere
sempre
più
studenti:
i
dati
ufficiali
parlano
di
un’apertura
con
11
studenti,
di
27
seminaristi
nell’ottobre
1971,
35
nell’ottobre
1972,
36
nell’ottobre
1973
e 40
nell’ottobre
1974.
E’
proprio
nel
1974
che
le
proteste
del
Clero
progressista
francese
e
svizzero
cominciarono
ad
avere
i
primi
effetti:
il 9
novembre
1974
Monsignor
Lefebvre
ricevette
dalla
Nunziatura
di
Berna
una
lettera
che
gli
annunciava
una
Commissione
nominata
dal
Papa
e
composta
da
tre
Cardinali
interessati
al
Seminario
(Monsignor
Garrone,
Prefetto
della
Congregazione
per
l’Educazione
Cattolica,
Monsignor
Wright,
Prefetto
di
quella
per
il
Clero,
e
Monsignor
Tabera
Prefetto
di
quella
dei
Religiosi)
e di
due
Visitatori
apostolici,
Monsignor
Descamps
e
Monsignor
Onclin,
che,
dall’11
al
13
novembre
1974,
interrogarono
professori
e
seminaristi
ed
ebbero
colloqui
con
Monsignor
Lefebvre.
Si
trattava
di
una
ispezione
informale
(tanto
che
nessun
verbale
fu
firmato
e
nessuna
relazione
venne
comunicata
a
Monsignor
Lefebvre,
Rettore
del
Seminario),
ma,
ugualmente,
essa
risultò
in
una
nota
in
cui
si
biasimava
la
formazione
troppo
“tradizionalista”
del
Clero
di
Ecône.
La
risposta
della
Fraternità
fu
una
dichiarazione
di
Lefebvre
del
21
novembre
l974
in
cui
il
Vescovo
proclamava
la
sua
adesione
“alla
Roma
cattolica,
custode
della
Fede
cattolica”
ma
affermava
il
suo
rifiuto
“di
seguire
la
Roma
di
tendenza
neo-modernista
e
neo-protestante
che
si è
manifestata
chiaramente
nel
Concilio
Vaticano
II e
dopo
il
Concilio
in
tutte
le
riforme
che
ne
sono
seguite”.
Con
ogni
probabilità,
questa
dichiarazione
non
voleva
essere
in
nessun
modo
una
sorta
di
“Manifesto”
dì
appello
allo
scisma,
tanto
che
si
chiudeva
con
un
paragrafo
(per
altro
stranamente
omesso
dall’“Osservatore
Romano”
all’atto
della
pubblicazione
del
testo),
che
esprimeva
la
fedeltà
della
“San
Pio
X”
“a
tutti
i
successori
di
Pietro”,
fedeltà
poi
riaffermata
da
Lefebvre
in
una
risposta
all’Abbé
de
Nantes
del
19
marzo
1975,
in
cui
si
legge:
“Sappiate
che
se
ci
sarà
un
vescovo
che
rompe
con
Roma
questo
non
sarò
io”.
Nel
frattempo,
il
25
gennaio
1975,
i
tre
Cardinali
Garrone,
Wright
e
Tabera,
in
una
lettera
di
ringraziamento
per
l’accoglienza
ricevuta,
chiedevano
a
Monsignor
Lefebvre
un
ulteriore
incontro
per
discutere
“su
alcuni
punti
che
ci
lasciano
qualche
perplessità
in
seguito
a
questa
visita”.
L’appuntamento
venne
fissato
per
il
15
febbraio
1975
e,
in
tale
occasione,
i
Cardinali
attaccarono
violentemente
la
Dichiarazione
del
21
novembre
1974,
nella
quale
in
particolare
il
Cardinal
Tabera
ravvisava
gli
estremi
una
rottura
con
la
Chiesa.
Un
secondo
incontro,
il 3
marzo,
si
svolse
più
o
meno
nelle
stesse
condizioni
e,
come
risultato,
il 6
maggio
1975
una
lettera
della
Commissione
cardinalizia
informava
Monsignor
Lefebvre
che
la
sua
Dichiarazione
era
“inaccettabile
sotto
tutti
i
punti”
e,
prendendo
atto
del
suo
rifiuto
di
ritrattarla,
gli
comunicava,
“con
la
piena
approvazione
di
Sua
Santità”,
le
seguenti
decisioni:
1)Monsignor
Mamie,
Arcivescovo
di
Losanna,
Ginevra
e
Friburgo,
avrebbe
visto
riconosciuto
“il
diritto
di
ritirare
l’approvazione
data
dal
suo
predecessore
alla
Fraternità
e ai
suoi
Statuti”;
2)in
seguito
a
questa
soppressione
le
fondazioni
della
Fraternità,
e
particolarmente
il
Seminario
di
Ecône,
avrebbero
perso
“il
diritto
di
esistere”;
3)nessun
appoggio
avrebbe
potuto
essere
dato
a
Monsignor
Lefebvre
“sin
quando
le
idee
contenute
nel
Manifesto
del
21
novembre
1974
saranno
la
legge
della
sua
azione”.
Lo
stesso
giorno
Monsignor
Mamie
scriveva
a
Monsignor
Lefebvre:
“La
informo
che
io
ritiro
gli
atti
e le
concessioni
fatti
dal
mio
predecessore
per
quanto
concerne
la
Fraternità
Sacerdotale
San
Pio
X, e
particolarmente
il
decreto
di
fondazione
del
l0
novembre
1970.
