N. 39 - Marzo 2011
(LXX)
Konrad Adenauer
LA “DOTTRINA DI HALLSTEIN” E L’OPZIONE DELLA “PICCOLA EUROPA”
di Pietro Simonetti
Il
1°
luglio
1948
i
governatori
militari
delle
potenze
vincitrici
convocarono
a
Francoforte
sul
Meno
i
presidenti
dei
vari
governi
locali
tedeschi
(Länder)
per
invitarli
a
convocare
un’assemblea
costituente
entro
il
1°
settembre;
l’unica
condizione
da
rispettare
prevedeva
l’elaborazione
di
una
Costituzione
di
stampo
prettamente
democratico
e
con
un
alto
tasso
di
federalismo.
L’offerta
degli
Alleati
ai
tedeschi
era
senza
precedenti,
visto
che
-
fin
dall’inizio
del
loro
insediamento
-
gli
occupanti
occidentali
erano
stati
sempre
molto
restii
nell’aprire
prospettive
ad
un
eventuale
progetto
di
autonomia
tedesca.
Dopo
le
dovute
consultazioni
interne,
il
23
maggio
1949,
fu
promulgata
la
Grundgesetz,
ovvero
la
“Legge
fondamentale”,
(che
non
era
una
vera
e
propria
Verfassung,
Costituzione),
che
fu
redatta
al
fine
di
<<dare
alla
vita
statale,
per
un
periodo
transitorio,
un
nuovo
ordinamento>>
e
che
sancì
ufficialmente
la
nascita
della
Bundesrepublik
Deutschland
(BRD).
Le
prime
elezioni
della
neonata
Repubblica
federale
tedesca
si
tennero
il
14
agosto
1949.
La
legge
elettorale
prevedeva
che
per
poter
partecipare
all’assegnazione
dei
seggi
sarebbe
stato
necessario
raggiungere
almeno
il
5%
dei
voti
in
un
Länd.
I
risultati
affermarono
come
maggiori
forze
politiche
i
democristiani
(Christlich
Demokratische
Union
-
CDU),
i
socialdemocratici
(Sozialdemokratische
Partei
Deutschlands
-
SPD)
e i
liberali
(Freie
Demokratische
Partei
-
FDP).
Il
14
settembre
l’Assemblea
federale
elesse
alla
presidenza
della
Repubblica
il
liberale
Theodor
Heuss
mentre
il
giorno
successivo
il
Bundestag
nominò
cancelliere
Konrad
Adenauer,
con
un
solo
voto
(il
suo)
in
più
rispetto
alla
maggioranza
richiesta.
Appartenente
alla
tradizione
cattolico-borghese
e
dotato
di
un
forte
spirito
antiprussiano
e
antiluterano,
Adenauer
fu
per
un
lungo
periodo
il
leader
indiscusso
della
CDU;
egli
già
a
trent’anni
era
un
amministratore
affermato
della
sua
città,
Colonia,
di
cui
sarà
borgomastro
dal
1917
al
1933.
La
sua
esperienza
da
cancelliere
durò
fino
al
1963,
quattordici
anni
durante
i
quali
Adenauer
portò
avanti
con
tenacia
la
battaglia
per
il
perseguimento
dell’integrazione
a
occidente
della
BRD,
ponendosi
negli
anni
della
guerra
fredda
come
il
sostenitore
più
rigido
in
Europa
dell’anticomunismo.
Molti
storici
–
per
questo
e
per
altri
motivi
-
hanno
paragonato
la
sua
figura
a
quella
di
un
altro
illustre
esponente
della
democrazia
cattolica
europea,
ovvero
Alcide
De
Gasperi.
I
due
si
conobbero
per
la
prima
volta
nel
1921
a
Colonia;
da
quell’incontro
si
avvierà
-
secondo
il
giudizio
dello
storico
Pietro
Scoppola
-
una
futura
unità
di
ideali,
che
sfocerà,
poi,
nell’ambizioso
programma
di
unificazione
europea.
Accantonato
durante
la
nefasta
esperienza
nazista,
il
progetto
tornò
prontamente
alla
ribalta
-
grazie
allo
stesso
Adenauer
-
già
nell’ottobre
1945.
Il
leader
democristiano
riportò
in
una
lettera
la
seguente
diagnosi
politica:
[...]
la
divisione
tra
Europa
occidentale
e
Europa
orientale
(il
territorio
russo)
è
ormai
un
dato
di
fatto.
La
parte
della
Germania
non
occupata
dai
russi
è
una
parte
integrante
dell’Europa
occidentale.
Se
per
questo
territorio
non
si
prenderanno
seri
provvedimenti,
gravi
conseguenze
si
ripercuoteranno
sull’intera
Europa
occidentale,
sull’Inghilterra
come
sulla
Francia.
