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N. 34 - Ottobre 2010 (LXV)

I lavoratori cinesi, manovali nella Grande Guerra
... per riallacciare le fila della storia

di Rebecca Valli

 

Fin da piccolo Zhang Yan, 22 anni, di una città cinese nella popolosa provincia cinese dello Shandong, aveva sentito vicini di casa e parenti parlare di prima guerra mondiale.

 

La cessione della concessione tedesca dello Shandong ai giapponesi, in seguito ai trattati di pace di Versailles, nel 1919, aveva fortemente scosso la coscienza cinese, e quasi cent’anni più tardi restava una ferita aperta nella sensibilita di chi in quella provincia aveva continuato a vivere.

 

Dopo essersi iscritto all’Università dello Shandong, Zhang cominciò a frequentare un corso di storia del novecento e, con stupore, scopri’ le complesse vicende della propria provincia natale durante, e in seguito alla prima guerra mondiale. Fu allora che, per la prima volta, lesse dei cosiddetti huagong, i lavoratori cinesi reclutati da Francia ed Inghilterra come manovalanza sul fronte francese.

 

Nel 1914, la Cina si trovava in un periodo di tumultuoso cambiamento. La dinastia dei Qing, che dominava la Cina da quasi trecento anni anni era stata deposta, e con essa era calato il sipario su più di due millenni di regime imperiale. Dopo la rivolta di Wuchang, nell’autunno del 1911, Sun Yatsen, leader dell’allora fuorilegge Kuomindang, si era affrettato a tornare in Cina dal suo esilio negli Stati Uniti per esser proclamato presidente della repubblica. Si instaurò così il primo, seppur vacillante, regime repubblicano nella storia cinese.

 

Allo scoppio della prima guerra mondiale, in cerca di legittimazione dalle potenze internazionali, il neonato governo repubblicato corteggiava l’idea di partecipare allo sforzo bellico. Ma le potenze alleate, che si aspettavano una guerra lampo, preferirono non accettare l’aiuto cinese ritenendo di non averne bisogno. Francia ed Inghilterra temevano inoltre che la partecipazione cinese alla guerra sarebbe stato un fattore destabilizzante per gli imperi coloniali.

 

L’intero sistema coloniale si fondava sull’idea che i possedimenti all’estero dipendessero dalla madrepatria. Pur essendo la Cina uno stato sovrano, gli interessi delle potenze occidentali sui porti cinesi ne facevano una de facto colonia. Ricorrere ai cinesi per vincere una guerra europea rappresentava uno smacco che né i francesi, né gli inglesi eran disposti a subire. Soprattutto considerando le possibili conseguenze per gli altri possedimenti asiatici.

 

Nel 1915 però, sfumò ogni illusione di una guerra lampo. Sul fronte francese, ed italiano gli eserciti si trovavano in una situazione di impasse. Ad oriente, i tedeschi avevano sfondato la difesa russa ed avanzavano verso Mosca.

 

Oltre alle perdite di uomini in battaglia, gli alleati fronteggiavano una mancanza di manodopera che lavorasse nelle fabbriche belliche, che scavasse le trincee, che trasportasse gli armamenti. Dopo un intenso dibattito interno, il governo repubblicano cinese rinnovò la propria offerta di aiuto,e rese disponibile agli alleati un contingente di lavoratori cinesi. Il governo francese si arrese alla necessità, e nel 1915 ingaggiò 4,000 lavoratori. Nel 1916 anche l’Inghilterra si convinse a reclutare 10,000 uomini.

 

La maggioranza dei cinesi che partirono per il fronte europeo venivano dalla provincia dello Shandong, e nel 1916 salparono dal porto di Weihai, la città d’origine di Zhang. “Era una storia che mi apparteneva, geograficamente,” dice Zhang, spiegando il suo iniziale interessamento al destino dei 14,000 huagong.

 

Nel 2008 Zhang cominciò una ricerca minuziosa, per riallacciare le fila della storia, ed individuare i discendenti dei cinesi partiti per l’Europa.

