N. 110 - Febbraio 2017
(CXLI)
Le mire di Kublai Khan sul Sol Levante
il fallimento mongolo e la nascita del Giappone
di Gian Marco Boellisi
Tra
tutti
gli
imperi
che
sono
sorti
e
caduti
nella
storia
dell’umanità,
l’impero
mongolo
rimane
fuori
questione
quello
che
ha
raggiunto
la
più
grande
estensione
territoriale
in
assoluto.
Creato
in
origine
dal
grande
Gengis
Khan
unificando
le
popolazioni
nomadi
delle
steppe
asiatiche,
l’impero
mongolo
non
conobbe
limiti
alla
proprie
mire
espansionistiche,
annettendo
un
territorio
dopo
l’altro
con
il
ferro
e
con
il
fuoco.
Già
alla
morte
di Gengis
i
domini
mongoli
si
estendevano
dalla
Cina
fino
alla
penisola
anatolica.
Non
contenti
di
una
tale
estensione,
i
suoi
successori
cercarono,
in
maniera
più
o
meno
fruttuosa,
di
ampliare
ulteriormente
questi
immensi
territori.
Non
tutte
le
imprese
militari
andarono
a
buon
fine,
e
l’impero
nell’arco
di
pochi
secoli
fu
destinato
ad
una
frammentazione
inesorabile.
Tra
tutti
i
tentativi
di
assoggettare
popoli
stranieri
sotto
la
guida
dei
Khan,
la
tentata
conquista
del
Giappone
in
due
riprese
da
parte
del
più
celebre
successore
di
Gengis,
il
grande
Kublai
Khan,
può
essere
considerata
una
delle
più
cocenti
sconfitte
nell’intera
storia
mongola.
.
Kublai
Khan
Per
capire
al
meglio
questa
disastrosa
serie
di
disfatte
bisogna
soffermarsi
prima
sul
contesto
storico
dell’Asia
del
XIII
secolo.
Kublai
fu
eletto
Gran
Khagan
dell’impero
mongolo
dal
kurultai,
l’assemblea
dell’aristocrazia
mongola,
nel
1260.
Sebbene
osteggiato
e
non
pienamente
riconosciuto
dai
mongoli
dell’Ovest,
egli
esercitò
pieni
poteri
su
tutti
i
domini
dell’impero.
Fra
le
prime
cose
portò
a
termine
l’annessione
della
penisola
coreana
nel
1270,
rendendo
la
dinastia
Goryeo,
o
Koryõ
che
dir
si
voglia,
vassalla
del
khanato
e
riconoscendogli
diritti
e
trattamenti
migliori
rispetto
ad
altre
case
regnanti
assoggettate.
Un
esempio
fra
tutti
i
Song
del
sud.
Parallelamente
il
Giappone
era
governato
dallo
Shikken,
ovvero
dalla
carica
di
primo
ministro,
del
clan
Hōjō.
Questo
periodo
fu
il
più
glorioso
e
influente
di
tutta
la
storia
degli
Hōjō.
Essi
avevano
maturato
un
potere
così
grande
che
non
ricorrevano
neanche
più
al
consiglio
dello
shogunato
né
tantomeno
a
quello
dei
loro
vassalli,
i
gokenin,
prendendo
le
decisioni
per
conto
proprio.
Le
vicende
riguardanti
queste
due
potenti
nazioni
presero
il
via
nel
1266,
quando
Kublai
mandò
una
prima
ambasceria
in
Giappone,
chiedendo
che
esso
diventasse
uno
stato
vassallo
e
pagasse
un
tributo
periodicamente,
tutto
ciò
sotto
la
minaccia
di
un
conflitto.
La
missiva
adduceva
tra
i
vari
motivi
di
risentimento
nei
confronti
dell’isola
l’alleanza
con
i
Goryeo
e a
periodi
alterni
con
la
Cina
durante
il
corso
dei
decenni.
Gli
emissari
mongoli
tornarono
dal
loro
Khan
senza
alcuna
risposta.
Nel
1268
fu
mandata
un’altra
ambasceria
con
le
stesse
richieste
della
prima,
e
anch’essa
tornò
senza
alcun
risultato.
