N. 102 - Giugno 2016
(CXXXIII)
la
presa
di
raqqa
la
crisi
del
califfato
e la
situazione
sul
campo
di
Filippo
Petrocelli
In
termini
militari
si
potrebbe
chiamare
“tenaglia”
l’operazione
contro
lo
Stato
islamico
iniziata
in
Siria
e
Iraq
da
qualche
settimana.
Una
classica
manovra
di
accerchiamento
che
mira
a
spezzare
le
linee
di
collegamento
fra
Mosul
e
Raqqa,
la
prima
“capitale”
irachena
del
Califfato,
la
seconda
“capitale”
siriana.
L’obiettivo
è
isolare
i
due
principali
centri
urbani
dello
Stato
islamico
e
procedere
a
una
riconquista
di
queste
due
importanti
città,
dal
2014
in
mano
alle
milizie
jihadiste.
Gli
esperti
militari
parlano
da
mesi
di
quest’eventualità
e
sembra
essere
arrivato
il
punto
di
non
ritorno.
E le
operazioni
sono
iniziate.
Fin
dagli
inizi
della
guerra
in
Siria,
proprio
i
collegamenti
fra
Raqqa
e
Mosul
erano
stati
individuati
come
il
vero
architrave
del
successo
degli
uomini
di
Al-Baghdadi.
Ed è
su
questa
direttrice
che
si
sono
da
sempre
spostati
anche
la
maggior
parte
degli
affari
del
Califfato.
Sul
campo
però
le
forze
sono
diverse
e
non
necessariamente
procedono
nella
stessa
direzione.
In
Siria
il
fronte
pro-Assad
è
sostenuto
con
forza
dai
raid
russi
che
stanno
dando
un
grande
aiuto
ai
lealisti.
Dopo
aver
riconquistato
la
città
di
Palmira,
famosa
per
le
sue
rovine,
l’asse
russo-siriano
punta
in
direzione
di
Deir
El
Zor,
per
poi
procedere
verso
Raqqa.
A
giocare
un
ruolo
importante
in
questo
contesto,
potrebbe
essere
Hezbollah
che
nonostante
la
perdita
di
un
suo
importante
comandante
di
primo
piano
Mustafa
Badreddine
–
uomo
chiave
del
movimento
libanese
in
Siria
ucciso
nel
maggio
del
2016
–
principale
responsabile
della
liberazione
di
Qusayr,
potrebbe
fornire
l’appoggio
determinante
a
quest’avanzata,
impegnando
i
ribelli
anche
nella
zona
di
Aleppo.
Da
nord-est
invece
procedono
anche
grazie
ai
bombardamenti
americani
le
Sdf
(Sirian
democratic
forces),
egemonizzate
dai
combattenti
curdi
del
Rojava
il
cui
perno
ruota
attorno
alle
Ypg
(Unità
di
protezione
del
popolo),
ma
composte
anche
da
combattenti
yazidi
e
arabi.
Tuttavia
nonostante
i
recenti
successi
–
soprattutto
nella
zona
di
Manbij
quasi
completamente
liberata
–
non
è
detto
che
i
curdi
del
Rojava
abbiano
interesse
a
versare
ancora
più
sangue,
nella
liberazione
di
una
città
in
cui
comunque
sarebbero
guardati
con
ostilità.
La
maggioranza
della
popolazione
è
araba
e
potrebbe
mostrarsi
astiosa
verso
i
curdi.
In
Iraq
invece
le
cose
procedono
più
lineari:
l’esercito
regolare
iracheno
e le
milizie
paramilitari
sciite
lavorano
di
comune
accordo,
e
quindi
il
ruolo
iraniano
rimane
di
primo
piano.
Per
mesi,
soprattutto
nel
2015
l’uomo
dei
Pasdaran
a
Baghdad
era
Qassam
Suleimaini,
importante
generale
iraniano
a
capo
delle
Quds
force,
l’unità
d’élite
specializzata
nelle
operazioni
all’estero.
E
proprio
a
lui
si
deve
la
decisione
di
affiancare
alle
truppe
regolari
le
cosiddette
Forze
di
mobilitazione
popolare
(al-Hashd
al-Shaabi),
gruppi
paramilitari
a
netta
maggioranza
sciita,
equipaggiati
con
armamento
e
ufficiali
iraniani,
più
zelanti
nell’affrontare
lo
Stato
islamico
dell’esercito
iracheno
e
molto
più
organizzate.
A
benedire
quest’operazione
anche
una
fatwa
di
Al
Sistani,
il
più
importante
leader
religioso
iracheno,
che
ha
favorito
il
massiccio
afflusso
da
parte
dei
giovani.
A
capo
delle
Forze
di
mobilitazione
popolare
c’è
Jamal
Jafaar
Mohammed,
nome
di
battaglia
Abu
Mahdi
al-Muhandis,
leader
della
milizia
Kata’ib
Hezbollah,
molto
vicino
all’Iran
e al
generale
Suleimaini.
Assieme
a
quest’organizzazione
sono
circa
cinquanta
le
organizzazioni
facenti
parte
delle
Forze
di
mobilitazione
popolare,
ma
le
principali
milizie
che
le
compongono
sono:
l’organizzazione
Badr
e le
sue
brigate
(Munaẓẓama
Badr),
la
Lega
dei
giusti
(Asai’b
Ahl
al
Haq,
conosciuta
anche
con
il
nome
di
Khazali
network)
e le
Brigate
della
pace
(Saraya
al
Salam),
evoluzione
dell’Esercito
del
Mahdi,
l’organizzazione
che
faceva
capo
a
Moqtada
al-Sadr.
All’inizio
di
giugno
invece
Suleimaini
è
stato
visto
nella
zona
di
Aleppo,
al
confine
con
la
Turchia,
e
più
volte
il
governo
siriano
ha
espresso
il
suo
favore
verso
l’inviato
di
Teheran
ed è
anche
per
questo
che
ormai
sempre
dietro
l’angolo
una
svolta
anche
sul
fronte
siriano.
Insomma
sembra
ormai
prossima
l’azione
risolutiva
in
Siria
e
dopo
Raqqa
sarà
la
volta
di
Mosul
in
Iraq.
L’unica
cosa
sicura
è
che
comunque
sarà
un
bagno
di
sangue.
Dal
Levante
fino
all’Eufrate.