[...]
Questa
decisione
è
immediatamente
effettiva”.
Monsignor
Lefebvre
giudicò
la
soppressione
del
Seminario
non
valida
in
quanto
contraria
alle
norme
del
Codice
di
Diritto
Canonico
(che,
al
canone
493
stabilisce
che
solo
il
Papa
abbia
la
competenza
ed
il
potere
di
togliere
ad
un
Istituto
religioso
il
diritto
di
esistere
e
che
nessun
Vescovo
possa
arrogarsi
tale
diritto)
e,
dunque,
l’atto
di
Monsignor
Mamie
senza
alcun
valore,
tanto
che
il
31
maggio
1975
scrisse
a
Papa
Paolo
VI
chiedendo
di
essere
giudicato
dalla
Sacra
Congregazione
per
la
Dottrina
delle
Fede,
senza
ottenere
risposta.
Allora,
il 5
giugno,
fece
ricorso
contro
la
decisione
del
6
maggio,
ma
tale
ricorso
venne
respinto
il
10
giugno
e
anche
un
successivo
appello
venne
rifiutato
dietro
proibizione
del
Cardinal
Villot,
allora
Segretario
di
Stato.
Coerentemente
con
l’idea
che
l’idea
che
la
soppressione
della
Fraternità
fosse
canonicamente
nulla,
Lefebvre
non
poteva
accogliere
l’obbedienza
di
astensione
dall’Ordinazione
sacerdotale
e,
il
29
giugno
1976,
ordinò
dodici
nuovi
membri
della
F.S.S.P.X:
ventitre
giorni
dopo,
come
previsto
dagli
Statuti
ecclesastici,
ricevette
la
“sospensione
a
divinis”
che,
naturalmente,
non
accettò.
La
rottura
diviene
completa
quando,
il
29
agosto
1976,
a
Lille,
di
fronte
a
10.000
fedeli,
il
Vescovo
“disobbediente”
celebrò
una
Messa
solenne
che
ottenne,
grazie
ai
400
giornalisti
presenti,
una
risonanza
enorme
e,
in
quell’occasione,
pronunciò
parole
durissime
contro
la
Santa
Sede:
“Siamo
sospesi
a
divinis
dalla
Chiesa
Conciliare
e
per
la
Chiesa
Conciliare,
alla
quale
non
desideriamo
appartenere.
Quella
Chiesa
Conciliare
è
una
Chiesa
scismatica,
perché
rompe
con
la
Chiesa
Cattolica
che
è
sempre
stata.
Ha i
suoi
nuovi
dogmi,
il
suo
nuovo
sacerdozio,
le
sue
nuove
istituzioni,
il
suo
nuovo
culto,
tutti
già
condannati
dalla
Chiesa
in
molti
documenti,
ufficiali
e
definitivi.
[...]
La
Chiesa
che
afferma
tali
errori
è ad
un
tempo
scismatica
ed
eretica.
Questa
Chiesa
Conciliare
è,
pertanto,
non
cattolica.
Nella
misura
in
cui
Papa,
vescovi,
preti,
o
fedeli
aderiscono
a
questa
nuova
Chiesa,
essi
si
separano
dalla
Chiesa
Cattolica.”
Al
di
là
dei
proclami
levebriani,
comunque,
il
problema
restava,
oltre
che
teologico,
logistico:
Lefebvre
continuava
ad
ordinare
Sacerdoti
in
forma
tecnicamente
valida
anche
se
non
legittima
ma
tali
Sacerdoti
avrebbero
poi
dovuto
essere
incardinati
nelle
diverse
Diocesi
che,
però,
erano
impossibilitate
ad
incardinare
Presbiteri
di
un
Seminario
non
riconosciuto
dalla
Santa
Sede
come
quello
di
Ecône.
Forse
anche
per
dirimere
quella
che
era
diventata
una
questione
di
“empasse”
anche
pratica,
il
Vaticano
(a
cui,
in
sostanza,
pur
nella
non
accettazione
dello
“status”
corrente,
il
Vescovo
Lefebvre
non
aveva
paradossalmente
mai
cessato
di
sentirsi
legato,
essendo,
in
realtà,
l’intera
sua
protesta
incentrata
sulla
difesa
di
una
Traditio
Fidei
pontificia
vissuta
come
lesa
dal
sistema
conciliare)
cercò
sempre
di
aprire
un
dialogo
con
la
Fraternità
dissidente,
già
a
partire
da
quel
1976
quando,
l’11
settembre,
Papa
Paolo
VI
incontrò
Lefebvre
a
Castel
Gandolfo,
proponendogli
una
ritrattazione
a
cui
il
Vescovo
rifiuto
di
sottomettersi
per
motivi
di
coscienza.
Con
l’ascesa
al
Sacro
Soglio
di
un
Cardinale
come
Wojtyla
(Papa
Giovanni
Paolo
II),
notoriamente
più
vicino
alle
istanze
conservatrici
dei
suoi
predecessori,
le
speranze
di
una
ricomposizione
tra
le
parti
parvero
riaccendersi
e
anche
i
toni
della
San
Pio
X,
nonostante
un
incontro
infruttuoso
con
il
neo-eletto
Papa
il
18
novembre
1978,
si
fecero
più
morbidi,
come
possiamo
notare
da
una
lettera
di
Lefebvre
al
Sommo
Pontefice
del
1980
in
cui
egli
scriveva:
“Santo
Padre,[...]
