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N. 77 - Maggio 2014 (CVIII)

Il pentagramma delle orbite celesti
GIOVANNI KEPLERO E LE ARMONIE DELL'UNIVERSO

di Carlo Ciullini

 

Keplero, eliocentrista convinto, si pose sin dall’inizio della propria, straordinaria esperienza di astronomo poche ma fondamentali domande, cui cercò di rispondere attraverso le sue opere scientifiche: perché i pianeti sono sei (quanti, allora, se ne poteva vedere a occhio nudo)?

 

Quale è la loro velocità di moto, e perché assumono tali traiettorie nel cielo? Gli scritti keplerani basilari sono tre: “Mistero cosmografico” (1596), “Astronomia nova” (1609) e “Armonie del mondo” (1619).

 

In esse sono contenute le risposte alle domande brucianti che l’astronomo tedesco si era posto; gran merito della sua opera scientifica va anche a Tycho Brahe (il grande scienziato danese, probabilmente il miglior scrutatore del cosmo prima dell’avvento del cannocchiale), ai cui dati osservativi Keplero ebbe accesso in qualità di discepolo: in essi trovò una meravigliosa conferma alle personali interpretazioni teoriche.

 

Un aspetto di Keplero è bene sottolineare sin d’ora: come Tycho, anch’egli per vari aspetti si volse indietro, al passato, non liberandosi del tutto dai lacci “metafisici”, quando non superstiziosi, della visione medievale-scolastica del mondo.

 

Ecco il perché di opere dedicate all’astrologia, mediate da una concezione dell’universo ammantata di armonia intrinseca, strutturale, secondo i più conclamati canoni matematico-proporzionali della filosofia pitagorica.

 

Il mondo di Giovanni Keplero rispecchia armoniosamente la potenza divina, e le relazioni che si intrecciano nell’universo assumono, come detto, precise relazioni geometriche e matematiche.

 

Ne è prova la teoria dei “poliedri platonici”(già presenti in quella degli elementi nel “Timeo” del filosofo greco). I pianeti sono sei perché cinque sono i poliedri (divisi in “primari” e “secondari”) che li separano: cubo, tetraedro, dodecaedro, ottaedro e icosaedro; non solo inserendosi strutturalmente tra i pianeti ne determinano la quantità, ma ne tracciano sia le distanze reciproche che le traiettorie.

 

È importante sottolineare come i presupposti relativi alla natura dei poliedri e alla loro influenza cosmologica non abbraccino esclusivamente considerazioni tecnico-scientifiche ma subiscano, anch’essi, influssi metafisici.

 

Attenzione, però: i risultati teorici di Keplero dovevano necessariamente collimare con i dati delle osservazioni ticoniche, cui il tedesco poteva accedere.

 

Tali concetti, espressi nel “Mysterium”, trovano poi la loro sublimazione nelle altre due opere in cui, a distanza di tempo gli uni dagli altri, vengono espressi i capisaldi della cosmologia moderna: parliamo delle tre grandi Leggi keplerane, fulcro poi della fisica newtoniana (nonostante il paradosso espresso da Duhem nel 1906 ne”La teoria fisica”,che professava un’ipotetica irriducibilità tra le teorie del tedesco e quelle dell’inglese).

 

La teoria poliedrica non è tuttavia sufficiente a spiegare le varie velocità di rivoluzione dei pianeti, velocità tra l’altro non uniforme nei singoli casi.

 

Keplero, riprendendo il concetto copernicano di “bellezza astrale” del Sole, concetto di radice platonico-pitagorica, ne esaltò a sua volta lo splendore estetico e l’”anima motrice”: un Sole la cui influenza sui pianeti, a suo dire, scemava con la distanza dagli stessi.

 

Il tedesco è quindi, come Tycho Brahe, emblema dello scienziato illuminato vivente a cavallo tra Cinque e Seicento, con un piede posto sulla staffa della mistica e l’altro su quella della ragione.

 

È nell’opera principale, l’”Astronomia nova”, che Keplero esprime le teorie scientifiche che ne hanno marcato la grandezza.

 

Studiando l’anomala, e chiaramente non circolare orbita di Marte, egli giunge alla conclusione che le traiettorie degli astri siano in realtà ellittiche, con il Sole posto fisicamente in uno dei due fuochi dell’ellisse stessa (I/a Legge); teorizza poi che il raggio, formato dal pianeta preso in esame e dal Sole, copra nello stesso lasso di tempo la medesima area, determinando una accelerazione in prossimità della stella, e un conseguente rallentamento nel distanziarsi dal fuoco ellittico (II/a Legge).

 

La terza legge, per la quale i quadrati del periodo di rivoluzione di due pianeti sono proporzionali ai cubi della loro distanza media dal Sole, fu espressa anni dopo nelle “Armonie del mondo”, in cui la proporzione di 2/3 veniva rapportata alla cosiddetta “proporzione sesquialtera”, base della tonalità musicale pitagorica.

 

In pratica, per Keplero, i pianeti si muovono secondo modalità saldamente matematiche, ma rese quasi melodiche, in un certo senso strumenti di un vero e proprio concerto astrale.

 

Nella fantasia del grande astronomo tedesco il cosmo si dispiegava come un immenso pentagramma, sul quale le orbite dei corpi celesti tracciano note che fanno vibrare melodicamente l’universo: un concetto, questo relativo allo strettissimo rapporto tra musica e relazioni matematiche, che affonda le sue radici nella notte dei tempi.

 

Keplero, perciò, ci ha dipinto un cielo armonioso e suadente, e in questa concezione esalta il proprio spirito lirico; tuttavia, da straordinario scienziato quale egli fu, poggiò ogni sua considerazione su dati osservativi e teorie scientifiche assolutamente razionali.



 

 

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