Ė
quindi
interesse
non
solo
della
Germania
non
occupata
dai
russi,
ma
anche
dell’Inghilterra
e
della
Francia
di
riunire
sotto
la
loro
guida
l’Europa
occidentale,
di
stabilizzare
economicamente
e
politicamente
la
Germania
non
occupata
dai
russi
e di
pensare
al
suo
risanamento.
Le
richieste
di
sicurezza
della
Francia
e
del
Belgio
potranno
essere
esaudite
col
tempo
solo
con
una
stretta
interazione
economica
tra
Germania
occidentale,
Francia,
Belgio,
Lussemburgo
e
Olanda
[…].
Con
una
Germania
ancora
sotto
le
macerie
e a
soli
tre
mesi
dalla
conferenza
di
Potsdam,
la
previsione
di
Adenauer
appariva
per
molti
versi
anacronistica,
ma -
come
è
noto
- la
sua
profezia
è
stata
ampiamente
confermata
dagli
eventi
storici.
Ė
del
9
maggio
1950,
infatti,
la
Dichiarazione
del
ministro
degli
Affari
Esteri
francese,
Robert
Schuman,
che
apriva
le
porte
alla
creazione
di
un
mercato
comune
carbosiderurgico
tra
la
Francia
e la
Germania
occidentale,
estendendo
l’invito
a
parteciparvi
agli
altri
Paesi
europei
più
direttamente
interessati
e
più
politicamente
affini.
Le
reazioni
alla
Dichiarazione
furono
-
come
auspicato
da
Adenauer
-
pronte
e
positive
da
parte
dei
tre
paesi
del
Benelux
e
ovviamente
da
parte
italiana.
Per
dare
concreta
attuazione
agli
intenti
della
‘Dichiarazione
Schuman’
fu
così
formata
una
commissione
composta
dai
delegati
dei
rispettivi
governi,
i
quali,
il
18
aprile
1951,
sottoscrissero
a
Parigi
il
Trattato
istitutivo
della
Comunità
Europea
del
Carbone
e
dell’Acciaio
(CECA).
Prendeva
così
vita
la
prima
forma
di
esperienza
comunitaria,
una
‘piccola
Europa’
che
si
sarebbe
basata
sull’attuazione
concreta
dei
principi
fondamentali
di
integrazione
e di
sovranazionalità
e
destinata
a
realizzare
fra
gli
stati
membri
un
ordinamento
giuridico
di
natura
confederale.
Analizzando
più
in
profondità
quelli
che
furono
nello
specifico
i
rapporti
fra
Italia
e
BRD
si
può
notare
che
i
due
Stati
non
si
limitarono
a
collaborare
solamente
sul
piano
politico-economico,
ma
ebbero
interessi
in
comune
anche
per
quanto
riguarda
alcune
questioni
di
natura
giudiziaria
legate
alla
controversia
dei
criminali
di
guerra
nazisti
ancora
da
processare.
Lo
storico
Filippo
Focardi
nel
2008
ha
dedicato
al
tema
un
saggio
–
Criminali
di
guerra
in
libertà
–
nel
quale
viene
svelata
la
verità
su
alcune
vicende
rimaste
per
anni
insabbiate
e
nascoste
da
abili
personaggi
appartenenti
al
mondo
della
politica
e
della
magistratura.
Focardi
si
riferisce
ad
un
accordo
segreto
tra
Italia
e
BRD,
il
quale
permise
la
scarcerazione
di
alcuni
criminali
di
guerra
nazisti
che
erano
ancora
nelle
mani
della
giustizia
italiana.
Nel
novembre
1950
un
emissario
del
cancelliere
Adenauer,
Henrich
Höfler,
incontrò
a
Roma
il
segretario
generale
del
ministero
degli
Esteri
italiano,
conte
Vittorio
Zoppi.
Höfler
chiese
ed
ottenne
la
liberazione
dei
criminali
di
guerra
tedeschi
condannati
in
Italia
con
sentenza
definitiva.
Nel
giro
di
pochi
mesi,
attraverso
decreti
firmati
dal
presidente
della
Repubblica
Luigi
Einaudi
-
sotto
l’invito
di
De
Gasperi
- i
criminali
tedeschi
furono
scarcerati
e
rimpatriati
in
Germania
in
gran
segreto,
con
gran
soddisfazione
di
Adenauer.
La
missione
Höfler
ebbe
luogo
in
un
momento
cruciale
sia
per
la
costruzione
del
sistema
difensivo
occidentale,
che
di
lì a
poco
sarebbe
sfociato
nel
progetto
della
Comunità
europea
di
difesa
(CED),
sia
per
il
rafforzamento
dei
rapporti
bilaterali
con
Bonn,
che
Roma
aveva
interesse
a
sviluppare
–
come
detto
–
tanto
per
motivi
politici
quanto
per
motivi
economici.