Per
porre
fine
ad
alcuni
dubbi
che
circolano
ora
in
Roma
e in
certi
ambienti
tradizionalisti
in
Europa
e in
America
concernenti
il
mio
atteggiamento
e
pensiero
riguardo
al
Papa,
al
Concilio,
e
alla
Messa
del
Novus
Ordo,
e
temendo
che
questi
dubbi
raggiungano
anche
Vostra
Santità,
mi
sia
permesso
di
stabilire
di
nuovo
ciò
che
ho
sempre
espresso
[...]
Che
concordo
pienamente
col
giudizio
di
Vostra
Santità
sul
Concilio
Vaticano
Secondo
espresso
il 6
novembre
1978,
alla
riunione
del
Sacro
Collegio.
Che
il
Concilio
deve
essere
compreso
alla
luce
di
tutta
la
Santa
Tradizione
e
sulla
base
del
costante
Magistero
della
Santa
Chiesa.[...]
Riguardo
alla
Messa
del
Novus
Ordo,
nonostante
tutte
le
riserve
che
si
debbono
avere
su
di
essa,
non
ho
mai
detto
che
sia
per
se
stessa
invalida
o
eretica...”
Due
elementi,
però,
sembravano
decisamente
ostare
alla
riapertura
di
un
dialogo
fruttuoso
tra
Vaticano
e
“moviemento
disobbediente”.
Il
primo
elemento,
da
parte
papale,
era
il
sempre
più
deciso
indirizzamento
verso
una
politica
di
dialogo
con
le
altre
Religioni,
tale
per
cui
Giovanni
Paolo
II
nel
1983
arrivò
a
predicare
in
una
Cattedrale
luterana
e,
in
seguito,
partecipò
a
Riti
che
la
San
Pio
X
ritenne
“pagani”
durante
i
viaggi
apostolici
in
Togo
e in
India.
Il
secondo
elemento
riguardava,
invece,
la
Fraternità,
il
cui
messaggio
tradizionalista
stava
diffondendosi
con
sempre
maggior
forza.
Il
29
giugno
1983
Monsignor
Lefebvre
lasciò
l’incarico
di
Superiore
della
Fraternità
a
Don
Franz
Schmidberger,
precedentemente
eletto
suo
Vicario
generale
dal
capitolo
del
1982
e,
pur
rimanendo
a
tutti
gli
effetti
l'indiscusso
capo
carismatico
della
San
Pio
X,
si
dedicò
con
particolare
impegno
all’opera
di
“ri-evangelizzazione”
della
Chiesa.
Quello
stesso
anno,
il
Presule
brasiliano
Antônio
de
Castro
Mayer,
già
dai
tempi
del
Vaticano
II
vicinissimo
alle
posizioni
lefebvriane
nell’Ordo
Internationalis
Patrum,
dopo
essersi
dimesso
nel
1981
dal
suo
incarico
di
Vescovo
di
Campos,
nella
cui
funzione
si
era
sempre
rifiutato
di
accogliere
il
“Novus
Ordo
Missae”,
ma
pur
mantenendo
la
carica
di
Ordinario
Diocesano,
istituì
l'“Unione
Sacerdotale
San
Giovanni
Maria
Vianney”
per
consentire
la
formazione
tradizionale
dei
suoi
400.000
fedeli:
il
21
novembre
1983
Lefebvre
e de
Castro
Mayer
scrissero
al
Papa
una
lettera
aperta
denunciando
la
condizione
di
avvilimento
della
“vera
Chiesa”
di
fronte
all’ecumenismo
imperante,
ma
non
ottennero
risposta.
Gli
stessi
argomenti
espressi
nella
lettera
andarono
a
formare
la
spina
dorsale
di
un
testo
di
Lefebvre
del
marzo
1985,
Lettera
Aperta
ai
Cattolici
Perplessi,
che
risultò
un
notevole
successo
editoriale.
Ancora
nel
1985
(31
agosto),
Monsignor
Lefebvre
e
Monsignor
de
Castro
Mayer
mandarono
al
Papa
una
nuova
e
solenne
messa
in
guardia
e il
6
novembre
successivo
una
lista
di
"Dubbi"
fu
rimessa
alla
Sacra
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede
ma
non
si
ebbe
alcuna
risposta
da
parte
della
Santa
Sede,
così
come
nessuna
risposta
ottenne
una
nuova
dichiarazione
congiunta
dei
due
Prelati
del
2
dicembre
1986.
Infine,
nel
giugno
1987,
Lefebvre
pubbicò
un
nuovo
libro,
dai
toni
molto
più
duri
verso
il
Vaticano
già
a
partire
dal
titolo,
Ils
l’Ont
Découronné,
in
cui,
tra
l’altro,
si
difende
l’ortodossia
di
uno
stato
cattolico
confessionale,
e la
stessa
durezza
di
toni
emerse
anche
in
una
“Lettera
ai
futuri
Vescovi”
del
23
agosto
dello
stesso
anno
in
cui
si
legge:
“La
Sede
di
Pietro
e i
posti
di
autorità
in
Roma
essendo
occupati
da
anticristi,
la
distruzione
del
Regno
di
Nostro
Signore
viene
condotta
rapidamente
anche
dentro
il
Suo
Corpo
Mistico
quaggiù,
specialmente
attraverso
la
corruzione
della
Santa
Messa
che
è
sia
la
splendida
espressione
del
trionfo
di
Nostro
Signore
sulla
Croce
—
Regnavit
a
Ligno
Deus
—
sia
la
sorgente
dell’estensione
del
Suo
regno
sulle
anime
e
sulle
società”.
