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N. 49 - Gennaio 2012 (LXXX)

la questione meridionale
una storia attuale

di Alessandro Ortis

 

«Quando quella metà d’Italia che costituisce il Mezzogiorno sarà entrata nella grande circolazione della vita italiana, gli industriali, i commercianti e i banchieri non la sentiranno più come una palla al piede ma come un vantaggio».

 

Questa citazione potrebbe essere tratta da un qualsivoglia discorso politico o cronaca di quotidiani dei nostri tempi. Invece, è datata gennaio 1909, più di un secolo fa, quando già si discuteva e dibatteva sulla Questione Meridionale. L’autore è Giovanni Amendola, politico, intellettuale e scrittore di inizio Novecento che collaborava con la rivista di Giuseppe Prezzolini «La Voce».

Nell’Italia post-unitaria, il problema dell’arretratezza del sud - Italia era assai sentito. Nel 1872, Pasquale Villari pubblicò Le lettere meridionali, un’opera che si proponeva di approfondire e raccontare questa importante fetta del Paese, attraverso l’uso di un rigoroso oggettivismo scientifico figlio della filosofia positivista.

Dopo di lui, furono Franchetti e Sonnino, nel 1876, con il volume Inchiesta sulla Sicilia, ad occuparsi ancora con maggiore minuziosità dei problemi che attraversavano quella terra: analfabetismo, arretratezza economica e incapacità di governo della classe dirigente locale.

Nonostante le denunce giunte all’attenzione del pubblico con queste opere, la questione non veniva mai toccata con forza dalla Destra storica, al tempo al governo. Da presenza attiva durante il Risorgimento, adesso la Destra aveva il compito di risollevare il Paese e portarlo all’altezza degli altri grandi stai europei. E per raggiungere questo obiettivo, tutta la nazione doveva essere una grande realtà industriale.

Invece, le cose andarono diversamente. Anche con l’importante avvicendamento politico del 1876, quando al governo salì la Sinistra storica poco cambiò per il Meridione.

Così, si arriva all’inizio del XX secolo con un terzo dell’Italia che viveva in una situazione non molto diversa da quella di venti, trent’anni prima. Gli intellettuali, che da tempo non riuscivano più a essere una voce autorevole, una guida per la politica e tutta la società, si ribellarono all’incapacità del governo e lanciarono le loro provocazioni e denunce attraverso i giornali e le riviste.

Tra questi c’era proprio Giovanni Amendola, che per «La Voce» fu in grado di collegare le tematiche culturali alle vicende politiche e storiche del proprio tempo. Per la rivista di Prezzolini, Amendola si occupò in varie occasioni del Sud e delle sue problematiche, tanto da curarne un articolo intitolato “Il Mezzogiorno e la cultura italiana”, pubblicato il 7 gennaio 1909, sul numero 4 della rivista.

Un vero e proprio atto d’accusa verso la politica e gli industriali perché non si occupano di risollevare le sorti delle genti che abitano a sud di Roma. Un articolo che, se pubblicato oggi, avrebbe ancora una forte attualità.

«Oggi sembra a molti di noi che sia venuto il momento di agitare nel mondo della cultura italiana una questione che finora parve circoscritta al campo degli interessi materiali e dell’attività politica. È la questione del Mezzogiorno».

Così Amendola dichiarava il suo intento di occuparsi del Sud: la politica ha fallito, ed è venuta l’ora che anche gli intellettuali e la cultura tutta insieme si occupino di rilanciarlo. Le parole di questo politico italiano di inizio secolo potrebbero essere le stesse di un deputato o senatore dei nostri tempi: come può l’Italia essere un Paese moderno se un terzo delle sue forze sono inattive? Come fanno gli industriali e gli armatori a portarsi dietro questa pesante palla al piede, che è l’arretratezza di tutto il Sud?

Questo è stato detto nel 1909; oggi siamo ancora qui a gridarlo in tutti i modi. Le accuse che vengono mosse ai giorni nostri dai giornali, dalle associazioni e dai cittadini onesti, sia alla classe politica nazionale che locale, sono le medesime di Sonnino, Salvemini e Amendola.

Le critiche di quest’ultimo fatte ai ricchi del Nord, che si disinteressano dei loro concittadini meridionali e credono di poter diventare ancora più ricchi e importanti senza la loro forza lavoro ed intellettuale rappresentano la versione originale di qualche riflessione politica dei nostri politici di oggi.

«Noi non siamo tanto ricchi o tanto savi da poter fare a meno della cooperazione di dieci o quindici milioni di italiani» diceva ancora Amendola. Nel nostro tempo della modernità, come nell’Otto-Novecento, si promette, si prendono degli impegni a migliorare la vita dei cittadini di quelle regioni; poi tutto muore, lasciando il territorio, le città e i villaggi così come sono.

Dov’è finita, allora, la volontà di creare un’unità nazionale? Cosa è cambiato, dopo 150 anni dall’Unità d’Italia per quelle popolazioni? Si potrebbe rispondere ben poco, perché ancora la politica è impegnata a cercare delle soluzioni al problema, attraverso annunci di piani faraonici di rilancio economico ed industriale.

Lo scopo di Amendola, tuttavia, non era solo criticare, ma anche trovare risposte. E chi, allora, visto che il governo, guidato dalla Destra o dalla Sinistra storica, doveva prendere in mano la situazione?

La cultura italiana, gli intellettuali. Il peso immenso che la mancanza di forza e l’ignoranza da parte degli abitanti del Meridione, riporta il politico italiano nell’articolo, è troppo forte perché l’Italia possa progredire. È necessaria quanto indispensabile una iniezione di cultura, affinché prendano consapevolezza di un futuro e un destino diverso. Assumersi la responsabilità di trascinare fuori la propria terra dalla forte situazione di disagio in cui vive.


Se tutta la cultura, da quella alta e colta fino alla popolare, parteciperà a questa azione, allora l’Italia potrà competere con grandi nazioni come Francia e Regno Unito.

Amendola, così dicendo, criticava implicitamente la cultura italiana stessa e i suoi protagonisti per aver abbandonato il campo delle questioni sociali e politiche ed essersi rinchiusa nelle università e nelle accademie. Il messaggio da lanciare era chiaro: o il Meridione si risolleva, oppure l’Italia non avrà futuro. Perché, al tempo di Amendola quanto nel nostro, non è solo una questione economica o politica, ma di cultura. E noi, intanto, siamo ancora in attesa.



 

 

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