Nonostante
tutto,
però,
non
possiamo
assolutamente
accusare
Adenauer
di
essere
stato
un
filonazista;
anzi
fu
proprio
lui,
infatti,
ad
avviare
nel
1951
dei
contatti
informali
con
il
World
Jewish
Congress,
rappresentato
da
Nahum
Goldmann,
in
vista
della
definizione
di
un
possibile
risarcimento
finanziario
per
tutte
le
vittime
del
nazismo,
lui
che
–
tra
l’altro
-
durante
il
regime
hitleriano,
(dopo
essere
stato
anche
imprigionato)
fu
costretto
a
spostarsi
di
continuo
per
evitare
di
essere
catturato
(ma
lo
sarà
di
nuovo
nel
1944).
Le
sue
aperture
a
favore
della
scarcerazione
di
alcuni
criminali
di
guerra
nazisti
vanno
inserite,
piuttosto,
nel
clima
generale
che
venne
a
crearsi
all’indomani
della
fine
della
guerra,
col
motto
-
condiviso
da
molti
- di
‘voltare
pagina’.
Chiusi
i
conti
con
il
nazismo,
il
nuovo
pericolo,
che
secondo
Adenauer
andava
combattuto
con
tutti
i
mezzi,
era
adesso
il
comunismo
sovietico.
Lo
stesso
giorno
(7
ottobre
1949)
in
cui
fu
proclamata
la
nascita
–
sotto
l’egida
dell’URSS
–
della
DDR
(Deutsche
Demokratische
Republik),
il
cancelliere
denunciava
l’atto
come
illegale,
sostenendo
che
<<il
nuovo
‘regime
della
SED’,
non
essendo
stato
scelto
liberamente
dai
cittadini,
non
aveva
alcun
diritto
a
rappresentarli>>.
Il
giorno
successivo,
attraverso
una
dichiarazione
-
redatta
in
collaborazione
col
Bundestag
–
Adenauer
sostenne
la
tesi
secondo
cui
soltanto
la
BRD
era
legittimata
a
parlare
in
nome
del
popolo
tedesco,
enunciando
così
la
prima
formulazione
del
cosiddetto
Alleinvertretungsanspruch,
ovvero
del
diritto
esclusivo
di
rappresentanza
degli
interessi
dell'intero
popolo
tedesco,
che
avrebbe
rappresentato
il
fulcro
della
politica
estera
del
periodo
adenaueriano.
Secondo
il
giudizio
dello
storico
Hermann
Graml,
l’atteggiamento
antisovietico
e
anticomunista
di
Adenauer
sarebbe
sempre
di
più
confluito
nelle
menti
della
stragrande
maggioranza
della
popolazione
tedesco
occidentale,
la
quale,
avendo
dinanzi
agli
occhi
la
brutale
sottomissione
di
Stati
come
ad
esempio
la
Bulgaria
e la
Polonia
e
spaventata
dall’istituzione,
non
meno
brutale,
di
regimi
stalinisti
in
quegli
stessi
ed
altri
Stati
(tra
cui
la
DDR),
si
allontanò
sempre
di
più
dall’ideologia
del
blocco
orientale.
La
netta
opposizione
di
Adenauer
a
qualsiasi
apertura
nei
confronti
del
nemico
comunista
fu
ribadita
il
10
marzo
1952,
in
occasione
di
una
spiazzante
dichiarazione
di
Stalin.
Il
dittatore
sovietico,
infatti,
propose
la
riunificazione
delle
due
Germanie,
aggiungendo,
però,
che
il
nuovo
Stato
che
ne
sarebbe
nato
avrebbe
dovuto
tassativamente
mantenersi
neutrale.
Fu
proprio
questa
condizione,
però,
che
portò
al
rifiuto
della
proposta
staliniana
da
parte
del
cancelliere
tedesco
(in
accordo
con
le
potenze
occidentali);
egli
giustificò
la
sua
decisione
affermando
che
una
Germania
unita
e
neutrale
collocata
al
centro
del
continente
europeo,
fra
i
due
blocchi
contrapposti,
avrebbe
pienamente
corrisposto
alla
concezione
‘spaziale’
dell’URSS,
che
si
sarebbe
così
ritrovata
al
suo
fianco
un
formidabile
partner
economico
per
gli
anni
a
venire.
Adenauer
è
stato
più
volte
accusato
di
aver
perso
un’importante
occasione
per
chiudere
in
anticipo
la
‘questione
tedesca’.
Secondo
il
parere
dello
storico
Antonio
Missiroli,
<<ancora
oggi
non
si è
pervenuti
a
risultati
univoci
nella
valutazione
dell’effettiva
praticabilità
delle
proposte
sovietiche,
oscillando
fra
la
tesi
della
loro
strumentalità
e
quella,
invece,
della
personale
responsabilità
di
Adenauer
per
la
mancata
riunificazione,
soprattutto,
per
la
mancata
libertà
dei
17
milioni
di
tedeschi
che
vivevano
al
di
là
dell’Elba>>.
