A PROPOSITO DEL Kosovo
LA TORTUOSA STRADA verso
l’indipendenza
di Riccardo Renzi
Il Kosovo, così come la Serbia e la
Bosnia, sta vivendo anni di profonda
crisi. Il Kosovo per i serbi assume
un’importanza fondamentale, in
quanto essi vedono in quella terra
la culla delle proprie origini (N.
Malcom, Storia del Kosovo,
Milano, Bompiani, 1999, p. 34).
Forzando un po’ il
paragone/parallelismo, i serbi
vedono il Kosovo proprio come i
russi l’Ucraina. Ricordiamo in
questa sede che per i russi l’evento
più traumatico legato alla
dissoluzione dell’URSS fu proprio la
perdita dell’Ucraina. In Serbia la
situazione fu analoga, basti pensare
che il nazionalismo serbo nasce e si
sviluppa proprio dalla causa
kosovara (T. Judah, The Serbs.
History, Myth & the Destruction of
Yugoslavia, New Haven-London,
Yale University Press, 2000, pp.
13-42). Tralasciando in questa sede
la ricostruzione storica della
guerra, ci si concentrerà sugli
accordi stabiliti alla fine di
quest’ultima e sulle ripercussioni
sull’estrema contemporaneità.
Di fondamentale importanza per
l’indagine risulta la risoluzione
1244 (1999) del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite,
adottata il 10 giugno 1999, la quale
stabilì che:
1. Fine
della violenza: Si richiede la
cessazione immediata e verificabile
della violenza e della repressione
in Kosovo.
2.
Ritiro delle forze serbe: Il ritiro
rapido e verificabile di tutte le
forze militari, di polizia e
paramilitari della Jugoslavia
federale (Serbia) dal Kosovo,
secondo un calendario preciso.
3.
Presenza internazionale: Si
autorizza il dispiegamento di
presenze civili e di sicurezza
internazionali, sotto l’egida delle
Nazioni Unite, per garantire la
stabilità e la sicurezza della
regione.
4. Autonomia
del Kosovo: L’istituzione di
un’amministrazione provvisoria che
garantisca una sostanziale autonomia
per il Kosovo, pur mantenendo la
sovranità della Jugoslavia.
5. Demilitarizzazione:
La smilitarizzazione dell’UCK
(Esercito di Liberazione del Kosovo)
e di altri gruppi armati albanesi
del Kosovo.
6. Ritorno
sicuro dei rifugiati: Garanzia del
ritorno sicuro e libero di tutti i
rifugiati e sfollati alle loro case.
7.
Monitoraggio: Una cooperazione
completa tra gli Stati della regione
per garantire l’applicazione della
risoluzione e la protezione dei
diritti umani.
La Risoluzione ha aperto la strada
alla creazione della missione UNMIK
(Amministrazione provvisoria delle
Nazioni Unite in Kosovo) e
all’inizio del processo di
transizione che ha portato
successivamente all’indipendenza del
Kosovo.
Il Kosovo ha auto-proclamato la
propria indipendenza dalla Serbia il
17 febbraio 2008. Sarebbe, dunque,
sorto un nuovo stato in quella
tormentata parte dei Balcani. La
comunità internazionale − almeno in
alcune sue componenti
rappresentative, come gli Stati
Uniti e molti stati europei,
nell’ambito di un’Unione europea
fondamentalmente anche se non
unanimemente favorevole − ha
appoggiato la nuova entità,
incoraggiandola a muovere i primi
passi verso l’indipendenza.
Tra i governi europei, un rapido
riconoscimento è stato deciso dal
Regno Unito, dalla Germania, dalla
Francia e dall’Italia, cioè da
quelli che sono tradizionalmente
considerati – anche per il peso
decisionale di cui godono in seno al
Consiglio dell’Unione – i quattro
“grandi”. Il tema del riconoscimento
dell’indipendenza del Kosovo è
tutt’oggi molto dibattuto. Gli
attriti per il riconoscimento non
mancano, ad esempio la Serbia fa
sempre forza sul veto della Russia
all’interno del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. Inoltre, la
Russia attraverso il suo bacino
d’influenza su molti stati ha
contribuito a rallentare il
riconoscimento del Kosovo come stato
indipendente. Anche paesi membri
dell’Unione Europea si rifiutano di
riconoscerne l’indipendenza, essi
sono: la Romania, la Grecia, la
Slovacchia, la Spagna e Cipro. La
scelta è naturalmente legata a
questioni di politica interna, come
nel caso della Spagna e del
riconoscimento dell’indipendenza
della Catalogna.
A oggi la sua indipendenza è
riconosciuta da 101 paesi membri
dell’ONU più Taiwan e Sovrano
Militare Ordine di Malta, dei quali
22 Paesi dell’Unione Europea (Italia
compresa), Stati Uniti, Giappone,
Australia e Canada. La questione del
non riconoscimento dell’indipendenza
è però legata anche alla geopolitica
internazionale, poiché fu la
Risoluzione 1244 dell’ONU (1999)
stessa a conferire al Kosovo uno
status indeterminato. Tale
processo a tutt’oggi risulta in
stallo, nonostante gli USA siano il
maggiore sponsor dell’indipendenza
kosovara. Una piccola svolta si ebbe
con Trump nel 2020 quando l’allora
Presidente volle intervenire sulla
questione. Trump fece, infatti,
sottoscrivere al presidente serbo,
Vucic, e a quello kosovaro, Avdullah
Hoti, una sorta di accordo. Tale
accordo, non a caso definito
“sorta”, avevano poco a che vedere
dei rapporti bilaterali tra Belgrado
e Pristina, ma avevano più una
valenza di facciata ed
internazionale.
L’accordo sembrò più un tassello
della campagna elettorale che Trump
stava conducendo. Tra le varie
clausole dell’accordo, l’impegno da
parte dei due governi a sostenere la
causa contro le discriminazioni nei
confronti delle persone LGBT, punto,
questo, impossibile da attuare in
entrambi i paesi. Tra le clausole
anche l’ampliamento delle liste
delle organizzazioni terroristiche
perseguite dai due paesi. Dunque,
come bene si può intuire, tutte
clausole molto di facciata.
Un’intesa reale ci fu però sul fatto
che il Kosovo non dovesse più
spingere così con forza nel
richiedere l’indipendenza e la
Serbia, da parte sua, si sarebbe
impegnata a non
sponsorizzare/foraggiare quei paesi
che erano platealmente contro
l’indipendenza kosovara. Trump,
inoltre, riuscì ad ottenere il
riconoscimento reciproco tra Israele
e Kosovo.
Israele si andò così ad aggiungere
ai cinque paesi che avevano
riconosciuto l’indipendenza kosovara
a partire dal 2014 (Tonga, Antigua,
Singapore, Bangladesh e Barbados).
Tutte strategie molto di “facciata”,
potremmo dire, che però poca
concretezza hanno aggiunto alla
questione, anzi negli ultimi due
anni l’instabilità kosovara, anche a
causa della forte immigrazione, è
aumentata e le frizioni con il
governo Vucic sono peggiorate.