 

Come spesso accade nel maneggiare delicate verità storiche, intorno alle vicende dei lavoratori cinesi non mancano dibattiti ed incongruenze. In questo caso, esiste un contenzioso, fra storici occidentali e fonti ufficiali cinesi, sul numero di huagong che persero la vita in Europa.

 

Nell’agosto del 2006, il Quotidiano del Popolo, braccio propagandistico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, pubblicava la cifra di 50,000 cinesi morti in Europa durante la prima guerra mondiale. Secondo stime più conservatrici, circa 2,000 lavoratori cinesi perirono in Europa.

 

Alcuni morirono prima di arrivare, si ammalarono durante il lungo viaggio e soccombettero alla malattia. In altri casi condivisero il destino di molti soldati, e furono uccisi dall’esercito nemico.

 

Fu questo il caso di tredici cinesi uccisi il 15 novembre del 1917, sorpresi da un raid aereo tedesco a Busseboom, in Belgio. Zhang ricorda di aver chiamato centinaia di persone prima di identificare i discendenti dei tredici lavoratori.

 

“Sapevano che i loro genitori, o zii, erano partiti per la guerra, ma da allora non avevano ricevuto nessuna notizia,” dice Zhang, “L’anima di quei morti, ne’ dei discendenti rimasti con il dubbio, non trovava pace.”

 

Zhang racconta una delle storie che più lo ha commosso. Zou Qingsong, figlio di uno dei tredici uccisi a Busseboom, per tutta la vita aveva sofferto la mancanza del padre. I figli lo ricordano disperato, quando la famiglia si riuniva per festeggiare il nuovo anno. “Piangeva spesso,” dice Zhang, “non riusciva ad accettare di non conoscere il destino del padre.”

 

Zhang cita un adagio cinese: un’albero può crescere altissimo, ma le sue foglie cadono sempre vicino alle radici. “Questi uomini morirono, senza che le loro famiglie sapessero nulla del loro destino, ci è voluto un secolo per far tornare le foglie laddove da sempre si sarebbero dovute posare.”

 

Mao Peiqi, professore di storia all’Università del Popolo di Pechino, dice che la maggior parte dei cinesi che partirono eran mossi da considerazioni economiche. “Alcuni erano sinceramente attratti dalla prospettiva di fare esperienza all’estero, ma per la maggior parte arruolarsi costuituiva l’unica opzione per poter guadagnare qualche soldo.”

 

Esemplare è la storia di Wu Lizhong, raccontata dai suoi discendenti e raccolta da Zhang. Wu, originario del distretto di Linzi, era il primo di otto figli. Allo scoppio della prima guerra monidale, mentre le potenze europee consideravano quale strategia potesse assicurare una guerra lampo, i Wu facevano i conti con l’estrema povertà, ed una famiglia numerosa da mantenere.

 

Le ristrettezze economiche avevano infine costretto i genitori di Wu Lizhong a vendere il figlio più piccolo, di appena otto anni, ad un’altra famiglia in un villaggio vicino.

 

In cerca di qualche soldo per riscattare il fratello, Wu Lizhong decise di proporsi agli inglesi, che offrivano 120 monete d’argento anticipate a chi si volesse partire per il fronte europeo. Wu passò l’esame di ingaggio, spese 80 monete per riscattare il fratello e lasciò il resto alla famiglia. Aveva 21 anni, e s’imbarcò per il fronte francese, insieme a migliaia di suoi compatrioti.

 

In Francia, il giovane Wu si distinse per le sue doti da falegname, e fu trasferito in prima linea. Dopo esser stato colpito dal fuoco nemico, Wu tornò in Cina disabile, portando appresso una serie di medaglie, sul cui retro compariva il suo numero identificativo: 67690. Ad accudirlo trovò il fratello più piccolo, che Wu aveva riscattato prima di partire per l’Europa.

 

“Wu mori’ negli anni trenta,” racconta Zhang, “i suoi discendenti raccontano di come pure sul letto di morte Wu ricordava le sue esperienze al fronte.”