Le
molte
critiche
che
piovvero
sul
cancelliere
renano,
però,
non
scalfirono
affatto
le
sue
convinzioni
e le
sue
tesi
anticomuniste;
infatti,
tre
anni
dopo
il
rifiuto
del
‘piano
Stalin’,
Adenauer
ribadì
ancora
di
più
la
sua
più
totale
avversione
a
qualsiasi
apertura
nei
confronti
del
blocco
orientale.
L’occasione
nacque
in
seguito
ad
una
visita
che
il
cancelliere
–
accompagnato
dal
nuovo
ministro
degli
esteri
Heinrich
von
Brentano
–
fece
nel
settembre
1955
a
Mosca.
L’obiettivo
principale
della
missione
(fortemente
condannata
all’interno
della
CDU)
consisteva
nello
stabilire
rapporti
diretti
con
i
vertici
di
quella
che
rimaneva
pur
sempre
una
delle
potenze
garanti
del
futuro
assetto
della
Germania,
e
senza
la
cui
approvazione
non
era
evidentemente
possibile
proporsi
di
risolvere
la
‘questione
tedesca’.
Oltre
a
sancire
il
reciproco
riconoscimento
e
l’apertura
formale
di
relazioni
diplomatiche
fa
Bonn
e
Mosca,
la
visita
di
Adenauer
portò
ad
un
altro
importante
risultato,
e
cioè
alla
promessa
sovietica
del
rilascio
definitivo
delle
migliaia
di
prigionieri
tedeschi
ancora
detenuti
in
URSS,
risultato
che
–
secondo
un’indagine
demoscopica
effettuata
nel
1967
–
veniva
ricordato
dal
75%
dei
tedeschi
occidentali
come
il
maggior
successo
in
politica
estera
conseguito
dal
cancelliere
durante
il
suo
governo.
Ma
anche
in
questo
clima
di
apparente
disgelo
tra
BRD
e
URSS,
Adenauer
riuscì
a
trovare
una
controindicazione
importante;
egli
focalizzò
l’attenzione
sul
fatto
che
a
Mosca
si
sarebbero
venute
a
trovare
due
ambasciate
tedesche,
quella
della
DDR
e
quella,
appunto,
della
BRD,
il
che
era
in
evidente
contrasto
con
il
principio
dell’Alleinvertretungsanspruch,
e
poteva
creare
un
pericoloso
precedente
di
doppia
rappresentanza
a
livello
internazionale.
Per
ovviare
a
questo
problema
Adenauer
e
von
Brentano
-
già
sul
volo
di
ritorno
verso
Bonn
-
ufficializzarono
quella
che
passerà
alla
storia
come
‘dottrina
Hallstein’,
dal
nome
del
sottosegretario
agli
esteri
che,
pare,
la
suggerì
(l’ideatore
vero
e
proprio
sarebbe
stato
in
verità
Wilhelm
Grewe,
responsabile
del
dipartimento
politico
del
ministero
degli
esteri
e
stretto
collaboratore
di
Hallstein).
Secondo
la
dottrina,
la
BRD
avrebbe,
da
allora
in
poi,
considerato
l’apertura
di
relazioni
diplomatiche
con
la
DDR
da
parte
di
paesi
terzi
come
un
atto
ostile
nei
propri
confronti,
fatta
eccezione,
ovviamente,
per
l’URSS,
di
cui
–
come
detto
– il
governo
tedesco
occidentale
non
poteva
assolutamente
fare
a
meno.
Secondo
le
parole
dello
storico
Enzo
Collotti
<<al
di
là
dell’impatto
che
poté
avere
immediatamente
in
una
serie
di
rapporti
soprattutto
con
paesi
emergenti,
in
realtà,
la
‘dottrina
Hallstein’
fu
una
coda
tardiva
della
guerra
fredda
e
rappresentò
forse
anche
un
ostacolo
alla
maggiore
duttilità
con
la
quale,
nonostante
tutto,
sempre
si
mosse
la
diplomazia
occidentale>>;
a
suo
parere
ogni
atto
di
isolamento
compiuto
o
tentato
nei
confronti
della
DDR
si
convertì
sistematicamente
in
una
sempre
più
stretta
integrazione
della
Germania
orientale
nel
sistema
di
alleanze
militari
guidato
dall’URSS,
che
intanto
-
dopo
pochi
mesi
dall’entrata
della
BRD
nel
Patto
atlantico
–
aveva
dato
vita
al
Patto
di
Varsavia,
ovvero
un’alleanza
di
tipo
militare
tra
i
paesi
del
blocco
sovietico
in
funzione
antioccidentale.
Dunque,
secondo
Collotti,
la
‘dottrina
Hallstein’
favorì
– in
un
primo
momento
-
più
la
DDR
che
non
la
BRD.