Nonostante
tutto
ciò,
i
tentativi
di
dialogo
continuavano,
probabilmente
per
almeno
due
ragioni:
1)la
Fraternità
stava
continuando
ad
espandersi
in
tutto
il
mondo,
con
migliaia
di
fedeli
e,
oltre
alla
Casa
Generalizia
di
Ecône,
sei
Seminari
nella
Svizzera
tedesca
(1975),
in
Germania
(1978),
negli
Stati
Uniti
(1974),
in
Argentina
(1979),
in
Francia
(1986)
e in
Australia
(1988);
2)Monsignor
Lefebvre
e i
suoi
seguaci
non
avevano
mai
negato
il
primato
petrino
e
non
avevano
mai
dichiarato
il
Papa
eretico
(come
alcuni
sedevacantisti),
pur
dissenziendo
profondamente
su
numerose
interpretazioni
papali.
Il
maggiore
tentativo
di
riconciliazione
tra
la
Santa
Sede
e
Lefebvre
fu
compiuto
nel
1988
a
seguito
di
una
visita
apostolica
del
Cardinale
Edouard
Gagnon
alla
F.S.S.P.X
del
novembre-dicembre
1987
e
dell’impressione
molto
positiva
del
Cardinale
sull’educazione
sacerdotale
impartita
ad
Ecône:
l’8
aprile
1988
una
lettera
di
Papa
Giovanni
Paolo
II
al
Cardinal
Ratzinger,
Prefetto
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
disegnava
una
proposta
che
permettesse
alla
FSSPX
di
ottenere
una
collocazione
regolare
nella
Chiesa,
in
piena
comunione
con
la
Sede
apostolica
e,
su
questa
base,
si
ebbero
alcuni
incontri
tra
due
apposite
delegazioni.
Tali
incontri
portarono
ad
un
accordo
su
un
protocollo
d’intesa,
firmato
il 5
maggio
1988
da
Lefebvre
e
dal
Cardinal
Ratzinger,
e
riguardante
l'utilizzo
dei
Libri
liturgici
approvati
nel
1962,
la
costituzione
della
F.S.S.P.X
in
“Società
di
vita
apostolica”
con
particolari
diritti
e
prerogative
e
possibilmente
guidata
da
un
Vescovo,
una
dichiarazione
di
ordine
dottrinale
e il
progetto
di
un
dispositivo
giuridico
e di
misure
destinate
a
regolare
la
situazione
canonica
della
FSSPX
e
delle
persone
a
essa
collegate,
oltre
che
l’ipotesi
di
creazione
di
una
Commissione
vaticana
per
coordinare
i
rapporti
con
i
Dicasteri
della
Curia
romana
e
con
i
Vescovi
diocesani.
In
cambio,
Lefebvre,
a
nome
suo
e
della
F.S.S.P.X,
prometteva
obbedienza
alla
Chiesa
e al
Papa,
dichiarava
di
non
voler
più
discutere
il
Vaticano
II
in
termini
polemici
e
accettava
in
particolare
la
“Sezione
XXV”
della
Lumen
Gentium
sul
Magistero
pontificio,
riconoscendo
la
validità
dei
nuovi
riti
della
Messa.
Il
giorno
successivo
alla
firma,
però,
Lefebvre,
vedendosi
rifiutata
l’autorizzazione
a
ordinare
un
Vescovo
che
gli
succedesse
nella
Fraternità,
ritrattò,
affermando
di
essere
caduto
in
trappola.
Per
evitare
che
il
Vescovo
procedesse
con
tale
Ordinazione,
fissata
per
il
29
giugno,
compiendo
così
un
atto
scismatico,
il
24
maggio
1988
Papa
Giovanni
Paolo
II
concesse
finalmente
l'autorizzazione
all’Ordinazione
per
il
15
agosto
ma
Lefebvre
rispose
per
iscritto
che
necessitava
di
non
uno
ma
tre
Vescovi,
e
che
intendeva
ugualmente
consacrarli
il
29
giugno.
A
questo
punto,
la
frattura
definitiva
era
improrogabile.
Il
Cardinale
Ratzinger
rispose
che,
permanendo
questo
atteggiamento
di
disobbedienza,
anche
il
permesso
di
consacrazione
di
un
Vescovo
il
15
agosto
sarebbe
stato
ritirato,
mentre
Lefebvre,
ritornato
in
Svizzera,
mettendo
in
discussione
il
protocollo
insisteva
sulla
necessità
di
ordinare
Vescovi
tre
Sacerdoti
della
Fraternità
entro
il
30
giugno
1988
e
chiedeva
di
avere
la
maggioranza
dei
membri
della
istituenda
Commissione
romana.
