[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

178 / OTTOBRE 2022 (CCIX)


medievale

A PROPOSITO DI LANGOBARDIA MINOR

TRACCE LONGOBARDE IN CALABRIA

di Vanessa Cucunato

 

La dominazione longobarda costituisce un lungo e significativo capitolo della storia d’Italia. Nel 568 d.C. i Longobardi, gli “uomini dalla lunga barba” provenienti dalla Scandinavia, sotto la guida di Alboino, attraversarono le Alpi Giulie, dando così inizio alla loro espansione sul suolo italiano. Il Paese, in passato epicentro dell’Impero romano e ora sede della Cristianità, si trasformò in uno strategico crocevia tra Occidente e Oriente.


Dal Nord al Sud della penisola, l’affermarsi militare e sociale di questa etnia, antagonista dei Bizantini, è testimoniato da ritrovamenti archeologici, testimonianze lessicali, leggende e, non ultimo, da chiare tracce toponomastiche. Sono proprio la toponomastica, i reperti archeologici, unitamente alla tradizione orale, a far luce sulla presenza longobarda in provincia di Cosenza, a a tutt’oggi argomento non ampiamente scientificamente.

 

È quest’ultimo il caso del piccolo centro tirrenico di Longobardi in provincia di Cosenza. La denominazione della località, secondo la tradizione più diffusa, conquistata dal re Liutprando, ricalca inequivocabilmente l’etnonimo LANGOBARDOR(UM). In questo territorio, nella località Tarifi, termine probabilmente arabo indicante un luogo di confine e/o un dazio o tariffa, si trovava il confine tirrenico tra i Longobardi e i Bizantini, che fecero invece del vicino centro di Belmonte Calabro una loro importante e inespugnabile fortezza.


Alla fine del VII secolo, infatti, il territorio di Cosenza fu incluso nel Ducato di Benevento, nella cosiddetta Langobardia Minor. Crotone fu conquistata nel 596 d.C.; la città bruzia, Cassano, Laino e Reggio divennero sedi gastaldali, presidi di controllo situati in punti nevralgici amministrati da delegati al posto del duca. In particolare, a proposito di Reggio, Paolo Diacono (Historia Langobardorum, III, 32) tramanda una leggenda relativa al re Autari, che si spinse fino a Reggio, dove, toccando una colonna, posta in mezzo al mare, disse: «Fin qui saranno i confini dei Longobardi».

 

In campo artistico la popolazione nordica adottò originariamente rappresentazioni zoomorfe, altresì rinvenute in Baviera e probabilmente provenienti dall’Africa. I corredi funebri calabresi restituiscono questa costante iconografica: due celebri fibule di VI-VII secolo, custodite nel Museo Civico di Castrovillari riproducono fattezze animali.

 

Interessante è l’assimilazione da parte dei Longobardi di preesistenti tradizioni religiose. Tramandate in diverse località calabresi, come Grimaldi, Belsito, San Giorgio Albanese e Bisignano, che, durante la dominazione longobarda, ebbe come vescovo Anderamo, sono le leggende relative alla chioccia dalle uova d’oro. Racconto, questo, che trova riscontro nella relativa scultura aurea nel Duomo di Monza, città eletta residenza estiva dalla regina Teodolinda. Si tratta di un tema dalle radici orfiche, di un simbolo di resurrezione, riscontrabile anche nell’offerta di un uovo vero o finto in contesti funerari di bambini scoperti a Rutigliano in provincia di Bari. Un luogo di culto dei Longobardi in Calabria era costituito dalla grotta di Sant’Angelo a San Donato di Ninea in provincia di Cosenza.

 

La cristianizzazione dei conquistatori ebbe luogo sotto la regina Teodolinda, mentre il duca di Benevento, Romualdo, che nel 560 assorbì il Gargano, introdusse in Italia il culto, risalente a Giustiniano, dell’Arcangelo Gabriele, in cui i Longobardi ravvisavano caratteristiche del dio della guerra Wothan.


Secondo quanto riportato da Giuseppe Roma in Nefandissimi Langobardi, la devozione micaeliana si espanse capillarmente soprattutto nella Calabria settentrionale, com’è attestato dalla presenza di ben 62 località nelle quali sono presenti i toponimi San Michele e Sant’Angelo. L’iconografia del primo, quale protettore di eroi e combattenti, nonché figura psicopompa, si riscontra ampiamente anche nell’arte cristiana. Innumerevoli, infatti, sono le opere nelle quali il Santo sconfigge il demonio, raffigurato come serpente o drago.

 

Un ulteriore elemento architettonico potrebbe rimandare alla presenza longobarda nel circondario di Cosenza. Si tratta di alcune decorazioni presenti nella chiesa Matrice di Rose. La prima è una stella a sei punte, detta “fiore della vita” o “stella-fiore”. Il simbolo antichissimo è utilizzato per esprimere la potenza dispensatrice di vita del Sole, che guarisce e protegge. Coerentemente nei contesti cristiani l’icona floreale appare come simbolo sullo scudo di Michele Arcangelo, raffigurato nell’edificio sacro del sopra citato paese. Recente è, inoltre, il ritrovamento di mine di ferro longobarde sulle sponde del lago Cecita.

 

Alla fine del secolo XI la Longobardia minor cessò di esistere e, di conseguenza, il predominio dei guerrieri provenienti dal Nord Europa ebbe fine anche in Calabria, da dove nel 1047, i Normanni, partendo da San Marco, conquistarono in un numero esiguo di anni l’intero Meridione, cacciando per sempre Longobardi e Bizantini.

 

La presenza della popolazione dalla barba intonsa, ma che seppe assimilare proficuamente germi culturali e religiosi preesistenti, potrebbe mostrare anche nella provincia di Cosenza ulteriori indizi interessanti dal punto di vista antropologico, come nel caso della leggenda della menzionata chioccia dalle uova d’oro, refrain del patrimonio materiale e immateriale dei Longobardi del Nord e dei Longobardi del Sud. Questo specialmente se si tiene presente il forte legame uomo-natura da sempre esistito in Calabria, regione in cui gli aspetti morfologici del territorio hanno fatto derivare da sé una molteplicità di riletture simboliche peculiari e avvincenti. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]