La
prima
attuazione
pratica
della
dottrina
si
ebbe
in
concomitanza
con
una
dichiarazione
polacco-jugoslava
del
1957,
che
accettava
l’esistenza
della
DDR
e i
suoi
confini
sull’Oder-Neiβe;
il
governo
della
BRD
annunciò,
così,
l’immediata
rottura
delle
relazioni
diplomatiche
con
Belgrado
(ottobre
1957).
In
realtà
–
nella
sua
prima
elaborazione
– la
dottrina
Hallstein
prevedeva
una
graduatoria
di
ritorsioni
a
vari
livelli;
il
provvedimento
più
severo
rappresentava
proprio
la
rottura
delle
relazioni
diplomatiche.
L’interruzione
dei
contatti
con
Belgrado
fu
dunque
un
atto
estremo,
al
quale
il
governo
della
BRD
arrivò
soprattutto
perché
si
tenne
conto
della
neutralità
jugoslava
(conseguenza
dello
‘scisma’
fra
Tito
e
Stalin
nel
1948).
Infatti,
per
i
Paesi
che
invece
facevano
parte
del
Patto
di
Varsavia
il
governo
Adenauer
applicò
la
cosiddetta
‘teoria
del
difetto
congenito’.
Ciò
voleva
significare
che
la
‘dottrina
Hallstein’
non
teneva
in
considerazione
gli
Stati
aderenti
al
Patto
di
Varsavia;
questi
ultimi
avrebbero
potuto
essere
congedati
dalle
misure
previste,
poiché
la
loro
scelta
di
aderire
al
blocco
orientale
non
era
stata
libera
ma
imposta
dall’URSS.
L’applicazione
rigida
della
dottrina
con
il
caso
jugoslavo
pose
così
fine
alla
discussione
in
corso,
creando
inoltre
un
precedente
vincolante
per
la
condotta
della
BRD,
che
agirà
analogamente
nel
1963,
quando
romperà
le
relazioni
questa
volta
con
la
Cuba
di
Fidel
Castro,
la
quale
-
dopo
la
decretazione
di
embargo
totale
da
parte
degli
USA
(25
aprile
1961)
–
riuscì
a
salvare
la
propria
economia
solo
affidandosi
all’URSS,
riconoscendo,
in
questo
modo,
automaticamente
la
DDR.
La
condotta
di
Adenauer
–
tramite
la
‘dottrina
Hallstein’
–
vanificò
ogni
possibilità
di
iniziativa
della
BRD
in
Europa
orientale.
Secondo
lo
storico
Missiroli,
in
questo
modo,
venne
a
tramontare
ogni
ipotesi
di
quel
disgelo
che
si
era
cercato
di
avviare
attraverso
il
viaggio
del
cancelliere
a
Mosca,
con
l’avvento
di
Gomulka
in
Polonia
e
con
la
neutralità
jugoslava.
Tra
le
varie
conseguenze
arrecate
dalla
dottrina
vi
è,
inoltre,
l’apertura
ufficiale
della
‘guerra
civile’
intertedesca
nelle
relazioni
internazionali,
che
avrebbe
generato
-
negli
anni
successivi
-
numerosi
episodi
di
conflitto,
soprattutto
nel
Terzo
Mondo.
La ‘westpolitik’
di
Adenauer
era,
a
questo
punto,
nella
sua
fase
di
maggiore
attuazione:
se,
da
un
lato,
erano
stati
ormai
tagliati
tutti
i
rapporti
col
blocco
orientale,
dall’altro,
la
politica
del
cancelliere
permise
di
rafforzare
il
progetto
della
‘piccola
Europa’,
consolidando,
sempre
di
più,
la
sua
idea
di
integrazione
occidentale
sovranazionale.
Il
25
marzo
1957
furono,
infatti,
firmati
a
Roma
i
due
Trattati
relativi
all’istituzione
della
Comunità
Economica
Europea
(CEE),
nota
anche
come
Mercato
comune,
e
della
Comunità
Europea
dell’Energia
Atomica
(CEEA),
definita
normalmente
come
Euratom.
Firmatari
dei
due
Trattati
per
i
sei
Paesi
furono:
Adenauer
e
Hallstein
per
la
BRD,
Pineau
e
Faure
per
la
Francia,
Segni
e
Martino
per
l’Italia,
Spaak
per
il
Belgio,
Luns
per
i
Paesi
Bassi
e
Bech
per
il
Lussemburgo.
L’avvio
concreto
delle
due
Comunità
si
realizzò
il
1°gennaio
1958
con
l’insediamento
a
Bruxelles
delle
due
Commissioni;
la
presidenza
della
CEE
toccò
proprio
a
Walter
Hallstein,
a
ribadire
ancora
di
più
il
suo
forte
spirito
filoccidentale
rivolto
alla
totale
chiusura
dei
rapporti
della
sua
Germania
nei
confronti
dei
paesi
comunisti.
Ma
mentre
la
‘piccola
Europa’
appariva
sempre
più
unita,
la
prospettiva
della
riunificazione
tedesca
era
invece
quanto
mai
lontana.