Di
fronte
al
rifiuto
di
Roma
su
questi
punti
e
all'invito
a
rimettersi
in
piena
obbedienza
alle
decisioni
papali,
Lefebvre,
in
una
lettera
del
2
giugno,
esprimeva
l’opinione
che
il
momento
di
una
collaborazione
franca
e
efficace
non
fosse
ancora
giunto
e
dichiarava
di
voler
procedere
alle
Ordinazioni
episcopali
anche
senza
mandato
pontificio.
Perché
Lefebvre
aveva
mandato
a
monte
il
paziente
lavoro
del
Cardinal
Ratzinger?
La
risposta
più
probabilie
è
che
il
Vescovo
non
si
fidasse
dei
suoi
interlocutori:
il
Cardinale
Gagnon,
durante
la
sua
visita
apostolica
a
Ecône,
aveva
fatto
intendere
che
non
erano
stati
trovati
dei
Sacerdoti
con
profilo
episcopale
e
Lefebvre
temeva
che
Ratzinger
avrebbe
cercato
il
suo
successore
fuori
dalla
San
Pio
X,
ma è
anche
possibile
che
Lefebvre
stesso
avesse
semplicemente
dovuto
cedere
all’ala
più
oltranzista
della
Fraternità,
che
non
voleva
nessun
accordo
con
una
Chiesa
che
romana
che
vedeva
come
“eretica”.
In
ogni
caso,
nonostante
il 9
giugno
il
Papa
chiedesse
ancora
una
volta
a
Lefebvre
di
non
procedere
con
un
atto
scismatico,
il
15
giugno
1988
il
Vescovo
annunciò
in
una
conferenza
stampa
i
nomi
dei
Sacerdoti
che
intende
ordinare
Vescovi
e,
nonostante
un'ammonizione
formale
del
17
giugno,
il
30
giugno
1988
ordinò
quattro
Vescovi
(uno
in
più
di
quanto
annunciato):
Bernard
Fellay,
Bernard
Tissier
de
Mallerais,
Richard
Williamson
e
Alfonso
de
Galarreta,
avendo
per
co-consacrante
Monsignor
de
Castro
Mayer.
Essendo
l’Ordinazione,
ai
sensi
del
canone
751
del
Codex
Iuris
Canonici,
un
atto
scismatico
(dovuto,
secondo
quanto
scritto
nella
Ecclesia
Dei
Adflicta
da
Papa
Giovanni
Paolo
II
il 2
giugno
di
quell’anno
ad
un'“incompleta
e
contraddittoria
nozione
di
Tradizione”),
essa
portò
ipso
facto
alla
scomunica
“latae
sententiae”,
formalizzata
il
30
giugno
a
firma
del
Cardinal
Bernardin
Gantin,
dei
due
Vescovi
consacranti
(Marcel
Lefebvre
e
Antônio
de
Castro
Mayer,
quest'ultimo
in
via
“presuntiva”)
ed
dei
quattro
Vescovi
appena
consacrati,
la
cui
consacrazione,
per
altro,
a
norma
del
Codice
di
Diritto
Canonico,
era
valida
anche
se
illecita.
In
realtà,
la
situazione
era
molto
complicata.
Lefebvre
da
subito
dichiarò
di
non
aver
ritirato
la
sua
sottomissione
al
Papa
e
che
i
canoni
1323
e
1324
del
Codice
lo
assolvevano
dall’accusa
di
scisma,
dal
momento
che
in
particolare
il
canone
1324
prevede
che
quando
qualcuno
creda
erroneamente
che
vi
sia
uno
stato
di
necessità
che
lo
spinge
a
compiere
un
atto
canonicamente
illegale
(anche
se
la
sua
ignoranza
su
questo
punto
è
colpevole
e
sempre
a
condizione
che
l'atto
in
questione
non
è di
per
sé
malvagio
o
tendente
alla
dannazione
delle
anime),
la
pena
canonica
per
l'atto
in
questione
debba
essere
ridotta
o
sostituita
e le
sanzioni
“latae
sententiae”
non
si
applichino.
La
Santa
Sede
respinse
questo
argomento
come
irrilevante,
sia
perché
Lefebvre
era
stato
esplicitamente
ammonito
in
precedenza,
sia
perché,
in
applicazione
del
canone
1325,
l'ignoranza
supina
non
fornisce
alcuna
difesa
(sebbene
Lefebvre
abbia
sostenuto
che
la
F.S.S.P.X
non
abbia
mai
invocato
l’ignoranza
ma
semplicemente
la
necessità).
Inoltre,
moltri
Ecclesiastici
e
avvocati
hanno
in
seguito
affermato
che
la
Consacrazione
non
sia
stata
un
atto
in
sé
scismatico
visto
che
Lefebvre
stava
semplicemente
consacrando
Vescovi
ausiliari
e
non
tentando
di
creare
una
Chiesa
parallela
(così
secondo
l’opinione
del
Cardinal
Castrillón
Hoyos,
del
canonista
Conte
Neri
Capponi,
di
Fr.
Gerald
Murray
della
Catholic
University
of
America,
di
Fr.
Patrick
Valdini
dell'Istituto
Cattolico
di
Parigi,
e
del
Prof.
Karl-Theodor
Geringer
e di
Padre
Rudolf
Kaschewski
dell'Università
di
Monaco,
sebbene
Murray
e il
Prof.