Entrambe
le
missioni
diplomatiche
parlarono
con
il
Chinzei
Bugyō,
o
Commissario
per
la
Difesa
dell’Ovest,
il
quale
consegnò
il
messaggio
allo
Shikken
Hōjō
Tokimune
in
persona.
Da
quanto
risulta
dalle
cronache
ci
fu
un
grande
dibattito
all’interno
del
circolo
di
potere
vicino
allo
Shikken.
Egli
tuttavia
decise
di
far
ritornare
gli
emissari
senza
alcuna
risposta.
I
mongoli
continuarono
sulla
strada
della
diplomazia,
mandando
sia
ambasciatori
coreani
sia
mongoli
in
più
occasioni
tra
il
1269
ed
il
1272.
In
ogni
occasione
il
risultato
fu
lo
stesso.
Nonostante
la
corte
imperiale
giapponese
suggerisse
con
veemenza
di
raggiungere
un
accordo
con
i
mongoli,
essi
non
ebbero
alcuna
voce
in
capitolo,
essendo
il
potere
ora
concentrato
in
maniera
marcata
intorno
allo
Shikken
in
seguito
agli
avvenimenti
della
guerra
Jōkyū.
Conscio
delle
possibili
conseguenze
che
avrebbe
portato
un
rifiuto
tanto
prolungato
ai
mongoli,
lo
Shikken
iniziò
a
preparare
le
proprie
forze
nei
dintorni
di
Kyūshū,
ovvero
la
zona
più
vicina
alla
penisola
coreana
e
quindi
la
più
probabile
zona
di
sbarco
delle
forze
mongole.
Già
nel
1268,
dopo
essere
stato
respinto
per
ben
due
volte,
Kublai
era
intenzionato
di
scendere
in
guerra
contro
l’isola
giapponese,
ma
trovò
le
proprie
forze
navali
impreparate
ad
affrontare
una
simile
prova.
Egli
quindi
elaborò
una
strategia
aperta
su
due
fronti.
Da
un
lato,
in
seguito
al
matrimonio
del
principe
ereditario
coreano
con
la
figlia
di
Kublai,
comandò
ai
suoi
nuovi
vassalli
di
avviare
la
costruzione
di
una
flotta
di
navi
sulle
coste
della
Corea.
Dall’altro,
sebben
contrariato
dai
continui
rifiuti,
continuò
a
mandare
emissari
come
abbiamo
già
visto
in
precedenza.
Nel
1274
Kublai
decise
di
muovere
guerra
al
Giappone.
Forte
di
15.000
tra
soldati
mongoli
e
cinesi,
8.000
coreani,
300
navi
di
grande
stazza
e
tra
le
400
e le
500
navi
di
piccola
stazza,
egli
salpò
dal
porto
di
Quanzhou
nel
Fujian
verso
il
regno
dello
Shikken.
Le
forze
del
Khan
sbarcarono
il 5
ottobre
sull’isola
Tsushima.
Il
governatore
dell’isola,
Sō
Sukekuni,
cercò
disperatamente
di
resistere
allo
sbarco
mongolo
dirigendo
personalmente
80
uomini
in
una
carica
di
cavalleria,
morendo
nella
spregiudicata
azione.
Molti
degli
abitanti
furono
uccisi
dalle
forze
mongole
appena
giunte.
Il
14
ottobre
l’esercito
del
Khan
si
mosse
verso
Iki.
Il
governatore
locale,
Tairano
Takakage,
combatté
strenuamente
contro
il
nemico
con
l’ausilio
di
100
cavalieri.
Tuttavia
anche
qui
le
forze
giapponesi
furono
sconfitte
e,
presso
il
castello
Hidzume,
il
governatore
si
suicidò.
Il
14
novembre
infine
le
forze
mongole
sbarcarono
nella
baia
di
Hakata,
la
quale
distava
molto
poco
da
Dazaifu,
la
capitale
amministrativa
della
regione
di
Kyūshū.
Se i
mongoli
fossero
riusciti
nella
manovra,
con
grande
probabilità
avrebbero
avuto
tutto
il
sud
del
Giappone
nelle
loro
mani.