Alla
pari
di
Collotti
anche
Missiroli
insiste
sulla
negatività
della
dottrina
Hallstein,
che
– a
suo
parere
–
non
fece
altro
che
ancorare
e
ostacolare
la
politica
estera
della
BRD.
Adenauer
– da
politico
esperto
quale
era
– si
rese
subito
conto
che
la
dottrina
effettivamente
non
stava
dando
i
risultati
sperati.
Fu
così
che
il
cancelliere,
nel
marzo
1958,
propose
all’URSS
la
cosiddetta
‘soluzione
austriaca’,
che
prevedeva
la
neutralizzazione
della
DDR
attraverso
un’intesa
internazionale
simile
a
quella
applicata
pochi
anni
prima
nel
caso
dell’Austria;
la
capitale
sarebbe
stata
Berlino
(tutta
Berlino),
ma
ai
suoi
cittadini
si
sarebbe
dovuta
accordare
la
libertà
di
scegliere
i
propri
rappresentanti
al
governo
attraverso
libere
elezioni.
La
proposta
fu
categoricamente
bocciata
dai
sovietici,
visto
che
– a
loro
parere
–
essa
pretendeva
concessioni
preliminari
senza
offrire
in
cambio
nulla
di
preciso.
Nonostante
ciò,
Adenauer
continuò
sulla
strada
che
portava
ad
una
possibile
distensione
incaricando
il
suo
principale
collaboratore,
Hans
Globke,
di
stilare
un
piano
concreto
che
avrebbe
previsto
quattro
fasi:
nell’immediato,
il
riconoscimento
politico
delle
due
Germanie,
associato
al
pieno
ristabilimento
dei
diritti
civili
nella
DDR;
per
l’anno
successivo,
libere
elezioni
in
entrambi
i
Paesi;
dopo
cinque
anni,
referendum
separati
sulla
riunificazione;
infine,
libera
decisione
della
Germania
unita
se
appartenere
al
patto
Atlantico
o a
quello
di
Varsavia
(la
neutralità
era
esclusa).
Il’piano
Globke’
rappresentò
il
punto
di
più
alta
disponibilità
da
parte
di
Adenauer
al
compromesso
sulla
‘questione
tedesca’,
ma
già
nella
seconda
parte
del
piano
(novembre
1960)
era
scomparso
ogni
accenno
ad
un
possibile
riconoscimento
della
DDR,
e si
parlava
solo
di
<<rapporti
bilaterali
a
livello
ufficiale>>.
La
‘questione
tedesca’
fu
oggetto
di
una
serie
di
conferenze
quadripartite
che
si
tennero
a
Ginevra
nella
primavera
del
1959.
Da
esse
ne
venne
fuori
–
con
gran
preoccupazione
di
Adenauer
–
che
soprattutto
USA
e
Gran
Bretagna
stavano
ormai
adottando
un
approccio
meno
rigido
nei
confronti
delle
richieste
sovietiche;
persino
il
segretario
di
Stato
della
BRD,
Foster
Dulles
(per
anni
interlocutore
privilegiato
del
cancelliere),
non
respinse
più
l’idea
che
la
riunificazione
tedesca
potesse
avvenire
anche
senza
che
si
tenessero
preliminarmente
libere
elezioni.
A
Ginevra,
inoltre,
l’Alleinvertretungsanspruch
di
Bonn
dovette
incassare
un
durissimo
colpo
visto
che
alle
trattative
tra
le
quattro
potenze
furono
invitati
con
lo
stesso
status
di
“consulenti”
- e
perciò
in
posizione
subordinata
– i
due
Stati
tedeschi,
con
un
riconoscimento
di
fatto
di
pari
dignità
per
la
DDR.
Fu
così
che
Adenauer
cominciò
a
cercare
sostegno
al
di
là
del
Reno,
in
Francia,
dove
–
nel
frattempo
–
era
tornato
al
potere
(prima
come
capo
del
governo
e
poi
come
presidente
della
Repubblica)
il
generale
Charles
de
Gaulle.
Il
primo
incontro
fra
i
due
statisti
era
già
avvenuto
nel
settembre
1958,
in
Lorena,
ma
fu
proprio
dopo
gli
incontri
di
Ginevra
che
l’asse
Bonn-Parigi
divenne
sempre
più
solida,
sancendo,
in
questo
modo,
il
vero
e
proprio
inizio
dell’amicizia
franco-tedesca,
ormai
da
troppi
anni
messa
in
discussione.
Ė in
questo
clima
di
apparente
disgelo
che
nel
1961
fu
deciso
di
erigere
il
muro
di
Berlino;
nella
notte
fra
il
12 e
il
13
agosto,
di
domenica,
le
squadre
guidate
da
Erich
Honecker
–
protette
dalle
forze
di
sicurezza
–
iniziarono
a
recintare
col
filo
spinato
(solo
nei
giorni
successivi
sarebbero
state
costruite
anche
le
barriere
in
muratura
vera
e
propria)
il
confine
fra
i
due
settori
della
città.