Geringer
abbiano
poi
dichiarato
che
le
loro
opinioni
sono
state
travisate).
In
effetti,
la
Santa
Sede
ha
specificato
che
Mons.
Lefebvre
ha
commesso
un
atto
scismatico
ma
che
non
ha
creato
una
Chiesa
scismatica,
il
che
implicherebbe
che
la
Consacrazione
non
sia
stata
un
atto
completamente
scismatico
sebbene
la
Curia
abbia
in
seguito
specificato
che
le
espressioni
usate
da
molti
aderenti
della
F.S.S.P.X
fossero
indicative
di
un
personale
“ritiro
dalla
sottomissione
al
Sommo
Pontefice
o
dalla
comunione
con
i
membri
della
Chiesa
a
lui
soggetti”,
che,
dunque,
essi
rientrassero
nella
definizione
di
scisma
del
canone
751.
In
ogni
caso,
la
scomunica
di
Lefebvre
portò
a
numerose
defezioni
di
Ecclesiastici
che,
pur
vicini
alle
posizioni
tradizionaliste
o
addirittura
organici
alla
San
Pio
X,
non
ritenevano
giusto
allontanarsi
dalla
Chiesa
madre
e
cominciarono
a
fondare
Fraternità
separate
e in
comunione
con
Roma.
La
situazione
rimase
in
stallo
fino
alla
morte,
nel
1991,
all’età
di
85
anni,
di
Monsignor
Lefebvre,
la
cui
salma,
per
altro,
fu
benedetta
da
tutti
i
Sacerdoti
presenti
ai
funerali
(inclusi
gli
inviati
della
Santa
Sede)
e la
cui
parabola
esistenziale
è
certamente
ben
riassunta
nell’incisione
da
lui
voluta
sulla
sua
lapide:
“Tradidi
quod
et
accepi”
(“Ho
trasmesso
solo
ciò
che
ho
ricevuto”
- I
Cor.
15:3).
Quello
stesso
anno
moriva
anche
Monsignor
de
Castro
Mayer,
che
venne
sostituito
alla
guida
della
“Unione
Sacerdotale
San
Giovanni
Maria
Vianney”
da
Monsignor
Licínio
Rangel,
consacrato
Vescovo
da
tre
dei
quattro
Presuli
consacrati
illecitamente
da
Monsignor
Lefebvre.
Dopo
dieci
anni
di
amministrazione,
il
15
agosto
2001,
Monsignor
Rangel
e
tutti
i
membri
dell'Unione
inviarono
a
Papa
Giovanni
Paolo
II
la
richiesta
di
essere
riammessi
in
comunione
con
la
Santa
Sede,
richiesta
che
venne
accolta
il
successivo
25
dicembre
e
che
portò
all’erezione,
il
18
gennaio
2002,
dell’“Amministrazione
Apostolica
Personale
San
Giovanni
Maria
Vianney”,
Prelatura
personale
affidata
allo
guida
dello
stesso
Monsignor
Rangel
e,
dopo
la
sua
morte
(16
dicembre
2002),
al
suo
successore
Monsignor
Fernando
Arêas
Rifan.
Con
il
rientro
dei
fedeli
della
Diocesi
di
Campos
in
seno
alla
Chiesa
cattolica,
la
Fraternità
San
Pio
X
rimaneva,
per
molti
versi,
un
caso
isolato
nel
quadro
cristiano,
con
la
sua
posizione
un
po’
ambigua
di
accettazione
della
legittima
e
regolare
successione
petrina
vigente
ma
di
rifiuto
della
teologia
vaticana
post-conciliare.
Si
trattava,
però,
di
una
“anomalia”
di
notevole
entità,
anche
dal
punto
di
vista
prettamente
quantitativo
con
un
“patrimonio”
che
comprendeva
(e
comprende
tutto’ora),
tendendo
conto
di
tutti
gli
organismi
affiliati,
1
Casa
Generalizia,
6
Seminari,
6
case
di
formazione,
17
Distretti
e
Case
autonome,
159
Priorati,
725
Chiese,
Cappelle
e
centri
di
Messa,
2
istituti
universitari,
88
scuole,
7
case
di
riposo,
4
Vescovi,
522
Sacerdoti,
215
seminaristi,
41
preseminaristi,
117
Frati,
164
Suore,
80
Oblate
e 5
Conventi
di
Carmelitane.
Il
maggior
problema,
in
ogni
caso,
rimane
a
tutt’oggi
lo
stato
di
“indeterminatezza”
in
cui
l’intera
situazione
impantanata.