I
mongoli,
oltre
ai
larghi
numeri
delle
loro
fila,
con
i
quali
avevano
imparato
a
muoversi
rapidi
e
letali
sui
territori
nemici
nel
corso
degli
decenni,
possedevano
anche
armi
da
usare
dalla
distanza,
capaci
di
creare
vuoti
tra
le
fila
nemiche.
Oltre
al
loro
arco,
che
ormai
era
temuto
in
tutta
l’Asia,
gli
eserciti
del
Khan
portarono
con
sé
le
prime
applicazioni
della
polvere
pirica
all’arte
della
guerra.
I
giapponesi
d’altro
canto
non
avevano
alcuna
esperienza
nel
gestire
un
così
grande
numero
di
uomini.
Infatti
erano
passati
più
di
50
anni
dall’ultimo
grande
evento
di
natura
bellica
sull’isola,
e
ciò
rese
impreparati
i
generali
giapponesi
nell’avere
controllo
sui
propri
eserciti.
Basti
pensare
infatti
che
tutti
gli
uomini
della
regione
di
Kyūshū
erano
stati
mobilitati.
Un
altro
punto
a
sfavore
degli
eserciti
del
Sol
Levante
constava
nello
stile
di
combattimento.
I
giapponesi
non
erano
abituati
a
grandi
scontri
campali,
ma
piuttosto
a
singoli
scontri
individuali.
L’unione
di
queste
due
debolezze
permise
ai
mongoli
di
guadagnare
terreno
nelle
fasi
iniziali
dei
combattimenti.
Una
volta
sbarcati,
i
mongoli
conquistarono
con
facilità
la
città
di
Hakata
e
poco
dopo
affrontarono
le
truppe
giapponesi
di
stanza
nella
zona.
Nonostante
l’inferiorità
numerica
delle
truppe
dei
samurai,
essi
inflissero
perdite
consistenti
alle
forze
del
Khan,
le
quali,
in
seguito
alla
ritirata
delle
forze
nemiche,
decisero
di
tornare
sulle
navi
e
riorganizzarsi.
Ma
proprio
durante
la
notte,
una
tempesta
di
straordinaria
potenza
si
abbatté
sulle
coste.
Dopo
molte
ore
alla
mercé
dei
venti,
nessuna
nave
di
quelle
che
salparono
sopravvisse
ai
flutti.
Le
cronache
narrano
di
oltre
200
navi
mongole
perdute
con
un
terzo
delle
forze
di
invasione
a
bordo.
Le
poche
navi
superstite,
le
quali
non
avevano
tentato
la
via
del
mare,
furono
accerchiate
dalle
agili
imbarcazioni
giapponesi,
essendo
assai
più
veloci
delle
loro
controparti
mongole.
Queste
sfruttarono
l’oscurità
della
notte
e
abbordarono
le
navi
nemiche.
Negli
spazi
ristretti
dei
ponti
delle
navi
gli
archi
mongoli
non
poterono
sfruttare
il
loro
potenziale
offensivo,
e
così
l’esito
dello
scontro
fu
presto
a
favore
dei
samurai.
Nonostante
la
vittoria,
i
samurai
trovarono
comunque
difficoltoso
avere
ragione
delle
forze
mongole.
Ciò
fu
dovuto
in
larga
parte
alle
spesse
armature
in
cuoio
bollito
usate
dai
mongoli,
le
quali
bloccavano
le
sottili
lame
usate
dai
samurai.
Questo
portò
i
fabbri
giapponesi
a
modificare
le
proprie
armi,
portando
così
alla
creazione
della
katana,
una
spada
più
corta
e
più
spessa
rispetto
a
quelle
del
passato.
Lo
scontro
passò
alla
storia
come
la
battaglia
di
Bun’ei
o
prima
battaglia
della
baia
di
Hakata.
L’invasione
fallì
a
causa
del
tempo
avverso,
dimostrando
come
le
forze
giapponesi
fossero
inadeguate
a
sostenere
uno
scontro
in
campo
aperto
con
le
forze
mongole.
Lo
Shikken
Hōjō
tuttavia
era
certo
che
le
forze
di
Kublai
sarebbero
tornate.
Infatti
di
norma
i
mongoli
si
muovevano
in
numeri
molto
più
elevati
ed i
soldati
impiegati
per
l’invasione
del
1274
sembravano
indicare
che
la
spedizione
fosse
solo
una
mera
ricognizione.