L’impressione
e lo
sdegno
furono
enormi,
tanto
in
Germania
quanto
all’estero;
i
tedeschi
percepirono
in
modo
traumatico
i
limiti
delle
garanzie
offerte
dalle
potenze
occidentali,
e in
particolare
dagli
USA.
Di
contro
– il
comando
statunitense
decise
di
rafforzare
la
propria
presenza
militare
con
altri
1.500
uomini;
nel
frattempo
si
precipitarono
a
Berlino
sia
il
vicepresidente
Johnson
sia
l’ormai
anziano
generale
Clay.
Non
arrivò,
invece,
Adenauer,
impegnato
allora
nella
campagna
elettorale
per
il
rinnovo
del
Bundestag
(previsto
per
il
17
settembre).
Gli
avvenimenti
dell’estate
1961
resero
drammaticamente
visibile,
l’impasse
in
cui
si
trovava
ormai
la
BRD;
il
muro
aveva
di
colpo
disattivato
il
‘campo
magnetico’
fra
i
due
Stati
tedeschi,
segnando,
così,
una
netta
cesura
rispetto
al
periodo
precedente.
Inoltre,
il
prestigio
e
l’autorità
dell’ormai
ultraottantenne
Adenauer
erano
stati
seriamente
intaccati
prima
in
occasione
dell’elezione
del
nuovo
presidente
federale
nel
1959
e
poi
in
occasione
della
seconda
(dopo
quella
del
1948)
crisi
di
Berlino.
Le
elezioni
politiche
portarono,
così,
due
milioni
di
elettori
in
più
tanto
alla
SPD
di
Willy
Brandt,
tanto
alla
FPD,
che
raggiunse
il
suo
massimo
storico
di
voti.
La
CDU/CSU
perse,
invece,
la
maggioranza
assoluta,
scendendo
al
45,3%
di
voti.
Si
annunciava,
così,
all’indomani
della
costruzione
del
Muro,
la
fine
dell’era
Adenauer.
I
tentativi
compiuti
da
parte
della
BRD
per
uscire
dall’impasse
si
incentrarono
sostanzialmente
sulla
cosiddetta
‘politica
di
movimento’
(la
prima
Ostpolitik
in
senso
proprio)
nei
confronti
del
blocco
orientale,
inaugurata
dal
nuovo
ministro
degli
esteri
Gerhard
Schröder,
imposto
ad
Adenauer
dai
liberali
dopo
il
loro
successo
elettorale.
Il
nuovo
corso
di
politica
estera
della
BRD
condusse
ben
presto
alla
stipulazione
di
accordi
commerciali
bilaterali
con
Paesi
come
la
Polonia
(marzo
1963),
la
Romania
(ottobre),
l’Ungheria
(novembre)
e la
Bulgaria
(marzo
1964).
Ciò
– in
base
alla
‘teoria
del
difetto
congenito’
–
non
mise
in
discussione
i
dettami
della
‘dottrina
Hallstein’,
visto
che
–
come
detto
–
essa
non
teneva
conto
dei
Paesi
aderenti
al
Patto
di
Varsavia.
Il
presidente
della
DDR,
Walter
Ulbricht
(salito
in
carica
nel
1960),
avvertì
subito
il
significato
della
‘politica
di
movimento’
di
Schröder,
etichettando
l’iniziativa
come
una
sorta
di
‘cavallo
di
Troia’
che
avrebbe
avuto
lo
scopo
di
isolare
sempre
di
più
dai
suoi
Paesi
alleati
la
Germania
orientale.
Quest’ultima
– di
contro
–
strinse
un’intesa
commerciale
bilaterale
con
la
Cecoslovacchia
e
rafforzò
suoi
contatti
con
L’URSS.
La
Ostpolitik
di
Schröder
si
arenò
dunque
qui,
mostrando
tutti
i
limiti
di
flessibilità
della
BRD
in
materia
di
politica
estera,
limiti
che,
invece,
non
possono
essere
associati
a
nazioni
come
gli
USA
di
Kennedy
o la
Francia
di
De
Gaulle,
che
–
dal
canto
loro
– si
mostrarono
molto
più
propensi
ad
una
politica
più
aperta
nei
confronti
dell’est
europeo.
Come
già
accennato
–
nel
gennaio
1963,
la
DDR
ottenne
il
riconoscimento
diplomatico
da
parte
di
Cuba,
provocando
l’immediata
reazione
da
parte
della
BRD;
nonostante
ciò
era
evidente
che
la
‘dottrina
Hallstein’
stava
cominciando
a
perdere
potere
di
dissuasione.