Qualche
notazione
può
permettere
di
meglio
comprenderne
l’insostenibilità:
ai
sensi
del
Codice
di
Diritto
Canonico,
le
Messe
e i
Sacramenti
della
San
Pio
X
per
i
quali
è
prevista
la
necessità
della
sola
“Potestas
Ordinis”
dei
Sacerdoti
(anche
se
illecitamente
ordinati)
sono
validi
sebbene
illeciti
come
contrari
al
diritto
della
Chiesa,
mentre
quei
Sacramenti
per
i
quali
è
prevista
anche
la
“Potestas
jurisditionis”
(confessione
e
matrimonio)
sono
dubbi;
i
Sacerdoti
“lefebvriani”
e
gli
stessi
Vescovi
ordinati
da
Vescovi
della
F.S.S.P.X
sono
ordinati
validamente,
stante
il
fatto
che
le
Ordinazioni,
anche
se
compiute
da
Vescovi
scomunicati,
sono
pienamente
valide
anche
se
non
sono
legittime;
la
partecipazione
dei
fedeli
alle
Celebrazioni
della
F.S.S.P.X
è
stata
a
lungo
considerata
illecita
e
ammessa
solo
in
casi
di
necessità,
cosicché
chi
vi
partecipava
senza
condividere
formalmente
le
posizioni
della
comunità
lefebvriana
nei
riguardi
del
Papa
non
incorreva
nella
pena
della
scomunica,
che,
però,
poteva
insorgere
condividendo
le
idee
del
celebrante,
ma,
in
seguito,
la
Pontificia
Commissione
"Ecclesia
Dei",
in
due
lettere
datate
18
gennaio
2003
e 5
settembre
2005,
ha
affermato
che
i
fedeli,
assistendo
alle
Messe
della
Fraternità
Sacerdotale
San
Pio
X,
non
sono
scomunicati,
come
non
lo
sono
i
Sacerdoti
che
celebrano
(che
sono
però
sospesi),
cosicché
i
fedeli
possono
assolvere
all'obbligo
domenicale
partecipando
ad
una
Messa
celebrata
da
un
Prete
della
Fraternità
e
contribuire
alla
questua
senza
commettere
peccato.
Certamente
anche
per
porre
fine
a
questa
situazione
piuttosto
assurda,
la
Santa
Sede
ha
tentato
lungamente
una
mediazione,
soprattutto
tramite
il
Prefetto
della
Pontificia
Commissione
“Ecclesia
Dei”
Cardinal
Darío
Castrillón
Hoyos,
pur
ponendo
come
elemento
ineludibile
per
la
reintegrazione
della
San
Pio
X
nella
Chiesa
l’accettazione
“in
toto”
dei
dettati
del
Concilio
Vaticano
II.
Nonostante
il
successore
di
Monsignor
Lefebvre
alla
quida
della
F.S.S.P.X,
Monsignor
Bernard
Fellay,
abbia
più
volte
sostenuto
che
nessuna
accettazione
delle
regole
conciliari
rifiutate
possa
essere
fatta
dalla
Fraternità
per
motivi
teologici
e di
coscienza,
Papa
Benedetto
XVI
ha,
in
molte
occasioni,
compiuto
numerosi
passi
di
“riavvicinamento”:
certamente
in
questa
direzione
sono
andate
la
Summorum
Pontificum
di
reintroduzione
della
possibilità
di
Messa
in
latino
e il
documento
Risposte
a
Quesiti
Riguardanti
Alcuni
Aspetti
Circa
la
Dottrina
sulla
Chiesa
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
entrambi
del
2008.
Forse
proprio
alla
luce
di
tali
documento
(oltre
che
per
la
piuttosto
netta
emorragia
di
aderenti
rientranti,
come,
ad
esempio
i
Monaci
Redentoristi
Transalpini
il
26
giugno
2008,
nelle
fila
della
Cattolicità),
nel
giugno
2008
i
lefebvriani
hanno
chiesto
la
revoca
della
scomunica,
con
l'impegno
a
rispondere
entro
il
28
giugno
2008
alle
proposte
presentate
per
conto
di
Benedetto
XVI
sempre
dal
Cardinal
Castrillón
Hoyos
e
comprendenti
cinque
punti
da
sottoscrivere.
Nonostante
i
cinque
punti
non
venissero
accettati
dalla
Fraternità,
ugualmente,
il
21
gennaio
2009,
tramite
decreto
del
Prefetto
della
Congregazione
per
i
Vescovi
Cardinal
Giovanni
Battista
Re
(protocollo
00145-01.02),
il
Sommo
Pontefice
ha
rimesso
la
scomunica
ai
Vescovi
della
Fraternità
Sacerdotale
San
Pio
X,
aprendo
la
possibilità
per
la
comunità
tradizionalista
di
inquadrarsi
come
prelatura
personale
(come
già
accaduto
per
l’“Opus
Dei”).
L’atto
papale
ha
suscitato,
come
è
noto,
moltissime
polemiche,
soprattutto
quando
è
stato
seguito,
il 2
luglio
2009,
dal
motu
proprio
Ecclesiae
Unitatem
che,
facendo
confluire
la
Pontificia
Commissione
“Ecclesia
Dei”
(che
era,
in
pratica,
stata
creata
proprio
per
tentare
di
regolare
i
rapporti
con
la
San
Pio
X)
nella
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
ha
ribadito
la
volontà
papale
di
reinglobare
la
Fraternità
nella
Chiesa.
Quali
sono
state
le
ragioni
delle
polemiche?