Hōjō
riorganizzò
i
samurai
di
Kyūshū
e
ordinò
la
costruzione
di
fortificazioni
e
mura
difensive
lungo
tutta
la
costa.
L’ordine
riguardò
anche
la
baia
di
Hakata,
dove
nel
1276
venne
costruito
un
muro
alto
2
metri.
Dall’altro
lato
Kublai
fu
costretto
a
rimandare
il
secondo
tentativo
di
invasione
poiché
continuamente
impegnato
a
distruggere
gli
ultimi
rimasugli
dei
Song
nel
sud.
Così
nel
settembre
del
1275
mandò
5
emissari
a
Kyūshū,
ai
quali
furono
dati
ordini
di
non
tornare
senza
risposta.
I
giapponesi
così
li
resero
prigionieri
e li
decapitarono.
Stessa
sorte
toccò
agli
emissari
mandati
nel
luglio
1279,
i
quali
però
furono
gli
ultimi
inviati
dal
Khan
in
Giappone.
Nella
primavera
del
1281,
i
preparativi
per
la
seconda
invasione
furono
pronti.
Kublai
decise
di
seguire
due
direttrici:
una
dalla
Corea,
dalla
quale
salparono
900
navi
contenenti
circa
40.000
uomini,
e
l’altra
dalla
Cina,
forte
di
3.500
navi
con
100.000
uomini
a
bordo.
Il
primo
gruppo
fu
chiamato
esercito
orientale,
il
secondo
esercito
meridionale.
Quest’ultimo
era
composto
in
larga
parte
da
navi
appena
requisite
agli
sconfitti
Song.
L’esercito
orientale
sbarcò
a
Tsushima
il 9
giugno
e
qui
ingaggiò
le
forze
del
nemico.
Nonostante
le
fortificazioni
e le
modifiche
al
territorio
fatte
dai
giapponesi,
anche
in
questa
occasione
le
loro
forze
furono
spazzate
via.
Il
14
giugno
i
mongoli
giunsero
a
Iki
ed
il
21 a
Hakata.
Il
piano
originale
prevedeva
un’invasione
coordinata
delle
due
forze,
le
quali
avrebbero
dovuto
penetrare
contemporaneamente
Hakata.
Tuttavia
l’esercito
meridionale
subì
gravi
ritardi
a
causa
della
logistica
conseguente
le
sue
dimensioni.
Questo
non
fermò
l’altra
parte
dell’armata,
che
decise
di
avanzare
noncurante
dei
piani.
Un
primo
gruppo
di
navi
avanzò
in
modo
da
raggiungere
l’isola
di
Honshu,
sperando
di
creare
un
diversivo
per
i
giapponesi,
i
quali
però
non
abboccarono.
Il
resto
della
flotta
si
diresse
verso
la
baia
di
Hakata,
sbarcando
sulla
penisola
di
Shiga.
Questa
fu
una
mossa
molto
astuta,
poiché
il
muro
litoraneo
precedentemente
nominato
non
era
stato
esteso
fino
a
questo
punto,
creando
così
un
varco
all’interno
delle
difese
giapponesi.
In
modo
da
evitare
di
essere
aggirati
sui
fianchi,
i
giapponesi
anticiparono
gli
avversari,
scagliando
loro
addosso
numerose
ondate
di
guerrieri
appartenenti
ai
propri
ranghi.
Nonostante
le
perdite,
lo
stratagemma
diede
gli
esiti
sperati
ed i
mongoli
non
riuscirono
ad
avanzare.
Gli
invasori
tornarono
alle
navi,
ed i
samurai
impiegarono
lo
stesso
stratagemma
già
visto
nel
1274.
Attraverso
l’utilizzo
di
piccole
imbarcazioni
agili
e
veloci,
essi
penetrarono
a
bordo
delle
navi
mongole
durante
la
notte
e
uccisero
nel
sonno
quanti
più
nemici
possibili.
Spaventati
ed
in
numero
notevolmente
assottigliato,
la
flotta
d’invasione
si
ritirò
a
Tsushima.
Qui
fu
deciso
di
non
dare
più
spazio
ad
azioni
avventate
e di
attendere
la
flotta
meridionale.
