A PROPOSITO DI LANGOBARDIA MINOR
TRACCE LONGOBARDE IN CALABRIA
di Vanessa Cucunato
La dominazione longobarda
costituisce un lungo e significativo
capitolo della storia d’Italia. Nel
568 d.C. i Longobardi, gli “uomini
dalla lunga barba” provenienti dalla
Scandinavia, sotto la guida di
Alboino, attraversarono le Alpi
Giulie, dando così inizio alla loro
espansione sul suolo italiano. Il
Paese, in passato epicentro
dell’Impero romano e ora sede della
Cristianità, si trasformò in uno
strategico crocevia tra Occidente e
Oriente.
Dal Nord al Sud della penisola,
l’affermarsi militare e sociale di
questa etnia, antagonista dei
Bizantini, è testimoniato da
ritrovamenti archeologici,
testimonianze lessicali, leggende e,
non ultimo, da chiare tracce
toponomastiche. Sono proprio la
toponomastica, i reperti
archeologici, unitamente alla
tradizione orale, a far luce sulla
presenza longobarda in provincia di
Cosenza, a a tutt’oggi argomento non
ampiamente scientificamente.
È quest’ultimo il caso del piccolo
centro tirrenico di Longobardi in
provincia di Cosenza. La
denominazione della località,
secondo la tradizione più diffusa,
conquistata dal re Liutprando,
ricalca inequivocabilmente
l’etnonimo LANGOBARDOR(UM).
In questo territorio, nella località
Tarifi, termine probabilmente
arabo indicante un luogo di confine
e/o un dazio o tariffa, si trovava
il confine tirrenico tra i
Longobardi e i Bizantini, che fecero
invece del vicino centro di Belmonte
Calabro una loro importante e
inespugnabile fortezza.
Alla fine del VII secolo, infatti,
il territorio di Cosenza fu incluso
nel Ducato di Benevento, nella
cosiddetta Langobardia Minor.
Crotone fu conquistata nel 596 d.C.;
la città bruzia, Cassano, Laino e
Reggio divennero sedi gastaldali,
presidi di controllo situati in
punti nevralgici amministrati da
delegati al posto del duca. In
particolare, a proposito di Reggio,
Paolo Diacono (Historia
Langobardorum, III, 32) tramanda
una leggenda relativa al re Autari,
che si spinse fino a Reggio, dove,
toccando una colonna, posta in mezzo
al mare, disse: «Fin qui saranno
i confini dei Longobardi».
In campo artistico la popolazione
nordica adottò originariamente
rappresentazioni zoomorfe, altresì
rinvenute in Baviera e probabilmente
provenienti dall’Africa. I corredi
funebri calabresi restituiscono
questa costante iconografica: due
celebri fibule di VI-VII secolo,
custodite nel Museo Civico di
Castrovillari riproducono fattezze
animali.
Interessante è l’assimilazione da
parte dei Longobardi di preesistenti
tradizioni religiose. Tramandate in
diverse località calabresi, come
Grimaldi, Belsito, San Giorgio
Albanese e Bisignano, che, durante
la dominazione longobarda, ebbe come
vescovo Anderamo, sono le leggende
relative alla chioccia dalle uova
d’oro. Racconto, questo, che trova
riscontro nella relativa scultura
aurea nel Duomo di Monza, città
eletta residenza estiva dalla regina
Teodolinda. Si tratta di un tema
dalle radici orfiche, di un simbolo
di resurrezione, riscontrabile anche
nell’offerta di un uovo vero o finto
in contesti funerari di bambini
scoperti a Rutigliano in provincia
di Bari. Un luogo di culto dei
Longobardi in Calabria era
costituito dalla grotta di
Sant’Angelo a San Donato di Ninea in
provincia di Cosenza.
La cristianizzazione dei
conquistatori ebbe luogo sotto la
regina Teodolinda, mentre il duca di
Benevento, Romualdo, che nel 560
assorbì il Gargano, introdusse in
Italia il culto, risalente a
Giustiniano, dell’Arcangelo
Gabriele, in cui i Longobardi
ravvisavano caratteristiche del dio
della guerra Wothan.
Secondo quanto riportato da Giuseppe
Roma in Nefandissimi Langobardi,
la devozione micaeliana si espanse
capillarmente soprattutto nella
Calabria settentrionale, com’è
attestato dalla presenza di ben 62
località nelle quali sono presenti i
toponimi San Michele e Sant’Angelo.
L’iconografia del primo, quale
protettore di eroi e combattenti,
nonché figura psicopompa, si
riscontra ampiamente anche nell’arte
cristiana. Innumerevoli, infatti,
sono le opere nelle quali il Santo
sconfigge il demonio, raffigurato
come serpente o drago.
Un ulteriore elemento architettonico
potrebbe rimandare alla presenza
longobarda nel circondario di
Cosenza. Si tratta di alcune
decorazioni presenti nella chiesa
Matrice di Rose. La prima è una
stella a sei punte, detta “fiore
della vita” o “stella-fiore”. Il
simbolo antichissimo è utilizzato
per esprimere la potenza
dispensatrice di vita del Sole, che
guarisce e protegge. Coerentemente
nei contesti cristiani l’icona
floreale appare come simbolo sullo
scudo di Michele Arcangelo,
raffigurato nell’edificio sacro del
sopra citato paese. Recente è,
inoltre, il ritrovamento di mine di
ferro longobarde sulle sponde del
lago Cecita.
Alla fine del secolo XI la
Longobardia minor cessò di
esistere e, di conseguenza, il
predominio dei guerrieri provenienti
dal Nord Europa ebbe fine anche in
Calabria, da dove nel 1047, i
Normanni, partendo da San Marco,
conquistarono in un numero esiguo di
anni l’intero Meridione, cacciando
per sempre Longobardi e Bizantini.
La presenza della popolazione dalla
barba intonsa, ma che seppe
assimilare proficuamente germi
culturali e religiosi preesistenti,
potrebbe mostrare anche nella
provincia di Cosenza ulteriori
indizi interessanti dal punto di
vista antropologico, come nel caso
della leggenda della menzionata
chioccia dalle uova d’oro,
refrain del patrimonio materiale
e immateriale dei Longobardi del
Nord e dei Longobardi del Sud.
Questo specialmente se si tiene
presente il forte legame uomo-natura
da sempre esistito in Calabria,
regione in cui gli aspetti
morfologici del territorio hanno
fatto derivare da sé una
molteplicità di riletture simboliche
peculiari e avvincenti.