Essenzialmente
tre
sono
i
punti
controversi:
1)la
mancata
accettazione
dei
testi
sull’ecumenismo
da
parte
della
Casa
Generalizia
di
Ecône,
con
attacchi
contro
ogni
attività
papale
legata
al
dialogo
con
altre
Religioni
che
continuano
a
permanere
da
parte
delle
più
alte
gerarchie
della
Fraternità
(non
ultima
la
dichiarazione
all'Adnkronos
di
Don
Pierpaolo
Petrucci,
Priore
del
Priorato
di
Rimini
della
Fraternità,
che,
una
settimana
dopo
la
revoca
della
scomunica,
si è
detto
“scandalizzato”
dalla
preghiera
del
Papa
nella
Moschea
Blu
di
Istambul);
2)gli
intensi
rapporti
tra
l'ambiente
lefebvriano
e
gruppi
politici
dell’estrema
destra
cattolica,
dal
“Fronte
Nazionale”
di
Jean-Marie
Le
Pen
in
Francia,
alla
“Liga
Polskich
Rodzin”
(Lega
delle
Famiglie
Polacche)
e
“Narodowe
Odrodzenie
Polski”
(Partito
della
Rinascita
Polacca)
in
Polonia,
da
“Forza
Nuova”
in
Italia,
all’americana
“Legion
of
St
Louis”
(LSL);
3)l’accusa
di
antisemitismo
lanciata
dall’“Anti-Defamation
League”
e
dal
“Simon
Wiesenthal
Center”
contro
la
Fraternità,
accusa
che
non
è
certamente
stata
smentita
dalla
dichiarazione
del
1°
novembre
2008
(ma
trasmessa
il
21
gennaio
2009)
alla
televisione
svedese
“SVT”
di
Monsignor
Richard
Williamson
(probabilmente
il
più
estremista
tra
i
quattro
Vescovi
ordinati
da
Lefebvre)
in
cui
il
prelato
ha
affermato
che
“non
c’è
stato
nessun
Ebreo
ucciso
nelle
camere
a
gas.
Sono
tutte
bugie,
bugie,
bugie”
o,
in
Italia,
dalle
dichiarazioni
paritetiche
di
Don
Floriano
Abrahamowicz,
a
capo
della
comunità
lefevriana
del
Nord-Est
del
gennaio
2009,
entrambe
causa
di
grave
imbarazzo
per
la
Curia
e di
frizioni
tra
il
Vaticano
e le
Comunità
ebraiche.
Che
dire
riguardo
a
tali
polemiche?
Per
quanto
riguarda
le
dichiarazioni
di
Williamson
e
Abrahamowicz,
senza
nulla
togliere
alla
loro
gravità,
bisogna
tener
presente
che
il
Vescovo
è
stato
rimosso
dalla
Fraternità
stessa
dalla
sua
posizione
di
direttore
del
Seminario
argentino
lefebvriano
che
presiedeva
e
che
Abrahamowicz
è
stato
addirittura
espulso
dalla
San
Pio
X.
Per
altro,
giova
ricordare
che
un
certo
grado
di
anti-israelitismo
era
connaturato
nella
Chiesa
cattolica
preconciliare
a
cui
la
Fraternità
si
rifà,
ma
che,
in
ogni
caso,
salvo
casi
estremi
(e
chiaramente
patologici)
anti-israelitismo
e
antisemitismo
sono
due
cose
ben
distinte,
l’una
relativa
al
campo
religioso
e
l’altra
al
campo
razziale.
Quanto
alle
connessioni
tra
lefebvriani
e
desta
estrema,
pur
essendo
ovvio
che
movimenti
tradizionalisti
di
vario
stampo
tendano
a
collegarsi
tra
loro,
è
assolutamente
indubbio
che
la
questione
politica
non
pertenga
minimamente
(proprio
in
virtù
della
chiara
distinzione
conciliare
tra
Stato
e
Religione)
alla
sfera
della
Fede
e
che,
quindi,
sia
totalmente
ininfluente
ai
fini
della
riaccettazione
dei
lefebvriani
in
seno
alla
Chiesa.
Infine,
il
vero
nodo
riguarda
la
questione
dogmatica
e
teologica,
che,
a
tutt’oggi,
risulta
irrisolta.
Va,
però,
notato
che
il
testo
della
Ecclesiae
Unitatem
è
molto
chiaro
a
riguardo,
laddove
il
Sommo
Pontefice
afferma:
“le
questioni
dottrinali,
ovviamente,
rimangono
e,
finché
non
saranno
chiarite,
la
Fraternità
non
ha
uno
statuto
canonico
nella
Chiesa
e i
suoi
ministri
non
possono
esercitare
in
modo
legittimo
alcun
ministero”.
Insomma,
la
revoca
della
scomunica
è
solo
un
primo
passo
verso
la
chiarificazione
delle
posizioni,
una
chiarificazione
doverosa
dal
punto
di
vista
ecclesiastico
e
che,
si
spera,
avverrà
tramite
i
colloqui
dottrinali
iniziati
il
26
ottobre
2009
tra
una
Commissione
vaticana
(composta
dall’Arcivescovo
Luis
Francisco
Ladaria,
Segretario
della
Congregazione
per
la
Dottrina
della
Fede,
dal
gesuita
Padre
Karl
Becker,
Professore
emerito
della
Gregoriana,
dal
domenicano
Padre
Charles
Morerod,
Rettore
dell’Angelicum
e
Segretario
della
Pontificia
Commissione
teologica
internazionale
e da
Monsignor
Fernando
Ocariz,
Vicario
generale
dell’Opus
Dei)
e
una
Commissione
della
Fraternità
(composta
dal
Vescovo
Alfonso
de
Galarreta
e
dai
Sacerdoti
Patrick
de
La
Rocque,
Jean-Michel
Gleize
e
Benoit
de
Jorna).
Certamente
le
difficoltà
continuano
a
non
mancare...
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