Dopo
più
di
15
giorni
necessari
per
riunire
al
completo
le
due
forze,
i
mongoli
decisero
di
muoversi
nuovamente.
Tuttavia
anche
in
questo
caso
la
natura
si
oppose
ad
un
esito
favorevole
per
le
forze
del
Khan.
Il
15
agosto
1281
una
tempesta
si
abbatté
sullo
stretto
di
Tsushima,
come
mai
se
ne
erano
viste,
tanto
che
il
popolo
giapponese
pensò
che
gli
dei
in
persona
fossero
intervenuti
per
salvare
il
proprio
popolo
dall’annientamento.
La
quasi
totalità
della
flotta
nemica
fu
spedita
nelle
profondità
degli
abissi,
ed i
marinai
sopravvissuti
che
riuscirono
a
giungere
a
riva
trovarono
le
lame
dei
samurai
ad
attenderli.
Le
mire
di
Kublai
sul
Giappone
finivano
così
per
sempre
con
la
seconda
battaglia
della
baia
di
Hakata.
Nonostante
la
testardaggine
di
Kublai
lo
portò
a
progettare
una
terza
invasione
già
nel
1284,
altri
problemi
all’interno
dei
confini
imperiali
lo
allontanarono
definitivamente
dall’idea.
Il
fallimento
delle
due
imprese
militari
dimostrò
l’estrema
incapacità
di
manovra
su
mare
delle
armate
mongole.
Il
successore
di
Kublai,
Temür
Khan,
tentò
un’ultima
volta
di
chiedere
la
resa
del
Giappone
nel
1295,
ma
senza
successo.
Le
due
vittorie
furono
motivo
di
grande
orgoglio
per
l’isola
orientale.
Infatti
era
la
prima
volta
in
cui
il
paese
si
univa
contro
un
nemico
comune.
Inoltre
il
Giappone
diventò
così
uno
dei
pochi
paesi
orientali
non
sottomessi
al
volere
dei
Khan.
Tuttavia
il
merito
fu
dato
in
gran
parte
alla
classe
dei
sacerdoti,
i
quali
erano
ritenuti
i
responsabili
della
tempesta
che
spazzò
le
armate
mongole,
e
non
a
quella
dei
guerrieri.
Ciò
causò
un
forte
scontento
all’interno
della
società
giapponese,
protraendo
una
situazione
molto
tesa
nel
corso
degli
anni.
Questo,
unito
ai
continui
sforzi
economici
per
i
preparativi
di
una
eventuale
terza
invasione,
portò
al
tramonto
del
clan
Hōjō.
Potremmo
vedere
queste
due
invasioni
come
due
delle
tante
imprese
militari,
in
questo
caso
fallimentari,
intraprese
dai
mongoli
mentre
cercavano
di
assoggettare
ogni
popolo
sul
loro
cammino
alla
propria
volontà.
Tuttavia
le
conseguenze
storiche
ci
indicano
ben
più
di
questo.
Per
quanto
riguarda
i
mongoli,
gli
eventi
del
1274
e
del
1281
dimostrarono
alcuni
limiti
importanti
dell’organizzazione
militare
dei
Khan
e di
come
anche
un
popolo
in
estrema
inferiorità
numerica
potesse
opporre
una
strenua
resistenza
a
migliaia
di
guerrieri
delle
steppe.
Dall’altro
lato,
il
Giappone
affronta
quello
che
è
stato
il
suo
primo
momento
di
concilio
nazionale.
Come
spesso
accade
in
queste
occasioni,
affinché
un
paese
diviso
e
insanguinato
da
decenni
di
conflitti
si
unisca,
è
necessario
che
un
aggressore
esterno
ne
mini
l’indipendenza
e la
libertà.
La
vittoria
giapponese
tuttavia
non
ha
portato
ad
una
rapida
unione.
Infatti
è
stato
necessario
ancora
un
po’
di
tempo
per
superare
le
difficoltà
provenienti
dalle
numerosi
divisioni
settarie
intestine
e
tanto
radicate
nell’anima
del
Sol
Levante,
così
poi
da
costruire
l’identità
nazionale
forte
e
vigorosa
quale
è
quella
del
Giappone
di
oggi.