 

Il professor Xu Guoqi, della facoltà di storia all’Univeristà di Hong Kong, nota come la maggior parte di quelli che partirono per la Francia fossero contadini, spesso non istruiti, “Non avevano nessuna idea delle ambizioni del neonato governo repubblicano, della ricerca cinese per un’identità nazionale, del desiderio della leadership di sentirsi alla pari con le altre potenze dell’epoca.”

 

Xu, che ha recentemente finito di scrivere un libro dedicato ai lavoratori cinesi nella prima guerra mondiale, considera l’invio dei lavoratori cinesi un contributo fondamentale alla vittoria alleata. “I cinesi evitarono alle potenze alleate l’imbarazzo di un collasso alle risorse umane,” dice, “ma questo contributo fu ignorato per motivi politici, sia dalle potenze alleate, sia dai cinesi.”

 

Secondo il professore di Hong Kong, le potenze alleate preferirono non pubblicizzare la partecipazione cinese per ragioni di prestigio internazionale. In Cina invece, la successione di governi instabili e corrotti, che rivaleggiavano su un territorio frammentato, rese ogni riferimento agli huagong un tributo inaccettabile al governo precedente.

 

Solo recentemente, con una conferenza a Weihai nel 2008, e una mostra inaugurata lo scorso Aprile nel museo Belga “In Flanders Fields,” la storia degli huagong è tornata sotto i riflettori degli storici, e del grande pubblico.

 

Mao Peiqi, lo storico dell’Università del Popolo, considera l’attenzione che queste vicende hanno recentemente ricevuto un passo fondamentale non solo per ar luce sulla storia degli huagong, ma anche “per conoscere la Cina moderna, che da quelle vicende si è formata.”

 

Il professor Mao nota come la Cina, il cui nome in cinese significa terra di mezzo, e che per secoli si era considerata al centro del mondo, incampò in un’amaro risveglio quando, a seguito dei trattati di pace di Versailles, perse la provincia dello Shandong. Gli alleati decisero che il territorio che i tedeschi controllavano prima della Grande Guerra dovesse essere trasferito ai Giapponesi, anziche restituito alla Repubblica Cinese.

 

“Le proteste nel 1919 [ribattezzate “movimento del 4 maggio”] furono la diretta reazione alle notizie che venivano da Parigi,” dice il professor Mao ricordando uno degli slogan che riempivano le piazze cinesi dell’epoca: "Combatti per la sovranità nazionale, elimina i traditori della patria.”

 

Ad aggiugere all’offesa anche la beffa, lo Shandong era la provincia d’origine di Confucio e di Mencio, i due più illustri filosofi della storia cinese. La Cina aveva perso il diritto di sovranità sulla regione che per millenni rappresentava la propria culla di civiltà. Diritto ceduto all’avversario di sempre: il Giappone, che nel 1937 si sarebbe lanciato alla conquista del resto del paese.

 

Il percorso che ha portato il giovane Zhang ad interessarsi alle vicende degli huagong ha molto a che fare con un desiderio personale di miglioramento, che Zhang stesso riconosce essere stata una caratteristica dei lavoratori cinesi partiti quasi un secolo fa. “Se penso a questi compatrioti che lasciarono la Cina per assicurare un futuro migliore alla propria famiglia, immediatamente lo associo alla mia esperienza, e a quella di molti miei contemporanei.”

 

In un paese in costante cambiamento, dove quasi il sessanta per cento della popolazione vive in zone rurali, sottosviluppate, viaggiare migliaia di chilometri in cerca di un lavoro che possa garantire un futuro alla propria famiglia è un concetto immediatamente comprensibile. La storia degli huagong durante la prima guerra mondiale è oggi riflessa nel sacrificio di milioni di lavoratori migranti in Cina. “Un esempio,” nelle parole di Zhang, “dell’istinto umano, innato, di migliorare la propria condizione.”

 



 

 

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