Nel
frattempo,
infatti,
la
DDR
si
muoveva
con
grande
spregiudicatezza
in
alcune
aree
del
Terzo
mondo,
soprattutto
nell’India
di
Nehru
e
nell’Egitto
di
Nasser;
con
questi
due
Paesi
nacquero
numerosi
interessi
di
natura
economico-commerciale,
ma
ciò
non
produsse
alcuna
reazione
da
parte
del
governo
di
Bonn.
Il
crepuscolo
dell’era
Adenauer
era
ormai
arrivato;
esso
giunse
precisamente
nell’ottobre
1963,
quando
a
succedergli
fu
Ludwig
Ehrard,
del
quale
<<aveva
apprezzato
l’ispirazione
e la
guida
del
‘miracolo
economico’
ma
al
quale
misconosceva
qualità
di
comando
politico>>.
Infatti,
la
cancelleria
di
Ehrard
fu
solo
un
breve
interludio
(1963-1966).
La
vera
e
propria
svolta
politica
si
ebbe
con
la
formazione
–
per
la
prima
volta
nella
storia
della
BRD
- di
un
governo
di
grande
coalizione
fra
CDU/CSU
e
SPD,
con
cancelliere
Kiesinger
e
con
la
presenza
al
ministero
degli
Esteri
di
Willy
Brandt,
colui
che
secondo
Collotti
<<ha
interpretato
la
volontà
di
cambiamento
espressa
dall’opinione
pubblica
tedesco-occidentale
e la
necessità
di
uscire
dall’immobilismo
in
cui
si
era
arenata
l’era
Adenauer>>.
Nella
sua
prima
dichiarazione
programmatica
il
nuovo
cancelliere
annunciò
la
disponibilità
del
governo
a
superare
gli
ostacoli
esistenti
e la
possibilità
di
avviare
contatti
con
la
DDR.
Nonostante
ciò,
all’inizio
del
1967,
la
BRD
allacciò
delle
relazioni
formali
a
livello
diplomatico
con
la
Romania,
e
alla
fine
dell’anno
con
la
Jugoslavia;
da
dieci
anni
in
vigore
la
‘dottrina
Hallstein’
era
ormai
praticamente
al
tramonto.
Tuttavia,
la
reazione
della
DDR
non
si
fece
attendere.
Infatti,
i
vari
ministri
degli
esteri
del
blocco
sovietico,
riunitisi
a
Varsavia,
nel
febbraio
1967,
non
soltanto
criticarono
la
Romania
per
il
passo
compiuto,
ma
proclamarono
anche
quella
che
fu
successivamente
chiamata
‘dottrina
Ulbricht’
–
secondo
cui
nessun
Paese
membro
del
Patto
di
Varsavia
avrebbe
potuto
normalizzare
le
sue
relazioni
con
Bonn
prima
della
DDR.
Ne
nacquero
trattati
bilaterali
di
‘amicizia
e
sostegno
reciproco’
tra
la
DDR
e
Stati
tra
cui
la
Polonia,
la
Cecoslovacchia,
l’Ungheria
e la
Bulgaria.
Al
di
là
del
fatto
che
questi
accordi
rovesciarono
nettamente
la
linea
imposta
dalla
‘dottrina
Hallstein’
-
secondo
Collotti
-
l’elemento
fondamentale
fu
rappresentato
dall’esplicito
riconoscimento
che
nel
Trattato
con
la
Polonia
si
faceva
della
definitività
dei
confini
esistenti
e
della
garanzia
a
salvaguardia
dell’integrità
territoriale
polacca,
un
passo,
che
solo
pochi
anni
prima,
appariva
impensabile.
Intanto,
Konrad
Adenauer
moriva
a
Colonia
il
19
aprile
1967,
ma
le
fortune
della
sua
politica
si
erano
esaurite,
ormai,
già
da
alcuni
anni.
In
particolare
il
grave
incidente
dello
‘Spiegel’
del
1962,
che
lo
costrinse
a
privarsi
della
personalità
politica
più
in
vista
del
suo
governo,
ovvero
Franz
Josef
Strauss,
lo
avviò
in
una
spirale
negativa
che
lo
portò
alla
caduta
politica
dell’anno
successivo.
Egli
resta,
comunque,
l’uomo
che
più
di
tutti
contribuì
alla
ricostruzione
della
Germania
occidentale,
riuscendo
a
farne
decollare
le
sorti
grazie
ad
una
saggia
politica
economica
conseguita
durante
i
difficili
anni
Cinquanta,
in
piena
Guerra
Fredda.
Senza
dimenticare,
ovviamente,
che
–
insieme
a
Schuman
e De
Gasperi
– fu
il
padre
fondatore
di
quella
‘piccola
Europa’,
che
poi
gli
eventi
storici
hanno
trasformato
nell’attuale
Unione
Europea,
alla
quale
aderiscono,
ormai
ben
27
Stati,
con
prospettive
di
adesione
-
nei
prossimi
anni
-
anche
per
Paesi
come
la
Turchia,
la
Macedonia
e la
Croazia.